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domenica 21 aprile 2019

LA NATURA, IL VERO E IL FATTO 

L’idea della natura poetica caratterizzò il Romanticismo perfino quando giunse negli Stati Uniti: “Quando parliamo di natura in questo modo, abbiamo in mente un sentimento preciso, benché estremamente poetico..E’ questo che distingue il legname del taglialegna dall’albero del poeta” (R. W. Emerson - “Natura”). Vedere nella natura un semplice strumento di produzione e di utilità è una visione egocentrica e antropocentrica prodotta dalla ragione, ma lo sguardo poetico vede tutt’altra cosa e non sta scritto da nessuna parte che lo sguardo mortificante della ragione sulla natura sia la verità e quello poetico pura fantasia. La ragione può dire la sua circa quello che fa l’uomo, non circa quello che non viene fatto dall’uomo, e la natura non viene fatta dall’uomo, anzi è tale proprio perché non manipolata dall’uomo e ogni oggetto naturale manipolato dall’uomo non è più natura, se non per la sua materiale resistenza. La natura, quindi, non appartiene al mondo del “fare” umano, sta oltre i deliri tecnici dell’“homo faber”, questa distinzione tra ciò che è fatto dall’uomo (artificio, cultura), quindi prodotto della ragione, e ciò che non è fatto dall’uomo (quindi sta oltre la ragione, al limite si può parlare anche di irrazionalità, la necessità naturale, infatti, è irrazionalità e necessità assieme, non essendo una necessità vuota, cioè logico-matematica) venne fatta da Vico, allorché polemizzò con la diffusione che stava avendo la mentalità cartesiana, che poi era il fondamento della Rivoluzione scientifica: “il vero si identifica col fatto; di conseguenza il primo vero è Dio..in quanto facitore di tutte le cose..invece la mente umana, in quanto limitata, e in quanto sono fuori di lei tutte le altre cose che non siano essa stessa, può soltanto andare ad accozzare gli elementi estremi delle cose, senza mai collegarli tutti..L’uomo pertanto, quando si accinge a investigare la natura delle cose, si accorge di non poterla in alcun modo raggiungere non avendo in sé gli elementi di cui sono costituite le cose..Si crea così un mondo di forme e di numeri, che abbraccerebbe dentro di sé l’universo” (G. B. Vico - “De antiquissima italorum sapientia” I, III). Supponendo l’esistenza di Dio come creatore del mondo, cioè come colui che “ha fatto” l’universo, Vico sostiene, in totale contrasto con Cartesio e tutto il movimento scientifico allora in pieno sviluppo, assieme alla società borghese-socialista di cui è espressione, che il vero è accessibile alla ragione solo in quanto è la ragione del creatore che “fa” le cose della natura. Dio, quindi, se esistesse e avesse creato il mondo, conoscerebbe con la sua infinita ragione il mondo stesso, in quanto artificio e manufatto composto dallo stesso Dio. Ma, aggiunge Vico, l’uomo non è Dio: tutto l’universo e tutta la natura non sono una sua creazione di cui conosce i segreti di una eventuale composizione, l’uomo non ha fatto la natura, quindi non conosce la sua verità. Non conoscendola, non fa altro che creare un mondo, tutto mentale, parallelo alla natura e sostanzialmente falso, quel “mondo di forme e di numeri” in cui consiste l’intera Rivoluzione scientifica e che viene preso, religiosamente, “come se fosse” l’effettiva verità della natura. In tal modo, la scienza è un modello con il quale l’uomo “simula” di essere Dio e di poter conoscere la natura e l'universo come se li avesse fatti lui. Il non fatto dall’uomo è esattamente ciò che viene chiamata “natura” e nella realtà è “incomprensibile” per la mente e la ragione umana, ne consegue che la scienza e la tecnica sono sempre un pericolo, perché non corrispondono strutturalmente alla verità. Non si conosce quello che non si è fatto. Se la verità della natura è fuori dalla ragione e dalla scienza, allora diventa più che legittimo poter sostenere che ad essa si avvicina di più la poesia, giacché la poesia non pretende di cogliere il vero della natura pienamente, ma di coglierne il bello e il tragico, che ovviamente sono il modo in cui la vive l’uomo. Ma il modo in cui la vive l’uomo dipende certamente anche dall’uomo (non a caso Novalis e Leopardi sostengono che sia necessario uno spirito poetico nell’osservare la natura, spirito che il razionalista e lo scienziato non hanno minimamente, se non quando smettono di essere razionali e scientifici), tuttavia dipende anche dalla natura, il che vuol dire che la poesia coglie qualcosa di vero, di immediato, della natura, che la ragione e la scienza non colgono, chiuse, come sono, nel costruire quel falso mondo parallelo fatto di “forme e numeri”, cioè semplici schemi mentali.

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