LEGGI PER CAPIRE PERCHE' LA LEGGE DI CAUSA ED EFFETTO E L'IDEA DI CONTAGIO SONO PREGIUDIZI SCIENTIFICI
L’idea di “contagio”, che la scienza ha fatto sua in quanto la scienza non è altro che una metafisica, nasce da pregiudizi millenari. L’idea di “causa” coincide con quella di “ragione” ed entrambe connotano ciò che “spiega”. Se si procede nella realtà materiale e sensibile, si dovrebbe retrocedere all’infinito, perché ci vorrbbe la causa della causa, la ragione della ragione, la spiegazione della spiegazione. Questo capita perché l’idea di “causa”, o “ragione” o “spiegazione”, è un’ipostasi che dovrebbe spiegare definitivamente e ciò è possibile solo all’infinito. Dio, in quanto causa infinita, spiegherebbe tutto, solo che esso, come ragione, come già notava Kant, si colloca “al di là” di ogni realtà e quindi non riesce ad avere mai una realtà e un’esistenza: “Intendo per idea un concetto necessario della ragione, al quale non è dato trovare un oggetto adeguato nei sensi” (I. Kant - “Critica della ragion pura” 1, II, lib. 1°, sez. 2°). In altri termini la “causa”, la “ragione”, la “spiegazione” sono l’idea assoluta, da cui scaturiscono tutte le altre singole idee, questa idea assoluta, però, non trova mai realtà, perché non trova “un oggetto adeguato nei sensi”. Ciò significa che il concetto di “causa”, identico a quello di “ragione” (non a caso si parla della causa come “principio di ragion sufficiente”) e di “spiegazione”, è sempre metafisico, non lo è solo nella religione cristiana con Dio che si colloca dichiaratamente oltre ogni visibilità, ma lo è anche nel "causalismo" mitologico, al quale il pensiero scientifico somiglia più specificatamente. Si potrebbe definire la scienza una “mitologia impersonale”. Dio, se si prescinde dalle forme di panteismo o dalle forme relative all’incarnazione, si colloca, per definizione, oltre ogni realtà, per la divinità cristiana vale solo la teologia negativa: “Chi parla esattamente <dell’Uno, cioè di Dio> non dovrebbe dire di Lui né ‘questo’ né ‘quello’” (Plotino - “Enneadi” VI, 9, 4). Questa teologia negativa ogni tanto riaffiora in forme moderne, come, ad esempio, nell’Esistenzialismo. La causa assoluta, presa in sé, è la negatività di ogni cosa, un auto-porsi come idea assoluta di Dio, la causa ipostatizza la razionalità e spiegazione umana, cioè è un concetto astratto al quale si attribuisce indebitamente una portata ontologica o una realtà oggettiva. Che questo avvenga lo ha appena ammesso Kant, in quanto Dio, quale idea assoluta, viene preso come realtà oggettiva, pur essendo totalmente astratto riguardo ai sensi. Tuttavia non bisogna credere che il concetto di “causa”, “spiegazione”, “ragione” sia un’ipostasi solo nel caso di Dio. La causa è sempre un’ipostasi della ragione, è la ragione che si pone come necessità di spiegazione sulla base della paura del mondo, nel folle intento di credere che, con la spiegazione, il mondo diventi “conosciuto”, insomma che ci sia una conoscenza e che essa sia potere sul mondo. Il pensiero mitologico incarnava l’ipostasi della spiegazione, della ragione, della causa, del “perché” (il “perché lo si dovrebbe porre solo a spiegazione delle azioni umane, perché l’uomo conosce solo quello che fa e mai quello che non ha fatto, come la natura e i corpi, compreso quello umano) in figure personali immaginarie e dotate di straordinari poteri, tipo gli déi o altre figure. Queste divinità o figure erano fenomeni naturali personificati, ad esempio presso i babilonesi Tiamat era la dea primigenia delle acque salmastre o oceaniche. In quanto tale la dea poteva svolgere una qualche funzione di causa, di spiegazione, di ragione, di “perché”. La ricerca di una divinità onnipotente e indefinita cancellò il mondo mitologico delle spiegazioni. In quanto entità personali, le divinità e figure mitologiche non avevano bisogno di procedere a ritroso infinito nelle cause, perché l’uomo assimilava la causa alla volontà e la volontà, nell’etica spirituale umana, è causa ultima. Anzi, come ben notava Nietzsche, il concetto di “causa” è una proiezione di quello di “volontà”, questo era più evidente nel "causalismo" mitologico e anche in quello teologico cristiano: in quest’ultimo, infatti, la “volontà di Dio” è sempre la “causa ultima” oltre la quale non si può andare. Con l’arrivo della scienza, l’ipostasi assunse dimensione impersonale e quindi la “volontà” rimase nascosta, ma viene attribuita alle cose per via di una sorta di identità sottintesa, ad esempio, se l’effetto è la pioggia, la pioggia figura come ipostasi, come causa, quindi come possibilità a priori (le previsioni scientifiche sono tutte ipotesi e non è lecito imporre tali ipotesi agli uomini, negando la loro libertà), già nelle nuvole: le nuvole contenenti l’ipostasi pioggia diventa la causa della pioggia. La pioggia pre-esiste a se stessa. Nella previsione la pioggia come ipostasi presente nelle nuvole, cioè come concetto astratto a cui si attribuisce indebitamente realtà oggettiva (indebitamente, perché, nel prima, reali sono le nuvole, non la pioggia). Con la scienza l’ipostasi della causa, della ragione, della spiegazione è presente in modo impersonale nell’oggetto posto come precedente. Nel contagio si dà realtà ad un concetto astratto reso indebitamente oggettivo, perché si suppone che il microscopio fornisca ai sensi realtà oggettive più oggettive di quelle sensibili per via naturale, ad esempio al concetto di “virus”. Se un individuo ha la malattia provocata, ad esempio, dal “corona virus”, si deve dare una spiegazione a ciò, si cerca la causa, la ragione e allora ecco che l’ipostasi è il virus stesso ritrovato in un individuo che viene posto come causa: malato B (effetto) rispetto al quale la causa è l’ipostasi presente nel malato A (causa), con l’identità nell’ipostasi, per cui in Giovanni (causa) è presente il “corona virus” di Pasquale (effetto), il che è un’identificazione sottintesa che si effettua ogni volta che si usa la legge di causa ed effetto, in tal modo viene di fatto creata l’idea di “contagio”. Con ciò chiunque diventa responsabile di qualsiasi cosa, anche di quello che non ha fatto: Giovanni (causa) non ha aggredito Pasquale (effetto), ma diventa responsabile metafisicamente della malattia di Pasquale mediante l’identificazione dell’effetto in Pasquale (corona virus) con l’ipostasi della causa, cioè il “corona virus” già presente in Pasquale: di fatto viene annullata, con il contagio, la diversità e separazione assoluta che sussiste tra l’individuo Giovanni e l’individuo Pasquale. Per conseguenza si pretende di eliminare la libertà di Giovanni perché assunto a priori, mediante la causa come ipostasi (come ragione, come spiegazione), come responsabile dell’insorgere della malattia in Pasquale (effetto). Questi passaggi logico-analogici sono devastanti per la libertà umana, perché in base ad essi si pretende di gestire la vita di Giovanni (causa), in quanto, con la morale altruistica, ritenuto arbitrariamente responsabile della malattia di Giovanni (effetto). La combinazione di legge di causa ed effetto, di altruismo e di disprezzo del corpo diventano letali per la libertà e dignità individuale, sono più pericolosi della stessa religione. Avviene, di fatto, quel che temeva Nietzsche, cioè che le responsabilità vengono date intellettualmente e non fisicamente: “Negazione della causalità. Per non rendere tutto responsabile di qualunque cosa e per non stare a complicare ciò che è semplice. Il ‘caso’ esiste veramente” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 1885-87 - 2 (167)). Questo pregiudizio metafisico-razionale della causa, unito poi con una mentalità spiritualista, rende l’idea di contagio un vero e proprio disprezzo del contatto fisico, il contatto fisico diventa responsabile della trasmissione del contagio perché sussiste il pregiudizio a priori dell’impurità del corpo, come mostra il seguente esempio, per cui l’inferiore, toccando il superiore, lo contagiava, lo rendeva “impuro”: da questa idea di “impurità” nasce l’idea del contagio come fatto fisico e nasce l’ossessione moderna della disinfestazione continua, dagli ospedali al bucato: “i neofiti <della setta degli Esseni nell’antica Palestina> sono tanto al di sotto dei vecchi adepti, che se per caso questi <i neofiti> li toccano <i vecchi adepti> si lavano come se fossero venuti a contatto con uno straniero” (Flavio Giuseppe - “Guerra giudaica” - lib. 2°, 8, 10). In epoca di contagio non si ripete ossessivamente di “lavarsi spesso le mani”? Da ciò nasce l’ossessione, soprattutto moderna, dell’igiene. La verità è che nell’idea di contagio si nascondono sia pregiudizi contro il corpo mai spenti del tutto e anche il pregiudizio razionale della spiegazione che caratterizza l’uomo vile, perché parliamo di vili, razionalista. L’epoca moderna è il trionfo di questa viltà razionale.