IN MEMORIA DELL'ABETE
Nella mia ultima solitudine mi sedevo spesso su una panchina posta vicino ad un abete che mi riparava dal sole con la sua ombra, ci avevo fatto amicizia e mai avrei creduto che sarebbe morto prima di me, cadendo, per colpa del vento dell'altro giorno. Ora giace in pezzi. Com'è fragile la vita! Voglio ricordarlo con la poesia che gli avevo dedicato e che riporto ("Rime sgradite" - 164 "L'abete"): "C'è un bell'abete/ al quartiere Torresina/ e io l'ammiro lieto/ seduto a una panchina./ I suoi rami, flessuosi,/ danzano nel vento:/ un abbraccio pare/ e ne son contento./ La gente va e viene,/ lungo i viali della via,/ ma io e lui restiamo/ in triste compagnia:/ luglio, ore quattordici,/ in strada non c'è un cane/ ogni famiglia è in casa/ e gli animali nelle tane./ Verdi gli aghi dei suoi ciuffi:/ volo fin nel Minnesota:/ boschi e angoli di cielo,/ poi, un vecchio Sioux Dakota:/ narra di valli e d'animali,/ di colli e fiumi tanto belli,/ quando non v'era civiltà/ a rendere perfidi i cervelli,/ narra del vagare in ogni spazio/ di audaci e giovani tribù:/ era un vecchio mondo libero,/ un mondo che ora non c'è più./ L'abete è più giovane di me/ ed è in terra ben piantato,/ certo vedrà altre stagioni,/ per me il tempo è già volato./ Rammenta tu agli uomini:/ 'la vita non si può ingabbiare',/ fallo tu, caro amico,/ io presto ti dovrò lasciare." (13/7/2014)
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