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domenica 15 settembre 2019

DAL TITANISMO ROMANTICO AL SUPERUOMO DI NIETZSCHE

    Ora, al di là di come stavano le cose nell’antichità, il “titanismo”, nel mondo romantico, venne preso, appunto, come ribellione e lotta indomita e si confuse con quello che venne chiamato “satanismo”, giacché la ribellione al Dio teista o del panteista o dell’ateo ha il suo modello originario in Satana, ma anche perché questo modello venne offerto ai romantici dalla poesia di Milton, in cui Satana appare come un ribelle eroico, indomito, che lotta pur essendo certo della sconfitta, perché l’importante non è vincere, ma lottare e contro l’onnipotenza di Dio Satana non può nulla, tranne che lottare e ribellarsi. Gli déi e Dio diventano il prototipo del tiranno. Questa è la lettura romantica di Milton, più che l’intenzione di Milton, ma le cose che scrive Milton come poeta, sono riprese dai romantici nel senso del titanismo, in cui la polemica di atei e panteisti verso il Dio teista, staccato dagli uomini come potere onnipotente, lo fa diventare satanismo. Satana visto come eroe: “Costoro <le schiere dei combattenti per Satana, una specie di Spartacus teologico> e molti altri vennero avanti../…/ intuendo il loro Capo <Satana> non sopraffatto dalla disperazione, e se stessi/ nella sconfitta non ancora sconfitti../…/ non furia ispirava, piuttosto un valore/ deliberato e saldo, mai spinto dal timore della morte/ a ritirarsi../…/..l’Arcangelo <ribelle, Satana> splendeva sopra gli altri;/ e tuttavia sul viso profonde cicatrici gli avevano/ scavati i fulmini <di Dio>, e sulla guancia pallida posava/ grave la pena; ma sotto il ciglio l’indomito valore/ e il meditato orgoglio cercavano vendetta” (J. Milton - “Paradiso perduto” - lib. I, vv. 522-526, 553-555, 600-604). Quindi caratteristica del “titanismo romantico” è la lotta, senza badare se si vince o si viene sconfitti, la ribellione, non essere sconfitti nella sconfitta, perché chi lotta fino alla morte non viene mai sconfitto, mancanza di timore per la morte, carattere orgoglioso e indomito, capace di sofferenze indicibili e quindi ostile ad ogni protezione che presuppone la sottomissione. Questi caratteri del “titanismo romantico”, non solo sono tutti presenti in Leopardi, ma sono anche la struttura portante del superuomo di Nietzsche. Giacché l’uomo normale si sottomette al potere. Il titanismo riprende quel lato della cultura greca che non prevedeva la completa sottomissione degli uomini agli déi come avveniva in Mesopotamia, nell’Antico Testamento e sotto forma di paternalismo anche nel Nuovo Testamento. Il titanismo romantico, non solo sta alla base dell’arte romantica, ma è la vera radice dell’anarchismo ottocentesco, da Stirner, che ne diede semplicemente una versione anti-politica, fino a Nietzsche. In questa prospettiva si era già mosso Leopardi. Questi tratti del titanismo romantico, che presero spunto da Milton, si ritrovano presso i più importanti autori romantici e la figura di Prometeo fa da tratto di unione tra Goethe e il superuomo di Nietzsche (Leopardi non mostra di conoscere la poesia “Prometeo” di Goethe, ma, un po’ per vie alfieriane, un po’ per una sua stessa vocazione romantica, visse il titanismo romantico a modo suo; Leopardi vede nel suicidio, a cominciare da quello di Werther - che conosceva -, come un non essere sconfitti nella sconfitta): la ribellione agli déi (Dio teista) e quasi la “morte di Dio” sono, in abbozzo, già presenti nella poesia di Goethe (Nietzsche proseguitore di Goethe?), giacché le divinità svaniscono, muoiono, non appena gli uomini non credono e non badano più a loro, sono tenute in vita solo dalle pazze speranze dei bimbi e dei mendicanti, che, quindi, collaborano con il potere con la loro ricerca di protezione, ciò soprattutto nel senso che gli adulti non devono essere ancora bambini bisognosi di protezione e timorosi di tutto; si noti tra l’altro che il mondo umano del ribelle è la terra, un rifiuto del potere che è anche rifiuto del cielo, quasi dei passi pre-nietzscheani, se si pensa che il primo tratto del superuomo è la fedeltà alla terra e si noti anche che il ruolo del potere/protezione viene tenuto in vita da vittime o reali, ma più spesso create appositamente per giustificare il ruolo stesso del potere, passaggio che sta perfettamente in linea con il disprezzo nietzscheano verso la compassione cristiana: “Zeus, puoi coprire il tuo cielo/ di nembi fumanti/…/ Ma a me la mia terra/ non devi toccare,../…/ Più misera cosa non so/ di voi sotto il sole,/ o iddii, che la vostra potenza/ penosamente nudrite/ di vittime e di fiati di preci;/ di voi che perduti sareste,/ non fossero i bimbi e i mendichi/ invasi di pazza speranza,/…/ Qui resto, qui uomini formo/ a immagine mia <Prometeo, libero e attivo e non passivo per obbedienza ad un potere>,/ un genere che mi somigli,/ e soffra e si dolga/ e goda e s’allegri,/ né cura si prenda di te:/ come anch’io <praticamente è la ‘morte di Dio’ nietzscheana>(J. W. Goethe - “Poesie varie” - “Prometeo”). Idee similari si trovano ovunque nel Romanticismo: “Lucifero..<Dio> rimane sempre solo, indefinito, indissolubile tiranno..Lucifero. Coll’essere voi stessi, nella vostra resistenza <obbedire significa non essere se stessi, resistenza è la ribellione indomita a Dio>..Lucifero. Il creatore chiamalo come vuoi: non crea che per distruggere” (G. G. Byron - “Caino” - atto 1°). Dall’ultima affermazione si dovrebbe dire che anche Byron è un “pessimista cosmico”, eppure ha spesso lodato la natura. Leopardi fa la stessa cosa, riscontra che la natura ci dà vita e ci uccide, e diventa “pessimista cosmico”. C’è qualcosa che non va nel cervello della critica italiana.         

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