DAL TITANISMO ROMANTICO AL SUPERUOMO DI NIETZSCHE
Ora,
al di là di come stavano le cose nell’antichità, il “titanismo”, nel mondo
romantico, venne preso, appunto, come ribellione e lotta indomita e si confuse
con quello che venne chiamato “satanismo”, giacché la ribellione al Dio teista
o del panteista o dell’ateo ha il suo modello originario in Satana, ma anche
perché questo modello venne offerto ai romantici dalla poesia di Milton, in cui
Satana appare come un ribelle eroico, indomito, che lotta pur essendo certo
della sconfitta, perché l’importante non è vincere, ma lottare e contro l’onnipotenza
di Dio Satana non può nulla, tranne che lottare e ribellarsi. Gli déi e Dio
diventano il prototipo del tiranno. Questa è la lettura romantica di Milton,
più che l’intenzione di Milton, ma le cose che scrive Milton come poeta, sono
riprese dai romantici nel senso del titanismo, in cui la polemica di atei e
panteisti verso il Dio teista, staccato dagli uomini come potere onnipotente,
lo fa diventare satanismo. Satana visto come eroe: “Costoro <le schiere dei combattenti per Satana, una specie di
Spartacus teologico> e molti altri
vennero avanti../…/ intuendo il loro Capo <Satana> non sopraffatto dalla disperazione, e se
stessi/ nella sconfitta non ancora sconfitti../…/ non furia ispirava, piuttosto
un valore/ deliberato e saldo, mai spinto dal timore della morte/ a ritirarsi../…/..l’Arcangelo
<ribelle, Satana> splendeva
sopra gli altri;/ e tuttavia sul viso profonde cicatrici gli avevano/ scavati i
fulmini <di Dio>, e sulla
guancia pallida posava/ grave la pena; ma sotto il ciglio l’indomito valore/ e
il meditato orgoglio cercavano vendetta” (J.
Milton - “Paradiso perduto” - lib. I, vv. 522-526, 553-555, 600-604).
Quindi caratteristica del “titanismo romantico” è la lotta, senza badare se si
vince o si viene sconfitti, la ribellione, non essere sconfitti nella
sconfitta, perché chi lotta fino alla morte non viene mai sconfitto, mancanza
di timore per la morte, carattere orgoglioso e indomito, capace di sofferenze
indicibili e quindi ostile ad ogni protezione che presuppone la sottomissione.
Questi caratteri del “titanismo romantico”, non solo sono tutti presenti in
Leopardi, ma sono anche la struttura portante del superuomo di Nietzsche. Giacché
l’uomo normale si sottomette al potere. Il titanismo riprende quel lato della
cultura greca che non prevedeva la completa sottomissione degli uomini agli déi
come avveniva in Mesopotamia, nell’Antico Testamento e sotto forma di
paternalismo anche nel Nuovo Testamento. Il titanismo romantico, non solo sta
alla base dell’arte romantica, ma è la vera radice dell’anarchismo
ottocentesco, da Stirner, che ne diede semplicemente una versione
anti-politica, fino a Nietzsche. In questa prospettiva si era già mosso
Leopardi. Questi tratti del titanismo romantico, che presero spunto da Milton,
si ritrovano presso i più importanti autori romantici e la figura di Prometeo
fa da tratto di unione tra Goethe e il superuomo di Nietzsche (Leopardi non
mostra di conoscere la poesia “Prometeo” di Goethe, ma, un po’ per vie
alfieriane, un po’ per una sua stessa vocazione romantica, visse il titanismo
romantico a modo suo; Leopardi vede nel suicidio, a cominciare da quello di
Werther - che conosceva -, come un non essere sconfitti nella sconfitta): la
ribellione agli déi (Dio teista) e quasi la “morte di Dio” sono, in abbozzo,
già presenti nella poesia di Goethe (Nietzsche proseguitore di Goethe?),
giacché le divinità svaniscono, muoiono, non appena gli uomini non credono e
non badano più a loro, sono tenute in vita solo dalle pazze speranze dei bimbi
e dei mendicanti, che, quindi, collaborano con il potere con la loro ricerca di
protezione, ciò soprattutto nel senso che gli adulti non devono essere ancora
bambini bisognosi di protezione e timorosi di tutto; si noti tra l’altro che il
mondo umano del ribelle è la terra, un rifiuto del potere che è anche rifiuto
del cielo, quasi dei passi pre-nietzscheani, se si pensa che il primo tratto
del superuomo è la fedeltà alla terra e si noti anche che il ruolo del potere/protezione
viene tenuto in vita da vittime o reali, ma più spesso create appositamente per
giustificare il ruolo stesso del potere, passaggio che sta perfettamente in linea
con il disprezzo nietzscheano verso la compassione cristiana: “Zeus, puoi coprire il tuo cielo/ di nembi
fumanti/…/ Ma a me la mia terra/ non devi toccare,../…/ Più misera cosa non so/
di voi sotto il sole,/ o iddii, che
la vostra potenza/ penosamente nudrite/ di vittime e di fiati di preci;/ di voi
che perduti sareste,/ non fossero i bimbi e i mendichi/ invasi di pazza
speranza,/…/ Qui resto, qui uomini formo/ a immagine mia <Prometeo,
libero e attivo e non passivo per obbedienza ad un potere>,/ un genere che mi somigli,/ e soffra e si
dolga/ e goda e s’allegri,/ né cura si prenda di te:/ come anch’io <praticamente
è la ‘morte di Dio’ nietzscheana>” (J. W. Goethe - “Poesie varie” - “Prometeo”).
Idee similari si trovano ovunque nel Romanticismo: “Lucifero..<Dio> rimane
sempre solo, indefinito, indissolubile tiranno..Lucifero. Coll’essere voi
stessi, nella vostra resistenza <obbedire significa non essere se
stessi, resistenza è la ribellione indomita a Dio>..Lucifero. Il creatore chiamalo come vuoi: non crea che per
distruggere” (G. G. Byron - “Caino” -
atto 1°). Dall’ultima affermazione si dovrebbe dire che anche Byron è
un “pessimista cosmico”, eppure ha spesso lodato la natura. Leopardi fa la
stessa cosa, riscontra che la natura ci dà vita e ci uccide, e diventa “pessimista
cosmico”. C’è qualcosa che non va nel cervello della critica italiana.
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