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mercoledì 5 giugno 2019

Sull’animale Nietzsche la pensa esattamente come Leopardi, tanto è vero che parafrasa una strofa del “Canto notturno”: dice Leopardi: “O greggia mia che posi, oh te beata, /…/ Quanta invidia ti porto!/ Non sol perché d’affanno/ quasi libera vai;/ ch’gni stento, ogni danno,/ ogni estremo timor subito scordi;/ ma più perché giammai tedio non provi” (G. Leopardi - “Canti” - “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” vv. 105-112). Dice Nietzsche: “Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri <né domani, vive nell’attimo>, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell’istante, e perciò né triste né tediato. Il veder ciò fa male all’uomo, perché al confronto dell’animale egli si vanta della sua umanità e tuttavia guarda con invidia alla felicità di quello” (F. Nietzsche - “Considerazioni inattuali” - II (Sull’utilità e il danno della Storia per la vita)).

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