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lunedì 24 giugno 2019

ANCORA SULL'ASSISTENZA SESSUALE 

Ho detto seriamente che bisognerebbe non usare più il termine dispregiativo di "prostituta", ma di "assistente sessuale". Tuttavia la figura professionale di assistente sessuale per disabili, che si vuole creare, mi lascia qualche perplessità. Non perché il sesso sia un tabù come pensano i cristiani, guidati da una perversa visione ascetica, che lo negano e lo ammettono solo per procreare. Ma perché ha il sapore di un privilegio. Certo il disabile ha diritto alla sessualità, ma è un diritto subordinato a chi vuole fare sesso con lui. Se l'assistente viene in qualche modo pagato, la differenza con la prostituzione non c'è. Per evitare la confusione con la prostituzione, si cerca allora di tenere il corpo sempre staccato dall'assistenza, si parla, ci si conosce, si prende confidenza, ma il contatto corporeo viene quasi escluso (ad es. sono espressamente vietati rapporti orali o completi). Per me ognuno deve essere libero di spingersi dove crede, l'assistente o il disabile. Quello che mi infastidisce è che, in tal modo, l'emarginato diventa un privilegiato, perché tutti i disgraziati non disabili, ma vecchi, troppo giovani (da 12-13 anni in su si è sessualmente abili), brutti, timidi, sfortunati, con complessi sono esclusi dall'assistenza sessuale. L'escluso è privilegiato, questa logica della sinistra non la sopporto. O tutti o nessuno.

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