NIETZSCHE E IL LAVORO
Stando così le cose e data l’avversione totale di Leopardi e Nietzsche verso la civiltà moderna, ne consegue che entrambi non ammettono la “divisione del lavoro”, anzi non ammettono il lavoro stesso, perché l’idea di lavoro nasce solo quando si lavora per altri al di fuori degli affetti personali: “Il lavoro, in quanto categoria distinta della vita, probabilmente non esisteva sino all’avvento dell’agricoltura” (J. Zerzan - “Primitivo attuale” - Agricoltura). E’ chiaro, quindi, che la glorificazione del lavoro effettuata dai borghesi e dai socialisti è una mistificazione moderna, che indica uno stato di schiavitù reciproca, per cui, quasi condividendo l’anarco-primitivista Zerzan, Nietzsche nega ogni dignità e valore morale al “lavoro”, s’intende come attività fornita agli altri al di fuori degli affetti personali: è uno degli indici del diprezzo sacrosanto di Nietzsche verso borghesi e socialisti: “‘La dignità del lavoro’ è uno dei più stolti vaneggiamenti dei moderni. E’ un sogno di schiavitù.” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 1869-72 - 7 (16)). Quello che viene chiamato “lavoro” può essere accettato solo nei limiti in cui è un “proprio” divertimento, cioè rientra nell’amor proprio. Se Nietzsche, dunque, già detesta il “lavoro” come categoria della vita, figurarsi quanto può disprezzare la divisione del lavoro.
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