VILTA' E GLOBALIZZAZIONE
Il greco arcaico non pretende certezze di felicità, prende quel che viene, sapendo che per ottenerlo è necessario solo lottare con durezza, mentre né il cristianesimo e né la scienza sanno, neppure lontanamente, cosa significa lottare: “in questa atmosfera soffocante la lotta si presenta come salute e salvezza, e la crudeltà della vittoria è il culmine della gioia di vivere” (F. Nietzsche - “Agone omerico” in “Cinque prefazioni per cinque libri non scritti”). Educato ad essere un imbelle, l’uomo moderno cristiano e scientifico ha orrore per la crudeltà della vittoria. Vuole dominare il mondo senza sporcarsi le mani, lo fa o Dio o lo strumento tecnico-scientifico. E’ proprio perché il greco arcaico nella tragedia della lotta, perché la lotta è sempre mortale, vede l’unica sua possibilità di vivere, egli non può accettare la potenza arbitraria e assoluta degli dèi mesopotamici o ebraici, si riserva sempre il modo per sfuggire alla loro potenza, l’idea di un Dio onnipotente avrebbe fatto orrore al greco arcaico, mentre al cristiano e all’uomo moderno un Dio o uno Stato planetario (globalizzazione), considerati a priori e senza motivo “buoni” con gli uomini, vedono in questa onnipotenza qualcosa di rassicurante: è il mondo rovesciato dei vigliacchi: “Valore della fede greca negli déi: si lasciava mettere da parte con leggerezza e non impediva il filosofare” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 1869-74 - 1 (3)). La possibilità di filosofare, a livello intellettuale, corrisponde alla possibilità di lottare che i greci anteponevano a tutto.
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