LA MUSICA (so che alcuni non condivideranno quanto qui scritto, ma dovrebbero conoscere meglio la musica del passato per capire il ruolo che ha. Comunque è quello che penso io)
“il Greco profondo..ha contemplato con sguardo tagliente il terribile processo di distruzione della cosiddetta storia <per questo la felicità può stare solo nell’attimo> universale <così tipico dell’enciclopedico, antenato del teorico della globalizzazione>, come pure della crudeltà della natura, e corre il pericolo di anelare a una buddistica negazione della volontà <di vivere, in senso terrenno, ascetico>. Lo salva l’arte <non perché l’arte sia valida come artificio, ma perché riconduce all’attimo e quindi all’immediatezza dell’ebbrezza naturale>, e mediante l’arte lo salva a sé - la vita” (F. Nietzsche - “La nascita della tragedia” 7). In particolare quella forma d’arte in cui il coraggio, la salute si impongono ai destini avversi o, per lo meno, lottano con tutte le loro forze. Nietzsche insiste sul ruolo della musica nella tragedia, una musica che mira, più che alla bellezza rasserenante, alla lotta di sopraffazione contro la morte e la durezza della vita, quindi si potrebbe dire “sublime” (pessimismo della forza), anche se l’armonia della bellezza nel sublime non manca, perché la disperazione dionisiaca si fonde con la serenità apollinea: “Musica ricavata da una materia tragica - non è più la bellezza ad essere dispiegata, ma il mondo: per questo dalla musica sgorga il pensiero tradizionale che contraddice la bellezza” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 1969-74 - 3 (42)). La musica trasfigura, non per la bellezza fine a se stessa, ma per l’uso della bellezza (strumento), la vita tragica e la sua disperazione, fino ad ottenere una specie di vittoria che, anziché portare alla rassegnazione, porta ad un innalzamento della forza e della volontà di vivere terrena. Ma, ovviamente, deve essere musica che esprime forti emozioni: ebbrezza, malinconia, incanto, sensualità, energia di lotta ecc.. Forse Nietzsche tiene presente anche la musica dell’Ottocento, un vero e proprio secolo della musica. Ma anche la musica può farsi trascinare nella decadenza, non solo quando gli uomini non se ne interessano, come con il trionfo del Positivismo e nella società tecnico-scientifica dell’immagine di oggi, allorché la visione e la scenografia prevalgono sulla musica pura vera e propria, ma anche in se stessa, quando diventa succube di forze estranee, ad esempio quando diventa “sperimentale” come la scienza, anziché esprimere la vita immediatamente così come è, oppure quando perde quelle caratteristiche che carezzano il cuore, con la gioia o la tristezza, oppure carezzano i sensi con la melodia. Negli anni Sessanta del Novecento essa divenne elemento di rifiuto della società, prima che la rivolta giovanile, dal 1968 in poi, venisse strumentalizzata dai comunisti, veri e propri “pedofili e vampiri della politica”, che sono sempre pronti a impossessarsi dei giovani: “i ‘giovani’ sono in stato di ribellione permanente perché persiste la causa..Ciò significa che esistono tutte le condizioni perché gli ‘anziani’ di un’altra classe <i comunisti, i marxisti> ‘debbano’ dirigere questi giovani” (A. Gramsci - “Quaderni dal carcere” I, XVI). La ribellione all’autoritarismo era già in atto prima del ’68, prima della sua politicizzazione, quest’ultima fu solo l’inizio di una sceneggiata che portò alla lotta tra il borghese e il comunista, mentre sostanzialmente borghesi e comunisti erano tutti e due borghesi e modernisti e l’unica differenza consisteva nel livello di generalizzazione dei benefici materiali della società borghese, ciò almeno a livello teorico, perché a livello pratico non si è mai visto uno Stato comunista migliore della società borghese. Nel ventennio che va dal 1952 al 1972, la musica esplose di nuovo con una qualità che dopo non raggiungerà più, ma non era la musica lineare e profonda greca o ottocentesca di cui parlava Nietzsche, sempre che si capisca bene cosa fosse il “coro”, musicalmente parlando, nella tragedia greca. Ma anche nella musica dell’Ottocento si ebbe una prima decadenza con il “Parsifal” di Wagner, che mise la musica al servizio dell’al di là, mentre nel Novecento la musica è quasi sempre in decadenza, tranne lo spiraglio del ventennio indicato, perché prevale l’elemento psicologico, intellettuale, quasi una droga per stordirsi: l’arrivo dell’elemento ritmico dagli Stati Uniti, mai stati esempi di grande musica, si fuse con un certo melodismo europeo dando buoni frutti solo nel ventennio ’52-’72, poi prevalse l’elemento ritmico a ogni livello: hard rock, jazz di ogni tipo, ecc. e la musica divenne espressione o di un freddo intellettualismo o di un’insensata voglia di muoversi, con ritmi che non seducono l’orecchio, ma lo infastidiscono, ritmi di tamburo, urlati, di rabbia, fino alla prosa della musica parlata, in cui c’è una cantilena ritmata che si vorrebbe chiamare musica, a tutto questo si è voluto dare chissà quali significati simbolici di rottura, mentre era solo “pessima musica”, “decadenza della musica”. La musica salvò i greci, ma non salva noi dalla sua decadenza.