CONCLUSIONE UTOPISTICA? - Dopo aver parlato seriamente di Leopardi e Nietzsche, ho messo nel mio libro la seguente conclusione utopistica di libertà ----- BREVE CONCLUSIONE
I termini morali dell’”amor proprio”, come fondamento morale, riconoscono come fattori etici solo la libertà individuale, la verità e la giustizia, condannando come immorali la bontà, l’altruismo, la solidarietà, l’organizzazione e in certe occasioni anche la pace: queste ultime sono inconciliabili con l’etica. Se l’amor proprio non diventerà meta morale e si seguiterà a parlare di organizzazioni solidali con sempre più controllo e invadenza, vuol dire che si sta andando nella direzione contraria, cioè verso il Grande Fratello. Gli individui e le famiglie sono spostati da un lato all’altro del pianeta sulla base della convenienza delle aziende, che poi sono gli interessi di altri uomini, singoli proprietari, possessori di azioni, di quote a vario titolo, e non entità metafisiche. Questi proprietari rappresentano quell’élite internazionale che sfrutta i popoli e la libertà dei singoli con il ricatto del lavoro di cui si sono fatti possessori, togliendolo alla singola persona che lo possedeva “in proprio”, come l’aveva il contadino libero e l’artigiano. Bisogna cambiare gradatamente: vietando dapprima la figura del “datore di lavoro”, educando nelle scuole all’auto-sufficienza, come se ci si dovesse trovare da soli nella jungla, senza fare dello Stato o della società il nuovo “datore di lavoro”: Stato e società, entità astratte, si incarnanerebbero in singole persone, così che, al posto degli affaristi economici (capitalisti), i datori di lavoro diventerebbero gestori politici (nomenklatura politica), si passerebbe dall’economia di mercato americana a quella statale sovietica. Occorre distruggere le armi tecnologiche, effettuare una riduzione drastica della popolazione, con incentivi a chi non fa figli, in modo che la produzione industriale diventi impossibile e poi suddividere la terra per famiglie, senza proprietà collettive o di Stato, spingendo a tornare alle fattorie, non con la forza, ma con il divieto di portare alimenti dalla campagne alle città, con il divieto di commercio e affarismo, per far comprendere che le città sono luoghi parassitari. I contadini dovranno armarsi per resistere alle bande di cittadini affamati e nullafacenti che, mostrando il vero volto della cultura, assalirebbero le campagne per procurarsi con la violenza le derrate alimentari. Occorre impedire quello che accadde sotto Stalin, cioè che bande cittadine assalissero i kukaki che, a ragione, non volevano vendere cibo alle città. L’emancipazione è anche una guerra tra campagna e città. Le città devono sparire. Ognuno, sovrano su di sé, ritorna a correre libero nei campi, ad avere un rapporto naturale con piante, animali e altri esseri umani, natura e individuo torneranno in armonia come nel Romanticismo, in Leopardi e Nietzsche. I contadini devono armarsi perché solo la guerra “educa alla libertà”: difendersi dai cittadini. Affamare la cloaca massima, cioè la città: “Abbi compassione dei tuoi piedi! Sputa piuttosto sulla porta della grande città e - torna indietro! Qui è l’inferno per pensieri da eremita <uomo libero>: qui i grandi pensieri vengono bolliti vivi e cotti a pezzi. Qui marciscono tutti i grandi sentimenti: qui soltanto sentimentucci scheletriti possono far rumore coi loro ossicini!..Non vedi le anime penzolare come stracci sudici e stracchi? E di questi stracci fanno anche giornali!..’Io servo, tu servi, noi serviamo’ - così prega ogni virtù volenterosa, rivolta in alto verso il sovrano <padrone>: perché alla fine la stella al merito si appunti sul petto intisichito!..il sovrano gira intorno alla più terrestre delle cose <per i cittadini>: che è l’oro dei mercanti. Il sovrano propone, ma il mercante, dispone!..sputa sulla grande città che è la grande cloaca dove tutta la feccia si raduna schiumeggiante!” (F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Del passar oltre). Non più “divisione del lavoro”, alla Zerzan: “La barbarie dell’epoca moderna è..la divisione del lavoro” (J. Zerzan - “Dizionario primitivista” (Divisione del lavoro)), ma senza il tendenziale socialismo rousseauiano di Zerzan, bensì con un rigoroso individualismo basato sul riconoscimento del “genio” della personalità.