LEOPARDI, EGOCENTRISMO ED ALTRUISMO (dal mio libro su Leopardi)
L’amor proprio si fonda proprio sulla differenza naturale di sé rispetto agli altri o tra alcuni altri (famiglia, amici, popoli) e tutti gli altri (umanità). Per conseguenza l’amor proprio, se non degenera nell’egocentrismo o egoismo maligno, non pone se stesso al “centro” di tutti gli altri o per sfruttarli o per aiutarli o salvarli. Lo sfruttatore e il salvatore sono figure entrambe egocentriche e soprattutto parassitarie. Lo sfruttatore, se potesse, sfrutterebbe tutta l’umanità, guarda caso anche il salvatore, se potesse, salverebbe tutta l’umanità. Questo mettersi al “centro” dell’umanità denota la stessa radice egocentrica nello sfruttatore e nell’altruista. L’altruista può salvare tutta l’umanità quanto più la sfrutta: non a caso i più noti autori di beneficenza sono i miliardari o le persone comunque abbastanza ricche. L’amor proprio si muove secono i limiti di esistenza psicologica e corporea di un individuo, l’egoismo benigno è sempre limitato. Per questo motivo chi è guidato dall’amor proprio ha bisogno di un numero ristretto di amici, parenti, persone alla quali è affezionato. L’altruista fa esattamente il contrario, dato che vede “tutti uguali”, dato che si attende aiuto da tutti, dato che ha la pretesa di salvare tutti, si muove sul piano intellettuale e astratto dell’infinito, mentre l’egoismo benigno dell’amor proprio si muove solo e unicamente nell’ambito del finito, cioè del reale. Ne consegue che dove c’è amor proprio non può esserci massa, quindi neppure un sistema stringente di regole, ma la società deve essere larga o scarsa, come afferma espressamente Leopardi ed è ovvio anche per Nietzsche, per permettere ad ognuno di poter esprimere liberamente il suo egoismo con i limiti etici che pone la necessità e creatività della natura, non con quelli che pone la cultura o l’altruismo intellettuale. La società larga o scarsa (anarchica), quindi, deriva dall’amor proprio stesso: “L’amor proprio dell’uomo, e di qualunque individuo di qualunque specie, è un amore di preferenza..Dal che segue per primo corollario, che dunque nessun vivente , è destinato precisamente alla società..le prime società furono larghissime” (G. Leopardi - “Zibaldone” 872, 873). Proprio da ciò nasce la distinzione che Leopardi fa e Nietzsche non fa, cioè quella tra “amor proprio” ed “egoismo”, fermo restando che l’egoismo, per Leopardi, è una caso degenerativo dell’amor proprio, dovuto, per lo più, a fattori esterni di tipo sociale. E’ preferibile, però, fare la distinzione tra “egoismo” (amor proprio o egoismo benigno) ed “egocentrismo” (egoismo maligno). Finché l’uomo visse in una società larga o scarsa, essendo tutto più semplice, l’egoismo fu solo benigno o amor proprio, cioè naturale, quando la società si fece più stretta, più organizzata, più competitiva, nacque l’egoismo maligno e di qui nacque anche la necessità di Leopardi di distinguere “amor proprio” ed “egoismo” (da intendere in senso maligno): “Bisogna distinguere tra egoismo e amor proprio. Il primo non è che una specie del secondo. L’egoismo è quando l’uomo ripone il suo amor proprio in non pensar che a se stesso <egocentrismo>..Il sacrifizio di se stesso e dell’amor proprio..non <può> esser fatto che dall’amor proprio medesimo..dove maggiormente abbonda l’amor proprio..quivi <saranno> più frequenti e maggiori ..i sacrifizi” (G. Leopardi - “Zibaldone” 3291, 3292, 3293). Dato che l’amor proprio appartiene alla sfera del limitato, mentre l’altruismo è megalomania dell’illimitato, una società a misura di amor proprio, o egoismo benigno, è possibile solo in una società scarsa, come quella dei primitivi o degli antichi, in quella dei moderni non è possibile. I sacrifici compresi nell’amor proprio hanno i limiti della persona che possiede tale amor proprio. Più le comunità sono estese (globalizzazione), più essere sono estranee all’amor proprio e meno l’amor proprio può accettare il benché minimo sacrificio per esse. E’ una legge naturale legata all’individualità quella per cui siamo nel “qui ed ora”. E’ proprio lo sviluppo della civiltà moderna, quindi, a ridurre sempre di più gli spazi dell’amor proprio e ad ampliare quelli dell’egoismo maligno, dato che tutti sono in competizione con tutti, tutti sono omologati nell’insieme e contano solo come “funzionari” di questo insieme, fino al professionismo e alla specializzazione più sfrenati, per cui ognuno può vedere il suo nemico in chiunque, perfino il padre (vedi conflitti generazionali), l’amico, la moglie, il marito ecc., il tutto sotto una maschera generale di cortesia e altruismo, come diceva Rousseau: “Oggi, che le ricerche più sottili e un gusto più fine hanno ridotto a principi l’arte di piacere <l’altruista>, regna nei nostri cuori una vile e ingannevole uniformità, e tutti gli spiriti sembrano essere stati fusi nello stesso stampo..I sospetti, le ombrosità, le paure, la freddezza, la circospezione, l’odio, il tradimento si nasconderanno continuamente sotto questo velo uniforme e perfido di cortesia, sotto questa urbanità tanto decantata..Non si vanterà il proprio merito, ma si avvilerà quello altrui” (J. J. Rousseau - “Discorso sulle scienze e sulle arti” 1° parte). Per Leopardi, dunque, a ragione, è la civiltà a trasformare l’amor proprio in egocentrismo o egoismo maligno: “La civiltà..riconcentra orribilmente l’amor proprio, lo rivolge tutto sopra se stesso e in se stesso <egocentrismo>” (G. Leopardi - “Zibaldone” 3936). La civiltà, in particolar modo quella moderna, è una vera e proprio fabbrica di egocentrici viziati.