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martedì 13 dicembre 2016

LA MACCHINIZZAZIONE

    Nietzsche ribadisce più volte che il fondamento della morale aristocratica presuppone egoismo, un individualismo non banale, ma forgiato nell’abisso della differenza e dell’unicità (pathos della distanza), al punto che, di fronte alla dilagante “morale dello schiavo”, assurge, correttamente dal punto di vista morale, a posizione morale superiore, quella della “morale aristocratica”. In questo senso, mentre non viene giustificata una “gerarchia sociale” in quanto tale, viene sempre giustificata una “gerarchia morale” in quanto tale, cioè solo morale. Egoismo, individualità, differenza sono punti di forza che, in Nietzsche, vengono spinti al massimo delle loro potenzialità per generare, non una banda di assassini, come crede chi ragiona dall’ottica del gregge, ma quell’“oltre-uomo” o “superuomo” che è il portatore di una morale superiore e fondata sulla realtà e sulla natura, nonché su un spirito tragico eroico e non rassegnato. Il termine più adatto per indicare la filosofia di Nietzsche è “individualismo aristocratico” o “anarchismo aristocratico”, dove il termine aristocratico non nega l’individualismo o l’anarchismo (che Nietzsche condanna nel modo banale in cui se lo trova di fronte: aveva di fronte il gregge degli “anarco-socialisti” e, riguardo all’individualismo, aveva di fronte quello falso dei borghesi, rimanendo oscuro il rapporto di Nietzsche con Stirner), ma, al contrario, li rafforza in modo radicale secondo un fortissimo senso della “diversità” e della “personalità” (caratteri ereditati, bene o male, dal Romanticismo). Dice Nietzsche: “Si è finora ravvisato il carattere proprio dell’azione morale nell’impersonalità; ed è stato mostrato che al principio fu la considerazione dell’utilità generale quella per cui si lodarono e si privilegiarono in genere le azioni impersonali..Noi tutti soffriamo ancora della troppo scarsa considerazione di ciò che è personale in noi; esso è malformato..si è al contrario distolto da esso il nostro animo e lo si è offerto in olocausto allo Stato, alla scienza e a ciò che abbisogna di aiuto <altruismo>, come se esso fosse la parte cattiva, che doveva essere sacrificata” (F. Nietzsche - “Umano, troppo umano” vol. 1° - 95). La morale altruistica dominante, quella di derivazione cristiana, illuminista, borghese, socialista, scientista vede solo l’impersonalità, l’indifferenza tra individui, popoli, sessi, animali ecc. E’ qualcosa che deve essere travolto con la forza. Riprendiamoci le differenze! Se l’egoismo e il nazionalismo ci aiutano, anche con il loro aiuto. Quando l’egoismo altrui o il nazionalismo ci minacceranno, allora li combatteremo, ma per ora dovrebbero essere alleati. Questo modello di spersonalizzazione dell’individuo e dei popoli segue il criterio della “macchina” (quando penso che idioti che hanno occupato cattedre universitarie, a cominciare da Heidegger e Cacciari, fanno di Nietzsche il “filosofo della tecnica”, mi viene il voltastomaco): “La macchina come maestra - La macchina insegna, attraverso se stessa, l’ingranarsi di folle umane in azioni in cui ognuno ha una sola cosa da fare: essa dà il modello dell’organizzazione di partito e della condotta di una guerra. Non insegna invece la sovranità individuale; fa di molti una sola macchina, e di ogni individuo uno strumento per un solo fine. Il suo effetto più generale è di insegnarel’utilità della centralizzazione” (F. Nietzsche - “Umano, troppo umano” vol. 2°, b, 218). L’individuo, ridotto a ingranaggio di una macchina (centralizzazione), è l’individuo professionale e moderno, che viene accusato di “razzismo” e demonizzato se, al bar, non fornisce il caffè ad un cinese o congolese, ma poi, come tutti gli ingranaggi, fornisce, meccanicamente, il caffè anche al terrorista islamico che, per il giorno dopo, sta preparando un attentato criminale. Questo degrado dell’individuo a meccanismo si fonda sull’impersonalità dei rapporti economici, sociali, tecnologici della modernità. Impersonalità del prestatore d’opera e impersonalità del fuitore dei servizi. Il fruitore dei servizi, nei limiti in cui non c’è la costrizione a consumare obbligatoriamente in un certo posto (come capita in alcune scuole e asili), può ancora scegliere e far valere la sua personalità e i suoi valori culturali, il professionista o il dipendente, invece, non può discriminare senza riceve il biasimo insopportabile dei benepensanti, i quali vedono le persone come macchinette a disposizione degli altri. Ma il presupposto di vedere gli individui e i popoli come delle “macchinette altruistiche” a disposizione degli altri, sia in senso collaborativo-solidale e sia in senso commerciale, è che individui e popoli siano considerati tutti “uguali” e si distinguano solo in base alla loro “funzione”, come capita agli “ingranaggi” di una macchina, i quali sono enti con diverse funzioni, ma facilmente sostituibili, come i pezzi di un’automobile, perché i pezzi sono tutti uguali. La creazione del “mondo macchina”, o mondo moderno cosmopolitico, presuppone la spersonalizzazione totale di individui e popoli nel principio totalitario di “uguaglianza”, il quale considera “ugualmente” ogni individuo e popolo come “pezzo della macchina” e lo distingue solo in quanto “funzione” nell’ambito dell’altruismo solidale o commerciale, dando per scontato che, in quanto “pezzo di una macchina”, cioè “funzione”, ogni individuo e popolo è “sostituibile” perché funzionalmente “uguale” al pezzo, cioè individuo o popolo, che lo sostituisce. L’eguaglianza è principio di sottomissione di individui e popoli ad una sovrastruttura etico-politica o economica (borghesia internazionale) che gestisce dall’alto del suo “fine” i pezzi della macchina, vale a dire gli individui e i popoli. Questa sovrastruttura, per esercitare il suo dominio, utilizza la scienza, la tecnologia, la cultura, fissando che i fondamenti dell’etica si trovano a priori nell’utilità per gli altri (altruismo): in fondo il valore etico del “pezzo della macchina” è quello olistico della funzionalità della macchina. Così ogni individuo e popolo ha il suo valore etico “fuori di sé”, nell’altro, nell’alienazione, nella spersonalizzazione. Per questo motivo la “macchinizzazione” del mondo ha a suo fondamento l’eguaglianza. Chi difende la diversità, individuale e dei popoli, sia esso romantico, anarchico alla Stirner, razzista etico, non può far altro, come fa Nietzsche, che negare l’eguaglianza, che nasce sempre da una posizione olistica: “’Gli uomini non sono uguali’ - così parla la giustizia” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 1882-84 - 3 (1), 39). E’ un vero depistaggio a favore della meccanizzazione e dell’Impero mondiale quello di far credere che la giustizia consista nell’eguaglianza e nell’equità, eguaglianza ed equità sono giustizia solo all’interno di un insieme che gestisce dall’alto i singoli e diversi individui  e popoli. Eguaglianza ed equità sono caratteri della legge, non della giustizia. La legge è il potere che gestisce dall’alto individui e popoli, essa è l’espressione stessa della meccanizzazione altruistica e dell’Impero mondiale. “La legge è uguale per tutti”, ma la giustizia no. La diversità e personalità di individui e popoli non chiede la legge e l’eguaglianza, bensì chiede la libertà, in cui è compresa anche quella di rifiutare, nella propria vita (non nella loro; non si tratta di un rifiuto che prevede la soppressione dell’altro rifiutato, cioè di un rifiuto assolutizzato: è un rifiuto relativo “a me”, individuo o popolo cha sia), la collaborazione altruistica con altri. Individui e popoli non sono macchinette altruistiche. La difesa della diversità e personalità di individui e popoli dall’oppressione della “morale dello schiavo”, cioè quella che rende “macchinette altruistiche”, solidali o commerciali, è chiara in Nietzsche: “Obbedienza, senso della funzione, senso della debolezza hanno innalzato il valore ‘del disinteressato’: in particolare quando si credeva alla perfetta dipendenza da un solo Dio. Disprezzo verso se stessi, ma cercare uno scopo per il quale si è, anzi si ‘deve essere’, cionondimeno attivi <l’ingranaggio è passivamente attivo>: dunque per amore di Dio, e infine, quando non si credette più in Dio, per amore dell’altro..l’individuo deve essere arginato - perciò culto dell’altruismo” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 1881-82 - 11 (323)). Come si vede Nietzsche, a ragione, considera l’altruismo come un’evoluzione della morale cristiana, in cui il “tutto” verso il quale ci si mette a disposizione come una macchinetta, un servo, uno sguattero è scivolato dal cielo in terra (secolarizzazione), da Dio all’Umanità, cioè agli “altri” in generale, senza più distinguere la propria personalità e chi è l’altro (indifferenza). E’ veramente incomprensibile capire come possa essere altruista un individuo che si dichiara ateo. Evidentemente ha solo secolarizzato Dio nell’uomo, è un cripto-cristiano. L’altruista è la massima espressione dell’impersonalità, ha le stesse caratteristiche ascetiche che Nietzsche, a ragione, attribuiva al dotto o scienziato: “Quel che gli resta della ‘persona’, gli sembra casuale, spesso arbitrario, ancor più molesto: tanto è divenuto a se stesso un passaggio ed un riflesso di figure ed avvenimenti estranei. Non di rado, a furia di sforzi, ritorna col pensiero a ‘se stesso’, ma in maniera sbagliata; è facile che si scambi per un altro, cade in errore nelle sue proprie urgenti necessità e soltanto in questo è rozzo e trascurato..egli è uno strumento, un bell’esemplare di schiavo, se non addirittura senz’altro la sua specie più sublime, senza essere, tuttavia, in se stesso, nulla - presque rien! - ..deve soprattutto attendere una qualche specie di contenuto per prender ‘forma’ secondo quest’ultimo - egli è di solito un uomo senza alcun contenuto di nessuna sorta, un uomo ‘senza se stesso’” ( F. Nietzsche - “Al di là del bene e del male” - 207 ).
    Partendo dalla base che la personalità è e deve essere “sovrana”, individui e popoli, manifestando liberamente la loro personalità, hanno il diritto anche di essere “razzisti”, con il limite etico minimo che si può opporre, che è, poi, quello che qui chiamiamo “razzismo etico”. Quindi non tutte le forme di razzismo sono etiche, ma è falso sostenere che tutte le forme di razzismo non sono etiche, quest’ultima affermazione è ideologica, nasce dal tentativo di imporre sempre più radicalmente l’ideologia altruistica e cosmopolitica della spersonalizzazione e della meccanizzazione. Essendo l’individuo la fonte primaria della differenza e della personalità, ogni gruppo deve considerare sacra la libertà individuale, senza la quale non esiste la dignità, come scritto dal poeta romantico francese De Vigny già riportato: La libertà individuale, ciò è la dignità. Gli spiriti comuni non hanno mai compreso e non comprenderanno mai questo” (Alfred de Vigny - “Diario di un poeta” - 1847). Ciò significa che la diversità e la personalità di un gruppo, che sia la tribù, l’etnia, lo Stato regionale, la nazione, è costruita culturalmente e non è naturale come quella individuale. Si tratta, perciò, di una diversità e personalità artificiali, di una realtà di seconda posizione, di livello morale più basso rispetto a quella individuale. Se è inaccettabile la sottomissione altruistica di individui e popoli all’Umanità in generale, è altrettanto inaccettabile la sottomissione altruistica, indifferenziata, alla tribù, all’etnia, allo Stato regionale, alla nazione. Non è l’individuo che appartiene a un “tutto”, un tutto che materialmente non esiste (il potere si arroga il diritto di comandare sempre facendosi portatore delle istanze del tutto, ma il tutto in sé non esiste, quindi il potere inganna per principio), l’individuo non appartiene alla tribù, all’etnia, allo Stato regionale, alla nazione, come si dice in genere, allo stesso modo in cui non appartiene all’Umanità o a Dio. Nessun individuo a appartiene a qualcosa o qualcuno, appartiene solo a se stesso. Al contrario un generico essere uomo può appartenere a un individuo vivente della razza umana, mentre non appartiene ad un cavallo, dei generici caratteri nazionali, regionali, etnici, tribali possono appartenere a un individuo, nella misura in cui li sente “suoi”. Ma questa è una delibera che spetta unicamente al singolo individuo. In genere, vivendo in un determinato luogo, o per vocazione o per abitudine, ogni individuo fa “suo” qualcuno di questi caratteri artificiali del gruppo. Fermo restando, quindi, il principio di supremazia morale della libertà individuale rispetto alle pretese del gruppo, è chiaro che gli individui, nella misura in cui condividono alcuni costumi del gruppo, vanno a costituire una personalità di gruppo, artificiale ma pur sempre distinguibile, che si oppone all’olismo della totalità semplicemente e genericamente umanitaria e cosmopolitica. La nazione, la tribù, l’etnia, con le loro personalità artificiali, interrompono l’estendersi all’infinito della meccanizzazione altruistica politico-economica o politico-solidale. Contro il totalitarismo umanitario e altruistico in modo indifferenziato, l’individualismo, il nazionalismo, il regionalismo, il tribalismo possono e devono essere alleati. Su questa base è giustificato anche il “razzismo etico”. Il Romanticismo aveva accettato il concetto di nazione sulla base del suo individualismo, in quanto concepiva la nazione come una “personalità culturale” formatasi lungo il corso della storia. Questo ricordando quanto disse Nietzsche della storia, cioè che “Un uomo che volesse sentire sempre e solo storicamente, sarebbe simile a colui che venisse costretto ad astenersi dal sonno..c’è una grado di insonnia, di senso storico, in cui l’essere vivente riceve danno e alla fine perisce, si tratti poi di un uomo, di un popolo, di una civiltà” (F. Nietzsche - “Considerazioni inattuali” II - Sull’utilità e il danno della storia per la vita). Con i limiti legittimi che l’individuo, la natura, la vita impongono alle “personalità culturali” del gruppo, si può accettare la definizione romantica di nazione, che fa ben cogliere come il nazionalismo romantico sia nato per difendere la diversità e personalità dei popoli da quel cosmopolitismo indifferenziato e meccanizzato che l’Illuminismo andava proponendo e che oggi, dopo la vittoria degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, si è affermato dovunque in modo radicale, portando al fanatismo tecnologico, generando quella globalizzazione che è solo la manifestazione concreta dell’Impero informale e commerciale americano. La globalizzazione solidale è solo la versione buonista di quella americana, cioè miserevolmente ultra-cristiana, fondata su un altruismo radicale e ipocrita. Il commerciante, infatti, sta sì al servizio degli altri, quindi è altruista e affarista, ma ha almeno quel residuo di personalità che fa fare al suo egoismo il calcolo commerciale in cui è esclusa la gratuità, là dove il solidale, in teoria (nei fatti le cose sono bene diverse, il solidale è quasi sempre un ipocrita o un benestante), dà tutto se stesso agli altri, dando per scontato che gli altri facciano altrettanto: con questa teoria si sente rinfrancato per affrontare la vita, non importa se si è costruito una menzogna colossale. Nei fatti le cose andranno ben diversamente, ma, restando alla teoria, l’altruista radicale o solidale è, alla fine, proprio quell’individuo “senza se stesso” di cui parlava Nietzsche. Come definizione romantica di nazione si può accettare la seguente, che ben mostra come essa nacque in polemica con l’appiattimento della diversità e personalità generato dall’universalità, dall’utilitarismo e dal cosmopolitismo illuminsti: “Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualità, cioè ad affermare, contro le tendenze generalizzanti ed universalizzanti, il principio del particolare, del singolo. Per questo l’idea di nazione sorge e trionfa con il Romanticismo” (F. Chabod - “L’idea di nazione”).
  

lunedì 28 novembre 2016

IL VILLAGGIO GLOBALE
L’idea dell’Umanità come “villaggio globale” è moderna, anche se essa aveva i suoi equivalenti negli Imperi dell’antichità e del Medioevo. Il “villaggio globale” è una specie di “imperialismo informale”, avviene mediante una continua espansione commerciale che, ovviamente, di tanto in tanto viene difesa e imposta con la violenza delle armi e con la guerra. L’idea kantiana della pace universale attraverso il commercio è la sublimazione della schiavitù e dipendenza universale. La Seconda guerra mondiale è stata la lotta tra l’imperialismo terrestre nazi-fascista e l’imperialismo informale o marittimo anglo-americano. L’imperialismo terrestre è uno snaturamento dello Stato nazionale, il quale, sotto la pressione dello sviluppo economico dovuto alla società industriale e capitalistica, si mette alla ricerca di materie prime e di mercati, conquistando terre. Se non ci fosse stata tale degenerazione, cioè se il nazionalismo non fosse degenerato in imperialismo (c’è chi confonde direttamente nazionalismo e imperialismo sia a destra che a sinistra), le nazioni si sarebbero poste l’una di fronte all’altra come dei popoli viventi sul loro “proprio” territorio, come corpi individuali l’uno indipendente dall’altro, popoli che avrebbero assunto, quindi, un’individualità collettiva, basata sulla differenza rispetto agli altri popoli. E’ questa la concezione romantica di “nazione”: “Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualità, cioè ad affermare, contro tendenze generalizzanti ed universalizzanti, il principio del particolare, del singolo. Per questo, l’idea di nazione sorge e trionfa con il sorgere e il trionfare di quel grandioso movimento di cultura europea, che ha nome Romanticismo..L’imporsi del senso della ‘nazione’ non è che un particolare aspetto di un movimento..il quale, contro la ‘ragione’ cara agli illuministi..proclama i diritti della passione, contro le tendenze a livellare tutto” (F. Chabod - “L’idea di nazione”). La nazione non ha certo l’individualità fisica di un individuo in carne ed ossa, quindi è un’individualità relativa e non assoluta, deve sempre essere considerata meno importante dell’individualità vera e propria del singolo uomo, altrimenti si cade nella violenza collettiva e anti-individuale del fascismo. La nazione è una parte, più o meno grande, della personalità di un individuo, come tale soggiace al complesso dell’individuo e alla sua libertà. Se le nazioni non degenerano in imperialismo (imperialismo che è sempre conseguenza di un’inaccettabile assolutizzazione della patria), esse possono vivere in pace l’una di fronte all’altra, ognuna sovrana su se stessa e sul proprio territorio. E’ questa l’idea di diritto internazionale prima che si affermasse l’imperialismo informale e marittimo anglo-americano: “gli Stati secondo il diritto internazionale vivono gli uni di fronte agli altri nello stato di natura come ‘persone morali’” (C. Schmitt - “Terra e mare”). In realtà questa è esattamente la condizione in cui gli anarchici individualisti immaginano che dovrebbero vivere i singoli individui: “liberi gli uni di fronte agli altri nello stato di natura come ‘persone morali’”. Schmitt ammette perfino, ma solo per gli Stati nel diritto internazionale terrestre, che tale situazione non sarebbe priva di diritti, pur potendosi vedere in essa una situazione anarchica: “Si può vedere in ciò una situazione anarchica, ma assolutamente non una situazione priva di diritti” (C. Schmitt - “Terra e mare”). Anche l’anarchia ammette l’esistenza di diritti naturali, non si capisce, quindi, la sua demonizzazione, che ha come unico motivo la propaganda del potere, che, in caso di anarchia, sparirebbe. Di fronte al diritto internazionale terrestre, che, sulla spinta della rivoluzione industriale borghese, il nazi-fascismo ha fatto degenerare in imperialismo, si affermava il diritto internazionale marittimo. Così dice, a ragione, Schmitt. Per la verità già l’ingigantimento della nazione, come una piaga purulenta, aveva infettato l’originaria nazione, visto che la rivoluzione industriale borghese già corrispondeva all’idea del diritto internazionale marittimo o imperialismo informale, cioè che necessitava della continua espansione del mercato rispetto alla quale i limiti della nazione non apparivano adeguati. Solo che le nazioni più consolidate e per tradizione “terrestri” traducevano l’imperialismo marittimo in imperialismo terrestre e formale. In altri termini il diritto internazionale marittimo e il connesso imperialismo informale potevano sorgere solo in popoli sconnessi al loro interno, in non-popoli, come quello americano e britannico, che per secoli si erano dispersi o in territori immensi (americani) o in mari immensi (britannici). L’artificiosa nazionalità americana e britannica è costruita per intero intorno alle strutture dei loro imperi, quasi non esiste una nazione che vive di fronte ad altre nazioni in un territorio (un rigurgito di questa coscienza di popolo è avvenuta recentemente con la Brexit in Inghilterra e il successo di Trump come presidente americano. Ma, ovviamente, è troppo poco). L’imperialismo informale e marittimo è, per sua natura, tendente all’infinito, visto che si estende fin dove arriva il commercio e il commercio supera, come il concetto di infinito, ogni orizzonte possibile. Nulla è più invadente del commercio e nulla è più corruttore. Americani e britannici, più che popoli che fanno commercio, sono dei commercianti che simulano di essere popoli. La loro stessa religiosità, soprattutto di derivazione calvinista, più o meno come la religiosità presso gli ebrei, li rende delle “monadi” che in Dio vedono la loro Provvidenza e la Provvidenza deve portare benessere, cioè commercio. Il Dio calvinista e il Dio ebraico sono al servizio del commercio e dello scambio, alla fine del denaro e del numero. Il formalismo legale è l’unica cosa che tiene insieme un popolo marittimo e commerciale, in questo i protestanti sicuramente somigliano agli ebrei, con l’unica differenza che gli ebrei inseguono l’infinità del commercio fino a un certo punto, quasi perché costretti dalla circostanze storiche (come diceva Marx, perché sono pratici e non teorizzano l’infinito, come, invece, fa l’ebreo teorico, o cristiano, che trasforma il commercio in “imperialismo informale e marittimo”, cioè nella “globalizzazione”. Ma l’ebreo teorico è il cristiano, diceva Marx, quindi l’ebreo teorico sarebbe il capitalista, sarebbe più l’americano e l’inglese che l’ebreo in senso stretto. Il “formalismo” dell’Antico Testamento ha dato un volto apparente di unità al popolo ebraico, questo formalismo, mentre non detestava il commercio - al contrario dell’ascetismo cristiano medievale -, allo stesso tempo generava un limite nazionale al popolo ebraico. In virtù di questo limite il popolo ebraico, costretto, per la sua emerginazione interna ad altri popoli, a dedicarsi al commercio, sua vocazione interna e sua costrizione dopo la deportazione in Europa, pur favorendo in Europa lo sviluppo della mentalità borghese e commerciale, non è mai giunto all’imperialismo marittimo, cioè al commercio infinito. A meno che non si voglia credere a quanto dicevano i nazisti, che parlavano di “complotto giudaico internazionale”, riferendosi allo “scambismo” sia borghese-capitalista che comunista. I nazisti, pur intravedendo qualcosa di vero, tuttavia attribuivano agli ebrei delle colpe che non avevano per intero, giacché il concetto di “infinito” dell’imperialismo marittimo è più cristiano che ebraico, cioè , come diceva Marx, più teoretico che pratico. Certamente il cristianesimo ha origini giudaiche, ma cristiani erano diventati tutti gli europei, dagli inglesi agli americani, fino agli stessi tedeschi. Quello che avrebbe dovuto essere anti-cristianesimo - alla Nietzsche -, cristianesimo che è il vero progenitore dell’imperialismo marittimo, è diventato, per pregiudizi di bassa lega, anti-ebraismo). Ha ragione Schmitt nel descrivere l’imperialismo informale e marittimo, che, poi, è quello che oggi va a formare la “globalizzazione”, nel seguente modo: “L’impero britannico fondato sul mare, invece che sulla terra, non è l’opera di un’organizzazione statale..la società significa industrialismo, economia privata ed appunto per ciò progresso e pace. Tutto sfocia nel commercio e nei mercati mondiali..qualcuno, una volta, all’osservazione che ‘l’impero inglese scricchiola in tutte le sue giunture’ ha risposto che ‘l’impero inglese non ha giunture’..Al dominio inglese corrispondono i mezzi e i metodi del governo indiretto..L’esercizio del potere mediante l’influsso indiretto è tipico di una potenza che agisce dal mare sulla terra” (C. Schmitt - “Terra e mare”). Il “villaggio globale”, in cui qualcuno crede di vivere, ha queste caratteristiche di dominio informale e marittimo. Il corpo ci tiene legati al “qui ed ora”, rimane inguaribilmente terrestre, mentre la mente pensa, come Dio, di essere in ogni luogo. Televisioni, giornali, internet danno agli imbecilli che astraggono dal proprio corpo l’idea di avere un dominio marittimo e informativo sul mondo, mentre sono solo dei pupazzi del villaggio globale che esiste solo nella loro testa e che fa gli interessi di un’oligarchia economica e finanziaria che ha tutto l’interesse a sostenere l’idea del villaggio globale. Di tanto in tanto il “qui ed ora” si ribella (Brexit, elezione di Trump, anti-europeismo), vengono cacciati immigrati da una determinata zona, si vogliono impedire le costruzioni di ferrovie o di antenne per la telefonia in un’altra determinata zona, si rifiutano trivellazioni e tunnel invasivi in altre zone ancora, un determinato popolo si ribella alla congiuntura internazionale che le viene imposta (vedi caso Grecia). Ciò non basta, tuttavia, per tornare alla realtà, regna sempre sovrano il fantasma del villaggio globale sorretto da treni, borse, aerei, telefonini, computer, televisioni, ecc. e l’uomo seguita a credersi “infinito” e presente in ogni luogo, come vuole il dominio marittimo. Viene fuori anche la versione solidale della globalizzazione, i “buoni”, mentre chiudono gli occhi sullo sfruttamento industriale del pianeta, si sentono responsabili anche del fatto che qualcuno stia morendo di fame in qualche parte remota del pianeta, si sentono come Gesù Cristo (nessuno si ritiene più autorizzato a comandare del “salvatore”), venuto per salvare l’umanità. Ragionando nei termini dell’infinito, così come il commercio non conosce limiti, allo stesso modo la presunzione di essere il salvatore del mondo non ha confini. Chiamo “sindrome di Gesù Cristo” questa pretesa di salvezza universale e l’indebito senso di responsabilità mondiale che ne consegue. E’ chiaro che cristiani, comunisti e borghesi soffrano della “sindrome di Gesù Cristo”, in questo gli ebrei, più saggi e nazionalisti, non li hanno seguiti (a meno che, alla Lerner, non siano stati istupiditi dal cristianesimo e dal socialismo). L’unica cosa che conta nel dominio marittimo (capitalismo o globalizzazione solidale che sia), che ripercorre le strade dell’ecumenismo cristiano, è lo “scambio”, cioè l’esigenza di trasformare ogni cosa in un “equivalente”. L’“uguale” diventa il valore morale universale, gli individui sono “uguali”, i sessi sono “uguali”, omosessuali ed eterosessuali sono “uguali”, i popoli sono “uguali”, tutti gli acquirenti e i venditori sono “uguali”, l’unica cosa che può essere diversa è il “prezzo”. Il “valore di scambio”, infatti, presuppone l’identità numerica del valore, là dove nel passato, specie nel baratto, spesso si scambiavano prodotti solo sulla base del “valore d’uso”, che, essendo soggettivo, non ha alcun bisogno di un’equivalenza numerica. Si sorrideva all’idea che gli indios americani scambiassero oro per perline senza valore, ammettendo che ciò sia accaduto, era ovvio che lo scambio avveniva sulla base del valore d’uso e non sulla base del valore di scambio. Ma la società commerciale nasce sulla base della speculazione, quindi non può usare altro che il valore di scambio, in base al quale, tanto le merci quanto le persone, diventano “equivalenti”, cioè entità indifferenziate. Lo scambio avviene se le patate ricevono il numero di 100 (moneta di scambio della globalizzazione è il dollaro, materiale o bancario) e se con il 100 si ottengono poi delle zucchine. Nel 100 patate e zucchine diventano equivalenti, cioè il prodotto naturale diventa indifferenziato nello scambio. Ma indifferenziate diventano anche le persone, c’è solo il venditore e il compratore, non Giovanni o Pasquale. Per cui nella globalizzazione, capitalista o solidale che sia, esiste la dittatura dello scambio: se Pasquale ha in antipatia Giovanni e non vuole vendergli le zucchine, l’ordine mondiale marittimo, che ha reso obbligatorio lo scambio, ha la pretesa di imporglielo. Pasquale ha diritto di esistere solo come “venditore” e non come “Pasquale”. Che meraviglia può esserci se oggi tutto è diventato uguale e indifferenziato? Il giapponese è diventato equivalente al turco, il maschio è diventato equivalente alla femmina, l’omosessuale è diventato equivalente all’eterosessuale e via dicendo. Il “dover essere dell’uguale”, partendo dal commercio, è diventato valore assoluto del villaggio globale. L’equivalente numerico detta la legge del commercio e dell’altruismo. Come dice giustamente Zerzan, il numero diventa “categoria dell’esistenza”: “la matematica divenne pienamente..necessaria. Alla fine divenne, più che un mero strumento, una categoria dell’esistenza..In questa standardizzazione, una delle caratteristiche precipue della civiltà, l’esattezza matematica e la specializzazione procedono di pari passo..Le grandi vie commerciali, esprimendo il trionfo della divisione del lavoro, diffusero le nuove sofisticate tecniche di calcolo, misura e numerazione” (J. Zerzan - “Primitivo attuale” - Numero: origine ed evoluzione). Non c’è dubbio circa il fatto che l’imperialismo marittimo supponga la specializzazione dei prodotti e del lavoro e, alimentando continuamente lo “scambio”, supponga anche la “divisione del lavoro”, che è, appunto, la dipendenza e schiavitù universale. Alimentando lo “scambio”, nella sua sublimazione, l’imperialismo marittimo diventa “altruismo”: così come nel commercio il produttore lavora per gli altri e non per sé, allo stesso modo nell’altruismo il santo lavora per gli altri e non per sé. Il commercio, nella sua sublimazione, si trasforma nel fondamento della morale dello schiavo: altruismo, solidarietà. Nella società dello scambio tutto è transitorio, ogni cosa sfuma nell’altra grazie a quello che è diventato un vero vizio mentale, quello dell’equivalente. L’equivalente dello scambio commerciale porta alla sua sublimazione etica nel dogma dell’uguale, per cui le differenze non esistono o ci si comporta come se non esistessero. Ma il “qui ed ora” non sparisce per questo delirio mentale commerciale e altruistico e ripropone di continuo le differenze. La realtà impone di nuovo il fatto che gli individui non sono uguali, che giapponesi e turchi non sono uguali, che maschi e femmine non sono uguali, che omosessuali ed eterosessuali non sono uguali. La realtà mostra che nulla è uguale, mentre la mente alienata nell’equivalente dello scambio, sia esso commerciale o morale (l’altruismo è scambio sublimato), seguita ad ignorare la diversità e quindi la realtà. La confusione e l’indifferenza vengono presentati come valori, questa è l’aberrazione del villaggio globale. Occorre, invece, tornare alla realtà, dove tutto è naturale differenza, in base alla differenza occorre tenere ben conto anche del fatto che le differenze possono provocare attrazione o repulsione e che l’equivalente o indifferenza non è cosa degna di questo mondo. L’equivalente è gettato dall’alto dal potere mondiale informale o marittimo. Il primo esempio di potere mondiale informale o marittimo è la stessa religione spirituale: Dio è il perfetto esempio di potere indiretto. Dio è un principio commerciale, è “valore di scambio”. Senza un potere mondiale informale o marittimo non esisterebbe nessuna equivalenza, non ci sarebbe alcuno scambio commerciale, tanto meno gli individui potrebbero essere considerati uguali. Perché si è uguali sempre rispetto a qualcosa. Questo qualcosa che sovrasta l’imperialismo informale o marittimo è il mercato e la polizia internazionale costituita dagli eserciti delle grandi potenze militari, sullo sfondo un Dio c’è, perché solo di fronte ad un potere si può affermare l’“uguale”, che è il fondamento dello scambio, dell’altruismo, dell’equivalente commerciale. Che l’egualitarismo celi un autoritarismo nascosto è evidente da questa acuta osservazione di Nietzsche: “L’amore per gli uomini dei cristiani, che non fa differenze, è possibile solo nella costante contemplazione di Dio..rispetto al quale..l’uomo stesso diventa talmente insignificante, che i rapporti di grandezza non suscitano più nessun interesse: allo stesso modo che, guardando da un’alta montagna, il grande e il piccolo diventano formiche e simili tra loro. Non si deve trascurare questo modo di rimpicciolire e disprezzare l’uomo” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 1885-86 - 1 (66)). Il potere più è forte e più sta in alto, la lontananza non permette più di distinguere le differenze, per il potere mondiale ogni individuo vale l’altro, è solo un numero o una funzione, il potere si costruisce sulla base dell’indifferenza, in tal modo l’individuo, non solo viene “rimpicciolito”, ma viene soprattutto “disprezzato”, perché è ridotto a cosa insignificante, senza qualità, facilmente sostituibile. Nasce dal potere l’idea dello “scambio” tra gli individui. Se un capitano non gli va bene, il generale lo “sostituisce”, cioè “scambia” nel ruolo di capitano due individui diversi. La loro diversità, la loro personalità, la loro qualità diventa insignificante rispetto a quello che il generale si attende da un capitano. Così avviene ovunque nella società marittima e nel villaggio globale. Se un padre soffre della “sindrome di Gesù Cristo”, cioè è altruista e solidale, non aiuta solo il figlio, la moglie, ecc., insomma coloro con i quali dovrebbe avere un legame personale, ma aiuta tutti quanti in modo indifferenziato, si è posto sull’“alta montagna” di cui diceva Nietzsche e vede solo indifferenziate formiche, “scambia” le persone l’una con l’altra, mostrando solo indifferenza. E’ la classici psicologia del santo, del prete, del solidale, ma anche del commerciante. Nietzsche ribadisce la sua ostilità al concetto di “uguaglianza”, ribadendo la sua stretta derivazione da quello di “autorità”, anche in libri pubblicati in vita: “’Voi uomini superiori, - così ammicca la plebe - non vi sono uomini superiori <che sta per assolutamente ‘diversi’, chi riesce a mantenere se stesso, la sua diversità è un uomo moralmente superiore rispetto a chi adotta la morale dello schiavo>, noi siamo tutti uguali, l’uomo è uomo; davanti a Dio - siamo tutti uguali!’. Davanti a Dio! Ma questo Dio è morto. Davanti alla plebe, però, noi non vogliamo essere uguali. Uomini superiori, fuggite il mercato!” (F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Dell’uomo superiore). Come si vede Nietzsche, non solo collega il dogma dell’eguaglianza all’autorità (Dio), ma collega tale dogma dell’uguaglianza anche al “mercato”, cioè all’imperialismo commerciale informale e marittimo. Con l’affermarsi della borghesia, tra il Cinquecento e il Seicento, si affermò anche la matematica e assieme ad essa il commercio. Il dogma dello scambio e dell’equivalente entrò nelle menti come categoria fondante che ignorava la varietà corporea della natura. Il protestantesimo faceva la stessa svolta a livello religioso, dove non riconobbe la libera individualità, ma solo la libera anima, separata dal corpo. L’interiorità dell’anima protestante è la versione, sotto forma di “coscienza”, dell’uguale, dello scambio, dell’equivalente, cioè è qualcosa che non esiste. Numero, scambio, commercio, equivalente, altruismo, solidarismo di genere o di gruppo, interiorità protestante sono la stessa cosa, cioè l’indifferenziato. La scienza, da parte sua, provvedeva ad applicare il numero, lo scambio e l’equivalente ovunque: nel numerare o ordinare le cose del mondo, nel creare “scambi” tra i corpi, come avviene nella chimica, dove gli elementi chimici diventano presenze equivalenti, con variazioni solo numeriche, nei vari corpi: se in due corpi diversi si trovano, ad esempio, calcio e rame, ecco che è stata creata un’equivalenza (nel rame e nel calcio, di cui variano solo le dimensioni numeriche), uno scambio che ha scavalcato la diversità esperita nella vita reale. Il pregiudizio per cui la scienza sarebbe la vera realtà del mondo reale si fonda sul dogma dello scambio, del numero e dell’equivalente. La scienza, le religioni spirituali, il commercio, il mercato, l’altruismo, applicano ovunque il criterio dello scambio e dell’equivalente, perché tale criterio è il fondamento della violenza e della morale borghese. I socialisti e i comunisti sono, in tal senso, i più fanatici tra i borghesi. Nel commercio si lavora direttamente alle esigenze degli altri, anche se la verità di tale lavoro è quella indiretta, cioè il lavorare indirettamente per le poprie esigenze (contando sula possibilità continua dello scambio), lo stesso accade nell’altruismo (dove il tornaconto c’è e come, fosse anche una bella medaglia messa sul petto intisichito da Dio stesso in Paradiso), l’altro diventa la regola, non si bada mai direttamente a se stessi, a sé devono badare gli altri o restituendo l’equivalente con il commercio o tramite l’altruismo. Interrompendo lo scambio si bloccano, insieme, il capitalismo e il solidarismo, cancrene che nascono dallo stesso ceppo mentale. Con lo scambio si diventa incapaci di badare a se stessi, del tutto insicuri, si diventa schiavi, dipendenti dai prodotti altrui (commercio) o dipendenti dall’aiuto altrui (altruismo). Fino all’assurdo per cui, mentre un ladro mi sta rimpiendo di pugni, non posso spaccargli la faccia e dovrei chiamare la polizia tra un rigurgito di sangue e l’altro. Si distrugge, in tal modo, la propria personalità e la propria libertà. Nell’imperialismo marittimo e commerciale non esistono individui e popoli liberi e indipendenti. Tutto è scambio, mescolanza, confusione: Giovanni vuole essere “uguale” a Pasquale e Pasquale vuole essere “uguale” a Giovanni (scambio), il maschio vuole essere “uguale” alla femmina e la femmina vuole essere “uguale” al maschio (scambio), il congolese vuole essere “uguale” all’europeo e l’europeo vuole essere “uguale” al congolese (scambio), l’omosessuale vuole essere “uguale” all’eterosessuale e l’eterosessuale vuole essere “uguale” all’omosessuale (scambio), la confusione e l’artificio sono diventate la regola, tanto è vero che torna di piena attualità la seguente affermazione di Rousseau: “tutto degenera fra le mani dell’uomo. Egli sforza un terreno a nutrire i prodotti propri di un altro <scambio>, un albero a portare i frutti d’un altro <scambio>; mescola e confonde i climi, gli alimenti, le stagioni <scambio>; mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo; sconvolge tutto, altera tutto, ama le deformità, i mostri; non vuol nulla come l’ha fatto natura, neppure l’uomo” (J. J. Rousseau - “Emilio” - Libro primo). E, ovviamente, chi scambia e confonde tutto e crede di estendere la sua persona all’infinito, fino a comprendere tutto, dimentica che la persona è un corpo limitato, con le sue diversità e i suoi limiti. L’ideologia marittima ignora il concetto di “limite”, che è fondamentale per il rispetto etico dell’altro. Solo se riconosco i miei limiti rispetto all’altro non lo aggredisco e non tento di imporgli qualcosa. Solo se riconosco che io e lui “non siamo uguali” lui può rispettare me e io posso rispettare lui. Se suppongo, invece, che siamo “uguali” io sto già invadendo la sua persona, lo sto aggredendo in nome di un falso valore come quello dell’eguaglianza. Essere “uguali” rispetto alla società è solo essere uguali davanti all’autorità che si attribuisce alla società. Io devo rispettare l’altro come altro precedente all’essere uguale in società, cioè devo rispettare l’altro come “diverso” e per farlo devo, per prima cosa, affermare l’assolutezza della diversità. La diversità può suscitare entusiasmo e attrazione, ma può anche suscitare rifiuto e ripugnanza, perché tale diversa reazione nasce, appunto, dalla diversità individuale. Tale diversità individuale andrebbe rispettata sia nell’accoglienza che nel rifiuto, invece la regola dell’equivalente, dello scambio, dell’uguale ha la pretesa di imporre l’altruismo e l’accoglienza anche là dove c’è il rifiuto o la ripugnanza, magari usando espressioni ideologiche come, ad esempio, quella di “razzismo”. Accusa quest’ultima che viene fatta nel presupposto che tutti siamo, per dogma assoluto, “uguali”. Cosa che non sta né in cielo e né in terra, per cui, vista la diversità dei giudicanti, vista la diversità dei giudicati, è perfettamente naturale che la diversità possa suscitare entusiasmo e attrazione oppure rifiuto e ripugnanza: le due reazioni per natura sono entrambe legittime e perciò insindacabili. Rifiuto e ripugnanza, ovviamente, non giustificano la violenza, ma tentare di imporre una diversità che suscita ripugnanza a qualcuno, non solo è una violenza come imposizione, ma genera altra violenza, perché la convivenza ravvicinata tra individui o popoli che provano ripugnanza reciproca genera inevitabilmente scontri e violenza. I buoni, immaginando tutto “uguale” e quindi imponendo convivenze incompatibili, preparano continuamente il terreno a future violenze. La prospettiva marittima non riconosce limiti, confini e orizzonti, è invasiva per definizione. La corsa nello spazio non è una necessità reale dell’uomo, ma una conseguenza della mancanza di limite della prospettiva marittima. Chi percorre questi sentieri che vanno oltre ogni limite è un “invasore” per sua natura, sia esso un astronauta, un marinaio o un missionario. A ragione Orazio riconduceva questo andare oltre ogni limite alla tracotanza, mostrando una legittima antipatia e anche una certa soddisfazione circa il fatto che il destino di morte abbracci queste persone invadenti più facilmente: “Invano nella sua previdenza la divinità separò le terre dall’oceano inconciliabile, se gli empi navigli attraversano tutti i mari, che dovrebbero rimanere inviolati..Dedalo volle sperimentare il vuoto aere con ali non concesse agli umani..noi assaltiamo da stolti lo stesso Olimpo, e per la nostra scelleràtagine facciamo sì, che Giove non deponga le tremende sue folgori” (Quinto Orazio Flacco - “Le odi” - Lib. 1° III). Appunto: lo spirito marittimo, lo scambio, l’equivalente rappresentano la tracotanza umana che non riconosce i limiti naturali nel momento stesso in cui non riconosce l’assolutezza della diversità
L’individuo è un’entità fisica limitata, non è Dio che sta in ogni luogo, sta sempre in un luogo qui ed ora (hic et nunc). In codesto qui ed ora l’individuo si trova con la sua diversità personale. Che senso ha, allora, parlare della globalizzazione e della mondializzazione rispetto all’individuo? Certo l’individuo, con i mezzi di trasporto moderni, può anche viaggiare, ma, se non è un miliardario che ha ville e risorse in ogni paese che visita, comunque deve le sue risorse economiche a una qualche “comunità locale” che gliele garantisce. Veramente “indifferenti” alle comunità locali possono essere solo quei proprietari di mezzi economici (finanziari o industriali) che sono presenti o sono validi in tutti i paesi, cioè un’élite di sfruttatori. E’ chiaro, quindi, che per natura, sebbene cammini e possa camminare per alcuni chilometri, l’individuo è un essere “locale”. Con i mezzi di trasporto moderni si può certo spostare, ma, anche quando va a lavorare all’estero - da privilegiato emigrante o da migrante pezzente -, alla fine ha la casa e il lavoro, nonché alcune delle persone care, nel “luogo” dove è andato a vivere. Come emigrante i suoi affetti, i suoi interessi, la sua cultura si sdoppiano, perché porta con sé il segno di doppie culture e di affetti che, talvolta, non stanno nello stesso “luogo”. Ecco che allora l’individuo, magari alle feste comandate, ritorna nel “luogo” di origine e quindi vive uno sdoppiamento di affetti, interessi e cultura che fa capo a uno sdoppiamento di “luoghi”. Se non fosse una contraddizione, si potrebbe dire che, più che internazionale, un tale individuo è “doppiamente locale”. Ovviamente, con ciò, vive tutta la doppiezza della situazione e spesso incrocia i giudizi e i pregiudizi di “doppie culture” che entrano in contrasto tra di loro. Se si prescinde, però, da questi ritorni periodici nel “luogo” di nascita, in sostanza, sia pure, come si dice, all’estero, anche l’emigrante resta a vivere per tutto il resto dell’anno nel “luogo” dove si è trasferito. E’, comunque, un essere “locale”. La maggior parte della popolazione mondiale, però, per sua fortuna o sfortuna qui non interessa stabilirlo, rimane nel suo paese d’origine ed è proprio per questo che è possibile l’esistenza di comunità locali dove gli stessi emigranti si recano a vivere. L’internazionalità, fasulla, dell’emigrante presuppone, quindi, proprio l’esistenza della “comunità locale” dove recarsi a vivere. Ne consegue, perciò, che emigrante o meno che sia l’individuo vive, in maniera sdoppiata e incoerente l’emigrante, in maniera coerente il non emigrante, sempre in modo “locale”. E allora cos’è questa globalizzazione e questa mentalità distorta di tipo internazionale? E’, in realtà, l’interesse di poteri economici e religiosi forti, cioè di borghesi e preti. Si fa credere che esista per tutti una specie di area universale e umanitaria comune in cui tutti sono genericamente umani. In realtà, a seconda dei casi, nelle religioni si immagina che tutti siano, a forza o meno, convertiti al cristianesimo, all’islamismo, ecc., nel mercato globale, invece, si immagina che tutti gli individui siano genericamente solo dei venditori o dei compratori, cioè dei semplici operatori di mercato o degli affaristi. In altri termini le élite di sfruttatori, religiosi, politici ed economici sfruttano l’indifferenziato, cioè l’indifferenza rispetto a individui e popoli, secondo il principio degenerato che il cristianesimo mostrò fin dalle sue origini, come dimostra la seguente affermazione di un anonimo cristiano del II secolo dopo Cristo: “I cristiani..adempiono a tutti i loro doveri di cittadini..con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera” (Anonimo cristiano - “Lettera a Diogneto”). Questo principio di “indifferenza” tra individui e popoli è il segno distintivo dell’universalismo cristiano, ma è stato adottato anche dall’umanitarismo politico della sinistra e dall’economicismo del mercato globale borghese e si è materializzato in quello che Schmitt definisce “impero marittimo”. Quando uno si sente “internazionale”, nella realtà, si sente “indifferente”, anche se non lo ammette. Non meraviglia che nelle città moderne (i cittadini sono sempre più pervertiti rispetto alla provincia) regni l’indifferenza della “solitudine in compagnia”, è una conseguenza stessa del fatto che ognuno si sente indifferente nel momento in cui avverte come “estraneo” ogni aspetto “locale”. Il cristiano, il borghese, il comunista sono stranieri in patria. Questo non significa che la comunità locale debba prevaricare l’individuo singolo, ma quest’ultimo non può sentirsi indifferente per abito alla comunità locale. Gli individui, nella misura in cui sono diversi, non sono riducibili né alla comunità locale e nemmeno allo spirito universale delle religioni e del mercato internazionale, gli individui sono diversi e sono sempre “locali”, cioè stanno sempre in un “luogo”. Stando in un “luogo”, non possono non riferirsi alla “comunità locale” in cui vivono, comunità locale che, proprio perché si trova in “luoghi” diversi ed è composta da persone diverse, non può che essere diversa da tutte le altre comunità locali. Ma se, quindi, l’individuo è nel “luogo” dove si trova la sua persona fisica e perciò è a diretto contatto con la “comunità locale”, cos’è mai questo presunto carattere “internazionale” e “indifferenziato” di cui si farnetica? E’ una mistificazione creata da giornali e media che stanno al servizio di un èlite culturale (religiosa o politica) o economica che vive alle spalle degli schiavi, cioè delle comunità e individui “locali”. Questo significa che l’individuo deve, prima di tutto, fare gli interessi propri di sé come individuo singolo, poi deve fare gli interessi della “comunità locale” in cui vive, perché sono, almeno in parte, anche i suoi interessi. L’unico interesse che per l’individuo non esiste, a meno che non sia uno sfruttatore del prossimo in veste religiosa, politica o economica (umanitarismo, mercato globale, internazionalismo), è quello generale. Rivestirsi di un interesse globale è o ipocrisia da sfruttatore o demagogia.
Le citazioni sono entrambe pertinenti. La prima è presa da Heine, poeta tedesco di origine ebraica del tardo Romanticismo, amico di Marx, ma per disposizione politica più anarchico che socialista. Heine mostra chiaramente che il modo corretto di vivere non è quello globalizzante e internazionale, ma quello in cui si “vive onesti a casa propria”. La seconda citazione è di Leopardi, in essa si vede con chiarezza come l’amore “universale” fosse per Leopardi una “favola”.

“Campa onesto in casa tua,
è un proverbio antico e giusto”
(H. Heine - “Romanzero” - “Vitzliputzli”)

“La fola <favola> dell’amore universale
ha prodotto l’egoismo universale”
(G. Leopardi - “Zibaldone” 890)

Il vero gran segreto
della diversità
è ch’essa o ci fa amare
oppure odiar ci fa:

se amiamo, di sicuro,
si fa comunità,
ma pur “separazione”
è la diversità:

per evitare che
l’odio orgoglioso uccida,
occorre disunire
la società infida.

Ma, se chiamate “amore”
l’umana indifferenza:
quell’amore universale
ch’è falsità e apparenza,

allora è ipocrisia
la vostra fratellanza,
è un vuoto accomunare
nemici in una stanza.

Perciò, se unite a forza
là dove non c’è amore,
razzismo voi create
nel fondo d’ogni cuore.

Cerebrale indifferenza
non è di questa terra:
figlia del lazzaretto
prepara morte e guerra.

(9/11/1989)

martedì 8 novembre 2016

L'ANTI-RAZZISMO STA DIVENTANDO UNA FORMA DI VIOLENZA? (OVVERO IL "BRANCO COSMOPOLITICO")
"Razzismo - Teoria che esalta le qualità superiori di una razza e afferma la necessità di conservarla pura da ogni contaminazione con altre razze, respingendo queste o tenendole in uno stato di inferiorità" (Zingarelli). La definizione dimentica la possibilità peggiore, cioè la soppressione di altre razze. Poiché uomini e topi sono due razze diverse, il fatto di respingere o sopprimere i topi dovrebbe essere "razzismo". Si dirà che la definizione sottintende il fatto che si parli di "razze umane". Se ne deduce che il razzismo nei confronti degli animali è lecito? In effetti, l'uomo, anche quando fa l'amico degli animali, li tratta sempre in modo razzistico. L'animale non viene rispettato né da chi lo ama e né da chi lo detesta. Vorrei capire dove sta scritto che si possa essere razzisti con gli animali, mentre è assolutamente vietato esserlo con gli uomini. Se uno dice "non amo i cani" sta nel suo diritto, se uno, che non è cinese, dice che "non ama i cinesi" non sta nel suo diritto e viene etichettato come "razzista". Imporre ad una persona chi deve amare, per chi deve avere simpatia, con chi deve collaborare è, indiscutibilmente, una forma di violenza. I "buoni", che vivono di indifferenza, sia fisica che culturale, fanno finta di non capire che le differenze fisiche e culturali (che hanno tutto il diritto di esistere) possono suscitare simpatia, ma anche antipatia e che la possibilità di dire "no" al prossimo è un diritto naturale della persona quanto meno pari alla possibilità di dire "sì". L'anti-razzista, invece, ha stabilito che, almeno all'interno delle razze e culture umane, sia obbligatorio dire sempre di "sì". Il "sì" viene imposto. Per me questa è la violenza dell'anti-razzismo. Tornando alla definizione: essa combina troppo meccanicamente due fattori, di cui uno è deprecabile (la presunta superiorità), mentre l'altro (tenere a distanza) è un diritto naturale delle persone. Io posso provare fastidio per i topi, pur non essendo convinto di essere "superiore" ai topi. Lo stesso, posso provare fastidio per la fisicità e la cultura cinese pur essendo convinto di non essere "superiore" ai cinesi in nessun senso. La teoria della superiorità delle razze, specie se imposta dallo Stato (nazismo), è deprecabile, il diritto di respingere razze e culture è, invece, perfettamente legittima moralmente ed è un diritto naturale delle persone e dei popoli (tenendo presente che una cultura, entro certi limiti, può essere assoggettata a critiche, mentre una razza no, il rifiuto di una razza, in altri termini, può avere solo motivi istintivi di idiosincrasia personale, idiosincrasia che rientra nel diritto naturale della persona; ad esempio io preferisco la bellezza femminile mediterranea, anche se non sono così cieco da non vedere la bellezza non mediterranea). Se tenere a distanza persone, culture o animali non graditi è razzismo, allora esiste un razzismo lecito moralmente, perché l'obbligo di dire "sì" a tutto ciò che è umano, solo perché è umano (violenza umanitaria), è proprio la violenza che porta con sé l'anti-razzismo. Alla sottomissione al "branco" tribale, locale, nazionale, oggi si è sostituito un branco ancor più artificiale e sovrastrutturale, quello "internazionale" basato su un metafisico umanitarismo, branco cosmopolitico creato, dopo la Seconda guerra mondiale (ah, questo americanismo!), da giornali, televisioni, internet che dà l'illusione di un'umanità generica "unica", dimenticando realtà, differenze e distanze, un mondo illusorio che, specie nei giovani che in questa illusione sono cresciuti, genera l'intolleranza dell'anti-razzismo.

sabato 29 ottobre 2016

OMOSESSUALITA': MI SCUSO PER I PARTICOLARI, MA MI SI DEVE RISPONDERE A QUESTO (prego astenersi da astrazioni di tipo scientifico)

E’ evidente che una mentalità, come quella cristiana, da cui deriva la modernità stessa, finisce per considerare come verità di se stessi quello che si pensa di sé, non quello che il Sé è a priori come corpo. Il pensiero, infatti, appartiene alla regione dell’anima e non a quella del corpo. Identificare la libertà con l’anima, anziché con il corpo, significa identificare la libertà con l’arbitrio. E’ esattamente questo che si ritrova tanto nel transessuale che nell’omosessuale. Tra omosessuale e transessuale c’è solo una differenza di misura e di radicalità. Il corpo di un transessuale o di un omosessuale parla in modo diverso rispetto a quello che il transessuale e l’omosessuale dicono di se stessi: bisogna credere sempre a ciò che si vede o si tocca e non a quello che si dice o a quello che l’autorità stabilisce. L’innaturalezza del transessuale e dell’omosessuale è fuori discussione. Basterebbe osservare con onestà la reazione fisica degli organi genitali negli accoppiamenti omosessuali. E’ certo vero che i genitali non esauriscono la sessualità, ma una sessualità, senza la reazione e centralità genitale, è una pura astrazione. Ora è evidente che, nella modernità, è stato accentuato in modo esasperato l’aspetto soggettivo della sessualità, cioè quello legato all’eccitazione e al piacere, finendo quasi per mettere da parte il corpo (quindi anche la differenza tra eterosessuale ed omosessuale). Senza eccitazione e piacere, di certo, la sessualità non si mette in moto, ma, quando si mette moto, è doveroso osservare anche la reazione corporea, in particolare dei genitali. Ora, nell’omosessualità maschile, oltre all’erezione dell’omosessuale detto “attivo”, che evidenza una predisposizione alla penetrazione, si nota spesso anche una reazione erettiva del pene (e addirittura un'auto-masturbazione) nell’uomo detto “passivo”, talvolta perfino tale da raggiungere l’eiaculazione (effetti insensati nell’omosessualità maschile, visto che mostrano una predisposizione alla penetrazione vaginale, con la tendenza a mettere incinta la femmina). Non solo, sempre nell’omosessualità maschile, la penetrazione anale dell'uomo detto “passivo” risulta essere un uso improprio dell’ano, che sembra prestarsi alla penetrazione in analogia con la vagina femminile. Si tratta di uno scimmiottamento che mostra un atteggiamento femminile nell’omossesuale maschio detto “passivo”. Poiché il ridicolo, come diceva Pirandello, consiste nella vecchia tutta imbellettata per sembrare giovane, cioè nel voler apparire quello che non si è, è chiaro che l’omosessuale maschio “passivo” nell’atto sessuale assume un atteggiamento femminile ridicolo, perché non è una femmina: vuole essere penetrato, ma non ha l’organo adatto per essere penetrato, cioè la vagina, ripiega quindi sull’ano che è il surrogato dell’organo mancante. Nell’omosessualità femminile, al di là della masturbazione clitoridea (che può avvenire anche con un maschio), masturbazione clitoridea che non ha alcuna possibilità di accoppiamento genitale (se fosse la vera sessualità femminile, si dovrebbe arrivare alla conclusione che la femmina ha solo una sessualità masturbatoria; qui non si detesta la masturbazione, ma si fa solo riflettere sulla questione), si nota una tendenza a simulare, con la mano o con falli finti, una penetrazione vaginale e per di più, a stretto contatto con l’eccitazione, la vagina inizia comunque a produrre una secrezione vaginale e una dilatazione che sono di per sé da considerare una predisposizione a ricevere una penetrazione (predisposizione che è insensata in un accoppiamento con un’altra femmina). Usando la mano o falli finti la lesbica usa dei surrogati per colmare il vuoto che ci sarebbe davanti ad un organo femminile eccitato e pronto alla penetrazione. Si riconosce indirettamente che la vagina dovrebbe essere per sua natura penetrata e l’omosessuale femmina manca dell’organo adatto. I corpi, insomma, parlano, e parlano di una predisposizione eterosessuale anche quando l’eccitazione avviene sulla base di stimoli omosessuali. Sembra quasi che la mente dell’omosessuale non riconosca nell’eccitazione e nel piacere la meta sessuale per la quale è predisposto il corpo. Insomma è evidente che l'omosessualità non ha una base ontologica nel corpo, ma è solo un uso improprio del corpo medesimo: non ha corpo, per questo è solo un fenomeno mentale, non da materialista.Tale predisposizione, nell’accoppiamento coerente alla reazione fisica genitale nell’eccitazione, porta gli eterosessuali a rischiare la procreazione. E’ proprio per questa predisposizione genitale e corporea che sono stati creati i contraccettivi (creati ben prima che venissero usati per evitare contagi di malattie infettive), giacché l’uomo moderno ha sempre di più separato l’eccitazione e il piacere dalla reazione corporea. Il che non significa che l’accoppiamento sessuale debba per forza essere inteso come procreazione, ma certo è che la procreazione rientra nelle predisposizioni naturali dei corpi. Gli omosessuali non corrono il rischio di procreare involontariamente (anche se oggi, in nome di un’eguaglianza sempre più snaturata e di un’arroganza sempre maggiore, pretendono addirittura di essere genitori) proprio per la mancanza di predisposizione corporea e genitale del loro accoppiamento. L’accoppiamento omosessuale è tutto mentale, il corpo insegue a fatica e talvolta in modo ridicolo l’arbitrio spirituale dell’eccitazione che astrae dal corpo. C’è qualcosa di cristiano nell’omosessualità. Con la transessualità questo rifiuto mentale (cristiano) del corpo si materializza con l’artificio dell’operazione chirurgica. Tutto questo è detto a livello ontologico-filosofico, per cui non è in discussione il fatto che gli individui, in virtù del principio della libertà individuale (ma gli individui non usano sempre la libertà in modo naturale), in privato pratichino la sessualità che preferiscono, quando c'è il consenso.

martedì 25 ottobre 2016

TRAPIANTI

Fin da quando il cardiochirurgo Barnard fece il primo trapianto di cuore, prelevando il cuore da uomo morto, mi sono mostrato ostile ai trapianti. Chi ha una forte consapevolezza fisica della diversità individuale non può che guardare con orrore al trapianto di organi. L’idea di “salvezza”, idea quanto mai pericolosa e con la quale si giustifica qualsiasi nefandezza, dalla religione è scivolata nella scienza e sta alla base di quest’ultima non meno che alla base delle religioni e sembra possa consentire qualsiasi follia contro la libertà, contro il corpo, contro la dignità e contro la natura. L’idea che si possa utilizzare un corpo umano come “strumento” per determinati fini salvifici indica che la scienza conserva una concezione “dualistica”, di derivazione religiosa, tra corpo e anima. L’idea del trapianto, prendendo organi da persone decedute, poteva venire in mente solo all’interno di una cultura che combina il vampirismo altruistico con la manipolazione artificiale di tutto. Una cultura per la quale le parti del corpo sono suddivise in “organi”, come se questa mappa concettuale fosse qualcosa di reale e non un sezionamento, mappa concettuale che ignora del tutto l’individualità e personalità del corpo. Trapiantare un organo è trasportare una parte di un individuo dentro la persona fisica di un altro individuo, presuppone che i “pezzi di individuo” siano entità neutre e indifferenziate puramente “funzionali”. In una società che considera gli individui delle semplici entità funzionali dell’organizzazione sociale, del mercato, della struttura statale, ecc., era inevitabile che anche il corpo sezionato venisse considerato una semplice “entità funzionale” e non una persona. Ogni trapianto è, in realtà, un “trasferimento materiale di persona”, non a caso gli organi verrebbero naturalmente “rigettati” dal nuovo corpo, se non si intervenisse ancora per bloccare il rigetto (ma poi che salute ha il sistema immunitario di colui che ha ricevuto l’organo?). “Sostituire” non è “salvare”.
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martedì 4 ottobre 2016

LA LIBERTA’ INDIVIDUALE ED “ESSERE-IN-ALTRO-MODO”


L’indipendenza è sicuramente compresa nella libertà individuale, ma è una libertà solo “negativa”, “nega”, cioè, l’eventuale obbligo che viene dall’esterno. La libertà, in “positivo”, è la propria “individualità”. Accade, però, che la gente, educata all’idealismo platonico, cristiano, sociale, cioè resa estranea a se stessa, identifichi la propria individualità con un’idea e quindi voglia “essere-in-altro-modo” (alienazione). L’alienazione da se stessi viene arbitrariamente ritenuta, in tal modo, la propria individualità. Questo capita soprattutto quando la mente lavora contro il corpo, perché segue un’idea, psicologica o sociale. Più o meno come una papera che vive in mezzo ai gatti e alla fine crede di essere un gatto. Arrivo decisamente alla conclusione per cui non si è capito nulla della libertà, quando sento parlare di “libertà” e “auto-determinazione” nel caso in cui un uomo si crede una donna e si opera diventando un transessuale, nel caso in cui una tennista si fa ridurre i seni per essere più competitiva nei tornei, nel caso in cui una ragazza si vuole far chiudere le tube per non avere mai dei figli e potersi dedicare interamente alla ricerca scientifica (quest’ultimo tipico caso delle donne che fanno del carrierismo sociale il fine della loro esistenza, inseguendo, di fatto, un modello di efficienza borghese suggerito dalla società moderna: il femminismo è un fenomeno tipicamente “borghese”, ha assunto spesso modi molto aggressivi per quanto stupidi). Questo perché si vede la libertà in una mutilazione fisica di se stessi, cioè come imposizione di un’“idea” (tanto è vero che si ricorre all’intervento chirurgico, cioè all’artificiale). E non c’è dubbio circa il fatto che in “negativo” esista il diritto di mutilarsi (come di suicidarsi), anche se non c’è in alcun modo l’obbligo altrui di collaborare, rientra nella libertà come “indipendenza”, ma è anche vero che questo pretesco voler “essere-in-altro-modo”, come dice Nietzsche: “Il prete asceta è il desiderio..di essere-in-altro-modo, di essere-in-altro-luogo” (F. Nietzsche - “Genealogia della morale” 3, 13), ignora il vero fondamento della libertà, cioè essere se stessi, vale a dire estrinsecare le “proprie” capacità naturali e personali (non sociali), come dice Stirner: “l’individualità propria non ha alcuna unità di misura estranea, poiché non è affatto un’idea..essa è solo una descrizione dell’individuo proprietario” (M. Stirner - “L’Unico e la sua proprietà”). L’individualità “propria” non è un’“idea”, non è qualcosa da realizzare chirurgicamente “contro il proprio corpo” (cambio di sesso, riduzione dei seni, chiusura delle tube), ma, al contrario, parte proprio da quella “proprietà” fondamentale di noi stessi che è il nostro corpo naturale. Non si può ritenere, quindi, veramente libero chi assume di sé un’“idea” dall’esterno (l’altro sesso nel caso del transessuale, la competitività sportiva nel caso della tennista, la competitività del carrierismo borghese nel caso della ricercatrice). Come essere “indipendente” l’individuo (libertà negativa) ha diritto di mutilarsi e per questo occorre “tollerarlo”, ma non merita la stima completa che merita chi è libero anche “positivamente”, cioè chi tiene fermo se stesso, a partire dal suo corpo. L’intervento artificiale è pienamente giustificabile solo quando è in ballo una questione di salute. 

lunedì 26 settembre 2016

LA DISCRIMINAZIONE E LO SFRUTTAMENTO

Chiarisco, preventivamente, che nella mia gerarchia morale la sovranità dell’individuo su se stesso viene prima della sovranità dei popoli su se stessi. Quindi la sovranità dei popoli su se stessi, detta “democrazia”, non può eliminare la libertà individuale. Ma che la sovranità dei popoli su se stessi venga negata ogni volta che le consultazioni popolari non assecondano l’ordine economico mondiale non lo posso accettare. Un popolo può anche decidere, democraticamente, di non avere rapporti con nessun altro popolo. Questo significa che un popolo, come un individuo, ha il diritto di accettare o negare il “libero scambio”, il “libero movimento dei lavoratori”, la “libera delocalizzazione delle aziende”. La religione del “libero scambio” (liberismo, da non confondere, almeno fino a un certo punto, con il liberalismo) nega, in modo folle, la “discriminazione” (facendo diventare quest’ultima quasi un delitto) e afferma, in modo sfacciato, lo “sfruttamento”.

    Lottare contro lo sfruttamento dovrebbe essere una cosa “di sinistra”, affermare la discriminazione tra i popoli dovrebbe essere una cosa “di destra”. Mi sembra che la sinistra abbia cessato di svolgere questa lotta contro lo sfruttamento e abbia, senza rendersene conto (o no?), delegato questa funzione alla destra. A furia di dire che non ci deve essere “discriminazione”, la sinistra segue, passo passo, il percorso e gli interessi della borghesia internazionale. E’ un’assurdità criminalizzare la “discriminazione”, significa interpretare gli individui come se fossero dei “numeri” (libero movimento dei lavoratori) e significa non distinguere più i popoli, in nome dei quali, poi, ancora governano i rappresentati politici nazionali e di organismi internazionali (tipo Europa). Non è un caso che questa “criminalizzazione” venga effettuata dai politici nazionali, europei, americani, nonché dai giornali che dipendono da essi, che appartengono alle istituzioni. I professionisti della politica sono espressione della borghesia internazionale. Quando vengo a sapere che in Svizzera approvano, con un referendum (che chi è democratico dovrebbe ritenere “sacro”), il diritto di dare lavoro, a “parità di condizioni” (cosa da non dimenticare), prima agli svizzeri e poi ai “frontalieri” perché gli italiani vengono pagati di meno rispetto agli svizzeri, oppure, quando sento dire che Trump avrebbe proposto di tassare, mi sembra con una tassa pesante, i prodotti di aziende americane che hanno delocalizzato la produzione in Messico, per evitare, appunto, che il lavoro vada dove c’è lo “sfruttamento” dei lavoratori, mi aspetterei un consenso dalla sinistra, visto che si tratta di contestare lo “sfruttamento” dei lavoratori e di assecondare la democrazia (con il referendum svizzero e la eventuale elezione di Trump). Al contrario, la sinistra ragiona esattamente come la borghesia internazionale, che non vuole ostacoli al movimento degli interessi internazionali delle aziende. Eppure è sicuro che va contro i lavoratori sia la “delocalizzazione delle aziende” e sia il “libero movimento dei lavoratori”, perché, in tutti e due i casi, si verifica una concorrenza al ribasso dei lavoratori (la delocalizzazione avviene in paesi dove il costo dei lavoratori è basso, lo spostamento di migranti-lavoratori avviene soprattutto per far abbassare il costo del lavoro nel paese che li accoglie: vedi Svizzera). Non capisco perché i popoli e i lavoratori dovrebbero rimettersi ai miracoli promessi dal mercato (ripresa, sviluppo: sempre paroloni del genere vengono forniti dai santoni dell’economia e della politica). Alla fine è la destra che tutela di più i lavoratori e, discriminando, non solo impedisce la catena al ribasso del costo dei lavoratori, ma rispetta anche di più la democrazia, quando dà risultati scomodi per il mercato borghese internazionale. Gli individui e i popoli non sono né numeri e né marionette, “discriminare” tra sé un altro, tra un padre e un estraneo, tra un membro del proprio popolo e uno straniero è un diritto degli individui e dei popoli, soprattutto quando è in linea con la democrazia e si oppone allo sfruttamento. Il tutto, come detto all’inizio, nella tutela della libertà individuale.   

venerdì 9 settembre 2016

LA VIOLENZA DEGLI ISLAMICI “MODERATI” IN EUROPA

In Francia, a Tolosa, degli islamici hanno aggredito due donne che camminavano con dei jeans corti (short), hanno poi malmenato alcuni francesi che hanno provato a difendere le due donne. Alcuni di questi islamici sono poi stati arrestati dalla polizia. Questi episodi di violenza dimostrano, inequivocabilmente, che gli islamici vogliono imporre in Europa i loro costumi retrivi e che non si integrano affatto. L’integrazione non può essere l’adozione dei costumi islamici da parte degli europei o un compromesso con tali costumi. La cosa scandalosa è che il servizio del TG2 (Rai) che parlava di questi fatti ha detto trattarsi di “islamici integralisti”. Sappiamo che alla Rai non si lavora più se non si possiede la tessera del Partito democratico (renziano), per cui l’ipocrisia di far passare degli islamici “moderati” per degli “integralisti” non meraviglia affatto. L’unico islamico moderato è quello che smette di essere praticante islamico (altrimenti si legga “Il corano” per vedere che importiamo cultura “retriva”). Gli islamici “integralisti”, specie se devono preparare un attentato, non si mettono ad aggredire delle donne che passeggiano vestite all’europea. E’ chiaro, quindi, che gli aggressori islamici di Tolosa sono quelli che gli ipocriti chiamano “islamici moderati”. L’altra cosa scandalosa del servizio è la predica vetero-femminista della giornalista che, in modo completamente deviante, esattamente come fa il Partito democratico, ha trasformato il problema dello scontro tra culture in un problema del “corpo delle donne”. In questo modo il problema è diventato quello per cui le donne si vestono come gli pare. Il che è una cosa ovvia, ma solo per la cultura europea. Il tutto appariva nel servizio, quasi, come una posizione neutrale tra il modo in cui si vestono le europee e il modo in cui si vestono le islamiche. Se si fa diventare uno scontro culturale un semplice problema della donna circa il vestirsi come gli pare, è chiaro che, alla fine, queste giornaliste del Partito democratico finiscano per assumere una posizione di “indifferenza” tra i costumi europei e quelli islamici. Facendo finta di ignorare: 1) che le donne islamiche si vestono in certi modi perché seguono precetti religiosi, 2) che proprio le donne europee hanno conquistato il diritto di vestirsi come gli pare, 3) che le donne europee sono state aggredite, in Europa, dagli islamici che contestavano proprio il diritto di vestirsi come gli pare (per cui una donna che mostra le sue bellezze è a priori una mignotta), 4) che il problema non è semplicisticamente quello di stabilire che le donne possono vestirsi come gli pare (cosa accettata e ovvia in Europa, ma non nell’Islam), ma è un problema di cultura ben più profondo, giacché essere neutrali tra i costumi europei e la copertura del corpo islamica significa ignorare tutte le conquiste laiche degli ultimi 60-70 anni (dagli anni Sessanta in poi), cioè la liberazione del corpo dai tabù religiosi, la liberazione della bellezza, la liberazione della sessualità, cose che l’Islam non riconosce alla pari del vetero-cristianesimo (che sopravvive nella forma fobica della donna “oggetto sessuale” delle vetero-femministe, quasi che la donna dovesse smaterializzarsi per non essere oggetto sessuale): “dì alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le parti belle” (“Il Corano” - XXIV - Sura della luce 31). Non possiamo fa ritornare, assieme all’Islam, l’odio verso la vita terrena, corporea e naturale. Qui è in discussione la cultura laica dell’ultimo mezzo secolo e coloro che fanno gli “accoglienti” a tutti i costi sembra che non se ne rendano conto.

lunedì 5 settembre 2016

LA SINDROME DI GESU’ CRISTO


Se la scienza non avesse la stessa razionale indifferenza della “sindrome di Gesù Cristo”, avrebbe già riconosciuto scientificamente la “sindrome di Gesù Cristo”. La “sindrome di Gesù Cristo”, infatti, non è altro che la sublimazione dell’indifferenza e del potere politico della comunità. E’ il disconoscimento della differenza e dell’individualità, quindi dei sentimenti “personali” relegati al rango di “egoismo” a paragone dell’interesse del potere politico e dell’indeterminazione tipica dell’indifferenza. In realtà è il disconoscimento dei sentimenti stessi, perché i veri sentimenti sono sempre sentimenti personali. Se l’indifferenza si estende dalla famiglia alla propria regione o alla propria nazione, si ha il disconoscimento dei sentimenti personali e familiari a favore della propria regione o nazione e il potere politico a cui sacrificarsi assume l’aspetto dello Stato nazione. Se, invece, l’indifferenza si estende a tutta l’umanità, come hanno preteso di fare il cristianesimo, l’islamismo, l’illuminismo, il comunismo, il disconoscimento dei sentimenti coinvolge anche il disconoscimento dei sentimenti legati alla nazione. Insomma la “sindrome di Gesù Cristo”, costruita sull’indifferenza e sulla sottomissione al potere politico della comunità, ha vari livelli possibili di estensione. Se l’estensione è massima, l’indifferenza e la sottomissione ad un ipotetico potere politico dell’Umanità (divenuta a sua volta religione, come capita in molti laici) spinge a definire come “egoismo”, “razzismo”, “xenofobia” tutti i sentimenti personali o maggiormente ristretti rispetto all’indifferenza somma sublimata, cioè quella umanitaria. La terminologia che spinge ad usare etichette come “egoista”, “razzista” (termine, quest’ultimo, che una volta indicava solo l’inaccettabile pretesa di superiorità di una razza, mentre oggi etichetta negativamente chiunque sia legato a preferenze personali e non segue i principi umanitari, fosse anche il padre di famiglia che aiuta il figlio e ignora le catastrofi mondiali), “xenofobo” indicano, nella quasi totalità dei casi (almeno oggi come oggi), una persona afflitta dalla “sindrome di Gesù Cristo”, fosse anche una persona che si dichiara atea. Diceva Gesù: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra..sono venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera..Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me..Chi tiene conto della sua vita, la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la ritroverà..chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato” (Vangelo secondo Matteo - 10, 34-40). E’ l’invito a “sacrificare” la propria persona e i sentimenti personali in nome dell’indifferenza sublimata in Dio, in nome del potere politico della comunità, oggi tendenzialmente estesa a tutta l’umanità. Chi non privilegia l’amante all’estraneo, il familiare al connazionale, il connazionale allo straniero, perfino il suo gatto all’essere umano in generale, non ha sentimenti personali, cioè non ha affatto sentimenti, vive di “indifferenza sublimata”, soffre della “sindrome di Gesù Cristo”. La “sindrome di Gesù Cristo” è l’arroganza del potere politico: la verità del piagnucolante Gesù è l’arroganza di Maometto.

domenica 4 settembre 2016

ANATOMIA DELLA SINISTRA
(Perché non sono di sinistra)

    Sono un “anarchico individualista” e come tale non posso essere né di destra, né di sinistra, né borghese. Della destra non posso accettare l’autoritarismo e il nazionalismo elevato a religione, nonché la pretesa etnocentrica che il proprio paese sia o debba essere superiore ad altre nazioni, la tendenza a trasformare la propria nazione in un impero, la mancanza di libertà individuale di parola, espressione e comportamento all’interno del paese. L’uomo di destra è, spesso, un arrogante ignorante che ha la pretesa che la gerarchia (generali, cardinali, capi politici) debba guidare la massa, vista come un gregge di pecore. Anche se la massa può, in molte occasioni, apparire detestabile e stupida, questo atteggiamento dell’uomo di destra è inaccettabile. Un pregio dell’uomo di destra è quello di avere, a volte anche solo per conservare la tradizione, un maggiore senso della realtà naturale, rispetto al borghese e all’uomo di sinistra (perché il primo vede solo affari e non nota la realtà naturale e vivente, il secondo vive chiuso in un mondo intellettuale dove tutto sembra o deve essere “uguale”)..
    Del borghese non posso accettare l’internazionalismo economico, il mercato globale, l’élite finanziaria ed economica che gestisce tutto questo e lo sfruttamento delle masse che non riescono ad entrare nel gioco dell’arricchimento. Considero borghesi, non solo gli imprenditori e i manipolatori della finanza, ma anche tutti coloro che, o perché dirigenti, o perché uomini di spettacolo e di sport, guadagnano così tanto da seguitare ad accettare che la ricchezza si concentri in poche mani. Sono da considerare borghesi anche tutti gli amanti della legge e dell’ordine perché, a causa di rendite o di case, conducono, comunque, una vita agiata e non amano perciò essere turbati in questo egocentrico godimento, per cui appoggiano la globalizzazione e l’economia come se fosse un loro interesse personale, mentre ne godono solo in misura minima. Un pregio del borghese è quello di aver sviluppato, ma solo teoricamente con il liberalismo (nel senso che non dà piena attuazione a questi principi, che vengono scavalcati dalla paura, che privilegia l’ordine e la sicurezza), un senso della libertà più esteso dell’uomo di destra e di sinistra e molto più esteso dell’uomo cristiano e di quello islamico.
    Dell’uomo cristiano non posso accettare la spiritualizzazione della vita, il proselitismo, l’idea di essere superiori perché portatori di Dio e, quindi, in virtù di questa presunta superiorità l’idea di dover accogliere tutti in un’unica comunità (ecumenismo), tanto si è sicuri che la fratellanza umana sia comunque l’affermarsi dello spirito di Cristo.
L’Umanità unita nel segno della fratellanza cristiana è la ripugnante menzogna che il cristiano porta dentro di sé. La sua sottomissione a Dio e ai segni o persone che lo rappresentano fa, poi, del cristiano un potenziale pecorone quasi professionale. Un cristianesimo vissuto coerentemente “espropria” l’individuo della sua vita, facendo dell’”obbedienza” una virtù, anziché, come è, la cosa più vergognosa che possa esistere.
    Dell’uomo islamico non posso accettare quasi tutto. E’ un cristianesimo medievale più superficiale spiritualmente, ma poggiante su una violenza operativa di proselitismo senza precedenti. Una barbarie in ogni senso. Solo chi non ha letto Il Corano può non capire la pericolosità dell’islamismo, oggi come oggi ben più pericoloso del nazismo e del fascismo dei quali favorisce la rinascita in funzione anti-islamica, per responsabilità principale della sinistra, che accoglie i fascisti islamici nei panni dimessi del migrante, mentre si inalbera subito quando c’è qualche rigurgito nazi-fascista, come se l’uomo di sinistra conoscesse solo la storia dell’Occidente e non sapesse nulla della barbarie islamica. La diffusione dei costumi islamici rappresenta un salto all’indietro di secoli. L’Islam azzera l’Illuminismo, il Romanticismo, la rivolta giovanile degli anni Sessanta, la rivoluzione sessuale degli anni Settanta e tante altre cose ancora. Chi permette la diffusione dell’Islam in Occidente è un nemico della civiltà occidentale. Non si tratta di libertà individuale, ma di compromesso con il diavolo. Il diavolo non va fatto entrare, non lo si accoglie per farci poi un compromesso chiamato “Integrazione”.
    L’uomo di destra, il borghese, il cristiano, l’islamico possono essere più o meno pericolosi a seconda dei tempi e delle mode, ma sono quello che sono, cioè portatori di un fanatismo politico o religioso o di interessi economici, sono dei nemici dell’anarchico individualista, sono sicuramente nemici schedati, ma meno chiacchieroni e saputelli dell’uomo di sinistra. Infatti, oggi come oggi (quindi è un giudizio legato rigorosamente all’attualità storica che potrebbe cambiare un domani), l’uomo di sinistra appare come il più nauseante ipocrita di tutti. Rischia di battere anche la proverbiale ipocrisia cristiana, specie cattolica, il che è tutto dire.
    Esaminando le cose nauseanti della sinistra viene fuori anche una sua anatomia:

1) L’uomo di sinistra, non solo è arrogante, ma è anche “saputello”: questo suo essere “saputello” è la cosa che meno sopporto dell’uomo di sinistra, che si presenta come un “ignorante professorale”. E’ saputello perché ha una cronica dimensione intellettuale e considera più reali le sue astrazioni mentali (umanitarie, sociali, ecc.) che gli individui e i popoli, nonché le loro irriducibili diversità, la cui integrazione equivarrebbe alla loro soppressione. Parla, talvolta, di libertà, perfino di “libertà individuale”, ma non sa cosa sia. E’ vero che anche il fascista, il cristiano, l’islamico non sanno cosa sia la libertà individuale, ma usare la libertà individuale per ammettere un’integrazione islamica significa non capire che l’Islam non ha subito quei processi di modificazione laica che si chiamano Illuminismo, Romanticismo, cambiamento dei costumi tra anni Sessanta e anni Ottanta del Novecento. L’Islamico di queste modificazioni laiche dell’Occidente non sa niente e nel contempo segue una religione tanto fanatica da non permettere una vera integrazione in Occidente. La presunzione di superiorità umanitaria dell’uomo di sinistra apre le porte ad un nemico intollerante e, poiché quella presunzione di superiorità umanitaria e laica vale solo tra persone tolleranti, apre l’Occidente alla sconfitta, perché una cultura intollerante sconfigge sempre una cultura tollerante, imponendo i suoi valori. Solo l’intolleranza nei confronti degli intolleranti può permettere ad una cultura tollerante di sopravvivere ad una cultura intollerante. La tolleranza è un pregio, ma può essere concessa solo a chi è, a sua volta, tollerante, presuppone la reciprocità. Non ci si può dare un’aria di superiorità di fronte a chi ti prende a pugni, questa presunzione di superiorità è un’astrazione di chi intellettualmente pensa di trovarsi fuori del mondo o al di sopra e crede che, inevitabilmente, gli intolleranti si piegheranno alla loro presunta superiorità, che è solo cerebrale. Gli islamici, però, non riconoscono affatto questa presunta superiorità e, grazie alla tolleranza e ai compromessi (chiamati ipocritamente “integrazione”), trovano quegli spazi con i quali imporre la loro visione unilaterale e intollerante. Insomma dare spazio agli intolleranti è un suicidio. La sinistra lavora per il suicidio della cultura occidentale.

2) L’uomo di sinistra conosce solo la sua storia, al massimo quella dell’Occidente e spesso limitata all’epoca del fascismo e del nazismo. Per lui la storia è anti-fascismo. Una visione della storia, in fondo, da ignorante. Non solo non ha mai letto Il Corano, ma prende per buone le storielle sulla “misericordia” islamica che qualche imam moderato gli mette sotto il naso. Sarebbe come chiedere a un cristiano se la sua è una buona religione, mentre solo un laico può leggere con un sano spirito critico un libro sacro. Il Corano è un libro mille volte più retrivo dello stesso “Mein kampf” di Hitler e là dove sono entrambi barbari, proprio là c’è la stessa logica di fanatismo religioso. Per questi motivi l’uomo di sinistra neppure comprende la pericolosità dell’Islam, non comprende che è più pericoloso dello stesso nazismo. Se si profila una rinascita nazi-fascista, l’uomo di sinistra sale subito sulle barricate, mentre una mentalità ancora più barbara, come quella islamica, l’accoglie lui stesso a casa sua. E’ vero che il nazismo ha compiuto violenze spaventose, ma anche lo storia dell’Islam è una storia di violenze spaventose (anche quella cristiana, ma, occorre ripeterlo, il cristianesimo, per quanto ancora vivo, ha subìto un ridimensionamento mentale ad opera della cultura laica del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento che l’Islam non ha ancora minimamente affrontato). L’uomo di sinistra, che fa le barricate contro il fascismo, accoglie, per spirito cristiano e umanitario, fascisti islamici. Lavora per il suicidio dell’Occidente. Trova che fare le barricate contro l’Islam sia contrario alla suo spirito umanitario, come se l’islamico fosse umanitario. Anche i nazisti, se tutti si convertivano al nazismo, diventavano umanitari. Con gli ebrei no? Ma perché l’Islam è umanitario con ebrei, cristiani, pagani e atei?

3) Solo la borghesia internazionale ha interesse a importare “mano d’opera” e non gli importa se è islamica o meno, perché la borghesia ha già scavato un abisso tra sé e il resto della popolazione. La borghesia internazionale ha dei paradisi dorati sparsi in tutto il mondo a cui non accedono né i popolani dell’Occidente e né i migranti islamici. Se ci sono dei ricconi equivalenti islamici, come sceicchi del Qatar o dell’Arabia Saudita, lì la rigorosa distinzione di vita tra occidentale e islamico seguita a sussistere nella distinzione territoriale tra Stati. Per i popolani, invece, è necessario il compromesso e la mescolanza tra civiltà incompatibili tra loro. In pratica l’“integrazione” è un ordine che scende dall’alto, è la borghesia internazionale che manda questo ordine, perché la gente e i popoli per essa non hanno personalità culturale alcuna e, quindi, hanno il “dovere” di integrasi in nome della santità (per il riccone borghese) del mercato globale. L’uomo di sinistra “moderno” ha ormai fatto propria questa visione borghese.

4) L’umanitarismo o l’integrazionismo dell’uomo di sinistra è solo la maschera ipocrita di un egocentrismo mostruoso, fatto di sostanziale “indifferenza” (l’uomo di sinistra non fa differenza tra il “bikini” e il “burkini”, chiama “libertà individuale” la sua “indifferenza”, facendo finta di ignorare che il secondo è una “divisa”, che, cioè, mentre la donna occidentale può scegliere o meno di indossare il bikini, la donna islamica non può scegliere affatto se indossare o meno il burkini, perché coprirsi, per la donna islamica, è un preciso precetto scritto ne “Il Corano”; e non si tratta di donne che dedicano la loro vita a Dio, come le suore, ma di tutte le donne indistintamente). L’indifferenza è il volto segreto dell’umanitarismo dell’uomo di sinistra, il quale dice, come il più cretino dei cristiani: io sto in pace con tutti, anche con chi mi impone i suoi costumi. Arrivi chi arrivi, l’uomo di sinistra fa comunella, si integra. E cosa vuole dire integrarsi per l’uomo di sinistra? Che l’islamico che arriva in Occidente si adatti ai costumi occidentali? No! Per l’uomo di sinistra integrarsi vuol dire “compromesso” tra la civiltà di chi accoglie e quella del migrante che arriva, significa un compromesso tra laicismo occidentale o residui di cristianesimo con l’islamismo, il quale ultimo è solo un cristianesimo aggressivo di 1500 anni fa. Insomma il “compromesso” significa che l’Occidente rinunci, almeno in parte, al suo Illuminismo, al suo Romanticismo, alle rivoluzioni giovanili, alle rivoluzioni sessuali. Il compromesso è un passo mostruoso indietro nella storia e una negazione della conquiste storiche dell’Occidente, comporta l’impossibilità di portare ancora più avanti queste conquiste perché bisogna fare i conti (il compromesso appunto) con una cultura barbara e retriva di 1500 anni fa. L’Islam posto nel segno dell’idiozia cristiana dell’“accoglienza” rappresenta un vero disastro per l’Occidente. Se poi ti opponi a questa integrazione/compromesso, ecco che l’uomo di sinistra usa i suoi schemetti da deficiente: ti dà del razzista, dello xenofobo e via dicendo. Lui, nella sua indifferenza, seguita a sentirsi superiore a tutto, l’importante è che non venga scosso il miserabile e agiato piccolo mondo in cui vive quotidianamente. Se il suo piccolo mondo non viene scosso, l’uomo di sinistra fa compromessi con tutti e con tutte le forme di snaturamento e chiama tolleranza e umanitarismo questo suo meschino egocentrismo e questa sua gigantesca ipocrisia. Se, invece, il suo piccolo mondo meschino viene scosso, l’uomo di sinistra diventa il più feroce degli egocentrici. Nelle sue astrazioni, tuttavia, fa i conti senza l’oste: l’islamico è un intollerante, non fa facilmente compromessi e tra chi non fa compromessi e chi fa compromessi il perdente è sempre chi fa compromessi.

5) Quando non sa più cosa dire, l’uomo di sinistra, che fa del suo umanitarismo ed accoglienza ormai un elemento ideologico, ricorre a vecchi schemi della sinistra. Ad esempio, per il vestiario femminile, usa concetti del vetero-femminismo: sostiene che il coprirsi delle donne islamiche sia un bene perché così non diventano “oggetto sessuale” dei maschi. Il tutto senza neppure domandarsi se la donna islamica sia, in ciò, libera. Si provi a domandare alle donne islamiche se sono libere, volendolo, di mettersi in bikini. Ragionando, in pratica, in modo speculare al maschilismo, come faceva il vetero-femminismo, si dà per scontato che una donna nuda o in bikini sia un “oggetto sessuale” del maschio, solo per questo si può arrivare a dire la “minchiata” per cui coprirsi significa uscire dalla dimensione di “oggetto sessuale”. Ciò, non solo rivela una vecchia mentalità sessuofobica da suora, ma è in perfetta linea con il maschilismo islamico: l’uomo islamico, infatti, interpreta la donna non coperta come una prostituta a sua disposizione, come le aggressioni, sul tipo di quella di Colonia, dimostrano. Lasciamo perdere, poi, lo schiaffo alla bellezza che, in questo modo, si dà. Riemergono qui le coincidenze tra islamismo e vetero-cristianesimo della suora. Nell’uomo di sinistra questo moralismo vetero-cristiano sopravvive ed è anche questo reazionarismo inconscio che non fa scandalizzare l’uomo di sinistra di fronte ai costumi islamici che invadono l’Europa assieme ai migranti. Purché si faccia “santo” della sua accoglienza, l’uomo di sinistra manda in malora tutti i valori e i costumi dell’Occidente faticosamente conquistati dai laicismo del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento.

6) Mentre l’uomo di destra è, con qualche dubbio, ufficialmente cattolico (fino all’accordo trono-altare o Stato-Chiesa: vedi l’obbrobrio dei Patti lateranensi di Mussolini, che fu la morte della separazione tra Stato e Chiesa sostenuto da Cavour), l’uomo di sinistra o è “catto-comunista” (una specie umana di una meschinità unica) o fa mostra di essere anti-religioso. Ma è un anti-religioso marcio dentro di cristianità pseudo-laica, che ha, come diceva Novatore, un’animaccia cristiana dentro un grosso corpo borghese, per cui si pone sempre in posizione di contestazione della Chiesa cattolica, senza valutare caso per caso se le cose che la Chiesa dice sono giuste e naturali o meno; l’uomo di sinistra si pone come un protestante, come un cristiano che contesta la Chiesa (vedi “L’anticristo” di Nietzsche). L’uomo di sinistra sembra tanto la “pecorella smarrita” di cui parla il Vangelo, desiderosa di ricongiungersi alle sue radici, cioè le radici cristiane. Insomma non è altro che l’ennesima ipocrisia dell’uomo di sinistra avere un atteggiamento anti-religioso, genericamente laico, con un’animaccia cristiana (vedi umanitarismo, che è la versione laica dell’ecumenismo cristiano, vedi accoglienza a tutti i costi, che è la versione laica della carità cristiana, vedi presunzione di superiorità culturale con gli islamici, che è la versione laica del proselitismo cristiano, ignorando che gli islamici sono ancora più fanaticamente tendenti al proselitismo).

7) Così come l’ecumenismo cristiano o è conquista o è compromesso tra le culture nella presunzione che tutto rientri nella cornice cristiana ritenuta a priori superiore, allo stesso modo l’umanitarismo dell’uomo di sinistra o è conquista o è compromesso con le culture (quella islamica, quella omosessuale, quella cristiana, quella borghese ecc., per ora sembra escluso il compromesso solo con il nazi-fascismo) in versione laica nella presunzione che tutto rientri nella cornice umanitaria ritenuta a priori superiore. Che gli ebrei, gli islamici, la borghesia internazionale (certo anche i nazisti e i fascisti) se ne freghino di diventare “umanitari” è idea che neppure sfiora l’uomo di sinistra, il quale dà sempre per scontato che vinca il compromesso con cui identifica, di fatto, il suo umanitarismo. Alla fine l’uomo di sinistra confonde il compromesso con la pace, con la libertà di tutti, vede solo mezzi uomini, il compromesso, la mescolanza e l’ibrido sono la sua religione. L’umanitarismo sussiste solo nel presupposto della “diversità debole”, cioè “falsa”, fatta di mescolanza e compromesso. Sarebbe come se un papavero, per essere libero e diverso dalla margherita, dovesse fare un compromesso con la margherita. Rimanere se stessi, nell’umanitarismo dell’uomo di sinistra, è diventata una colpa, per questo parla, con molta superficialità, di “xenofobia”. Confondendo, poi, il “rifiuto” del diverso, con la “paura” del diverso. Per l’uomo di sinistra sembra sia impensabile che qualcuno o qualche popolo voglia restare se stesso o cambiare per sua scelta, anziché per imposizione e per compromesso con i nuovi arrivati (la Boldrini è l’esempio degenerato della mente perversa dell’uomo di sinistra: ha detto che tutti dovrebbero avere Il Corano a casa, per leggerlo ovviamente, ma non con lo spirito critico di un laico, bensì per conoscere i nuovi arrivati con i quali ci sarebbe l’obbligo del “compromesso” culturale). Il diverso ha tutto il diritto di sussistere, ma nel suo spazio, non nella confusione con il mio, un popolo diverso culturalmente ha tutto il diritto di sussistere nel suo territorio, ma non di imporre la sua cultura nel territorio degli altri. Con l’accoglienza di gente di cultura che fa proselitismo, come quella islamica, la cultura diversa viene “imposta” nel territorio del popolo che accoglie. E’ quello che accade con l’arrivo di migranti islamici. E, come diceva Todorov, è cosa ben diversa se un’influenza culturale viene “proposta” o “imposta”. Io posso essere di sinistra quando devo condannare lo sfruttamento dei lavoratori ad opera della borghesia o lo sfruttamento dei popoli extra-occidentali nei loro territori da parte degli occidentali, ma sono più vicino alla destra quando si tratta di condannare moralmente l’accoglienza indiscriminata e il compromesso fatto a casa mia con l’estraneo. Io ho una casa, i popoli hanno territori, nella mia casa, nel territorio di un popolo, non si fanno compromessi con la cultura di estranei e di popoli stranieri. Se l’uomo di sinistra, nella perversione del suo umanitarismo, non distingue più, come un nuovo Gesù Cristo, estranei e stranieri, questo è un suo problema - ed è un problema grave - ed è il motivo per cui non sopporto più la sinistra e ritengo l’uomo di sinistra il più disonesto di tutti.

8) Trovo che la “fratellanza universale” sia la stessa cosa della “menzogna universale” e che la tolleranza di chi si sente di cultura superiore e pensa di essere superiore per la sua stessa tolleranza sia un’altra menzogna con la quale si copre o la pavidità o l’egocentrismo (come per dire: fate pure, tanto io, nella mia sovrana indifferenza, non vengo scalfito). Auguro a queste persone benpensanti che gli islamici arrivino a sconvolgere la loro vita quotidiana. Sarebbe un bel bagno di umiltà. In tal modo, forse, l’uomo di sinistra, specie se benestante, riuscirebbe ad uscire dalla sua astrazione e dalla sua ipocrisia.

     Adesso l’uomo di sinistra mi darà del fascista, perché non sa fare altro.


Roma, 4 settembre 2016                         Prof. Carlo De Cristofaro