Cerca nel blog

giovedì 1 settembre 2016

IL PRINCIPIO DI INDERIVABILITA’


   IL PRINCIPIO DI INDERIVABILITA’


    “La colpa è sempre degli altri”. Questo pregiudizio affonda nella notte dei tempi e dimostra, tra l’altro, l’innata insocievolezza dell’essere umano. Avete mai visto un cane prendersela con gli altri cani nel caso di una peste canina? No, perché il cane è più saggio dell’uomo. La colpa era di chi faceva fatture, del diavolo, degli untori, talvolta, nel bene e nel male, perfino di Dio. La scienza ha solo dato un volto moderno e scientifico a questo pregiudizio con la dottrina virologica delle malattie infettive.
    La cultura moderna, specialmente quella laica, ha scarsissima consapevolezza del fatto che tutte le categorie politiche, scientifiche e mediche hanno una derivazione religiosa. Qualche accenno di tale consapevolezza si trova nei filosofi, ma non certo negli scienziati che applicano il paradigma scientifico con la stessa ritualità con la quale gli induisti, i cristiani e i mussulmani recitano le loro giaculatorie. Un vago accenno a tale consapevolezza è il seguente: “tutto ciò che, nel corso dello sviluppo della civiltà umana, è venuto a far parte della cultura, dell’attività cosciente e autonoma, dell’antropologia, era stato, in origine, affare della religione o teologia, come, ad esempio, la giurisprudenza.., la politica.., la farmacologia” (L. Feuerbach - “L’essenza della religione” 34). Proprio per questa scarsa consapevolezza storica la scienza ignora le medesime origini religiose del principio di causa ed effetto.
    Spostando in altri i “meriti” e le “colpe” di quel gli accadeva, l’uomo cercava o una protezione o, comunque, un responsabile che, in qualche modo o misura, permetteva all’uomo di credere che la natura selvaggia fosse, in ogni caso, sottoposta ad un criterio antropologico che l’uomo stesso poteva gestire. Originariamente questo protettore o responsabile era un “Tu”, aveva cioè caratteristiche “personali”. Dapprima, come presso i pagani e nell’Antico Testamento (in ciò ancora paganeggiante), il “Tu” era una divinità che poteva fare del bene o, quando irato con il suo popolo, anche del male. Con l’emergere del dualismo etico, che divideva, quasi fosse una specializzazione astratta, il dio del bene dal dio del male, il “Tu” divenne Ahura Mazda, Dio, Allah, se buono e misericordioso, oppure Ahrimane e Satana, se cattivo e perverso. Resta il fatto che tutto, dalla politica alla scienza e alla medicina, dipendeva dalla divinità e i sacerdoti incarnavano ruoli politici, sanitari, giuridici. Finché la “causa” del bene o del male fu un “Tu”, dualismo delle religioni superiori o semplicità pagana che fosse, la scienza rimase inglobata nella religione. In questo senso, anche se non è capace di trarne fuori le conseguenze devastanti, il seguente ragionamento appare corretto (tranne nel fatto che il “Tu” delle religioni non è autenticamente “personale” e “individuale” nel senso di individuo unico e riconoscibile, ma è un “prototipo” di individualità, spesso specializzato in qualche attività: guerra, fertilità, amore, bene, male): “Ogni esperienza di un “Tu” è altamente individuale, e l’uomo primitivo prospetta gli accadimenti come avvenimenti individuali. Un resoconto di codesti avvenimenti e anche la loro spiegazione può concepirsi soltanto come azione e deve configurarsi narrativamente. In altre parole, gli antichi narravano dei miti invece di presentare delle analisi e conclusioni. Noi diremmo, ad esempio, che certi mutamenti meteorologici interruppero una siccità e provocarono la pioggia. I Babilonesi osservavano gli stessi fatti ma li sentivano come interventi dell’uccello gigantesco Imdugud che veniva loro in soccorso” (H. e H. A. Frankfort - “Mito e realtà” in “La filosofia prima dei Greci”). Lo spostamento dei “meriti” e delle “colpe” in un “Tu” denota sì un’azione altrui che si configura “narrativamente”, quindi in modo mitologico, ma anche il principio di causa ed effetto si basa sull’”azione” di un elemento esterno e ha perfino un andamento narrativo, tanto è vero che causa ed effetto possono esistere solo nel “tempo”. Proprio questo fatto, cioè che causa ed effetto possono esistere solo nel “tempo”, dovrebbe far capire che il principio base della scienza, senza il quale la scienza non potrebbe esistere, non ha nulla di oggettivo: visto che il “tempo” è una dimensione relativa alla mente e al pensiero umano e oggettivamente non esiste, dato che la realtà è ferma nell’attimo “atemporale”. L’unica differenza tra il pensiero mitico e quello scientifico è il fatto che nel pensiero mitico la causa è un “Tu”, nel pensiero scientifico è “impersonale”. Per il resto la scienza è mito a tutti gli effetti: per l’andamento narrativo con il quale la causa, nel tempo, “spiega” l’effetto, per il fatto che la causa è un’“azione” in senso pieno. Così come il “Tu” che spiegava gli eventi nel pensiero mitico poteva essere controllato, magari con la seduzione (le offerte alle divinità, il dedicarsi a Dio) o con la penitenza (facendo di se stessi dei “colpevoli” verso il Dio), allo stesso modo la scienza non è altro che il “controllo” della natura mediante il controllo delle “cause”, cioè mediante la previsione dell’agire effettuato dalla causa. Le cause, poi, per quanto nella scienza siano “impersonali”, vengono distinte in buone e cattive lo stesso, così che certi eventi naturali vengono combattuti e altri favoriti, magari a priori (mito della “prevenzione”), con grave limitazione della libertà personale. In ogni caso la scienza prosegue con lo “spostamento” dei meriti e delle colpe, perché la logica stessa del principio di causa ed effetto è una logica di “spostamento”, si passa sempre da A (causa) a B (effetto).           
    Quando la “ragione” cominciò ad avere un prestigio tutto suo e venne applicata alla teologia, cioè con la Scolastica medievale, essa mostrò immediatamente che Dio fungeva da spiegazione universale con il suo finalismo e nello stesso tempo incarnava il principio di causa ed effetto applicato a livello mitico-teologico. La prova cosmologica dell’esistenza di Dio, attribuita ufficialmente a Tommaso d’Aquino, pretende di provare l’esistenza di Dio con la semplice affermazione del principio di causa ed effetto: dato l’effetto, cioè l’universo, ci deve essere la causa, cioè Dio. La logica di “spostamento” dalla natura a Dio è la stessa logica di “spostamento” che c’è in ogni applicazione della causa e dell’effetto. La logica causale che vede in Dio la causa universale è la medesima logica del casualismo scientifico. E’ in virtù di questo che, poi, gli illuministi furono facilmente anche deisti, perché, come diceva Voltaire, “Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo” (Voltaire - “Epistole” XCI - All’autore del libro dei tre impostori). Già, ma perché “bisognerebbe inventarlo”? Perché lo esige la logica dello “spostamento” del principio di causa ed effetto, perché, altrimenti, l’universo resta inspiegato. Dio “spiega” è strutturalmente “causa”. Appare evidente che lo logica scientifica nasce dalla logica religiosa. Questi “spostamenti” o “derivazioni” sono semplici connessioni mentali, di cui l’uomo ha la pretesa di trovare dei riscontri oggettivi inventando un mondo “parallelo”, che la sfacciataggine scientifica e scientista chiama addirittura “realismo di seconda posizione..che reagisce contro la realtà usuale, in polemica con l’immediato, un realismo fatto di ragione realizzata, di ragione sperimentata” (G. Bachelard - “Il nuovo spirito scientifico” - Introduzione). Questo delirio della ragione, che ha la pretesa di sostituire la realtà, di essere la realtà, non è diverso dal delirio della religione o da quello di chi vede un mondo parallelo fatto di fantasmi. Perché il mondo dei fantasmi non potrebbe essere un “realismo di seconda posizione”? Non basta dire che tale mondo non viene sperimentato, giacché neppure i nessi causali e la ragione della scienza vengono sperimentati. Vengono usati come a priori. Se usassimo altri a priori, i cacciatori di fantasmi potrebbero sostenere che è possibile fare esperienza del mondo parallelo dei fantasmi. Questa “realtà di seconda posizione” potrebbe essere Dio stesso. Insomma la “realtà di seconda posizione”, di cui parla la scienza, non è altro che il medesimo “spostamento” provocato dalla ricerca di fantasmi cellulari e atomistici adatti a fare da “causa”. La divinità è la prima modalità in cui si è manifestato lo “spostamento” in cui consiste la catena delle cause e degli effetti. L’origine del principio scientifico di causa ed effetto è un’origine religiosa.
    Lo spostamento sarebbe impossibile a livello di individualità reale, per cui la scienza, con la sua impersonalità (che, storicamente, è andata di pari passo con l’affermazione della società gestita dalla “legge” e dal “politico di professione” - anziché di nascita -, cioè da entità astratte, anziché da “persone”, per cui rivoluzione scientifica e rivoluzione politica sono entrambe solo un effetto storico dell’affermazione della borghesia), rende ancora più facile il principio dello “spostamento”. Questo perché alla scienza sfugge qualcosa di fondamentale, cioè che l’individuo è un’unicità irripetibile. La scienza ragiona per “generi” e non per “individui”, se ragionasse per individui capirebbe che non potrebbe applicare il principio di causa ed effetto agli individui, giacché dire “Giovanni causa la peste di Mario” sarebbe un’affermazione senza senso. La scienza deve prima costruire un’astrazione intellettuale “generica” che faccia da “mediazione” per attribuire a Giovanni quello che capita (la peste) a Mario. Ecco che il mondo si popola di fantasmi scientifici: bacilli, virus e altre cose del genere. La trasmissione di questi fantasmi può avvenire per via orale, contatto corporeo, sessuale (vedi Aids) e altri modi ancora. Tanto non li vede nessuno. Cioè nessuno vede la “trasmissione” del bacillo, per cui si sa solo che Giovanni aveva la peste e dopo la peste l’ha anche Mario. La mente, per puro arbitrio, “connette” la peste di Mario con quella di Giovanni, il bacillo fa da “mediazione” tra Giovanni e Mario, cioè tra due entità corporee individuali assolutamente non mediabili. Reali sono Giovanni e Mario, non il bacillo della peste che si trasmette. Il che non significa che Giovanni e Mario non siano o non possano essere malati di un male che chiamiamo peste, ma solo che non è la trasmissione la causa della malattia. Che la trasmissione del bacillo sia la causa della malattia è solo il sopravvivere del pregiudizio ancestrale per cui “la colpa è sempre degli altri”. Per chi prende la realtà per quello che è, cioè luogo dove si trovano esseri assolutamente individuali, non esiste “mediazione” possibile e quindi neppure “trasmissione” possibile.
    Compresi l’assurdità della legge di causa ed effetto già nella mia tesi di laurea, quando, contestando il principio causale, elaborai la dimostrazione del “principio di inderivabilità”, principio assolutamente coerente con l’individualismo, a riprova del fatto che l’individualismo (e l’anarchismo individualista) è del tutto inconciliabile con la scienza, la quale ultima non è altro che una filosofia nata nel Seicento, a margine del Neoplatonismo, che ha santificato il modello matematico-scientifico. Nella mia tesi laurea mi espressi così: “la causa o è l’essere del nulla..o è la trasformazione di se stessa nell’effetto (in tutto o in parte), di modo che continua in esso, cioè è se stessa (causa) ed altro da sé (effetto), è e non è se stessa..tra lei e l’effetto c’è sia continuità che discontinuità, la causa è se stessa e non è se stessa (quando è divenuta effetto), in quanto è sempre sia causa che effetto, infatti, quando è effetto, per potervi essere la continuità che il divenire richiede, dovrà essere anche causa (formalmente) e viceversa accadrà all’effetto, così l’effetto deve essere anche causa e la causa anche effetto, ognuno dei due è e non è se stesso, il che è assurdo, ma è l’unico modo in cui può esistere la causalità..(Contraddizione della ‘legge di causalità’ in quanto divenire)” (C. De Cristofaro - “La filosofia dell’immediatezza sentimentale”), poi così: “Come può ciò che non esiste più (la causa quando c’è l’effetto) determinare l’effetto? E come può una causa determinare ciò che non c’è ancora (l’effetto quando c’è la causa)? Dire ciò..è dire cose assurde, così si dà esistenza anticipata a ciò che non c’è ancora ed esistenza posticipata a ciò che non c’è più, e in entrambi i casi si dà essere al non-essere (l’effetto quando c’è la causa e la causa quando c’è l’effetto), di modo che, essendoci la causa (trovandoci nel ‘prima’), affinché questa possa determinare l’effetto, cioè lo ‘necessiti’, l’effetto dovrebbe preesistere a se stesso e quindi esistere quando non esiste, iniziare prima di iniziare, allo stesso modo l’effetto, per poter essere determinato dalla causa (trovandoci nel ‘poi’), lascia presupporre che la causa seguiti ad esistere dopo la sua fine, e perciò ad esistere e non esistere, finire e non finire, il che è contraddittorio. Ciò si evita solo ammettendo che la causa ‘divenga’ l’effetto, ma ciò lo si è già mostrato per assurdo (Contraddizione della ‘legge di causalità’)” (C. De Cristofaro - “La filosofia dell’immediatezza sentimentale”). Arrivai, alla fine, ad elaborare il “principio di in derivabilità” o “principio di individualità piena”: “se A è trasformazione di B  (o divenire di B), allora c’è contraddizione in quanto B è se stessa (quando è B nel ‘prima’) e non è se stessa (quando è A nel ‘poi’), perché è sempre B ciò che ‘diventa’ A, lo stesso per A, che è se stessa (quando è A nel ‘poi’) e non è se stessa (quando era ancora B nel ‘prima’)..ciò è contraddittorio rispetto all’oggetto (o realtà) secondo il tempo (Dimostrazione della validità del ‘Criterio di inderivabilità’)” (C. De Cristofaro - “La filosofia dell’immediatezza sentimentale”). Questo significa che la responsabilità di una malattia si trova sempre all’interno di un organismo, cioè di se stessi. Ci possono, certo, essere ambienti più o meno salubri per le persone, ma queste ultime si ammalano sempre per carenze organiche o psicologiche “proprie”. Solo che questo non viene ammesso per il pregiudizio per cui “la colpa è sempre degli altri”, pregiudizio ancestrale che la scienza, in particolare la medicina e la psicologia, segue a pieno. Il fatto è che la scienza consente, in tal modo, non solo l’isolamento della persona considerata infettante (rovinando la sua vita sentimentale, sessuale, sociale), ma consente anche il controllo da parte del potere politico di ogni persona, basta dichiarare che è portatore di malattie infettive o pericoloso. La società, ormai impregnata fino ad un fanatismo medievale di scientismo, nega, su basi scientifiche, la libertà della persona ed è per questo motivo che occorre parlare di “fascismo sanitario”. Non vedere questo contrasto tra scienza e libertà individuale significa essere acritici e aver subito il lavaggio del cervello dall’educazione scientifica scolastica e divulgativa.

Roma, settembre 2016


Nessun commento:

Posta un commento