Cerca nel blog

lunedì 26 settembre 2016

LA DISCRIMINAZIONE E LO SFRUTTAMENTO

Chiarisco, preventivamente, che nella mia gerarchia morale la sovranità dell’individuo su se stesso viene prima della sovranità dei popoli su se stessi. Quindi la sovranità dei popoli su se stessi, detta “democrazia”, non può eliminare la libertà individuale. Ma che la sovranità dei popoli su se stessi venga negata ogni volta che le consultazioni popolari non assecondano l’ordine economico mondiale non lo posso accettare. Un popolo può anche decidere, democraticamente, di non avere rapporti con nessun altro popolo. Questo significa che un popolo, come un individuo, ha il diritto di accettare o negare il “libero scambio”, il “libero movimento dei lavoratori”, la “libera delocalizzazione delle aziende”. La religione del “libero scambio” (liberismo, da non confondere, almeno fino a un certo punto, con il liberalismo) nega, in modo folle, la “discriminazione” (facendo diventare quest’ultima quasi un delitto) e afferma, in modo sfacciato, lo “sfruttamento”.

    Lottare contro lo sfruttamento dovrebbe essere una cosa “di sinistra”, affermare la discriminazione tra i popoli dovrebbe essere una cosa “di destra”. Mi sembra che la sinistra abbia cessato di svolgere questa lotta contro lo sfruttamento e abbia, senza rendersene conto (o no?), delegato questa funzione alla destra. A furia di dire che non ci deve essere “discriminazione”, la sinistra segue, passo passo, il percorso e gli interessi della borghesia internazionale. E’ un’assurdità criminalizzare la “discriminazione”, significa interpretare gli individui come se fossero dei “numeri” (libero movimento dei lavoratori) e significa non distinguere più i popoli, in nome dei quali, poi, ancora governano i rappresentati politici nazionali e di organismi internazionali (tipo Europa). Non è un caso che questa “criminalizzazione” venga effettuata dai politici nazionali, europei, americani, nonché dai giornali che dipendono da essi, che appartengono alle istituzioni. I professionisti della politica sono espressione della borghesia internazionale. Quando vengo a sapere che in Svizzera approvano, con un referendum (che chi è democratico dovrebbe ritenere “sacro”), il diritto di dare lavoro, a “parità di condizioni” (cosa da non dimenticare), prima agli svizzeri e poi ai “frontalieri” perché gli italiani vengono pagati di meno rispetto agli svizzeri, oppure, quando sento dire che Trump avrebbe proposto di tassare, mi sembra con una tassa pesante, i prodotti di aziende americane che hanno delocalizzato la produzione in Messico, per evitare, appunto, che il lavoro vada dove c’è lo “sfruttamento” dei lavoratori, mi aspetterei un consenso dalla sinistra, visto che si tratta di contestare lo “sfruttamento” dei lavoratori e di assecondare la democrazia (con il referendum svizzero e la eventuale elezione di Trump). Al contrario, la sinistra ragiona esattamente come la borghesia internazionale, che non vuole ostacoli al movimento degli interessi internazionali delle aziende. Eppure è sicuro che va contro i lavoratori sia la “delocalizzazione delle aziende” e sia il “libero movimento dei lavoratori”, perché, in tutti e due i casi, si verifica una concorrenza al ribasso dei lavoratori (la delocalizzazione avviene in paesi dove il costo dei lavoratori è basso, lo spostamento di migranti-lavoratori avviene soprattutto per far abbassare il costo del lavoro nel paese che li accoglie: vedi Svizzera). Non capisco perché i popoli e i lavoratori dovrebbero rimettersi ai miracoli promessi dal mercato (ripresa, sviluppo: sempre paroloni del genere vengono forniti dai santoni dell’economia e della politica). Alla fine è la destra che tutela di più i lavoratori e, discriminando, non solo impedisce la catena al ribasso del costo dei lavoratori, ma rispetta anche di più la democrazia, quando dà risultati scomodi per il mercato borghese internazionale. Gli individui e i popoli non sono né numeri e né marionette, “discriminare” tra sé un altro, tra un padre e un estraneo, tra un membro del proprio popolo e uno straniero è un diritto degli individui e dei popoli, soprattutto quando è in linea con la democrazia e si oppone allo sfruttamento. Il tutto, come detto all’inizio, nella tutela della libertà individuale.   

venerdì 9 settembre 2016

LA VIOLENZA DEGLI ISLAMICI “MODERATI” IN EUROPA

In Francia, a Tolosa, degli islamici hanno aggredito due donne che camminavano con dei jeans corti (short), hanno poi malmenato alcuni francesi che hanno provato a difendere le due donne. Alcuni di questi islamici sono poi stati arrestati dalla polizia. Questi episodi di violenza dimostrano, inequivocabilmente, che gli islamici vogliono imporre in Europa i loro costumi retrivi e che non si integrano affatto. L’integrazione non può essere l’adozione dei costumi islamici da parte degli europei o un compromesso con tali costumi. La cosa scandalosa è che il servizio del TG2 (Rai) che parlava di questi fatti ha detto trattarsi di “islamici integralisti”. Sappiamo che alla Rai non si lavora più se non si possiede la tessera del Partito democratico (renziano), per cui l’ipocrisia di far passare degli islamici “moderati” per degli “integralisti” non meraviglia affatto. L’unico islamico moderato è quello che smette di essere praticante islamico (altrimenti si legga “Il corano” per vedere che importiamo cultura “retriva”). Gli islamici “integralisti”, specie se devono preparare un attentato, non si mettono ad aggredire delle donne che passeggiano vestite all’europea. E’ chiaro, quindi, che gli aggressori islamici di Tolosa sono quelli che gli ipocriti chiamano “islamici moderati”. L’altra cosa scandalosa del servizio è la predica vetero-femminista della giornalista che, in modo completamente deviante, esattamente come fa il Partito democratico, ha trasformato il problema dello scontro tra culture in un problema del “corpo delle donne”. In questo modo il problema è diventato quello per cui le donne si vestono come gli pare. Il che è una cosa ovvia, ma solo per la cultura europea. Il tutto appariva nel servizio, quasi, come una posizione neutrale tra il modo in cui si vestono le europee e il modo in cui si vestono le islamiche. Se si fa diventare uno scontro culturale un semplice problema della donna circa il vestirsi come gli pare, è chiaro che, alla fine, queste giornaliste del Partito democratico finiscano per assumere una posizione di “indifferenza” tra i costumi europei e quelli islamici. Facendo finta di ignorare: 1) che le donne islamiche si vestono in certi modi perché seguono precetti religiosi, 2) che proprio le donne europee hanno conquistato il diritto di vestirsi come gli pare, 3) che le donne europee sono state aggredite, in Europa, dagli islamici che contestavano proprio il diritto di vestirsi come gli pare (per cui una donna che mostra le sue bellezze è a priori una mignotta), 4) che il problema non è semplicisticamente quello di stabilire che le donne possono vestirsi come gli pare (cosa accettata e ovvia in Europa, ma non nell’Islam), ma è un problema di cultura ben più profondo, giacché essere neutrali tra i costumi europei e la copertura del corpo islamica significa ignorare tutte le conquiste laiche degli ultimi 60-70 anni (dagli anni Sessanta in poi), cioè la liberazione del corpo dai tabù religiosi, la liberazione della bellezza, la liberazione della sessualità, cose che l’Islam non riconosce alla pari del vetero-cristianesimo (che sopravvive nella forma fobica della donna “oggetto sessuale” delle vetero-femministe, quasi che la donna dovesse smaterializzarsi per non essere oggetto sessuale): “dì alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le parti belle” (“Il Corano” - XXIV - Sura della luce 31). Non possiamo fa ritornare, assieme all’Islam, l’odio verso la vita terrena, corporea e naturale. Qui è in discussione la cultura laica dell’ultimo mezzo secolo e coloro che fanno gli “accoglienti” a tutti i costi sembra che non se ne rendano conto.

lunedì 5 settembre 2016

LA SINDROME DI GESU’ CRISTO


Se la scienza non avesse la stessa razionale indifferenza della “sindrome di Gesù Cristo”, avrebbe già riconosciuto scientificamente la “sindrome di Gesù Cristo”. La “sindrome di Gesù Cristo”, infatti, non è altro che la sublimazione dell’indifferenza e del potere politico della comunità. E’ il disconoscimento della differenza e dell’individualità, quindi dei sentimenti “personali” relegati al rango di “egoismo” a paragone dell’interesse del potere politico e dell’indeterminazione tipica dell’indifferenza. In realtà è il disconoscimento dei sentimenti stessi, perché i veri sentimenti sono sempre sentimenti personali. Se l’indifferenza si estende dalla famiglia alla propria regione o alla propria nazione, si ha il disconoscimento dei sentimenti personali e familiari a favore della propria regione o nazione e il potere politico a cui sacrificarsi assume l’aspetto dello Stato nazione. Se, invece, l’indifferenza si estende a tutta l’umanità, come hanno preteso di fare il cristianesimo, l’islamismo, l’illuminismo, il comunismo, il disconoscimento dei sentimenti coinvolge anche il disconoscimento dei sentimenti legati alla nazione. Insomma la “sindrome di Gesù Cristo”, costruita sull’indifferenza e sulla sottomissione al potere politico della comunità, ha vari livelli possibili di estensione. Se l’estensione è massima, l’indifferenza e la sottomissione ad un ipotetico potere politico dell’Umanità (divenuta a sua volta religione, come capita in molti laici) spinge a definire come “egoismo”, “razzismo”, “xenofobia” tutti i sentimenti personali o maggiormente ristretti rispetto all’indifferenza somma sublimata, cioè quella umanitaria. La terminologia che spinge ad usare etichette come “egoista”, “razzista” (termine, quest’ultimo, che una volta indicava solo l’inaccettabile pretesa di superiorità di una razza, mentre oggi etichetta negativamente chiunque sia legato a preferenze personali e non segue i principi umanitari, fosse anche il padre di famiglia che aiuta il figlio e ignora le catastrofi mondiali), “xenofobo” indicano, nella quasi totalità dei casi (almeno oggi come oggi), una persona afflitta dalla “sindrome di Gesù Cristo”, fosse anche una persona che si dichiara atea. Diceva Gesù: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra..sono venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera..Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me..Chi tiene conto della sua vita, la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la ritroverà..chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato” (Vangelo secondo Matteo - 10, 34-40). E’ l’invito a “sacrificare” la propria persona e i sentimenti personali in nome dell’indifferenza sublimata in Dio, in nome del potere politico della comunità, oggi tendenzialmente estesa a tutta l’umanità. Chi non privilegia l’amante all’estraneo, il familiare al connazionale, il connazionale allo straniero, perfino il suo gatto all’essere umano in generale, non ha sentimenti personali, cioè non ha affatto sentimenti, vive di “indifferenza sublimata”, soffre della “sindrome di Gesù Cristo”. La “sindrome di Gesù Cristo” è l’arroganza del potere politico: la verità del piagnucolante Gesù è l’arroganza di Maometto.

domenica 4 settembre 2016

ANATOMIA DELLA SINISTRA
(Perché non sono di sinistra)

    Sono un “anarchico individualista” e come tale non posso essere né di destra, né di sinistra, né borghese. Della destra non posso accettare l’autoritarismo e il nazionalismo elevato a religione, nonché la pretesa etnocentrica che il proprio paese sia o debba essere superiore ad altre nazioni, la tendenza a trasformare la propria nazione in un impero, la mancanza di libertà individuale di parola, espressione e comportamento all’interno del paese. L’uomo di destra è, spesso, un arrogante ignorante che ha la pretesa che la gerarchia (generali, cardinali, capi politici) debba guidare la massa, vista come un gregge di pecore. Anche se la massa può, in molte occasioni, apparire detestabile e stupida, questo atteggiamento dell’uomo di destra è inaccettabile. Un pregio dell’uomo di destra è quello di avere, a volte anche solo per conservare la tradizione, un maggiore senso della realtà naturale, rispetto al borghese e all’uomo di sinistra (perché il primo vede solo affari e non nota la realtà naturale e vivente, il secondo vive chiuso in un mondo intellettuale dove tutto sembra o deve essere “uguale”)..
    Del borghese non posso accettare l’internazionalismo economico, il mercato globale, l’élite finanziaria ed economica che gestisce tutto questo e lo sfruttamento delle masse che non riescono ad entrare nel gioco dell’arricchimento. Considero borghesi, non solo gli imprenditori e i manipolatori della finanza, ma anche tutti coloro che, o perché dirigenti, o perché uomini di spettacolo e di sport, guadagnano così tanto da seguitare ad accettare che la ricchezza si concentri in poche mani. Sono da considerare borghesi anche tutti gli amanti della legge e dell’ordine perché, a causa di rendite o di case, conducono, comunque, una vita agiata e non amano perciò essere turbati in questo egocentrico godimento, per cui appoggiano la globalizzazione e l’economia come se fosse un loro interesse personale, mentre ne godono solo in misura minima. Un pregio del borghese è quello di aver sviluppato, ma solo teoricamente con il liberalismo (nel senso che non dà piena attuazione a questi principi, che vengono scavalcati dalla paura, che privilegia l’ordine e la sicurezza), un senso della libertà più esteso dell’uomo di destra e di sinistra e molto più esteso dell’uomo cristiano e di quello islamico.
    Dell’uomo cristiano non posso accettare la spiritualizzazione della vita, il proselitismo, l’idea di essere superiori perché portatori di Dio e, quindi, in virtù di questa presunta superiorità l’idea di dover accogliere tutti in un’unica comunità (ecumenismo), tanto si è sicuri che la fratellanza umana sia comunque l’affermarsi dello spirito di Cristo.
L’Umanità unita nel segno della fratellanza cristiana è la ripugnante menzogna che il cristiano porta dentro di sé. La sua sottomissione a Dio e ai segni o persone che lo rappresentano fa, poi, del cristiano un potenziale pecorone quasi professionale. Un cristianesimo vissuto coerentemente “espropria” l’individuo della sua vita, facendo dell’”obbedienza” una virtù, anziché, come è, la cosa più vergognosa che possa esistere.
    Dell’uomo islamico non posso accettare quasi tutto. E’ un cristianesimo medievale più superficiale spiritualmente, ma poggiante su una violenza operativa di proselitismo senza precedenti. Una barbarie in ogni senso. Solo chi non ha letto Il Corano può non capire la pericolosità dell’islamismo, oggi come oggi ben più pericoloso del nazismo e del fascismo dei quali favorisce la rinascita in funzione anti-islamica, per responsabilità principale della sinistra, che accoglie i fascisti islamici nei panni dimessi del migrante, mentre si inalbera subito quando c’è qualche rigurgito nazi-fascista, come se l’uomo di sinistra conoscesse solo la storia dell’Occidente e non sapesse nulla della barbarie islamica. La diffusione dei costumi islamici rappresenta un salto all’indietro di secoli. L’Islam azzera l’Illuminismo, il Romanticismo, la rivolta giovanile degli anni Sessanta, la rivoluzione sessuale degli anni Settanta e tante altre cose ancora. Chi permette la diffusione dell’Islam in Occidente è un nemico della civiltà occidentale. Non si tratta di libertà individuale, ma di compromesso con il diavolo. Il diavolo non va fatto entrare, non lo si accoglie per farci poi un compromesso chiamato “Integrazione”.
    L’uomo di destra, il borghese, il cristiano, l’islamico possono essere più o meno pericolosi a seconda dei tempi e delle mode, ma sono quello che sono, cioè portatori di un fanatismo politico o religioso o di interessi economici, sono dei nemici dell’anarchico individualista, sono sicuramente nemici schedati, ma meno chiacchieroni e saputelli dell’uomo di sinistra. Infatti, oggi come oggi (quindi è un giudizio legato rigorosamente all’attualità storica che potrebbe cambiare un domani), l’uomo di sinistra appare come il più nauseante ipocrita di tutti. Rischia di battere anche la proverbiale ipocrisia cristiana, specie cattolica, il che è tutto dire.
    Esaminando le cose nauseanti della sinistra viene fuori anche una sua anatomia:

1) L’uomo di sinistra, non solo è arrogante, ma è anche “saputello”: questo suo essere “saputello” è la cosa che meno sopporto dell’uomo di sinistra, che si presenta come un “ignorante professorale”. E’ saputello perché ha una cronica dimensione intellettuale e considera più reali le sue astrazioni mentali (umanitarie, sociali, ecc.) che gli individui e i popoli, nonché le loro irriducibili diversità, la cui integrazione equivarrebbe alla loro soppressione. Parla, talvolta, di libertà, perfino di “libertà individuale”, ma non sa cosa sia. E’ vero che anche il fascista, il cristiano, l’islamico non sanno cosa sia la libertà individuale, ma usare la libertà individuale per ammettere un’integrazione islamica significa non capire che l’Islam non ha subito quei processi di modificazione laica che si chiamano Illuminismo, Romanticismo, cambiamento dei costumi tra anni Sessanta e anni Ottanta del Novecento. L’Islamico di queste modificazioni laiche dell’Occidente non sa niente e nel contempo segue una religione tanto fanatica da non permettere una vera integrazione in Occidente. La presunzione di superiorità umanitaria dell’uomo di sinistra apre le porte ad un nemico intollerante e, poiché quella presunzione di superiorità umanitaria e laica vale solo tra persone tolleranti, apre l’Occidente alla sconfitta, perché una cultura intollerante sconfigge sempre una cultura tollerante, imponendo i suoi valori. Solo l’intolleranza nei confronti degli intolleranti può permettere ad una cultura tollerante di sopravvivere ad una cultura intollerante. La tolleranza è un pregio, ma può essere concessa solo a chi è, a sua volta, tollerante, presuppone la reciprocità. Non ci si può dare un’aria di superiorità di fronte a chi ti prende a pugni, questa presunzione di superiorità è un’astrazione di chi intellettualmente pensa di trovarsi fuori del mondo o al di sopra e crede che, inevitabilmente, gli intolleranti si piegheranno alla loro presunta superiorità, che è solo cerebrale. Gli islamici, però, non riconoscono affatto questa presunta superiorità e, grazie alla tolleranza e ai compromessi (chiamati ipocritamente “integrazione”), trovano quegli spazi con i quali imporre la loro visione unilaterale e intollerante. Insomma dare spazio agli intolleranti è un suicidio. La sinistra lavora per il suicidio della cultura occidentale.

2) L’uomo di sinistra conosce solo la sua storia, al massimo quella dell’Occidente e spesso limitata all’epoca del fascismo e del nazismo. Per lui la storia è anti-fascismo. Una visione della storia, in fondo, da ignorante. Non solo non ha mai letto Il Corano, ma prende per buone le storielle sulla “misericordia” islamica che qualche imam moderato gli mette sotto il naso. Sarebbe come chiedere a un cristiano se la sua è una buona religione, mentre solo un laico può leggere con un sano spirito critico un libro sacro. Il Corano è un libro mille volte più retrivo dello stesso “Mein kampf” di Hitler e là dove sono entrambi barbari, proprio là c’è la stessa logica di fanatismo religioso. Per questi motivi l’uomo di sinistra neppure comprende la pericolosità dell’Islam, non comprende che è più pericoloso dello stesso nazismo. Se si profila una rinascita nazi-fascista, l’uomo di sinistra sale subito sulle barricate, mentre una mentalità ancora più barbara, come quella islamica, l’accoglie lui stesso a casa sua. E’ vero che il nazismo ha compiuto violenze spaventose, ma anche lo storia dell’Islam è una storia di violenze spaventose (anche quella cristiana, ma, occorre ripeterlo, il cristianesimo, per quanto ancora vivo, ha subìto un ridimensionamento mentale ad opera della cultura laica del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento che l’Islam non ha ancora minimamente affrontato). L’uomo di sinistra, che fa le barricate contro il fascismo, accoglie, per spirito cristiano e umanitario, fascisti islamici. Lavora per il suicidio dell’Occidente. Trova che fare le barricate contro l’Islam sia contrario alla suo spirito umanitario, come se l’islamico fosse umanitario. Anche i nazisti, se tutti si convertivano al nazismo, diventavano umanitari. Con gli ebrei no? Ma perché l’Islam è umanitario con ebrei, cristiani, pagani e atei?

3) Solo la borghesia internazionale ha interesse a importare “mano d’opera” e non gli importa se è islamica o meno, perché la borghesia ha già scavato un abisso tra sé e il resto della popolazione. La borghesia internazionale ha dei paradisi dorati sparsi in tutto il mondo a cui non accedono né i popolani dell’Occidente e né i migranti islamici. Se ci sono dei ricconi equivalenti islamici, come sceicchi del Qatar o dell’Arabia Saudita, lì la rigorosa distinzione di vita tra occidentale e islamico seguita a sussistere nella distinzione territoriale tra Stati. Per i popolani, invece, è necessario il compromesso e la mescolanza tra civiltà incompatibili tra loro. In pratica l’“integrazione” è un ordine che scende dall’alto, è la borghesia internazionale che manda questo ordine, perché la gente e i popoli per essa non hanno personalità culturale alcuna e, quindi, hanno il “dovere” di integrasi in nome della santità (per il riccone borghese) del mercato globale. L’uomo di sinistra “moderno” ha ormai fatto propria questa visione borghese.

4) L’umanitarismo o l’integrazionismo dell’uomo di sinistra è solo la maschera ipocrita di un egocentrismo mostruoso, fatto di sostanziale “indifferenza” (l’uomo di sinistra non fa differenza tra il “bikini” e il “burkini”, chiama “libertà individuale” la sua “indifferenza”, facendo finta di ignorare che il secondo è una “divisa”, che, cioè, mentre la donna occidentale può scegliere o meno di indossare il bikini, la donna islamica non può scegliere affatto se indossare o meno il burkini, perché coprirsi, per la donna islamica, è un preciso precetto scritto ne “Il Corano”; e non si tratta di donne che dedicano la loro vita a Dio, come le suore, ma di tutte le donne indistintamente). L’indifferenza è il volto segreto dell’umanitarismo dell’uomo di sinistra, il quale dice, come il più cretino dei cristiani: io sto in pace con tutti, anche con chi mi impone i suoi costumi. Arrivi chi arrivi, l’uomo di sinistra fa comunella, si integra. E cosa vuole dire integrarsi per l’uomo di sinistra? Che l’islamico che arriva in Occidente si adatti ai costumi occidentali? No! Per l’uomo di sinistra integrarsi vuol dire “compromesso” tra la civiltà di chi accoglie e quella del migrante che arriva, significa un compromesso tra laicismo occidentale o residui di cristianesimo con l’islamismo, il quale ultimo è solo un cristianesimo aggressivo di 1500 anni fa. Insomma il “compromesso” significa che l’Occidente rinunci, almeno in parte, al suo Illuminismo, al suo Romanticismo, alle rivoluzioni giovanili, alle rivoluzioni sessuali. Il compromesso è un passo mostruoso indietro nella storia e una negazione della conquiste storiche dell’Occidente, comporta l’impossibilità di portare ancora più avanti queste conquiste perché bisogna fare i conti (il compromesso appunto) con una cultura barbara e retriva di 1500 anni fa. L’Islam posto nel segno dell’idiozia cristiana dell’“accoglienza” rappresenta un vero disastro per l’Occidente. Se poi ti opponi a questa integrazione/compromesso, ecco che l’uomo di sinistra usa i suoi schemetti da deficiente: ti dà del razzista, dello xenofobo e via dicendo. Lui, nella sua indifferenza, seguita a sentirsi superiore a tutto, l’importante è che non venga scosso il miserabile e agiato piccolo mondo in cui vive quotidianamente. Se il suo piccolo mondo non viene scosso, l’uomo di sinistra fa compromessi con tutti e con tutte le forme di snaturamento e chiama tolleranza e umanitarismo questo suo meschino egocentrismo e questa sua gigantesca ipocrisia. Se, invece, il suo piccolo mondo meschino viene scosso, l’uomo di sinistra diventa il più feroce degli egocentrici. Nelle sue astrazioni, tuttavia, fa i conti senza l’oste: l’islamico è un intollerante, non fa facilmente compromessi e tra chi non fa compromessi e chi fa compromessi il perdente è sempre chi fa compromessi.

5) Quando non sa più cosa dire, l’uomo di sinistra, che fa del suo umanitarismo ed accoglienza ormai un elemento ideologico, ricorre a vecchi schemi della sinistra. Ad esempio, per il vestiario femminile, usa concetti del vetero-femminismo: sostiene che il coprirsi delle donne islamiche sia un bene perché così non diventano “oggetto sessuale” dei maschi. Il tutto senza neppure domandarsi se la donna islamica sia, in ciò, libera. Si provi a domandare alle donne islamiche se sono libere, volendolo, di mettersi in bikini. Ragionando, in pratica, in modo speculare al maschilismo, come faceva il vetero-femminismo, si dà per scontato che una donna nuda o in bikini sia un “oggetto sessuale” del maschio, solo per questo si può arrivare a dire la “minchiata” per cui coprirsi significa uscire dalla dimensione di “oggetto sessuale”. Ciò, non solo rivela una vecchia mentalità sessuofobica da suora, ma è in perfetta linea con il maschilismo islamico: l’uomo islamico, infatti, interpreta la donna non coperta come una prostituta a sua disposizione, come le aggressioni, sul tipo di quella di Colonia, dimostrano. Lasciamo perdere, poi, lo schiaffo alla bellezza che, in questo modo, si dà. Riemergono qui le coincidenze tra islamismo e vetero-cristianesimo della suora. Nell’uomo di sinistra questo moralismo vetero-cristiano sopravvive ed è anche questo reazionarismo inconscio che non fa scandalizzare l’uomo di sinistra di fronte ai costumi islamici che invadono l’Europa assieme ai migranti. Purché si faccia “santo” della sua accoglienza, l’uomo di sinistra manda in malora tutti i valori e i costumi dell’Occidente faticosamente conquistati dai laicismo del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento.

6) Mentre l’uomo di destra è, con qualche dubbio, ufficialmente cattolico (fino all’accordo trono-altare o Stato-Chiesa: vedi l’obbrobrio dei Patti lateranensi di Mussolini, che fu la morte della separazione tra Stato e Chiesa sostenuto da Cavour), l’uomo di sinistra o è “catto-comunista” (una specie umana di una meschinità unica) o fa mostra di essere anti-religioso. Ma è un anti-religioso marcio dentro di cristianità pseudo-laica, che ha, come diceva Novatore, un’animaccia cristiana dentro un grosso corpo borghese, per cui si pone sempre in posizione di contestazione della Chiesa cattolica, senza valutare caso per caso se le cose che la Chiesa dice sono giuste e naturali o meno; l’uomo di sinistra si pone come un protestante, come un cristiano che contesta la Chiesa (vedi “L’anticristo” di Nietzsche). L’uomo di sinistra sembra tanto la “pecorella smarrita” di cui parla il Vangelo, desiderosa di ricongiungersi alle sue radici, cioè le radici cristiane. Insomma non è altro che l’ennesima ipocrisia dell’uomo di sinistra avere un atteggiamento anti-religioso, genericamente laico, con un’animaccia cristiana (vedi umanitarismo, che è la versione laica dell’ecumenismo cristiano, vedi accoglienza a tutti i costi, che è la versione laica della carità cristiana, vedi presunzione di superiorità culturale con gli islamici, che è la versione laica del proselitismo cristiano, ignorando che gli islamici sono ancora più fanaticamente tendenti al proselitismo).

7) Così come l’ecumenismo cristiano o è conquista o è compromesso tra le culture nella presunzione che tutto rientri nella cornice cristiana ritenuta a priori superiore, allo stesso modo l’umanitarismo dell’uomo di sinistra o è conquista o è compromesso con le culture (quella islamica, quella omosessuale, quella cristiana, quella borghese ecc., per ora sembra escluso il compromesso solo con il nazi-fascismo) in versione laica nella presunzione che tutto rientri nella cornice umanitaria ritenuta a priori superiore. Che gli ebrei, gli islamici, la borghesia internazionale (certo anche i nazisti e i fascisti) se ne freghino di diventare “umanitari” è idea che neppure sfiora l’uomo di sinistra, il quale dà sempre per scontato che vinca il compromesso con cui identifica, di fatto, il suo umanitarismo. Alla fine l’uomo di sinistra confonde il compromesso con la pace, con la libertà di tutti, vede solo mezzi uomini, il compromesso, la mescolanza e l’ibrido sono la sua religione. L’umanitarismo sussiste solo nel presupposto della “diversità debole”, cioè “falsa”, fatta di mescolanza e compromesso. Sarebbe come se un papavero, per essere libero e diverso dalla margherita, dovesse fare un compromesso con la margherita. Rimanere se stessi, nell’umanitarismo dell’uomo di sinistra, è diventata una colpa, per questo parla, con molta superficialità, di “xenofobia”. Confondendo, poi, il “rifiuto” del diverso, con la “paura” del diverso. Per l’uomo di sinistra sembra sia impensabile che qualcuno o qualche popolo voglia restare se stesso o cambiare per sua scelta, anziché per imposizione e per compromesso con i nuovi arrivati (la Boldrini è l’esempio degenerato della mente perversa dell’uomo di sinistra: ha detto che tutti dovrebbero avere Il Corano a casa, per leggerlo ovviamente, ma non con lo spirito critico di un laico, bensì per conoscere i nuovi arrivati con i quali ci sarebbe l’obbligo del “compromesso” culturale). Il diverso ha tutto il diritto di sussistere, ma nel suo spazio, non nella confusione con il mio, un popolo diverso culturalmente ha tutto il diritto di sussistere nel suo territorio, ma non di imporre la sua cultura nel territorio degli altri. Con l’accoglienza di gente di cultura che fa proselitismo, come quella islamica, la cultura diversa viene “imposta” nel territorio del popolo che accoglie. E’ quello che accade con l’arrivo di migranti islamici. E, come diceva Todorov, è cosa ben diversa se un’influenza culturale viene “proposta” o “imposta”. Io posso essere di sinistra quando devo condannare lo sfruttamento dei lavoratori ad opera della borghesia o lo sfruttamento dei popoli extra-occidentali nei loro territori da parte degli occidentali, ma sono più vicino alla destra quando si tratta di condannare moralmente l’accoglienza indiscriminata e il compromesso fatto a casa mia con l’estraneo. Io ho una casa, i popoli hanno territori, nella mia casa, nel territorio di un popolo, non si fanno compromessi con la cultura di estranei e di popoli stranieri. Se l’uomo di sinistra, nella perversione del suo umanitarismo, non distingue più, come un nuovo Gesù Cristo, estranei e stranieri, questo è un suo problema - ed è un problema grave - ed è il motivo per cui non sopporto più la sinistra e ritengo l’uomo di sinistra il più disonesto di tutti.

8) Trovo che la “fratellanza universale” sia la stessa cosa della “menzogna universale” e che la tolleranza di chi si sente di cultura superiore e pensa di essere superiore per la sua stessa tolleranza sia un’altra menzogna con la quale si copre o la pavidità o l’egocentrismo (come per dire: fate pure, tanto io, nella mia sovrana indifferenza, non vengo scalfito). Auguro a queste persone benpensanti che gli islamici arrivino a sconvolgere la loro vita quotidiana. Sarebbe un bel bagno di umiltà. In tal modo, forse, l’uomo di sinistra, specie se benestante, riuscirebbe ad uscire dalla sua astrazione e dalla sua ipocrisia.

     Adesso l’uomo di sinistra mi darà del fascista, perché non sa fare altro.


Roma, 4 settembre 2016                         Prof. Carlo De Cristofaro  

giovedì 1 settembre 2016

IL PRINCIPIO DI INDERIVABILITA’


   IL PRINCIPIO DI INDERIVABILITA’


    “La colpa è sempre degli altri”. Questo pregiudizio affonda nella notte dei tempi e dimostra, tra l’altro, l’innata insocievolezza dell’essere umano. Avete mai visto un cane prendersela con gli altri cani nel caso di una peste canina? No, perché il cane è più saggio dell’uomo. La colpa era di chi faceva fatture, del diavolo, degli untori, talvolta, nel bene e nel male, perfino di Dio. La scienza ha solo dato un volto moderno e scientifico a questo pregiudizio con la dottrina virologica delle malattie infettive.
    La cultura moderna, specialmente quella laica, ha scarsissima consapevolezza del fatto che tutte le categorie politiche, scientifiche e mediche hanno una derivazione religiosa. Qualche accenno di tale consapevolezza si trova nei filosofi, ma non certo negli scienziati che applicano il paradigma scientifico con la stessa ritualità con la quale gli induisti, i cristiani e i mussulmani recitano le loro giaculatorie. Un vago accenno a tale consapevolezza è il seguente: “tutto ciò che, nel corso dello sviluppo della civiltà umana, è venuto a far parte della cultura, dell’attività cosciente e autonoma, dell’antropologia, era stato, in origine, affare della religione o teologia, come, ad esempio, la giurisprudenza.., la politica.., la farmacologia” (L. Feuerbach - “L’essenza della religione” 34). Proprio per questa scarsa consapevolezza storica la scienza ignora le medesime origini religiose del principio di causa ed effetto.
    Spostando in altri i “meriti” e le “colpe” di quel gli accadeva, l’uomo cercava o una protezione o, comunque, un responsabile che, in qualche modo o misura, permetteva all’uomo di credere che la natura selvaggia fosse, in ogni caso, sottoposta ad un criterio antropologico che l’uomo stesso poteva gestire. Originariamente questo protettore o responsabile era un “Tu”, aveva cioè caratteristiche “personali”. Dapprima, come presso i pagani e nell’Antico Testamento (in ciò ancora paganeggiante), il “Tu” era una divinità che poteva fare del bene o, quando irato con il suo popolo, anche del male. Con l’emergere del dualismo etico, che divideva, quasi fosse una specializzazione astratta, il dio del bene dal dio del male, il “Tu” divenne Ahura Mazda, Dio, Allah, se buono e misericordioso, oppure Ahrimane e Satana, se cattivo e perverso. Resta il fatto che tutto, dalla politica alla scienza e alla medicina, dipendeva dalla divinità e i sacerdoti incarnavano ruoli politici, sanitari, giuridici. Finché la “causa” del bene o del male fu un “Tu”, dualismo delle religioni superiori o semplicità pagana che fosse, la scienza rimase inglobata nella religione. In questo senso, anche se non è capace di trarne fuori le conseguenze devastanti, il seguente ragionamento appare corretto (tranne nel fatto che il “Tu” delle religioni non è autenticamente “personale” e “individuale” nel senso di individuo unico e riconoscibile, ma è un “prototipo” di individualità, spesso specializzato in qualche attività: guerra, fertilità, amore, bene, male): “Ogni esperienza di un “Tu” è altamente individuale, e l’uomo primitivo prospetta gli accadimenti come avvenimenti individuali. Un resoconto di codesti avvenimenti e anche la loro spiegazione può concepirsi soltanto come azione e deve configurarsi narrativamente. In altre parole, gli antichi narravano dei miti invece di presentare delle analisi e conclusioni. Noi diremmo, ad esempio, che certi mutamenti meteorologici interruppero una siccità e provocarono la pioggia. I Babilonesi osservavano gli stessi fatti ma li sentivano come interventi dell’uccello gigantesco Imdugud che veniva loro in soccorso” (H. e H. A. Frankfort - “Mito e realtà” in “La filosofia prima dei Greci”). Lo spostamento dei “meriti” e delle “colpe” in un “Tu” denota sì un’azione altrui che si configura “narrativamente”, quindi in modo mitologico, ma anche il principio di causa ed effetto si basa sull’”azione” di un elemento esterno e ha perfino un andamento narrativo, tanto è vero che causa ed effetto possono esistere solo nel “tempo”. Proprio questo fatto, cioè che causa ed effetto possono esistere solo nel “tempo”, dovrebbe far capire che il principio base della scienza, senza il quale la scienza non potrebbe esistere, non ha nulla di oggettivo: visto che il “tempo” è una dimensione relativa alla mente e al pensiero umano e oggettivamente non esiste, dato che la realtà è ferma nell’attimo “atemporale”. L’unica differenza tra il pensiero mitico e quello scientifico è il fatto che nel pensiero mitico la causa è un “Tu”, nel pensiero scientifico è “impersonale”. Per il resto la scienza è mito a tutti gli effetti: per l’andamento narrativo con il quale la causa, nel tempo, “spiega” l’effetto, per il fatto che la causa è un’“azione” in senso pieno. Così come il “Tu” che spiegava gli eventi nel pensiero mitico poteva essere controllato, magari con la seduzione (le offerte alle divinità, il dedicarsi a Dio) o con la penitenza (facendo di se stessi dei “colpevoli” verso il Dio), allo stesso modo la scienza non è altro che il “controllo” della natura mediante il controllo delle “cause”, cioè mediante la previsione dell’agire effettuato dalla causa. Le cause, poi, per quanto nella scienza siano “impersonali”, vengono distinte in buone e cattive lo stesso, così che certi eventi naturali vengono combattuti e altri favoriti, magari a priori (mito della “prevenzione”), con grave limitazione della libertà personale. In ogni caso la scienza prosegue con lo “spostamento” dei meriti e delle colpe, perché la logica stessa del principio di causa ed effetto è una logica di “spostamento”, si passa sempre da A (causa) a B (effetto).           
    Quando la “ragione” cominciò ad avere un prestigio tutto suo e venne applicata alla teologia, cioè con la Scolastica medievale, essa mostrò immediatamente che Dio fungeva da spiegazione universale con il suo finalismo e nello stesso tempo incarnava il principio di causa ed effetto applicato a livello mitico-teologico. La prova cosmologica dell’esistenza di Dio, attribuita ufficialmente a Tommaso d’Aquino, pretende di provare l’esistenza di Dio con la semplice affermazione del principio di causa ed effetto: dato l’effetto, cioè l’universo, ci deve essere la causa, cioè Dio. La logica di “spostamento” dalla natura a Dio è la stessa logica di “spostamento” che c’è in ogni applicazione della causa e dell’effetto. La logica causale che vede in Dio la causa universale è la medesima logica del casualismo scientifico. E’ in virtù di questo che, poi, gli illuministi furono facilmente anche deisti, perché, come diceva Voltaire, “Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo” (Voltaire - “Epistole” XCI - All’autore del libro dei tre impostori). Già, ma perché “bisognerebbe inventarlo”? Perché lo esige la logica dello “spostamento” del principio di causa ed effetto, perché, altrimenti, l’universo resta inspiegato. Dio “spiega” è strutturalmente “causa”. Appare evidente che lo logica scientifica nasce dalla logica religiosa. Questi “spostamenti” o “derivazioni” sono semplici connessioni mentali, di cui l’uomo ha la pretesa di trovare dei riscontri oggettivi inventando un mondo “parallelo”, che la sfacciataggine scientifica e scientista chiama addirittura “realismo di seconda posizione..che reagisce contro la realtà usuale, in polemica con l’immediato, un realismo fatto di ragione realizzata, di ragione sperimentata” (G. Bachelard - “Il nuovo spirito scientifico” - Introduzione). Questo delirio della ragione, che ha la pretesa di sostituire la realtà, di essere la realtà, non è diverso dal delirio della religione o da quello di chi vede un mondo parallelo fatto di fantasmi. Perché il mondo dei fantasmi non potrebbe essere un “realismo di seconda posizione”? Non basta dire che tale mondo non viene sperimentato, giacché neppure i nessi causali e la ragione della scienza vengono sperimentati. Vengono usati come a priori. Se usassimo altri a priori, i cacciatori di fantasmi potrebbero sostenere che è possibile fare esperienza del mondo parallelo dei fantasmi. Questa “realtà di seconda posizione” potrebbe essere Dio stesso. Insomma la “realtà di seconda posizione”, di cui parla la scienza, non è altro che il medesimo “spostamento” provocato dalla ricerca di fantasmi cellulari e atomistici adatti a fare da “causa”. La divinità è la prima modalità in cui si è manifestato lo “spostamento” in cui consiste la catena delle cause e degli effetti. L’origine del principio scientifico di causa ed effetto è un’origine religiosa.
    Lo spostamento sarebbe impossibile a livello di individualità reale, per cui la scienza, con la sua impersonalità (che, storicamente, è andata di pari passo con l’affermazione della società gestita dalla “legge” e dal “politico di professione” - anziché di nascita -, cioè da entità astratte, anziché da “persone”, per cui rivoluzione scientifica e rivoluzione politica sono entrambe solo un effetto storico dell’affermazione della borghesia), rende ancora più facile il principio dello “spostamento”. Questo perché alla scienza sfugge qualcosa di fondamentale, cioè che l’individuo è un’unicità irripetibile. La scienza ragiona per “generi” e non per “individui”, se ragionasse per individui capirebbe che non potrebbe applicare il principio di causa ed effetto agli individui, giacché dire “Giovanni causa la peste di Mario” sarebbe un’affermazione senza senso. La scienza deve prima costruire un’astrazione intellettuale “generica” che faccia da “mediazione” per attribuire a Giovanni quello che capita (la peste) a Mario. Ecco che il mondo si popola di fantasmi scientifici: bacilli, virus e altre cose del genere. La trasmissione di questi fantasmi può avvenire per via orale, contatto corporeo, sessuale (vedi Aids) e altri modi ancora. Tanto non li vede nessuno. Cioè nessuno vede la “trasmissione” del bacillo, per cui si sa solo che Giovanni aveva la peste e dopo la peste l’ha anche Mario. La mente, per puro arbitrio, “connette” la peste di Mario con quella di Giovanni, il bacillo fa da “mediazione” tra Giovanni e Mario, cioè tra due entità corporee individuali assolutamente non mediabili. Reali sono Giovanni e Mario, non il bacillo della peste che si trasmette. Il che non significa che Giovanni e Mario non siano o non possano essere malati di un male che chiamiamo peste, ma solo che non è la trasmissione la causa della malattia. Che la trasmissione del bacillo sia la causa della malattia è solo il sopravvivere del pregiudizio ancestrale per cui “la colpa è sempre degli altri”. Per chi prende la realtà per quello che è, cioè luogo dove si trovano esseri assolutamente individuali, non esiste “mediazione” possibile e quindi neppure “trasmissione” possibile.
    Compresi l’assurdità della legge di causa ed effetto già nella mia tesi di laurea, quando, contestando il principio causale, elaborai la dimostrazione del “principio di inderivabilità”, principio assolutamente coerente con l’individualismo, a riprova del fatto che l’individualismo (e l’anarchismo individualista) è del tutto inconciliabile con la scienza, la quale ultima non è altro che una filosofia nata nel Seicento, a margine del Neoplatonismo, che ha santificato il modello matematico-scientifico. Nella mia tesi laurea mi espressi così: “la causa o è l’essere del nulla..o è la trasformazione di se stessa nell’effetto (in tutto o in parte), di modo che continua in esso, cioè è se stessa (causa) ed altro da sé (effetto), è e non è se stessa..tra lei e l’effetto c’è sia continuità che discontinuità, la causa è se stessa e non è se stessa (quando è divenuta effetto), in quanto è sempre sia causa che effetto, infatti, quando è effetto, per potervi essere la continuità che il divenire richiede, dovrà essere anche causa (formalmente) e viceversa accadrà all’effetto, così l’effetto deve essere anche causa e la causa anche effetto, ognuno dei due è e non è se stesso, il che è assurdo, ma è l’unico modo in cui può esistere la causalità..(Contraddizione della ‘legge di causalità’ in quanto divenire)” (C. De Cristofaro - “La filosofia dell’immediatezza sentimentale”), poi così: “Come può ciò che non esiste più (la causa quando c’è l’effetto) determinare l’effetto? E come può una causa determinare ciò che non c’è ancora (l’effetto quando c’è la causa)? Dire ciò..è dire cose assurde, così si dà esistenza anticipata a ciò che non c’è ancora ed esistenza posticipata a ciò che non c’è più, e in entrambi i casi si dà essere al non-essere (l’effetto quando c’è la causa e la causa quando c’è l’effetto), di modo che, essendoci la causa (trovandoci nel ‘prima’), affinché questa possa determinare l’effetto, cioè lo ‘necessiti’, l’effetto dovrebbe preesistere a se stesso e quindi esistere quando non esiste, iniziare prima di iniziare, allo stesso modo l’effetto, per poter essere determinato dalla causa (trovandoci nel ‘poi’), lascia presupporre che la causa seguiti ad esistere dopo la sua fine, e perciò ad esistere e non esistere, finire e non finire, il che è contraddittorio. Ciò si evita solo ammettendo che la causa ‘divenga’ l’effetto, ma ciò lo si è già mostrato per assurdo (Contraddizione della ‘legge di causalità’)” (C. De Cristofaro - “La filosofia dell’immediatezza sentimentale”). Arrivai, alla fine, ad elaborare il “principio di in derivabilità” o “principio di individualità piena”: “se A è trasformazione di B  (o divenire di B), allora c’è contraddizione in quanto B è se stessa (quando è B nel ‘prima’) e non è se stessa (quando è A nel ‘poi’), perché è sempre B ciò che ‘diventa’ A, lo stesso per A, che è se stessa (quando è A nel ‘poi’) e non è se stessa (quando era ancora B nel ‘prima’)..ciò è contraddittorio rispetto all’oggetto (o realtà) secondo il tempo (Dimostrazione della validità del ‘Criterio di inderivabilità’)” (C. De Cristofaro - “La filosofia dell’immediatezza sentimentale”). Questo significa che la responsabilità di una malattia si trova sempre all’interno di un organismo, cioè di se stessi. Ci possono, certo, essere ambienti più o meno salubri per le persone, ma queste ultime si ammalano sempre per carenze organiche o psicologiche “proprie”. Solo che questo non viene ammesso per il pregiudizio per cui “la colpa è sempre degli altri”, pregiudizio ancestrale che la scienza, in particolare la medicina e la psicologia, segue a pieno. Il fatto è che la scienza consente, in tal modo, non solo l’isolamento della persona considerata infettante (rovinando la sua vita sentimentale, sessuale, sociale), ma consente anche il controllo da parte del potere politico di ogni persona, basta dichiarare che è portatore di malattie infettive o pericoloso. La società, ormai impregnata fino ad un fanatismo medievale di scientismo, nega, su basi scientifiche, la libertà della persona ed è per questo motivo che occorre parlare di “fascismo sanitario”. Non vedere questo contrasto tra scienza e libertà individuale significa essere acritici e aver subito il lavaggio del cervello dall’educazione scientifica scolastica e divulgativa.

Roma, settembre 2016