Cerca nel blog

martedì 26 aprile 2016


TERRA

    I versi che seguono hanno un fondamento filosofico-esistenziale in una persona che, come me, rifiuta la civiltà moderna, industriale, commerciale, scientifica e tecnologica. Nella poesia, nel mio “ritorno alla terra”, cioè alla natura e alla vita che essa prevede, non faccio una netta distinzione tra la vita del cacciatore-raccoglitore e quella dell’agricoltore, perché entrambe, rispetto alla città e alla civiltà moderna, sarebbero un enorme passo in avanti. Tuttavia riconosco la superiorità morale della cultura di caccia e raccolta rispetto a quella agricola, perché essa consente a piante e animali di vivere pienamente liberi la loro vita fino a quando, per semplice “necessità”, l’uomo non uccide per procurarsi i prodotti della caccia e della raccolta. In altri termini, la cultura dei cacciatori-raccoglitori ha un senso della terra maggiormente etico rispetto a quello dell’agricoltore. L’agricoltore e l’allevatore si possono considerare allo stesso livello etico, nel senso che l’allevatore fa agli animali quello che l’agricoltore fa alla piante, cioè pretendono di dominare il mondo vegetale e quello animale, selezionano solo le specie che ritengono utili all’uomo e le tengono in cattività, togliendo loro la libertà naturale e selvaggia: “La scrupolosa sorveglianza sulla varietà delle piante trova il suo parallelo nell’addomesticamento degli animali, che sfida pure la selezione naturale e ristabilisce il mondo organico e controllato su un livello artificiale e degradato” (J. Zerzan - “Primitivo attuale” - Agricoltura). Tuttavia sia l’agricoltura industriale che l’allevamento industriale sono gravissime degradazioni ulteriori della stessa agricoltura e dello stesso allevamento e trattano piante e animali senza il minimo rispetto. Gli stessi prodotti che ne derivano, sia animali che vegetali, sono pieni di veleni e alla fine privi di sapore e quasi plastificati. Questo significa che si possono ottenere prodotti agricoli e da animali in modo più rispettoso. In ogni caso non voglio qui affrontare questo problema del rapporto tra mondo agricolo e mondo dei cacciatori-raccoglitori, essendo esso nella poesia secondario. La principale contrapposizione presente nella poesia è quella che Schmitt definirebbe contrapposizione tra “terra” e “mare”. Schmitt ragiona in termini di Stato e questo non è condivisibile, ma anche nelle tribù primitive e nomadi esisteva il problema della “terra”, il problema dei “territori” di caccia e raccolta. Considerando che lo sfruttamento della natura presso i popoli primitivi non era per nulla intensivo, appare ovvio che un determinato territorio non era sufficiente a sfamare due tribù, ne conseguiva che, nel “diritto alla terra”, la prima tribù occupante un territorio impediva per diritto naturale, anche con la guerra, all’altra tribù di invadere il suo territorio di caccia e raccolta. La stessa cosa avviene tra i liberi animali selvatici. Ne sorgevano spesso, quindi, delle guerre tra le tribù e questo spiega perché le guerre erano così frequenti. Ma non è che oggi le guerre non siano frequenti, non solo nei termini ufficiali (come la cronaca mondiale mostra), ma anche nei termini ufficiosi del mercato e dell’economia mondiale (perché ufficialmente ci si ritiene in pace). Infatti, all’interno della “pace” che governa l’economia mondiale, esiste una strisciante e continua guerra economica tra i popoli e tra gli individui. Una guerra, però, gestita dall’alto, da una prospettiva generale che risponde solo al tornaconto numerico e speculativo dell’economia mondiale. E’ la barbarie capitalistica del mercato globale. Ancora più mostruosa appare l’ipotesi per cui i popoli diventino degli organi integrati (divisone del lavoro tra i popoli) di un organismo mondiale chiamato “umanità”, anche perché bisognerebbe decidere quale popolo svolge il ruolo della testa e quale quello dei piedi. Presso i popoli primitivi, se si trattava di accogliere un fuoriuscito di un'altra tribù, lo si accoglieva, ma il concetto di accoglienza di interi popoli, come si vorrebbe oggi da parte della demagogia sia cristiana che della sinistra, non esisteva, perché contro natura. Questo significa che i popoli hanno un diritto alla terra in cui abitano, questo concetto sembra oggi messo in discussione da quello che Schmitt chiamava “diritto marittimo” (capitalismo, cristianesimo, comunismo). Il mare, dice Schmitt, secondo il vecchio diritto pubblico europeo era considerato “libero”, cioè, tranne una certa distanza dalla costa, non a disposizione di nessuno o a disposizione di tutti: “Il mare rimane invece al di fuori di ogni ordinamento spaziale specificatamente statale..E’ dunque libero da ogni tipo di autorità spaziale dello Stato. La terraferma viene suddivisa secondo chiare linee di confini in territori statali e spazi di dominio. Il mare non conosce altri confini che quelli delle coste. Esso rimane l’unica superficie spaziale libera per tutti gli Stati e aperta al commercio..Solo l’Inghilterra riuscì a passare da un’esistenza feudale e terranea medievale a un’esistenza puramente marittima..In pace lo si può dimenticare. Ma in guerra la libertà dei mari significa che l’intera superficie degli oceani del globo resta aperta e libera a ogni potenza belligerante” (C. Schmitt - “Il nomos della terra” III, 3). Con la fine della Seconda guerra mondiale, il concetto di “mare” e quello di “aria”, con l’eccezione dello “spazio aereo” dei vari Stati, divennero similari, tanto è vero che la potenza marittima inglese venne sostituita da quella statunitense che, per di più, vantava anche una grande potenza aerea. Gli Stati Uniti sostituirono l’Inghilterra come portatori del “diritto marittimo”. Il “diritto marittimo”, sia militare che commerciale, non può essere gestito che dal più forte e tende a superare ogni limite. Esso, quindi, si caratterizza, rispetto a quello terrestre, per la sua mancanza di limiti, per cui scavalca il diritto dei singoli Stati, delle singole comunità, dei singoli individui, con il diritto internazionale, allo stesso modo in cui il commercio scavalca l’interesse delle singole comunità (sarebbe come se le tribù primitive venissero gestite dall’alto) e allo stesso modo in cui l’internazionalismo umanitario della sinistra o l’universalismo cristiano scavalcano le singole comunità e il legittimo interesse dei singoli. Quando si cacciano gli abitanti di un paese o di un quartiere cittadino per costruire una strada, semplicemente è stato imposto il “diritto marittimo” sul “diritto alla terra”. Viene imposto l’universalismo dell’impero e dell’indifferenziato della comunicazione e del commercio: “Il declino dello jus publicum Europaeum <Stati che si limitavano reciprocamente sulla “terra”, declino evidente soprattutto dalla fine della Seconda guerra mondiale a causa del trionfo dell’’illuminismo dell’impero ‘informale’ degli Stati Uniti d’America> in un indifferenziato diritto mondiale non poteva più essere fermato. La dissoluzione nel generale-universale era contemporaneamente la distruzione dell’ordinamento globale della terra <diritto alla terra> fino a quel momento esistente..oltre, dietro e accanto ai confini politico-statali tipici di un diritto internazionale apparentemente solo interstatale, politico, si estendeva, onnipervasivo, lo spazio di un’economia libera, ovvero non statale, che era un’economia mondiale. Nell’idea di una libera economia mondiale era insito..il superamento dei confini politico-statali” (C. Schmitt - “Il nomos della terra” IV, 2). Nel “diritto marittimo” e commerciale è insito il superamento di ogni distinzione locale riguardo alle comunità e alle individualità. Individui e popoli diventano solo acquirenti e venditori di un mercato globale. Questo annientamento delle diversità locali, siano esse di comunità o individuali, è inaccettabile. Questo significa che, nel “diritto marittimo”, individui e popoli devono essere sottomessi agli interessi economici e commerciali di una casta internazionale. Tutti i benpensanti che inveiscono contro i limiti che vengono messi ai migranti, che se ne rendano conto o no, stanno al servizio non della comunità locale o del loro interesse individuale, ma al servizio dell’economia mondiale, alla quale non interessa affatto, nella sua teorica non distinzione ideologica (cristiana, comunista e commerciale allo stesso tempo), l’esistenza di popoli e individui diversi nei vari territori. Sparisce, in tal modo, il “diritto alla terra”. E’ proprio sulla realtà della diversità di individui e popoli che si basava il “diritto alla terra”, ciò anche al di là dell’esistenza degli Stati, che, da anarchico, mi auguro spariscano. Anzi, l’esistenza degli Stati garantisce un ordine e una prepotenza sul territorio senza la quale non sarebbe neppure possibile imporre il diritto internazionale e l’economia mondiale nei vari luoghi, eppure questo diritto internazionale e l’economia mondiale non riconoscono l’autorità delle comunità locali e limitate che pure sfruttano, in virtù del fatto che il “diritto marittimo” non riconosce limiti. Chi più del borghese, che investe i suoi soldi in tutte le parti del mondo, che ha case e ville sparse in mille paesi diversi, che ignora i limiti della terra, è l’incarnazione del “diritto marittimo”? Ma l’uomo di sinistra vuole un “diritto marittimo” per i deboli e si fa complice del “diritto marittimo” dei forti. La gestione del mondo dall’alto a favore dei deboli (che si difendono meglio contro autorità solo locali) è un’illusione demagogica che presuppone o il “Grande fratello” o la gestione del mondo fatta direttamente da “Dio”. La cancrena cristiana ha bruciato il cervello dell’uomo di sinistra. Meglio, in modo anarchico, far sparire gli Stati, così ogni individuo, ogni popolo, ogni piccola comunità si impossessa di nuovo della sua casa, del suo terreno e del suo territorio e imporrà ai mercanti e agli affaristi di sottostare alle leggi del territorio. Sparisce il “libero commercio”, ma sparisce anche l’impero economico mondiale e spariscono anche gli inviti contro natura dei cristiani e dei comunisti ad accogliere interi popoli. Ecco, questa poesia, vuole riaffermare il “diritto alla terra”, e con esso la “differenza” di popoli e individui, contro la civiltà industriale e commerciale moderna. Il diritto alla terra presuppone dei “limiti” e delle “differenze” (locali e individuali), se non sono quelli dei confini statali, devono essere almeno quelli dei vari territori e delle varie mura domestiche. Chi viola i territori di un popolo o le mura domestiche delle persone, sia esso un povero migrante o un arrogante affarista borghese, deve essere accolto con la guerra e non con la pace suicida di cristiani e comunisti. I versi della mia poesia, poi, contrappongono la “terra” ai “cittadini”, perché la città e l’urbanesimo in generale sono una manifestazione concreta del potere commerciale e del “diritto marittimo”, infatti avere la città come “centro” degli scambi equivale ad avere un “centro commerciale” dove convergono le merci per gli acquisti e le vendite. Con l’estendersi dell’urbanizzazione i punti commerciali si estendono sul territorio, anche grazie al moltiplicarsi delle strade, ma si è ancora ben lontani dall’aver trasformato l’intera terra in un centro commerciale, per questo motivo le città sono ancora da considerare il “centro” del commercio e della logica “marittima” della delocalizzazione. Nel Medioevo i centri non erano così estesi perché la popolazione delle città non era ancora cresciuta in maniera esponenziale, insopportabile per la “Terra”, così come è avvenuto con la società industriale. Nel Medioevo l’unico luogo centrale era il “castello”, luogo di difesa, prima di tutto, “locale”e non di pace a priori. Anche se il castello rappresenta un potere feudale, in teoria si può dire che è migliore delle città, perché, se è vero, come dicevano nel Medioevo, che “l’aria delle città rende liberi”, dato che la città libera dal potere feudale, è anche vero che la città rappresenta, non solo un nuovo potere in se stesso (città-Stato), ma soprattutto l’affermarsi del “diritto marittimo” attraverso il suo estendere all’infinito l’urbanizzazione mediante l’infinito commercio e mediante la versione sublimata dell’infinito commercio, cioè la fratellanza universale cristiana, operaia, dei poveri, ecc..


Nulla amo
di più nella vita,
di una tavola rustica
bene imbandita

e l’aria libera
del contadino
che vede crescere
la vite ed il pino,

che coglie lieto
l’uva matura
e semina i solchi
dell’aratura,

che contempla
i mille colori
della natura
coi suoi odori,

amo la vita
selvaggia del bosco,
la libertà nel rischio
io riconosco,

e poi girar gaio
lungo le valli
con cani e pecore,
mucche e cavalli,

ma tornar subito
al mio casolare,
se Lei non mi può
più accompagnare:

amore, animali,
terra, campagna,
è vita di cui
solo un pazzo si lagna.


E noi? Che siamo?
Topi cittadini,
borghesi avidi
solo di quattrini,

siamo autori
di civili leggi urbane
e siamo disumani
più d’un pescecane,

amiamo i robot
e i burattini,
guastiamo con la tecnica
i bambini

e nella tisi
donata dal progresso,
il grande amore
lo chiamiamo “eccesso”,

noi che di tutto
diciamo “è superato”,
siamo soltanto
escrementi del creato.

(11/10/1983)



Nessun commento:

Posta un commento