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mercoledì 20 aprile 2016

DOMANI

    “Domani è un altro giorno” è una frase famosa, resa ancor più popolare dal fatto di essere ripetutamente pronunciata dalla protagonista, Rossella O’Hara, del film del 1939 “Via col vento”, in particolare nel finale davanti a un tramonto. La frase può, certamente, avere un senso di stimolo alla vita dopo che essa ci ha riservato molte fatiche e molte delusioni. Nel film, però, Rossella appare un po’ egocentrica, in particolare nel fatto di voler conquistare l’amato Ashley, che aveva sposato un’altra donna. Insomma appare come una ragazza spregiudicata che insegue i suoi fini, proiettandosi nel futuro, senza troppi scrupoli. I versi che seguono intendono contestare proprio questo cinismo finalistico e proiettivo nel futuro. Anche se presa nel suo lato migliore la frase indica comunque un proiettarsi nel “futuro”. Ancora oggi non si fa altro che parlare di “futuro”, sembra che non esista altro che il futuro, per questo poi si fa molta retorica e demagogia intorno ai giovani, argomento molto sfruttabile politicamente. I giovani, naturalmente, troveranno la loro strada, non è necessario che la politica ne faccia un cavallo di battaglia, perché ciò equivale a sfruttare un normale cambio generazionale in modo demagogico. Il fatto è che il “futuro” è la “parola d’ordine” del “progressista” e quando scrivo “ordine” voglio proprio intendere il dogma che deve essere imposto e a cui tutti devono sottomettersi come ad un regime totalitario mentale e sociale. La parola “futuro” viene sfruttata dal commercio per vendere i prodotti e le tecnologie “del futuro”, come se bastasse aggiungere la parola “futuro” per far diventare obbligatori, o come minimo alla moda, i prodotti, le tendenze sociali, i comportamenti. Lo stesso successo delle nuove generazioni non può essere obbligatorio, perché ogni generazione deve avere solo quanto spetta ai suoi meriti. La parola “futuro” nella cultura progressista ha un barbaro valore “normativo”, detta legge, non rispetta la libertà, l’individuo non appare più libero di muoversi verso le scelte che sente sue, sia che appartengano al passato, sia che appartengano al futuro, sia che se ne freghino di tutto ciò. Questa corsa folle verso il “futuro”, che appiattisce il presente a semplice passaggio, mentre è l’unico tempo della realtà e della vita, sottopone gli individui ad uno stress continuo da “cambiamento” e "innovazione", perché il “futuro” equivale ad andare “oltre” in perpetuo, a dover raggiungere sempre una “méta”, senza un presente in cui riposare, come, a ragione, rimproverava Jonas a Heidegger (ma il problema non era solo di Heidegger, è qualcosa che ha le sue radici nelle basi illuministiche e progressiste della civiltà moderna): “se cerchiamo di sistemare..le categorie di esistenza di Heidegger..facciamo una scoperta sorprendente..la colonna sotto il termine ‘presente’ rimane quasi vuota..non c’è presente in cui riposare, soltanto la crisi tra passato e futuro” (H. Jonas - “La religione gnostica”). Chi parla continuamente di “futuro” non vede altro che questo passare dal passato al futuro, il progressista fa del passato un disvalore morale, mentre fa del futuro un valore morale. Questa ciarlataneria progressista deve finire. Essa non tiene minimamente conto della vecchiaia e della morte. Parlare di “futuro” ad un vecchio ad un certo punto diventa una vera e propria mancanza di rispetto. Il vecchio ha nei ricordi, spesso, i veri sostegni della sua stessa vita attuale, mentre il superficiale “andare sempre avanti”, verso il futuro, a volte indica una vuotezza d’animo sconcertante. Il vecchio, se solo ha una minimo di consapevolezza della sua condizione fisica, sa di non avere futuro e non è bello parlare ad una persona continuamente di quello che non può avere. Sarebbe come mettere una torta sotto il naso di chi muore di fame, sapendo di non potergliela dare. Questi concetti, che mi hanno portato fino a sentire la nausea verso il progressismo, mi erano chiari fin dal 1984, cioè a trentasei anni. A scuola ho anche cercato di farli comprendere con la sensibilità romantica che manca del tutto al progressista. La piccola poesiola era, appunto, una prima protesta: non parlate di “futuro” agli anziani e non imponetelo, perché imporre il “futuro” agli anziani significa escluderli dalla vita sociale. Sembra anzi che l’unica preoccupazione che il progressista ha verso gli anziani è che muoiano presto, così che il futuro, le nuove generazioni, possano trionfare. Forse è giunto il momento di creare un movimento anziani anti-progressista.


Domani è un altro giorno,
per te che vivi ancora,
non hai la morte intorno
e sarà tua l’aurora,

ma noi che siam vicini
a quella sepoltura
dove la vita stessa
di vivere ha paura,

col palmo della mano
nell’ultima dimora
noi cercheremo invano
                           la luce di un’aurora.                           



(15/11/1984)

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