DOMANI
“Domani
è un altro giorno” è una frase famosa, resa ancor più popolare dal fatto di
essere ripetutamente pronunciata dalla protagonista, Rossella O’Hara, del film
del 1939 “Via col vento”, in particolare nel finale davanti a un tramonto. La
frase può, certamente, avere un senso di stimolo alla vita dopo che essa ci ha
riservato molte fatiche e molte delusioni. Nel film, però, Rossella appare un
po’ egocentrica, in particolare nel fatto di voler conquistare l’amato Ashley,
che aveva sposato un’altra donna. Insomma appare come una ragazza spregiudicata
che insegue i suoi fini, proiettandosi nel futuro, senza troppi scrupoli. I
versi che seguono intendono contestare proprio questo cinismo finalistico e
proiettivo nel futuro. Anche se presa nel suo lato migliore la frase indica
comunque un proiettarsi nel “futuro”. Ancora oggi non si fa altro che parlare
di “futuro”, sembra che non esista altro che il futuro, per questo poi si fa
molta retorica e demagogia intorno ai giovani, argomento molto sfruttabile
politicamente. I giovani, naturalmente, troveranno la loro strada, non è
necessario che la politica ne faccia un cavallo di battaglia, perché ciò
equivale a sfruttare un normale cambio generazionale in modo demagogico. Il
fatto è che il “futuro” è la “parola d’ordine” del “progressista” e quando
scrivo “ordine” voglio proprio intendere il dogma che deve essere imposto e a
cui tutti devono sottomettersi come ad un regime totalitario mentale e sociale.
La parola “futuro” viene sfruttata dal commercio per vendere i prodotti e le
tecnologie “del futuro”, come se bastasse aggiungere la parola “futuro” per far
diventare obbligatori, o come minimo alla moda, i prodotti, le tendenze
sociali, i comportamenti. Lo stesso successo delle nuove generazioni non può essere
obbligatorio, perché ogni generazione deve avere solo quanto spetta ai suoi
meriti. La parola “futuro” nella cultura progressista ha un barbaro valore
“normativo”, detta legge, non rispetta la libertà, l’individuo non appare più
libero di muoversi verso le scelte che sente sue, sia che appartengano al
passato, sia che appartengano al futuro, sia che se ne freghino di tutto ciò.
Questa corsa folle verso il “futuro”, che appiattisce il presente a semplice
passaggio, mentre è l’unico tempo della realtà e della vita, sottopone gli
individui ad uno stress continuo da “cambiamento” e "innovazione", perché il “futuro” equivale
ad andare “oltre” in perpetuo, a dover raggiungere sempre una “méta”, senza un
presente in cui riposare, come, a ragione, rimproverava Jonas a Heidegger (ma
il problema non era solo di Heidegger, è qualcosa che ha le sue radici nelle
basi illuministiche e progressiste della civiltà moderna): “se cerchiamo di sistemare..le categorie di esistenza di
Heidegger..facciamo una scoperta sorprendente..la colonna sotto il termine
‘presente’ rimane quasi vuota..non c’è presente in cui riposare, soltanto la
crisi tra passato e futuro” (H. Jonas -
“La religione gnostica”). Chi parla continuamente di “futuro” non vede
altro che questo passare dal passato al futuro, il progressista fa del passato
un disvalore morale, mentre fa del futuro un valore morale. Questa
ciarlataneria progressista deve finire. Essa non tiene minimamente conto della
vecchiaia e della morte. Parlare di “futuro” ad un vecchio ad un certo punto
diventa una vera e propria mancanza di rispetto. Il vecchio ha nei ricordi,
spesso, i veri sostegni della sua stessa vita attuale, mentre il superficiale
“andare sempre avanti”, verso il futuro, a volte indica una vuotezza d’animo
sconcertante. Il vecchio, se solo ha una minimo di consapevolezza della sua
condizione fisica, sa di non avere futuro e non è bello parlare ad una persona
continuamente di quello che non può avere. Sarebbe come mettere una torta sotto
il naso di chi muore di fame, sapendo di non potergliela dare. Questi concetti,
che mi hanno portato fino a sentire la nausea verso il progressismo, mi erano
chiari fin dal 1984, cioè a trentasei anni. A scuola ho anche cercato di farli
comprendere con la sensibilità romantica che manca del tutto al progressista.
La piccola poesiola era, appunto, una prima protesta: non parlate di “futuro”
agli anziani e non imponetelo, perché imporre il “futuro” agli anziani
significa escluderli dalla vita sociale. Sembra anzi che l’unica preoccupazione
che il progressista ha verso gli anziani è che muoiano presto, così che il
futuro, le nuove generazioni, possano trionfare. Forse è giunto il momento di
creare un movimento anziani anti-progressista.
Domani
è un altro giorno,
per
te che vivi ancora,
non
hai la morte intorno
e
sarà tua l’aurora,
ma
noi che siam vicini
a
quella sepoltura
dove
la vita stessa
di
vivere ha paura,
col
palmo della mano
nell’ultima
dimora
noi
cercheremo invano
la
luce di un’aurora.
(15/11/1984)
Nessun commento:
Posta un commento