LA POLITICA E LA
SCIENZA COME OPPIO DEI LAICI
Marx affermò che la religione è l’oppio dei
popoli. Aveva ragione. Ma bisogna andare oltre, perché quel particolare
oppiaceo che è la religione è diventato un mostro a due, tre o più teste. Da un
lato è rimasto se stesso, cioè religione, dall’altro lato si è trasformato ed è
diventato politica e scienza. Politica e scienza, quindi, non sono altro che una
“trasformazione” della religione, una trasformazione operata dai laici. Un
oppiaceo, anche se si trasforma, rimane pur sempre un oppiaceo, quindi politica
e scienza sono l’oppio dei laici. Marx consumava abbondantemente l’oppio dei
laici, cioè politica e scienza. Un consumatore di oppio non è autorizzato a
criticare altri consumatori di oppio, come i religiosi, perché vede la trave
negli occhi dei religiosi e non vede la trave che sta nei suoi occhi. Che la
politica e la scienza siano lo sviluppo della religione, cioè dell’oppio dei
popoli, era già stato notato, di fatto, da Feuerbach: “tutto ciò che, nel corso dello sviluppo della civiltà umana, è venuto
a far parte della cultura, dell’attività cosciente e autonoma,
dell’antropologia, era stato, in origine, affare della religione o teologia,
come, ad esempio, la giurisprudenza..la politica..la farmacologia” (L. Feuerbach - “L’essenza della religione”
34). Il prete sta alla religione, come il politico sta alla società. In
sostanza, nella gestione dell’antropologico, il politico è l’erede del prete.
Se, invece, si parla di gestione della natura, allora l’erede del prete è lo
scienziato. La differenza tra politico e scienziato non sta nell’atteggiamento,
ma sta nell’oggetto a cui si rivolgono: l’antropologico, nella politica, la
natura, nella scienza. Ma politica e scienza celano in sé l’autoritarismo
religioso. L’autorità di Dio, nella religione, non si discuteva e si imponeva
tanto all’antropologico che alla natura. La religione non aveva
specializzazioni in senso antropologico (politica) o in senso naturalistico
(scienza). Non è un caso che, a ragione, Horkheimer e Adorno definirono
l’Illuminismo come una “dittatura della ragione”, cioè dell’“equivalente”: “L’illuminismo si rapporta alle cose come il
dittatore agli uomini” (M. Horkheimer -
T. W. Adorno - “Dialettica dell’illuminismo”). L’Illuminismo è il
movimento che ha fondato il laicismo borghese e socialista (il socialista non è
che un borghese radicalmente egualitarista, nulla di più), quindi è il
movimento che ha trasformato l’oppio religioso in oppio laico, cioè in oppio
politico e scientifico. Se i religiosi avvelenano con l’oppio dei popoli e i
laici avvelenano con l’oppio politico (antropologico) e scientifico (natura),
perché dovremmo avere una preferenza per una fazione? Si tratta in entrambi i
casi di avvelenatori mediante l’oppio. La supponenza del laico, quindi, di
essere depositario di una verità superiore, “scientifica” dice spesso, è solo
l’arroganza e l’intolleranza di un fanatico che non ha niente di meno del
fanatismo religioso. Sul fatto che, con la scienza, l’uomo si comporti come un
“dittatore” della natura non possono esservi dubbi, se, fin dalle sue origini,
la scienza si propose questo obiettivo: “conoscendo
il potere e gli effetti del fuoco, dell’acqua, dell’aria, degli astri, dei
cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano..potremmo utilizzare..quei
corpi a tutti gli usi cui sono adatti e divenir così quasi padroni e possessori
della Natura” (R. Descartes (Cartesio) -
“Il discorso sul metodo”). L’imposizione sta nel fatto che già nel
metodo viene imposta alla natura, direbbe Feuerbach, “l’essenza umana”, vale a
dire la “ragione” e la “legge scientifica”. La ragione e la legge scientifica
sono delle generalizzazioni imposte alla varietà delle cose naturali, sia in
riferimento alla diversità delle specie e sia in riferimento alla diversità
degli individui. Nella scienza la natura viene a trovarsi di fronte all’uomo
esattamente nella stessa posizione in cui, nel cristianesimo, gli uomini si
trovavano di fronte a Dio: “Il pagano ha
divinità sessuate e nazionali; ma davanti al dio dei cristiani non c’è né ebreo
né pagano, né maschio né femmina: davanti a Dio tutti gli uomini sono uguali” (L. Feuerbach - “L’essenza della religione”
- La differenza tra la divinizzazione pagana e quella cristiana dell’uomo).
Di fronte alla ragione e alla legge scientifica tutte le cose del mondo
naturale sono “uguali”. Allo stesso modo, nella politica, tutti sono “uguali”
di fronte all’essenza dell’uomo. Tale metodo vale per ogni cosa, come il metodo
dell’analisi e della concettualizzazione. Anche se le cose sono diverse, tutte
subiscono il medesimo trattamento, perché questo trattamento altro non è che
l’imposizione delle categorie mentali antropologiche dell’uomo alla natura.
Viene imposta alla natura, corpo umano compreso (che è natura e non una
categoria antropologica), l’essenza dell’uomo. L’essenza dell’uomo, nella
scienza, svolge il ruolo di dittatore nei confronti delle cose naturali. Le
cose naturali vengono viste solo nella dimensione che la scienza propone,
vengono viste come le vede l’essenza dell’uomo, non come sono in se stesse e
neppure come le vede ogni singolo uomo. L’essenza dell’uomo, fattasi ragione e
legge scientifica, insomma è qualcosa di staccato dalla natura (nonché dal
singolo individuo umano) che, come Dio, si impone di autorità alla natura
stessa. La scienza è l’alienazione autoritaria nella natura dell’essenza
dell’uomo. Nei limiti in cui la scienza viene imposta anche agli esseri umani
individuali, essa è sempre l’alienazione nei nostri corpi e nella nostra mente,
trattati come le cose naturali, dell’essenza dell’uomo imposta in modo
autoritario. Una scienza dell’uomo e una dittatura sull’individuo sono la
stessa cosa. La scienza sta alla natura e anche all’uomo trattato come natura
esattamente come Dio stava nelle religioni. Per poter esistere questa
imposizione autoritaria e dittatoriale, l’essenza dell’uomo deve staccarsi
dalla natura individuale delle cose e degli uomini, il che nell’essenza umana
avviene per la sua stessa struttura “concettuale”: “Come l’uomo è prima un essere puramente fisico <naturale> e poi diventa un essere politico <si
subordina all’essenza dell’uomo>, che
si distingue, cioè, dalla natura e si concentra su di sé <antropologico>, anche il suo dio, che in origine è
soltanto un essere fisico <paganesimo>, diventa in seguito un essere politico <cristianesimo>, distinto dalla natura. L’uomo arriva
dunque a distinguere la propria essenza dalla natura, solo in quanto si unisce
con altri uomini in comunità”(L.
Feuerbach - “L’essenza della religione” 37). Se ne deduce che ogni
depravazione naturale dell’uomo dipende sempre dalla “comunità”. Da quanto dice
Feuerbach, però, si deduce principalmente che “l’essenza dell’uomo” è “distinta dalla natura”, è un artificio,
artificio che, sempre mediante una forma di alienazione, nelle religioni dà
luogo a Dio, nell’antropologico dà luogo alla politica, nella natura dà luogo
alla scienza. In tutti i casi si dà una natura e una naturale libertà
individuale “dominate”, da Dio, dal potere decisionale del politico, dal
razionalismo scientifico. Religione, politica e scienza, mediante l’essenza
dell’uomo, sono imposizioni dal carattere “spirituale”, perché sono entità
sospese in aria e scisse tanto dalle cose naturali quanto dagli individui umani
naturali (dualismo). Così come il Dio biblico aleggiava sulle acque: “sulle acque aleggiava lo Spirito di Dio” (“Antico testamento” - “Genesi” 1, 2),
allo stesso modo “l’essenza umana” aleggia sulle cose naturali e sugli
individui umani. Qualcuno dirà che questo autoritarismo e potere dittatoriale dello
spirito, cioè del concetto, dell’essenza umana, è possibile nelle religioni e
nella scienza, ma non nella politica, almeno se si parla di politica
democratica. Prescindendo dal fatto che la politica, storicamente, è stata
spesso e volentieri “dittatura” (nella storia sono esistiti più Stati dittatoriali
che democratici e spesso si trattava anche di falsa democrazia, il che mostra
il vero volto della politica con i “fatti”), neanche la democrazia sfugge al
principio dell’autorità dittatoriale dell’essenza umana. Il politico, come
diceva a ragione Schmitt, “decide” e non decide per sé soltanto, ma decide per
tutta la comunità. Non è possibile che nella comunità siano tutti d’accordo con
chi svolge il ruolo di politico di professione, ruolo che è il proseguimento di
quello del prete. Se ne deduce che non c’è atto politico che non sia un atto di
autorità e di violenza nei confronti di qualcuno. Questa caratteristica
dittatoriale e decisionista è strutturale nella politica, non è casuale. Il
politico è il gestore dell’essenza umana rivolta all’antropologico, cioè la
politica, così come lo scienziato è il gestore dell’essenza umana rivolta alla
natura, cioè la scienza, tutto ciò allo stesso modo in cui il prete era il
gestore dell’essenza umana alienata in Dio. Se lo scienziato aliena l’essenza
umana nelle cose naturali, ignorando nella realtà l’autonomia della cose
naturali (compresi gli individui umani), il politico in cosa aliena l’essenza
umana? Fino a quando c’era la teocrazia, bastava alienarla in Dio, la cui
autorità era indiscutibile. Ma nella democrazia le cose come vanno? L’essenza
umana, a volte anche razionale (specie se il politico è uno scientista), viene
alienata nel “popolo”. “Essenza umana” e “popolo” nelle democrazie sono la
stessa cosa, ma sono entrambe distinte dalla natura, per cui il “popolo”, così
come “l’essenza umana”, è come lo Spirito di Dio, cioè “aleggia”, in virtù delle decisioni prese dal politico per tutti,
sopra tutti i “diversi” individui che dovrebbero comporre il popolo. Qualcuno è
d’accordo con le decisioni prese dal politico, spesso per volgare convenienza,
quindi per un meschino egocentrismo fatto pagare a chi non è d’accordo, ma
molti, se lasciati liberi, non sarebbero d’accordo. La politica, quindi, si
stacca, comunque, dalla totalità degli individui, in nome dei quali ha la
pretesa di decidere, perché in democrazia la politica non governa in nome della
maggioranza (che poi è pilotata, perché il politico di professione ribalta
spessa lo stesso rapporto tra se stesso e la maggioranza, è lui che crea la
maggioranza che lo segue per interesse e vigliaccheria), ma in nome del
“popolo”, che dovrebbe essere la totalità. Quale politico governa con le idee
dell’opposizione? E, se lo fa, la propria fazione politica, a ragione, lo ritiene
un traditore. Ma perché può farlo? Perché il vincitore di una gara politica
(elezioni) alla fine ottiene tutto il potere, non solo una parte. E’ vero che
le democrazie (di più il liberalismo) cercano di mettere dei paletti al potere
del politico, ma il politico, in ogni caso, diventa l’essenza umana, cioè il
gestore del popolo in quanto separato dagli individui naturali. Insomma, se è
necessario mettere dei paletti legislativi al potere del politico (sempre
aggirabili, come dimostra la storia), ciò vuole dire che il potere politico è
contro natura, è per sua natura autoritario come quello di un governo che
decide o di un Parlamento che legifera. Senza autorità nessun Parlamento
potrebbe legiferare e nessun governo potrebbe decidere. Questo significa che non
esiste la politica buona, la politica è sempre un assoggettamento autoritario degli
individui ad altri individui tramite “astrazioni” che si staccano dalla volontà
di ogni singolo individuo, astrazioni che, nelle dittature, assumono
caratteristiche populistiche, nelle democrazie assumono caratteristiche
razionali, scientiste, umanitarie, ma si tratta sempre di astrazioni come
“popolo” ed “essenza umana”. Se, come si era detto, “davanti a Dio tutti gli uomini sono uguali”, anche nella politica,
davanti all’essenza umana - che si stacca dai vari individui e diventa potere
decisionale -, tutti sono, o dovrebbero essere, “uguali”. Diventano tutti dei
“numeri”, cioè dei “cittadini”, sia quando votano e sia quando vengono gestiti
dal potere. Perché la politica può rivendicare un potere solo se suppone che gli
individui, pur essendo diversi e quindi desiderosi di cose diverse, siano poi,
volenti o costretti, ad essere “uguali”. Ovviamente nella politica le
differenze, cacciate dalla porta, rientrano dalla finestra, perché la natura
non si lascia annientare così facilmente, e allora ecco che la politica rende “stratificato”
l’uguale: ci sono comunità di quartiere, di municipio, di comune, di regione,
di nazione, di continente o quasi (Europa, Stati Uniti, Cina), mondiali (ONU e
altri organismi). La politica vive la contraddizione delle differenze dentro
l’uguaglianza e, a seconda delle differenze, si moltiplicano i centri di potere
politici, ci sono tante “essenze umane” per quante sono le diversità ammesse. E
così si moltiplicano i politici di professione (municipi, comuni, nazioni,
Europa, Onu) a seconda delle differenze locali, si moltiplicano i parassiti,
così come nelle religioni, pagane, cristiane, islamiche, si moltiplicavano i
preti e i sacerdoti. In tutti i casi il politico rappresenta “l’essenza
dell’uomo” posta di fronte agli individui diversi e reali, appiattiti nel
livellamento del “bravo cittadino”. Il politico del municipio rappresenta
l’essenza antropologica del municipio, il sindaco rappresenta l’essenza
antropologica della città, gli assessori regionali rappresentano l’essenza
antropologica della regione, i politici nazionali rappresentano l’essenza
antropologica della nazione, i deputati europei rappresentano l’essenza
antropologica dell’Europa e via dicendo. Un moltiplicarsi di papponi e di
poteri che non ha fine e neppure dignità.
La politica nasce nel laicismo umanitario al posto del re-dio della
teocrazia, ma l’Umanità, la comunità non sono meno tiranne e astratte di Dio,
l’essenza di Dio e quella dell’Umanità è sempre stata la stessa: “Il cristianesimo adora Dio nell’uomo..anche
la venerazione di Dio nell’uomo non è altro che la venerazione dell’uomo
stesso” (L. Feuerbach - “L’essenza della
religione” - La differenza tra la divinizzazione pagana e quella cristiana
dell’uomo). Dopo aver svelato che Dio ed essenza dell’uomo alienata
sono la stessa cosa, Feuerbach, seguito da Marx, commise l’imperdonabile errore
di adorare l’uomo. Più esatto è dire che il cristiano adora l’uomo in Dio, per
cui la forma di riferimento rimane Dio, mentre il laico umanitario adora Dio
nell’uomo, per cui la forma di riferimento rimane l’Umanità (da ciò il falso
ateismo del laico umanitario). Il laico umanitario adora l’essenza umana e “aleggia” sopra i reali individui naturali
come un padrone che fa il politico e sopra le reali cose naturali come un
padrone che fa lo scienziato. Far credere alla gente alla bontà della politica
e della scienza significa dare oppio alla gente, così come far credere alla
bontà della religione significava, come a ragione diceva Marx, dare oppio ai
popoli.
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