NO
ALLA SINISTRA IDEOLOGICA: NO AL FASCISMO FEMMINISTA DI STATO
La ministra francese dell’Educazione
nazionale, tale Najat Vallaud-Belkacem, vergogna della Francia e del governo di
sinistra pilotato da Hollande, ha stabilito che alcune favole, tra cui
“Cappuccetto rosso” e “Cenerentola”, sono “sessiste” e quindi vanno tolte dai
libri di testo delle scuole. Esaminiamo prima la questione dal punto di vista
ontologico, successivamente dal punta di vista politico, infine entrando nel
merito del contenuto delle favole.
Non se ne può più! La sinistra è
irrecuperabile: è malata di una cancrena ideologica che si basa sul
“pregiudizio di uguaglianza”, diventato criterio stesso della modernità con
l’affermarsi del protestantesimo, che proclamava che tutti gli uomini fossero
delle semplici “anime” e del tutto “uguali” davanti a “Dio”. Ma le “anime” non
esistono e “Dio” neppure. La sinistra, essendo la laicizzazione del
protestantesimo, è, come diceva Stirner per la Rivoluzione francese,
sostanzialmente “protestantesimo politico”, le “anime” vengono chiamate
“cittadini” e “Dio” viene chiamato “Stato”: ne viene fuori che tutti i
“cittadini” sono “uguali” davanti allo “Stato”. Ma neppure i cittadini e lo
Stato esistono al di fuori della mente umana, cioè nella realtà naturale. La
sinistra, quindi, è profondamente cristiana: come i protestanti detesta, anche
a ragione, le gerarchie cattoliche, e afferma ovunque l’uguaglianza, facendola
diventare un pregiudizio ideologico, quello di “uguaglianza” appunto. Come il
medico per esistere ha bisogno di malati, come la Chiesa per esistere ha
bisogno di poveri, allo stesso modo la sinistra per esistere ha bisogno di
vittime vere o presunte: lavoratori, donne, omosessuali, ecc. Di questo
parassitismo politico essa vive. L’uomo di sinistra vive facendo il
giornalista, il professore universitario o di liceo, il politico e in tutte
queste professioni pone un solo principio ideologico, cioè il “pregiudizio di
uguaglianza”. Questo principio non riconosce la differenza tra natura e società
e quindi è, ormai, diventato “principio di indifferenza”. Non a caso la nostra
ministra dell’Educazione nazionale francese è favorevole all’ideologia
“transgender”, un’ideologia che non riconosce l’oggettività della differenza
fisica sessuale e pone, partendo dall’uguaglianza delle anime e dei cittadini,
gli individui come se fossero tutti di sessualità neutra, come se fossero anime
asessuate e quindi delle semplici “possibilità sessuali”, come se la sessualità,
quindi, fosse una “possibilità” e non una “corporea necessità”. Queste persone,
malate di ideologia, vivono in un mondo mentale metafisico. Insomma il
“pregiudizio di uguaglianza”, come il cristianesimo da cui deriva, si pone
“contro natura”, cioè, come diceva Nietzsche, contro la realtà, producendo
tutto un mondo di finzioni intellettuali che sono una vera e propria
perversione: “quell’intero mondo di
finzioni <religioso, si parla del cristianesimo, ma la stessa cosa vale
per il mondo politico della sinistra che è ‘protestantesimo politico’> ha la sua radice nell’odio contro
l’elemento naturale (la realtà!)…l’istinto sacerdotale..non sopporta più il
prete come realtà..Il cristianesimo <protestante> nega la Chiesa <la sinistra non sopporta nessuna realtà, senza
distinguere tra natura e società>…nell’odio
istintivo contro ogni realtà abbiamo riconosciuto l’elemento propulsivo,
l’unico elemento propulsivo che è alla radice del cristianesimo <e della
sinistra>” (F. Nietzsche - “L’anticristo” 15, 27, 39). Ovviamente tale “elemento propulsivo”, che porta
all’odio contro la realtà, nella sinistra è proprio il “pregiudizio di
uguaglianza”. Ed è un elemento che nasce dalla viscere dell’interiorità
protestante, che nella sinistra diventa “protestantesimo politico”. E’ un
elemento “metafisico”, per sua natura “trans”, cioè che porta “oltre”, non solo
“oltre” i governi in carica e i pregiudizi sociali (ma ogni società nasce e si
afferma sulla base di pregiudizi, per eliminare i pregiudizi dovete eliminare
la società, in realtà si vuole sempre e solo sostituire i pregiudizi degli
altri con i propri: dovremmo sostituire eventuali pregiudizi “sessisti” con
pregiudizi “femministi”? Posso condividere o meno i pregiudizi, ma hanno tutti
diritto di esistenza, quel che non si può accettare è che alcuni diventino
“pregiudizi di Stato” e li imponga un governo mediante il suo ministro
dell’istruzione), ma anche, ed è quello che rende insopportabile la sinistra, “oltre”
il corpo, “oltre” l’istinto, “oltre” la natura. Quella “natura”, che a livello
istintivo ogni animale riconosce con una spontaneità disarmante, per l’uomo di
sinistra diventa un “concetto”, un concetto “problematico”, di qui il suo
continuo sbandare, la sua continua insicurezza, la sua continua miseria. Se si
va sempre “oltre”, alla fine, non si riconosce neppure se stessi: né la propria
individualità, né il proprio genere sessuale e via dicendo. La sinistra è
malata di quell’interiorismo protestante che diventa intellettualismo e
ideologia e come tale produce lo sfaldamento della persona nel rincorrere un “oltre”
che, alla fine, si rivela come un “niente”, come un semplice negare gli enti,
naturali prima di tutto, esattamente come avviene in Heidegger (non a caso
molto apprezzato proprio dagli intellettuali di sinistra, nonostante la sua
adesione al nazismo): “La nostra questione
relativa al niente ci deve condurre dinanzi alla metafisica stessa..come
designazione del domandare che va meta, trans, ‘oltre’ l’ente come tale” (M Heidegger - “Che cos’è metafisica?”). Nel
momento in cui non riconosco più la mia identità corporea sessuale, io sviluppo
l’idea “trans”: “transgender”, “transessualità”. Questo “trans” non esiste, è
pura metafisica. Nessuno mai ha veramente cambiato sesso, il transessuale è
solo un gay mutilato, con un organo genitale che non ha alcuna funzione attiva.
Ma l’idea “trans” presuppone appunto il “pregiudizio di uguaglianza” portato
alfine “contro natura”. Perché è chiaro che in natura l’andare “oltre” è
possibile solo dove si getta un ponte tra le diversità, ponte che è appunto
l’uguaglianza ipotetica. La diversità, individuale, sessuale, perfino tra i
popoli, sussiste nella misura in cui ognuno resta se stesso, non può più
sussistere quando si ha la pretesa di andare “oltre di sé”. L’andare “oltre di
sé” è, per sua struttura, una negazione della diversità naturale e questo è
possibile solo se si assolutizza l’uguaglianza, come avviene, appunto, nel
“pregiudizio di uguaglianza”. Questo pregiudizio è cronico nella sinistra ed è
insopportabile. Tale pregiudizio, nell’uomo e nella donna di sinistra, diventa
una vera e propria ossessione, lo si vuole ribadire dovunque, anche esaminando la
natura e perfino esaminando testi di altre epoche storiche, valutando il
passato in modo anacronistico, cioè sulla base del diffondersi del principio di
uguaglianza tipico del Novecento, o addirittura estrapolando delle frasi o
immagini dai testi, come ad esempio le favole indicate all’inizio, in modo da
vedere nei testi dei pregiudizi, magari “sessisti”, che nella favola non
sussistono e che vi vede solo l’ossessione ideologica.
Sulla scia di questo “pregiudizio di
uguaglianza” fin qui descritto, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta si
affermò l’ideologia femminista. Molte donne, diventate poi giornaliste,
professoresse, politici, si sono formate culturalmente in quegli anni e hanno
trasmesso, in tutto o in parte, alle figlie questa loro idiozia: in esse il
“pregiudizio di uguaglianza” è diventata una vera ossessione ideologica, come
nel caso della ministra dell’istruzione francese. Anche i maschi intellettuali,
ma non capaci di esercizio critico e pronti ad andare dove porta la corrente
culturale dei tempi, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta si sono adeguati alla
dilagante ideologia femminista. Si può essere anche d’accordo con la femminista
circa il fatto che l’educazione porti con sé elementi ideologici, siano essi
“sessisti”, “maschilisti”, “femministi” o altro ancora. Ma nella cultura di neutro
non c’è nulla: nemmeno la matematica, le scienze e le tecniche sono neutre, esse
sono l’asse portante, non solo dell’ideologia borghese, sorta tra 1400 e il
1800, ma anche di quella estensione “egualitarista” dell’ideologia borghese che
è il socialismo. L’anarco-primitivista Zerzan ha ragione nel denunciare come
ideologia la stessa scienza e la stessa tecnica: “Coloro che ancora sostengono che la tecnologia è ‘neutrale’, ‘un
semplice strumento’, non hanno ancora cominciato a riflettere sulla vera posta
in gioco..Marcuse, nel 1964, comprese infinitamente meglio il problema quando
suggerì che ‘il concetto stesso di ragione tecnica è forse ideologico..’” (J. Zerzan - “Dizionario primitivista” -
Tecnologia). La verità è che ogni forma di educazione, sia essa
scientifica o letteraria, è compromessa dall’ideologia. Ogni educazione ha per
scopo quello che qui, in modo acuto, nota Nietzsche: “Dai suoi educatori l’individuo viene trattato come se fosse sì
qualcosa di nuovo, ma dovesse diventare una ripetizione” (F. Nietzsche - “Umano, troppo umano” vol. 1° - 228). Come
petizione di principio siamo d’accordo sul fatto che ogni elemento educativo
sia un elemento ideologico. Ma ciò dovrebbe portare all’eliminazione
dell’educazione, non a sostituirla con un’altra, dovrebbe portare alla fine della
civiltà stessa, come si augura Zerzan, ma è sottinteso anche in Nietzsche.
Oppure, se non si riesce ad eliminare l’educazione e la civiltà, deve portare
al fatto che qualunque ideologia educativa ha diritto di essere rappresentata
nella cultura e nelle stesse scuole, anche elementari. Per cui pretendere di
stabilire cosa devono leggere o non leggere gli alunni sulla base della
distinzione tra “sessista” e “non-sessista”, sulla base di un divieto di Stato,
è soltanto una censura di Stato, in questo caso, anziché su base “maschilista”,
su base “femminista”. Che la sinistra si comporti come il fascismo non può
meravigliare, fa parte del suo DNA. Solo sotto il fascismo lo Stato imponeva
quel che doveva esserci o non esserci sui libri di scuola. Alla distinzione
censoria di Stato tra “fascista”-“non fascista”, la femminista di sinistra ha
sostituito la distinzione censoria di Stato tra “sessista”-“non sessista”, che
è una distinzione ideologica del femminismo. In altri termini o si elimina
l’educazione in generale e con essa l’ideologia in generale, oppure si ammette
qualsiasi tipo di educazione e qualsiasi tipo di ideologia, non spetta allo
Stato giudicare di queste cose, perché questo sarebbe uno “Stato etico” e lo
“Stato etico” per eccellenza è sempre stato quello nazi-fascista. La vocazione
censoria del nazi-fascismo è cronica nella malattia ideologica della sinistra.
Chiarito che, da un punto di vista
politico, non può esistere il femminismo di Stato, entriamo ora nel merito delle
favole. Premettiamo che queste favole vengono dalla tradizione popolare e che
vennero raccolte e organizzate in un libro di “Fiabe” dai fratelli Grimm.
Questa raccolta è uno dei capolavori della letteratura romantica mondiale.
Nulla di tutto questo, però, interessa all’ideologia della femminista che, in
modo ossessivo, cerca appigli per confermare ovunque la distinzione ideologica
“egualitarista” che le fornisce il suo “ego” intellettuale, cioè quella tra
“sessismo” e “non sessismo” che persegue con furia assassina allo stesso modo
in cui, nel Far west, i cacciatori di indiani perseguitavano gli indiani.
Ovviamente, se l’appiglio non c’è, lo si crea, magari supponendo, da qualche
frase o qualche immagine, perversi intenti “sessisti” nella favola che, perfino
tra gli adulti, solo la sua ossessione ideologica riesce a vedere. Essa
pretende (magari con il supporto di qualche cretino che si fa chiamare
“studioso”, che ha anche lui subito il lavaggio del cervello tra gli anni
Sessanta e gli anni Ottanta; la filosofia e la letteratura dovrebbero essere
vietate a psicologi, sociologi e pediatri), che il bambino di 5-6-7 anni, come
l’adulta femminista, veda nella favola l’intento “sessista” che non c’è, perché
è chiaro che le favole incriminate indicano ben altro. Basta una frase,
un’immagine per dichiarare “sessista” una favola o qualunque altro scritto del
passato, anche se di una tradizione gloriosa. La furia iconoclasta
dell’ideologia femminista distrugge i monumenti letterari del passato esattamente
allo stesso modo in cui gli islamisti dell’Isis distruggono i monumenti pagani
in Mesopotamia e in Siria.
“Cenerentola” sarebbe “sessista” perché si
dice ad una bambina di obbedire? Nessuno più di me, anarchico, detesta
l’obbedienza, ma bisogna pur trovare un modo per evitare i pericoli, quando si
tratta di bambini. Sarebbe “sessista” il fatto che Cenerentola, la donna
positiva della favola, faccia la “sguattera” in casa? La femminista ha, dunque,
stabilito che lavorare in casa sia, comunque, un fattore ideologico? Non solo
in tal modo offende tutte le oneste casalinghe di questo mondo, perché, stando
a lei, sarebbero espressione di una certa cretineria femminile che ha subito
una pressione ideologica (forse la femminista non si è resa conto che, tranne
in alcune zone arretrate del pianeta, le donne hanno superato da tempo il
problema e non hanno bisogno di un’ideologia femminista, ma fanno o non fanno i
lavori domestici per libera scelta e a seconda delle necessità della famiglia:
se subiscono il marito in questo la responsabilità è di chi non si ribella), ma
ha anche stabilito che il carrierismo borghese nella società civile sia la vera
meta dell’emancipazione femminile. C’è in questo, come diceva Nietzsche, una
certa “stupidità maschile”, la femminista
riproduce esattamente il prototipo del maschio ambizioso, perché, ovviamente,
vuole la parità tra i deputati, piuttosto che tra gli addetti alla spazzatura. Nella
favola “Cenerentola” è chiaro a tutti che solo un ossessa dall’egualitarismo,
come la femminista - pronta a vedere, quasi istericamente, “sessismo” in ogni
dove -, può vedervi del maschilismo o la semplice immagine della donna
“sguattera” in casa. La favola narra, semplicemente, la solitudine di
Cenerentola e la malvagità della matrigna e delle sorellastre. L’unico accenno
di colpa maschile può essere la figura assente del padre che non si accorge del
maltrattamento di questa sua figlia o se ne disinteressa. Il ruolo di
“sguattera” che Cenerentola svolge nella casa non è dovuto a chissà quale
“sessismo”, perché né la matrigna e né le sorellastre, figure femminili,
svolgono quello stesso ruolo e, anzi, quel ruolo, manifestandosi come
maltrattamento delle altre tre donne, è piuttosto denigrato che esaltato.
Oppure si vuole dire, con una raffinatezza intellettuale che dovrebbero avere
dei bambini di 5-7 anni, che la figura della donna non-sguattera è presentata
come cattiva e quella della donna sguattera è presentata come buona? Ma questo
significa leggere la favola con dei paraocchi ideologici, perché nella favola è
chiaro che l’essere costretta a fare la sguattera è segno di maltrattamento. O
forse è “sessista” il fatto che anche Cenerentola voglia partecipare alla festa
del re? Insomma si suppone un “simbolismo” che neppure gli adulti non femministi
capiscono, e si pretende che vengano capiti da alunni delle scuole di 5-7 anni?
Ma insomma fate ridere. Francesi non vi vergognate di un tale ministro
dell’istruzione? E’ chiaro che la lettura vera della favola alla femminista non
interessa, a quest’ultima basta vedere l’immagine di una donna con una scopa in
mano che fa le pulizie per farle scattare tutti gli odi repressi di questo
mondo. E’ il rancore che si trasforma in ossessione ideologica, insomma pura
meschinità. E la sinistra di queste donne ossessionate e rancorose fa delle
ministre dello Stato! Sputtana il già sputtanato Stato con la sua “fascistoide”
miseria ideologica.
Ancora più assurda è la censura di
“Cappuccetto rosso”, perché l’intento della favola è solamente quello di
instillare nei bambini una sana diffidenza. E’ vero che anche qui ciò si
manifesta nella forma discutibile dell’obbedienza, però è la madre stessa che invita
la bambina ad obbedire. E d’altra parte fino ad una certa età questo modo di
comportarsi dei genitori è accettabile, visto che i bambini non si rendono
conto dei pericoli che li circondano. E’ dai quindici anni in su che tale
comportamento dei genitori diventa inaccettabile. La favola vuole solo far
capire che il comportamento ingenuo della bambina e in parte anche della nonna
porta al disastro. L’intervento del cacciatore può essere paragonato a quello
di qualunque persona intervenga in soccorso di un’altra, non ha certo un scopo
“sessista”. Che si tratti di una bambina a dover obbedire e a non esser ingenua
è assolutamente indifferente ai fini dell’intento della favola. Scopo che è,
appunto, principalmente quella di educare a una sana diffidenza, tanto è vero
che la favola si conclude con la nonna e con Cappuccetto rosso rese ora più
diffidenti e addirittura capaci, non solo di non farsi sorprendere dal lupo, ma
perfino di far affogare il lupo con un congegno. Insomma solo il delirio
ideologico della femminista vede il “sessismo”. Se poi si vuole vedere nel
“lupo” uno stupratore o un maschio persecutore, allora vuol dire che la
femminista e tutte le donne che seguono questi ragionamenti stanno fuori di
testa. Ma io sono convinto che i pazzi non vanno assolutamente assecondati.
Nella realtà naturale (e non) siamo circondati dai pericoli, insegnare ai
bambini a vederli è un bene e non è una persecuzione delle donne. Ragionando
come ragiona la ministra femminista, vergogna della Francia, dovremmo togliere
dai libri di scuola anche la poesia di Leopardi “Il sabato del villaggio”, dove
si dice: “Siede con le vicine/ su la
scala a filar la vecchierella” (G.
Leopardi - “Canti” - “Il sabato del villaggio” vv. 8-9). L’immagine
della vecchierella intenta a fare un lavoro domestico, fatto per la famiglia,
per la femminista sarebbe “sessista”. Di questo atteggiamento ideologico della
sinistra non se ne può più in assoluto, soprattutto se diventa “censura di
Stato”.
Copia di questo scritto verrà inviato
all’ambasciata di Francia, affinché i francesi, sempre orgogliosamente
nazionalisti, possano anche vergognarsi, una volta tanto, di avere un ministro
dell’istruzione come quello che hanno.
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