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mercoledì 25 maggio 2016

LA POLITICA E LA SCIENZA COME OPPIO DEI LAICI

    Marx affermò che la religione è l’oppio dei popoli. Aveva ragione. Ma bisogna andare oltre, perché quel particolare oppiaceo che è la religione è diventato un mostro a due, tre o più teste. Da un lato è rimasto se stesso, cioè religione, dall’altro lato si è trasformato ed è diventato politica e scienza. Politica e scienza, quindi, non sono altro che una “trasformazione” della religione, una trasformazione operata dai laici. Un oppiaceo, anche se si trasforma, rimane pur sempre un oppiaceo, quindi politica e scienza sono l’oppio dei laici. Marx consumava abbondantemente l’oppio dei laici, cioè politica e scienza. Un consumatore di oppio non è autorizzato a criticare altri consumatori di oppio, come i religiosi, perché vede la trave negli occhi dei religiosi e non vede la trave che sta nei suoi occhi. Che la politica e la scienza siano lo sviluppo della religione, cioè dell’oppio dei popoli, era già stato notato, di fatto, da Feuerbach: “tutto ciò che, nel corso dello sviluppo della civiltà umana, è venuto a far parte della cultura, dell’attività cosciente e autonoma, dell’antropologia, era stato, in origine, affare della religione o teologia, come, ad esempio, la giurisprudenza..la politica..la farmacologia” (L. Feuerbach - “L’essenza della religione” 34). Il prete sta alla religione, come il politico sta alla società. In sostanza, nella gestione dell’antropologico, il politico è l’erede del prete. Se, invece, si parla di gestione della natura, allora l’erede del prete è lo scienziato. La differenza tra politico e scienziato non sta nell’atteggiamento, ma sta nell’oggetto a cui si rivolgono: l’antropologico, nella politica, la natura, nella scienza. Ma politica e scienza celano in sé l’autoritarismo religioso. L’autorità di Dio, nella religione, non si discuteva e si imponeva tanto all’antropologico che alla natura. La religione non aveva specializzazioni in senso antropologico (politica) o in senso naturalistico (scienza). Non è un caso che, a ragione, Horkheimer e Adorno definirono l’Illuminismo come una “dittatura della ragione”, cioè dell’“equivalente”: “L’illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini” (M. Horkheimer - T. W. Adorno - “Dialettica dell’illuminismo”). L’Illuminismo è il movimento che ha fondato il laicismo borghese e socialista (il socialista non è che un borghese radicalmente egualitarista, nulla di più), quindi è il movimento che ha trasformato l’oppio religioso in oppio laico, cioè in oppio politico e scientifico. Se i religiosi avvelenano con l’oppio dei popoli e i laici avvelenano con l’oppio politico (antropologico) e scientifico (natura), perché dovremmo avere una preferenza per una fazione? Si tratta in entrambi i casi di avvelenatori mediante l’oppio. La supponenza del laico, quindi, di essere depositario di una verità superiore, “scientifica” dice spesso, è solo l’arroganza e l’intolleranza di un fanatico che non ha niente di meno del fanatismo religioso. Sul fatto che, con la scienza, l’uomo si comporti come un “dittatore” della natura non possono esservi dubbi, se, fin dalle sue origini, la scienza si propose questo obiettivo: “conoscendo il potere e gli effetti del fuoco, dell’acqua, dell’aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano..potremmo utilizzare..quei corpi a tutti gli usi cui sono adatti e divenir così quasi padroni e possessori della Natura” (R. Descartes (Cartesio) - “Il discorso sul metodo”). L’imposizione sta nel fatto che già nel metodo viene imposta alla natura, direbbe Feuerbach, “l’essenza umana”, vale a dire la “ragione” e la “legge scientifica”. La ragione e la legge scientifica sono delle generalizzazioni imposte alla varietà delle cose naturali, sia in riferimento alla diversità delle specie e sia in riferimento alla diversità degli individui. Nella scienza la natura viene a trovarsi di fronte all’uomo esattamente nella stessa posizione in cui, nel cristianesimo, gli uomini si trovavano di fronte a Dio: “Il pagano ha divinità sessuate e nazionali; ma davanti al dio dei cristiani non c’è né ebreo né pagano, né maschio né femmina: davanti a Dio tutti gli uomini sono uguali” (L. Feuerbach - “L’essenza della religione” - La differenza tra la divinizzazione pagana e quella cristiana dell’uomo). Di fronte alla ragione e alla legge scientifica tutte le cose del mondo naturale sono “uguali”. Allo stesso modo, nella politica, tutti sono “uguali” di fronte all’essenza dell’uomo. Tale metodo vale per ogni cosa, come il metodo dell’analisi e della concettualizzazione. Anche se le cose sono diverse, tutte subiscono il medesimo trattamento, perché questo trattamento altro non è che l’imposizione delle categorie mentali antropologiche dell’uomo alla natura. Viene imposta alla natura, corpo umano compreso (che è natura e non una categoria antropologica), l’essenza dell’uomo. L’essenza dell’uomo, nella scienza, svolge il ruolo di dittatore nei confronti delle cose naturali. Le cose naturali vengono viste solo nella dimensione che la scienza propone, vengono viste come le vede l’essenza dell’uomo, non come sono in se stesse e neppure come le vede ogni singolo uomo. L’essenza dell’uomo, fattasi ragione e legge scientifica, insomma è qualcosa di staccato dalla natura (nonché dal singolo individuo umano) che, come Dio, si impone di autorità alla natura stessa. La scienza è l’alienazione autoritaria nella natura dell’essenza dell’uomo. Nei limiti in cui la scienza viene imposta anche agli esseri umani individuali, essa è sempre l’alienazione nei nostri corpi e nella nostra mente, trattati come le cose naturali, dell’essenza dell’uomo imposta in modo autoritario. Una scienza dell’uomo e una dittatura sull’individuo sono la stessa cosa. La scienza sta alla natura e anche all’uomo trattato come natura esattamente come Dio stava nelle religioni. Per poter esistere questa imposizione autoritaria e dittatoriale, l’essenza dell’uomo deve staccarsi dalla natura individuale delle cose e degli uomini, il che nell’essenza umana avviene per la sua stessa struttura “concettuale”: “Come l’uomo è prima un essere puramente fisico <naturale> e poi diventa un essere politico <si subordina all’essenza dell’uomo>, che si distingue, cioè, dalla natura e si concentra su di sé <antropologico>, anche il suo dio, che in origine è soltanto un essere fisico <paganesimo>, diventa in seguito un essere politico <cristianesimo>, distinto dalla natura. L’uomo arriva dunque a distinguere la propria essenza dalla natura, solo in quanto si unisce con altri uomini in comunità”(L. Feuerbach - “L’essenza della religione” 37). Se ne deduce che ogni depravazione naturale dell’uomo dipende sempre dalla “comunità”. Da quanto dice Feuerbach, però, si deduce principalmente che “l’essenza dell’uomo” è “distinta dalla natura”, è un artificio, artificio che, sempre mediante una forma di alienazione, nelle religioni dà luogo a Dio, nell’antropologico dà luogo alla politica, nella natura dà luogo alla scienza. In tutti i casi si dà una natura e una naturale libertà individuale “dominate”, da Dio, dal potere decisionale del politico, dal razionalismo scientifico. Religione, politica e scienza, mediante l’essenza dell’uomo, sono imposizioni dal carattere “spirituale”, perché sono entità sospese in aria e scisse tanto dalle cose naturali quanto dagli individui umani naturali (dualismo). Così come il Dio biblico aleggiava sulle acque: “sulle acque aleggiava lo Spirito di Dio” (“Antico testamento” - “Genesi” 1, 2), allo stesso modo “l’essenza umana” aleggia sulle cose naturali e sugli individui umani. Qualcuno dirà che questo autoritarismo e potere dittatoriale dello spirito, cioè del concetto, dell’essenza umana, è possibile nelle religioni e nella scienza, ma non nella politica, almeno se si parla di politica democratica. Prescindendo dal fatto che la politica, storicamente, è stata spesso e volentieri “dittatura” (nella storia sono esistiti più Stati dittatoriali che democratici e spesso si trattava anche di falsa democrazia, il che mostra il vero volto della politica con i “fatti”), neanche la democrazia sfugge al principio dell’autorità dittatoriale dell’essenza umana. Il politico, come diceva a ragione Schmitt, “decide” e non decide per sé soltanto, ma decide per tutta la comunità. Non è possibile che nella comunità siano tutti d’accordo con chi svolge il ruolo di politico di professione, ruolo che è il proseguimento di quello del prete. Se ne deduce che non c’è atto politico che non sia un atto di autorità e di violenza nei confronti di qualcuno. Questa caratteristica dittatoriale e decisionista è strutturale nella politica, non è casuale. Il politico è il gestore dell’essenza umana rivolta all’antropologico, cioè la politica, così come lo scienziato è il gestore dell’essenza umana rivolta alla natura, cioè la scienza, tutto ciò allo stesso modo in cui il prete era il gestore dell’essenza umana alienata in Dio. Se lo scienziato aliena l’essenza umana nelle cose naturali, ignorando nella realtà l’autonomia della cose naturali (compresi gli individui umani), il politico in cosa aliena l’essenza umana? Fino a quando c’era la teocrazia, bastava alienarla in Dio, la cui autorità era indiscutibile. Ma nella democrazia le cose come vanno? L’essenza umana, a volte anche razionale (specie se il politico è uno scientista), viene alienata nel “popolo”. “Essenza umana” e “popolo” nelle democrazie sono la stessa cosa, ma sono entrambe distinte dalla natura, per cui il “popolo”, così come “l’essenza umana”, è come lo Spirito di Dio, cioè “aleggia”, in virtù delle decisioni prese dal politico per tutti, sopra tutti i “diversi” individui che dovrebbero comporre il popolo. Qualcuno è d’accordo con le decisioni prese dal politico, spesso per volgare convenienza, quindi per un meschino egocentrismo fatto pagare a chi non è d’accordo, ma molti, se lasciati liberi, non sarebbero d’accordo. La politica, quindi, si stacca, comunque, dalla totalità degli individui, in nome dei quali ha la pretesa di decidere, perché in democrazia la politica non governa in nome della maggioranza (che poi è pilotata, perché il politico di professione ribalta spessa lo stesso rapporto tra se stesso e la maggioranza, è lui che crea la maggioranza che lo segue per interesse e vigliaccheria), ma in nome del “popolo”, che dovrebbe essere la totalità. Quale politico governa con le idee dell’opposizione? E, se lo fa, la propria fazione politica, a ragione, lo ritiene un traditore. Ma perché può farlo? Perché il vincitore di una gara politica (elezioni) alla fine ottiene tutto il potere, non solo una parte. E’ vero che le democrazie (di più il liberalismo) cercano di mettere dei paletti al potere del politico, ma il politico, in ogni caso, diventa l’essenza umana, cioè il gestore del popolo in quanto separato dagli individui naturali. Insomma, se è necessario mettere dei paletti legislativi al potere del politico (sempre aggirabili, come dimostra la storia), ciò vuole dire che il potere politico è contro natura, è per sua natura autoritario come quello di un governo che decide o di un Parlamento che legifera. Senza autorità nessun Parlamento potrebbe legiferare e nessun governo potrebbe decidere. Questo significa che non esiste la politica buona, la politica è sempre un assoggettamento autoritario degli individui ad altri individui tramite “astrazioni” che si staccano dalla volontà di ogni singolo individuo, astrazioni che, nelle dittature, assumono caratteristiche populistiche, nelle democrazie assumono caratteristiche razionali, scientiste, umanitarie, ma si tratta sempre di astrazioni come “popolo” ed “essenza umana”. Se, come si era detto, “davanti a Dio tutti gli uomini sono uguali”, anche nella politica, davanti all’essenza umana - che si stacca dai vari individui e diventa potere decisionale -, tutti sono, o dovrebbero essere, “uguali”. Diventano tutti dei “numeri”, cioè dei “cittadini”, sia quando votano e sia quando vengono gestiti dal potere. Perché la politica può rivendicare un potere solo se suppone che gli individui, pur essendo diversi e quindi desiderosi di cose diverse, siano poi, volenti o costretti, ad essere “uguali”. Ovviamente nella politica le differenze, cacciate dalla porta, rientrano dalla finestra, perché la natura non si lascia annientare così facilmente, e allora ecco che la politica rende “stratificato” l’uguale: ci sono comunità di quartiere, di municipio, di comune, di regione, di nazione, di continente o quasi (Europa, Stati Uniti, Cina), mondiali (ONU e altri organismi). La politica vive la contraddizione delle differenze dentro l’uguaglianza e, a seconda delle differenze, si moltiplicano i centri di potere politici, ci sono tante “essenze umane” per quante sono le diversità ammesse. E così si moltiplicano i politici di professione (municipi, comuni, nazioni, Europa, Onu) a seconda delle differenze locali, si moltiplicano i parassiti, così come nelle religioni, pagane, cristiane, islamiche, si moltiplicavano i preti e i sacerdoti. In tutti i casi il politico rappresenta “l’essenza dell’uomo” posta di fronte agli individui diversi e reali, appiattiti nel livellamento del “bravo cittadino”. Il politico del municipio rappresenta l’essenza antropologica del municipio, il sindaco rappresenta l’essenza antropologica della città, gli assessori regionali rappresentano l’essenza antropologica della regione, i politici nazionali rappresentano l’essenza antropologica della nazione, i deputati europei rappresentano l’essenza antropologica dell’Europa e via dicendo. Un moltiplicarsi di papponi e di poteri che non ha fine e neppure dignità. La politica nasce nel laicismo umanitario al posto del re-dio della teocrazia, ma l’Umanità, la comunità non sono meno tiranne e astratte di Dio, l’essenza di Dio e quella dell’Umanità è sempre stata la stessa: “Il cristianesimo adora Dio nell’uomo..anche la venerazione di Dio nell’uomo non è altro che la venerazione dell’uomo stesso” (L. Feuerbach - “L’essenza della religione” - La differenza tra la divinizzazione pagana e quella cristiana dell’uomo). Dopo aver svelato che Dio ed essenza dell’uomo alienata sono la stessa cosa, Feuerbach, seguito da Marx, commise l’imperdonabile errore di adorare l’uomo. Più esatto è dire che il cristiano adora l’uomo in Dio, per cui la forma di riferimento rimane Dio, mentre il laico umanitario adora Dio nell’uomo, per cui la forma di riferimento rimane l’Umanità (da ciò il falso ateismo del laico umanitario). Il laico umanitario adora l’essenza umana e “aleggia” sopra i reali individui naturali come un padrone che fa il politico e sopra le reali cose naturali come un padrone che fa lo scienziato. Far credere alla gente alla bontà della politica e della scienza significa dare oppio alla gente, così come far credere alla bontà della religione significava, come a ragione diceva Marx, dare oppio ai popoli.     

martedì 17 maggio 2016

LA FOLLIA E L’ARROGANZA DELLA TECNOLOGIA


Treni e metropolitane che camminano da sole, automobili che parcheggiano o camminano da sole. Robot sempre più sofisticati. DNA scambiato per verità di Dio. Cos’altro deve fare l’uomo per essere dichiarato folle? Fa veramente paura questo estendere continuamente la dipendenza dalla tecnologia, come se i computer, i metodi, i congegni fossero infallibili e non possano smettere di funzionare oppure non possano diventare pericolosi e falsi, in base alle circostanze, proprio là dove risultano funzionare meglio. La nostra vita sempre di più affidata a un automatismo elettronico o meccanico prestabilito non è follia? D’altro canto chiunque conosca solo un po’ la storia sa benissimo che la mentalità tecnologica non è altro che lo sviluppo della mentalità schiavistica, anzi è mentalità schiavistica essa stessa. La tecnologia ha sostituito lo schiavo, il cavallo, il servo, l’operaio in fabbrica. La mentalità tecnologica è tale che, non appena gli strumenti tecnologici venissero a mancare (per difetto di materia, di energia o di capacità di costruzione), essa si riconvertirebbe, con maggiore o minore rapidità a seconda delle resistenze, ma infallibilmente, nuovamente in mentalità apertamente schiavistica. Così come con lo schiavo, con il cavallo, con il servo, con l’operaio l’arrogante sostituiva se stesso nelle cose che giudicava faticose nella vita, allo stesso modo la tecnologia sostituisce perfino ogni uomo. E’ faticoso guidare treni, metropolitane, automobili? Ecco che la tecnologia sostituisce sempre di più l’uomo stesso. Fino al punto che la responsabilità di quello che accade diventa di un computer di bordo. Se un uomo viene travolto da un’automobile perché il computer di bordo provoca fenomeni incontrollabili, soprattutto se il guidatore ha delegato al mezzo meccanico ed elettronico tutte le sue funzioni guida, quella vita è un vero “sacrificio umano” preteso dal culto fanatico della tecnologia. Le vittime che ogni giorno muoiono per colpa dei mezzi tecnologici creati dall’uomo sono tutte vittime di “sacrifici umani”. E’ falso sostenere che l’uomo moderno non pratichi “sacrifici umani”, li pratica mediante il culto della tecnologia. Quando la capacità tecnica dell’uomo era estremamente ridotta, la sua irresponsabilità era ridotta a quel minimo che lo strumento consentiva (l’irresponsabilità di un uomo che usa solo una ciotola e un coltello praticamente non esiste, tanto è evidente la sua volontà di far male nel caso in cui li usi come corpi per offendere), oggi l’irresponsabilità dilaga, dilaga assieme al dilagare della tecnologia e dell’artificio. Perfino l’accusa in tribunale è affidata all’irresponsabilità, la decreta un procedimento meccanico, quello del DNA, che ignora tutte le possibili varianti di circostanze in cui si trovano gli elementi tecnici con cui giudica. Quando un giudice condanna sulla base della scienza e della tecnologia non avverte più la responsabilità del suo gesto, condanna con disumanità. Io preferisco l’errore umano a quello tecnologico e l’assunzione relativa di responsabilità personale.

martedì 10 maggio 2016

L’INDIVIDUO E’ UN ESSERE LOCALE O INTERNAZIONALE?


    L’individuo è un’entità fisica limitata, non è Dio che sta in ogni luogo, sta sempre in un luogo qui ed ora (hic et nunc). In codesto qui ed ora l’individuo si trova con la sua diversità personale. Che senso ha, allora, parlare della globalizzazione e della mondializzazione rispetto all’individuo? Certo l’individuo, con i mezzi di trasporto moderni, può anche viaggiare, ma, se non è un miliardario che ha ville e risorse in ogni paese che visita, comunque deve le sue risorse economiche a una qualche “comunità locale” che gliele garantisce. Veramente “indifferenti” alle comunità locali possono essere solo quei proprietari di mezzi economici (finanziari o industriali) che sono presenti o sono validi in tutti i paesi, cioè un’élite di sfruttatori. E’ chiaro, quindi, che per natura, sebbene cammini e possa camminare per alcuni chilometri, l’individuo è un essere “locale”. Con i mezzi di trasporto moderni si può certo spostare, ma, anche quando va a lavorare all’estero - da privilegiato emigrante o da migrante pezzente -, alla fine ha la casa e il lavoro, nonché alcune delle persone care, nel “luogo” dove è andato a vivere. Come emigrante i suoi affetti, i suoi interessi, la sua cultura si sdoppiano, perché porta con sé il segno di doppie culture e di affetti che, talvolta, non stanno nello stesso “luogo”. Ecco che allora l’individuo, magari alle feste comandate, ritorna nel “luogo” di origine e quindi vive uno sdoppiamento di affetti, interessi e cultura che fa capo a uno sdoppiamento di “luoghi”. Se non fosse una contraddizione, si potrebbe dire che, più che internazionale, un tale individuo è “doppiamente locale”. Ovviamente, con ciò, vive tutta la doppiezza della situazione e spesso incrocia i giudizi e i pregiudizi di “doppie culture” che entrano in contrasto tra di loro. Se si prescinde, però, da questi ritorni periodici nel “luogo” di nascita, in sostanza, sia pure, come si dice, all’estero, anche l’emigrante resta a vivere per tutto il resto dell’anno nel “luogo” dove si è trasferito. E’, comunque, un essere “locale”. La maggior parte della popolazione mondiale, però, per sua fortuna o sfortuna qui non interessa stabilirlo, rimane nel suo paese d’origine ed è proprio per questo che è possibile l’esistenza di comunità locali dove gli stessi emigranti si recano a vivere. L’internazionalità, fasulla, dell’emigrante presuppone, quindi, proprio l’esistenza della “comunità locale” dove recarsi a vivere. Ne consegue, perciò, che emigrante o meno che sia l’individuo vive, in maniera sdoppiata e incoerente l’emigrante, in maniera coerente il non emigrante, sempre in modo “locale”. E allora cos’è questa globalizzazione e questa mentalità distorta di tipo internazionale? E’, in realtà, l’interesse di poteri economici e religiosi forti, cioè di borghesi e preti. Si fa credere che esista per tutti una specie di area universale e umanitaria comune in cui tutti sono genericamente umani. In realtà, a seconda dei casi, nelle religioni si immagina che tutti siano, a forza o meno, convertiti al cristianesimo, all’islamismo, ecc., nel mercato globale, invece, si immagina che tutti gli individui siano genericamente solo dei venditori o dei compratori, cioè dei semplici operatori di mercato. In altri termini le élite di sfruttatori, religiosi, politici ed economici vivono dell’indifferenziato, cioè dell’indifferenza rispetto a individui e popoli, secondo il principio degenerato che il cristianesimo mostrò fin dalle sue origini, come dimostra la seguente affermazione di un anonimo cristiano del II secolo dopo Cristo: “I cristiani..adempiono a tutti i loro doveri di cittadini..con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera” (Anonimo cristiano - “Lettera a Diogneto”). Questo principio di “indifferenza” tra individui e popoli è il segno distintivo dell’universalismo cristiano, ma è stato adottato anche dall’umanitarismo politico della sinistra e dall’economicismo del mercato globale borghese. Quando uno si sente “internazionale”, nella realtà, si sente “indifferente”, anche se non lo ammette. Non meraviglia che nelle città moderne regni l’indifferenza della “solitudine in compagnia”, è una conseguenza stessa del fatto che ognuno si sente indifferente nel momento in cui avverte come “estraneo” ogni aspetto “locale”. Il cristiano, il borghese, il comunista sono stranieri in patria. Questo non significa che la comunità locale debba prevaricare l’individuo singolo, ma quest’ultimo non può sentirsi indifferente per abito alla comunità locale. Gli individui, nella misura in cui sono diversi, non sono riducibili né alla comunità locale e nemmeno allo spirito universale delle religioni e del mercato internazionale, gli individui sono diversi e sono sempre “locali”, cioè stanno sempre in un “luogo”. Stando in un “luogo”, non possono non riferirsi alla “comunità locale” in cui vivono, comunità locale che, proprio perché si trova in “luoghi” diversi ed è composta da persone diverse, non può che essere diversa da tutte le altre comunità locali. Ma se, quindi, l’individuo è nel “luogo” dove si trova la sua persona fisica e perciò è a diretto contatto con la “comunità locale”, cos’è mai questo presunto carattere “internazionale” e “indifferenziato” di cui si farnetica? E’ una mistificazione di un èlite culturale (religiosa o politica) o economica che vive alle spalle degli schiavi, cioè delle comunità e individui “locali”. Questo significa che l’individuo deve, prima di tutto, fare gli interessi propri di sé come individuo singolo, poi deve fare gli interessi della “comunità locale” in cui vive, perché sono, almeno in parte, anche i suoi interessi. L’unico interesse che per l’individuo non esiste, a meno che non sia uno sfruttatore del prossimo in veste religiosa, politica o economica (umanitarismo, mercato globale, internazionalismo), è quello generale. Rivestirsi di un interesse globale è o ipocrisia da sfruttatore o demagogia.