PASSI SU: fine DIVORZIO (E RIPUDIO) e inizio DONNA
2) “E
se temete una rottura fra marito e moglie, nominate un arbitrio della parte di
lui e uno della parte di lei, e se i due compagni desiderano riconciliarsi,
Allah metterà armonia fra loro, perché Allah è sapiente e di tutti ha notizia”
(IV, 35)
In Occidente chi attribuisce a Dio la
riuscita della riconciliazione matrimoniale apparirebbe bigotto, d’altra parte
se il tentativo di riconciliazione non riesce di chi sarebbe la colpa? Se si
fosse coerenti con quanto annunciato, sarebbe di Allah. Ma, a questo punto, di
sicuro la non riuscita della riconciliazione matrimoniale non apparirebbe più
come una colpa, ma come un merito di Allah, che ha voluto, in tal modo, evitare
guai peggiori e comunque segue i suoi non perscrutabili disegni. E’ questa una
storiella medievale che ammorba anche la psicologia del cristiano retrivo. Dio,
Allah in questo caso, è perfetto e senza colpe: creare esseri perfetti di tal
genere, che guidano tutta la vita umana, è segno di odio verso l’umanità, di
misantropia. Nelle religioni, ma anche nelle scienze, al di là della retorica
“buonista”, c’è sempre un atteggiamento punitivo della libertà individuale.
L’Umanità, è vero, non riesce ad essere giusta, per questo poi crea divinità
onnipotenti buone o suscitanti timore, ma questo non risolve il problema dell’ingiustizia
- che si risolve solo con la responsabilità individuale -, genera solo un
altro, più grave, problema, cioè quello della tirannia. Presumere un dio
perfetto, onnipotente, misericordioso, sul cui modello dovrebbero poi misurarsi
i dittatori (anch’essi ritenuti perfetti, onnipotenti e misericordiosi) è
presumere, a priori, un disprezzo verso la libertà umana che è inaccettabile.
L’uomo può essere accusato di ingiustizia e perfino disprezzato per questo, ma solo
a posteriori. La creazione di divinità o dittatori perfetti, cose che hanno la
stessa natura psicologica (per cui veri credenti democratici non esistono,
sarebbero come dei cerchi quadrati), è un’offesa per tutti gli esseri viventi.
Quanto al divorzio, la presenza di due arbitri, uno per lui e uno per lei,
suona come una discussione fatta davanti ai propri avvocati. Niente di strano,
quindi, rispetto al mondo Occidentale, che oscura il matrimonio e il divorzio
con le sue leggi. Se il matrimonio consegue ad un sentimento, solo l’esistenza
o meno di questo decide le cose, con l’aggiunta di un elementare senso di
giustizia. Appare anche chiaro che “Il Corano”, pur non negando il divorzio,
preferisce la riconciliazione.
3) “Allah
non ha posto nelle viscere dell’uomo due cuori, né ha fatto delle mogli vostre
che voi ripudiate col zihar <da
‘zahr’, ‘schiena’>, delle madri, né
dei vostri figli adottivi dei veri figli..Chiamate i vostri figli adottivi dal
nome dei loro veri padri: questo è più equo agli occhi di Allah. E se non
conoscete i loro padri, siano essi vostri fratelli nella religione e vostri
protetti” (XXXIII, 4-5)
4) “E
quando Zayd <figlio
adottivo di Maometto> ebbe regolato
con lei ogni cosa <con la moglie ebbe regolato il divorzio o ripudio>, te la facemmo sposare <Maometto
sposò la moglie divorziata del figlio adottivo>, affinché non sia peccato per i credenti sposar le mogli divorziate
dei figli adottivi allorché questi abbiano regolato ogni cosa con loro:
l’ordine di Allah è assoluto” (XXXIII, 37)
5) “Quelli
di fra voi che ripudiano le mogli loro dicendo: ‘Sii per me come il dorso di
mia madre!’ sappino che esse non sono le loro madri, e che le loro madri son
solo quelle che li hanno generati, ed essi così facendo profferiscono abbominio
e falsità” (LVIII, 2)
Tralasciando il fatto che il secondo passo
sembra una norma “ad personam”, cioè creata per consentire a Maometto di
sposare la moglie del proprio figlio adottivo (se fosse vero, ciò dimostrerebbe
un’arroganza nella propria vita che non è stata molto dissimile da quella che
raggiunse Lutero: questi profeti di religioni sono dei prepotenti), il principio
che sembra uniformare i tre passi è la distinzione biologica: le madri adottate
dopo il divorzio, cioè le ex-mogli, non sono madri vere e proprie, cioè
biologiche, i figli adottati non sono veri e propri figli, cioè biologici.
Proprio perché il figlio adottivo non è un vero e proprio figlio, sposarne la
moglie, dopo il divorzio dal figlio adottivo, non è peccato. Evidentemente in
quella mentalità arcaica anche la moglie del proprio figlio biologico era tabù,
quasi assimilata alla parentela, d’altra parte non bisogna dimenticare che
nell’Antico Testamento viene considerato peccato anche osservare nuda la moglie
del figlio, cioè la nuora, messa sullo stesso piano di padri, madri, figli,
sorelle, ecc.: “Non scoprire la nudità di
tua nuora, essa è moglie di tuo figlio: non scoprire la sua nudità” (“Antico Testamento” - Levitico 17, 15).
Ancora una volta Maometto si ispira all’Antico Testamento, il quale, non solo è
brutale, mesopotamico e immorale quanto “Il Corano”, ma ne è il segreto
ispiratore principale. Il ripudio con il metodo dello zihar (“possa tu essere per me come la
schiena di mia madre”), evidentemente significava che la moglie ripudiata, che
era sempre compensata economicamente, si lasciava con il marito restando in
buoni rapporti con lui, così che poteva occuparsi del marito come una specie di
madre adottiva. Ciò era un costume pre-islamico e forse facilitava troppo il
ripudio. Maometto vieta tale costume, da un lato per impedire un abuso, ma,
dall’altro lato, mostrando la solita insensibilità verso le decisioni
individuali: perché i due divorziati dovrebbero essere liberi di scegliere i
rapporti che ritengono più adatti a loro. Quello che colpisce, tuttavia, è il
materialismo che sta alla base del riconoscimento della madre e del figlio:
madre e figlio si designano solo in termini biologici. Ciò conferma il fatto
che “Il Corano” segue l’orizzonte pratico e terreno dell’Antico Testamento e
non possiede, ne desidera possedere, il livello astrattivo dello spiritualismo
cristiano. L’Islam, pur somigliando, per alcuni aspetti (riguardo l’autorità
terrena), di più al protestantesimo, è lontanissimo da quest’ultimo per quanto
riguarda la sfera metafisica della religiosità. Il protestantesimo, al quale si
è adeguato anche il cattolicesimo, riconosce il credente solo come “anima”,
essendo il “corpo” la parte che è assegnata al demonio (dualismo gnostico),
ebbene l’Islam su questo è molto meno rigido. Anzi nel decidere il ruolo di
madre e di figlio è proprio il corpo che svolge il ruolo fondamentale. L’atto
biologico procreativo diventa un criterio materiale per assegnare il ruolo di
madre e quello di figlio. Non esistono madri adottive e neppure figli adottivi,
le madri adottive non sono madri, i figli adottivi non sono figli. Questa è una
verità biologica che l’Occidente, inseguendo le astrazioni, ha dimenticato. In
Occidente di parla di sentimenti, ma i sentimenti verso un figlio che si adotta
non possono esistere, visto che il figlio non ha ancora alcun rapporto con i
futuri genitori che lo adottano. Al di là del fatto che ci siano bambini senza
genitori (problema irrisolvibile, perché il bambino può sentirsi privato di
qualcosa sia se resta in orfanotrofio fino all’età adulta, sia se viene
adottato, perché l’adottato, quando sa di essere adottato - o non bisogna
neppure dirglielo? Se adottato ad una certa età, lo sa da solo -, non è mai
pienamente soddisfatto dei propri genitori, va sempre alla ricerca di quelli
naturali o cerca dei sostituti), la sensazione è che i genitori che adottano lo
fanno soprattutto per una loro frustrazione o per una bontà cristiana quasi
professionale (sostenuta da molti soldi). E’ chiaro, poi, che vivendo insieme
figli e genitori possano sviluppare legami sentimentali, ma questo avviene solo
a posteriori, ma non si è madri o figli solo a posteriori. Ho il fondato
sospetto che, una volta tanto, “Il Corano” abbia ragione, cioè che i figli (il
caso di madri adottate è raro e in Occidente, quasi inesistente) adottati non
siano figli veri e propri, perché non si può ignorare il corpo nello stabilire
chi è madre e chi è figlio. Questo protestantesimo morale, molto diffuso
proprio tra i laici, per cui tutto è stabilito dalla mente, artificialmente,
quindi dall’artificio sociale, come se la natura non decidesse niente, ha
francamente stancato: è la cancrena del mondo civile e moderno occidentale.
Alla nascita, vero e proprio figlio è solo il figlio biologico (lo stesso
dicasi per la madre e per il padre). Con il tempo, questo dovrebbe essere
l’unico vero senso delle adozioni, i figli adottati (e i genitori adottanti)
possono, al massimo, essere considerati “come se fossero figli” (“come se
fossero genitori”), il che riconosce, appunto, che non sono figli veri e propri
(non sono genitori veri e propri). Il materialismo coranico è qui pienamente
condivisibile e sarebbe bene che l’Occidente se ne ricordi, invece di inseguire
le astrazioni protestanti dei laici.
6) “Quando
divorzierete le vostre donne, divorziatele allo spirare del periodo di attesa.
Contate bene questo periodo e temete Allah Signor vostro; non le scacciate
dalle loro case, ed esse non ne escano se non quando abbiano commesso qualche
manifesta turpitudine..Tu non sai: può darsi che Allah produca, in seguito,
qualche evento che porti a riunione. E quando siano giunte al termine loro,
trattenetele con gentilezza o con gentilezza separatevene..Per quelle delle
vostre donne che disperino d’aver più mestruazioni, se dubiterete che siano
incinte, sia il periodo d’attesa di tre mesi, e lo stesso per quelle che non
hanno avuto ancora mestruazioni. Quanto alle donne incinte, sia il loro termine
d’attesa fino a che non abbiano deposto il loro peso..Alloggiatele dove abitate
voi stessi, secondo i vostri mezzi, e non fate loro del male angustiandole; e
se sono incinte, pagate loro le spese finché non abbiano deposto il loro peso;
e se allatteranno per voi date loro la loro mercede e accordatevi con loro con
gentilezza” (LXV, 1-6)
In effetti questa sura LXV è proprio “La
sura del divorzio”. Ma il passo che lo riguarda appare più corto di quello
della sura II. Le cose sono qui indicate un po’ più brevemente, ma ribadiscono
molte delle cose già viste in precedenza. C’è il noto augurio, nel segno di
Allah, di una riappacificazione matrimoniale. Il rispetto del periodo di attesa
è accompagnato dal solito “timore” verso Allah, definito, come nell’Antico
Testamento, il “Signore”. Sembra un Enlil mesopotamico diventato onnipotente.
Un Signore misericordioso e che governa con il terrore. Il terrorismo, come
principio morale, è strutturale nell’Islam, così come nell’Antico Testamento.
Qui ci vorrebbe uno spirito critico che faccia piazza pulita, non solo de “Il
Corano”, ma anche della Bibbia, sia essa quella degli ebrei o sia essa quella
dei cristiani. Nessun libro è sacro, questo è il principio dei laici. Ci sono
solo libri più veritieri di altri, ma è compito personale verificare, di volta
in volta, quale e in che misura questi libri siano effettivamente più
veritieri. Io ho verificata molta verità nei libri di Nietzsche, ma, come
temeva lo stesso Nietzsche (temeva di essere fatto santo), non mi sognerei mai
di considerare i libri di Nietzsche come un “canone sacro”. La sura del
divorzio conferma il notevole livello di tutela materiale della donna e
conferma anche la preoccupazione che la donna sia incinta per stabilire la
paternità e non ingannare gli uomini. Il fatto che si ribadisca di “non angustiare” le donne, di trattarle “con gentilezza” è preoccupante. Si
presume sempre un atteggiamento potenzialmente violento, che, per quanto possa
essere vero, genera quel circolo vizioso tra legge e violenza per cui la legge
presume la violenza e la violenza finisce con il costituire l’alibi per la
legge. In altri termini la violenza viola la legge, ma, nello stesso tempo, è
riconosciuta come tale, quasi legittimata dalla legge. In ogni caso sembra
diventare abituale. Preoccupante, a proposito delle mestruazioni, è anche quel “sia il periodo d’attesa di tre mesi..per
quelle che non hanno avuto ancora mestruazioni”. Cosa vuol dire? Che la
donna incinta di cui si parla è una ragazzina di 12-14 anni? Era una cosa
normale nella penisola arabica dell’epoca?
7) “Può
darsi che egli vi divorzia, il suo Signore gli dia in cambio mogli migliori di
voi” (LXVI, 5)
Questa legittimazione del divorzio è
talmente unilaterale che offende ogni donna di buon senso del mondo occidentale
e non si capisce come possa non offendere le donne del mondo islamico. Lasciamo
perdere il fatto che la sura sembra riferirsi a vicende personali di Maometto
con le sue mogli, Hafsa e A’isa, resta il fatto che il passo citato, pur
riferendosi a Maometto e quindi a due mogli specifiche, per il fatto stesso che
fa dipendere il divorzio da una unilaterale decisione maschile, se il motivo
del divorzio è quello che sembra aver adottato Maometto stesso, cioè l’ottenere
“in cambio mogli migliori”, appare
evidente che il motivo stesso del matrimonio non esiste più. Sembra quasi che
uno lasci un salumiere o un avvocato per un altro “migliore”. Se è anche vero che il divorzio occidentale è, là dove sia
concordato, un ripudio bilaterale e se è anche vero che il divorzio non esclude
la possibilità di avere, successivamente, mogli o mariti ritenuti “migliori”, è pur vero che, quando ciò
avviene in modo unilaterale, il ruolo della moglie sembra configurarsi come un
ruolo professionale, e si sa: ci sono professionisti migliori e peggiori. Da un
punto di vista sentimentale, che è il vero ed unico motivo che può legare un
uomo e una donna (matrimonio, ma anche unione in ogni senso), in aggiunta al
corpo ovviamente, quello islamico non appare neppure come matrimonio, unione,
sembra più un contratto formale. Che si sia oggi costretti ad inserire formule
contrattuali nei matrimoni, soprattutto per colpa dell’invadenza del diritto di
famiglia che fissa regole capestro (in Occidente soprattutto per il maschio), è
un conto, ma ridurre il matrimonio stesso ad un semplice contratto di cui
dispone solo una parte è negarlo. Per come sono descritti il matrimonio e il
divorzio da “Il Corano”, l’uomo sembra un acquirente di servizi e di oneri
connessi, e si sa che il cliente ha sempre ragione. L’Islam sembra ignorare il
senso sentimentale e paritario del matrimonio.
Donna
1) “Ti
domanderanno ancora delle mestruazioni. Rispondi: ‘E’ cosa immonda. Pertanto
astenetevi dalle donne durante le mestruazioni e non avvicinatevi loro finché
non siano purificate..’” (II, 222)
Non può non venire in mente il seguente
passo dell’Antico Testamento, che è anche più maniacale: “Quando una donna avrà il suo flusso, cioè colerà sangue dalla sua carne,
rimarrà nella sua impurità mestruale per sette giorni: chiunque la tocchi sarà
impuro fino alla sera. Qualunque cosa su cui si ponga a giacere o si segga,
durante la sua impurità mestruale, sarà impura” (“Antico Testamento” - Levitico 15,19-20). Che ci possa essere
un certo orrore del sangue è comprensibile, anche se qualcuno dirà che, proprio
per l’esperienza mestruale fatta in prima persona, la donna sull’argomento è
più reattiva psicologicamente e quindi l’orrore del sangue possa essere più
facile nei maschi. Tuttavia, anche ciò può essere relativo, perché la
consapevolezza che una mestruazione è un fenomeno naturale, mentre il sangue
che scorre copioso da una ferita non lo è altrettanto, può generare anche nella
donna una ben precisa distinzione, che, se caricata psicologicamente, può
portare anche la donna a provare orrore per il sangue. Anche per questo,
nonostante la consapevole distinzione, molte donne vivono con difficoltà
psicologica notevole le mestruazioni. Ma, è chiaro, la difficoltà principale
delle mestruazioni, specialmente in una società dove l’inserimento lavorativo
della donna è generalizzato e dove i ritmi di lavoro non consentono pause, è di
carattere pratico, non essendo il flusso qualcosa di controllabile e regolabile
nel giro di pochi istanti. Si affronta qui solo l’aspetto oggettivo del
fenomeno, perché è chiaro che la presunta “impurità” fa capo al flusso del
sangue in quanto tale. Poi è ovvio che alle mestruazioni corrispondano
sensazioni spesso molto dolorose che, per fortuna, non riguardano tutte le
donne, essendo molto variabile il livello di queste sensazioni, che vanno dal
dolore acuto alla quasi mancanza di dolore. Restando, quindi, sul piano
oggettivo - da cui nascerebbe la presunta “impurità” -, appare chiaro che “Il
Corano” dipende quasi per intero dai pregiudizi dell’“Antico Testamento”, il
quale sovraccarica di pregiudizi quello che è solo un fastidio pratico della
donna, generando intorno alla sua figura corporea una sorta di folle, sia pur temporanea,
demonizzazione (che poi, nello spiritualismo più accentuato, diventa una
demonizzazione della donna stessa, in quanto tentazione carnale per il “puro”
di tipo sacerdotale). Per altro il puro e l’impuro, sia pure in altri
orizzonti, si intravedono qua e là anche nella scienza e nella medicina (quanto
dell’igiene ospedaliero è realmente necessario? Perché si sviluppano forme
microbiche ospedaliere ancora più pericolose?), supportati da fenomeni
microbici visibili solo dalla casta degli addetti (la scienza, per via
microbica, lascia sopravvivere il concetto dell’“untore”). La via microbica e
quella dell’impurità non hanno diritto di esistenza nel mondo reale e dei
rapporti etici, perché ognuno ha il diritto di abbracciare tutti il microbico e
l’impuro che vuole, sapendolo o non sapendolo, perché ognuno è responsabile di
quello che fa e dei rapporti che istituisce e non esiste (quindi è solo la
violenza di un potere) una predeterminazione normativa e sociale “garantista” che
sussista al di sopra della responsabilità e volontà individuale. Dall’Antico
Testamento a “Il Corano”, dalle religioni alle scienze: è tutto un fiorire di
regole, di pregiudizi, di arroganza.
2) “O
uomini! Temete Allah, il quale vi creò da una persona sola. Ne creò la compagna
e suscitò da quei due esseri molti uomini e molte donne..Se temete di non esser
equi con <le
mogli degli?> gli orfani, sposate
allora di fra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di
non esser giusti con loro, una sola, o le ancelle in vostro possesso..Date
spontaneamente alle donne la dote; e se loro piace farvene partecipi godetevela
pure in pace e tranquillità..Agli uomini spetta una parte di ciò che hanno
lasciato i genitori e i parenti; ma anche alle donne spetta una parte di ciò
che hanno lasciato i genitori e i parenti..E si preoccupino degli orfani coloro
che, ove morissero lasciando figli deboli, temerebbero per loro” (IV, Sura
delle donne, 1-9)
All’inizio c’è il solito richiamo al
“timore” che deve generare Allah: Antico Testamento e Corano sono libri religiosi
fondati sul “terrore”, là dove il Nuovo Testamento nasconde, ipocritamente,
questo “terrore”: tra i primi due e il terzo c’è lo stesso rapporto che corre
tra l’Antico regime e il Dispotismo illuminato dei sovrani illuministi, il
sovrano, sosteneva l’illuminista Federico II di Prussia, è il primo servitore
dello Stato e degli altri: il rovesciamento da padrone a servitore è la
mistificazione del Nuovo Testamento rispetto all’Antico Testamento e a “Il
Corano”: il Signore da cattivo si fa buono e con la bontà la gente viene, di
nuovo, ingannata dalla formula politica. In questa direzione si colloca anche
la democrazia rappresentativa, in cui il rappresentante eletto, in quanto,
appunto, rappresentante ed eletto, si presume sia buono, cioè faccia gli interessi
dei suoi elettori: è l’estremo inganno del Signore servitore. La democrazia
vera non è mai rappresentativa, ed è democrazia solo se il popolo smette di
essere un’astrazione e diventa la variegata realtà fatta di milioni di
individui diversi, dove la democrazia non può che diventare anarchia, cioè
anarchia individualista. Chiunque si mostra contrario all’anarchia è
automaticamente, senza ombra di dubbio, un falso democratico, un cialtrone che
vuole il tiranno “buono”, cioè il governo degli ipocriti. Non esiste un
“governo democratico”, l’espressione è un ossimoro, come “ghiaccio bollente”,
un governo, per il fatto stesso che governa individui, è un Signore, cioè non è
democratico. E non democratico è sia un governo eletto (democrazie
occidentali), sia un governo fondato su un partito politico (fascista,
comunista), sia un governo fondato sulla religione (cristiano, islamico, ecc.).
I codici di leggi dei governi occidentali sono dei volgari “libri sacri”, sono
fanatismo biblico o coranico, così come la Bibbia e “Il Corano” sono dei
volgari libri di leggi. Questo è evidente ovunque ne “Il Corano”, ma in
particolare nella Sura delle donne, dove sembrano abbozzate le regole per un
diritto di famiglia e per un diritto di successione. Occorre dire che Maometto,
pur sottintendendo sempre una derivazione della donna da un elemento maschile,
non è così preciso da ricorrere all’immagine della donna creata dalla “costola”
di Adamo. Tuttavia le cose più importanti del passo ora commentato riguardano
gli orfani e la poligamia. E’ evidente la preoccupazione per gli orfani, il che
si spiega con il fatto che la sopravvivenza della comunità è sempre stata
anteposta, dai capi delle comunità stesse, alla sopravvivenza o alla felicità
del singolo. Dal “moltiplicatevi” della
Bibbia, fino al dovere delle donne di dare figli alla Patria sotto il fascismo,
la preoccupazione verso il futuro della specie ha sempre pesato, a danno della
vita e del presente, nelle dottrine dei capi carismatici in modo folle e
abnorme. Che lo stesso “futuro” sia una delle scuse più frequenti con le quali
leggi e tiranni opprimono la libertà degli individui è cosa manifesta. Si
tratta di “olismo”. Che un individuo possa preoccuparsi dei suoi figli è da
ritenere normale, ma non può sacrificare completamente la sua vita a questo
scopo e soprattutto non è compito a cui spetta di decidere al potere, alle
leggi, ai santoni che scrivono libri sacri. Se la comunità intende proteggere
gli orfani, qualora i genitori non lo abbiano fatto per tempo, deve farlo a posteriori,
non a priori, impossessandosi della vita della vita dei genitori. La libertà
esiste solo nella “deregolamentazione”. Per altro l’orfano al quale i genitori
non sono riusciti a provvedere per tempo (quindi per mancanza di tempo o di
capacità, non di volontà), se la comunità non lo protegge a posteriori, non lo
protegge proprio. Quel che è inaccettabile è l’a priori, cioè la legge, il
libro sacro.
Proprio, trattando degli orfani, per
verificare un’equità, “Il Corano” ammette la possibilità della poligamia, che,
appare evidente, è una facoltà e non un obbligo. Una facoltà riferita agli
uomini, ma, almeno su “Il Corano”, non c’è un passo che dica esplicitamente che
la poligamia è vietata per le donne. Tuttavia il divieto c’è lo stesso, nel
senso che il divieto appare “mediante” la figura maschile, perché tutte le
donne già maritate sono “interdette” al
nuovo matrimonio. Si dice, spesso, in Occidente che la poligamia è un’offesa
per le donne. Questa affermazione è assurda. Le donne mussulmane non sembra che
si offendano. Il problema non è e non può essere il fatto che le donne o gli
uomini si offendono della poligamia del proprio coniuge. Questo è qualcosa che
può essere deciso solo dai singoli individui. Non c’è una regola che in
proposito comporti il rispetto del genere femminile o maschile in quanto
genere. I maschi e le femmine sono, senz’altro, una distinzione oggettiva,
fisica, carnale, ma sono pur sempre solo e soltanto individui, quindi non può
esserci un comportamento non direttamente violento che possa apparire a priori
offensivo delle donne in generale o degli uomini in generale. La poligamia, in quanto
tale, quindi, non offende né i maschi e né le femmine e chi dice il contrario è
vittima di ideologie, spesso femministe, le quali danno per scontata la
monogamia occidentale. Caso mai c’è da indignarsi del fatto che “Il Corano”
vieti, di fatto, tramite il divieto ai maschi di sposare donne già maritate, la
possibilità concreta della poligamia femminile. Occorre poi vedere se si
ragiona in base a sentimenti profondi e quindi esclusivi oppure in base a
sentimenti superficiali o addirittura solo su base sessuale. A seconda di
questi casi appare più giusta la monogamia o la poligamia. In base alla visione
romantica e anche in base alla logica individuale, il sentimento profondo, che
riconosce per istinto l’uomo o la donna del cuore, appare evidente che l’unico
matrimonio concepibile è quello monogamico. E’ anche vero, però, che di
matrimoni che corrispondono alla profondità e unicità individuale del sentimento
ce ne sono pochi anche in Occidente, dove non bastano le dichiarazioni, più o
meno giuridiche, fatte in chiesa o davanti alla società. Se la monogamia è
l’espressione di un sentimento profondo di unicità individuale della coppia,
allora i matrimoni monogamici dell’Occidente sono, per la maggior parte,
falsamente monogamici. La monogamia, insomma, può apparire e talvolta è una
semplice facciata ipocrita. Questa osservazione sembra dare ragione alla
“praticità” de “Il Corano”, che, però, mantiene il suo torto fino a quando non
concede la poligamia anche alle donne. Occorre vedere se il matrimonio è più un
atto giuridico-religioso o sentimentale e profondo. Nel secondo caso la
poligamia è inconcepibile per motivi sentimentali: quindi nulla impedisce di
giudicare gli islamici, i maschi che la praticano e le femmine che l’accettano
(la responsabilità è bipolare, non solo maschilista, come affermano,
faziosamente, le femministe), dei veri e proprio “superficiali” dal punto di
vista sentimentale. Personalmente ritengo l’amore sentimentale moralmente
superiore a quello poligamico, sia quest’ultimo basato su sentimenti
superficiali o solo su desideri sessuali, tanto è vero che, spesso, tra le
mogli c’è la “favorita” (il “favorito” in un’eventuale poligamia femminile) e
la “favorita” entra come una palese contraddizione nell’ambito della poligamia,
nega quella stessa equità che “Il Corano” auspicava. Non c’è dubbio che il
rapporto da individuo a individuo entra come fatto ontologico fondamentale nel
rapporto tra un uomo e una donna. La superiorità morale della monogamia, se
basata su sentimenti autentici, è indiscutibile. Il fatto è che, però, spesso
la monogamia non è basata su sentimenti autentici, spesso è solo un fatto
giuridico religioso e sociale, cioè sostanzialmente ipocrita. Il “tradimento”
non può essere una colpa giuridica da far valere nei tribunali laici o
religiosi, perché là dove il matrimonio è monogamico solo per una facciata
giuridica, allora ciò vuol dire che non è un legame sentimentale profondo e
quindi va equiparato, di fatto e anche giuridicamente, alla poligamia, la
quale, perciò, deve essere ammessa dalla legge. Mentre moralmente l’unico
matrimonio è quello monogamico e sentimentale, giuridicamente il matrimonio è,
o “dovrebbe essere” - se non si fosse ipocriti -, solo, o quasi, poligamico. Da
un punto di vista giuridico, perciò, la poligamia dovrebbe rientrare
nell’ambito di quella libertà di scelta dei rapporti personali sui quali né i
libri sacri, né la legge e né lo Stato dovrebbero mettere bocca. Se lo fanno,
si ha una prevaricazione nei confronti degli individui. L’atto religioso o
civile del matrimonio non ha nulla a che fare con la sussistenza di un
sentimento unico e irripetibile nei confronti di un individuo, questo si può
anche formalizzare, ma non sviluppa diritti e doveri al di fuori del sentimento
che lo fonda, mentre i tribunali sono squallidi luoghi venali dove, in base al
presupposto che il legame matrimoniale è monogamico, si consente, con la
benedizione della legge, dei preti e dei giudici, agli ex-coniugi di scannarsi
senza pietà in nome di ricchezze, patrimoni, case ecc. Cosa del tutto
vergognosa. In altri termini il matrimonio può essere formalizzato come
monogamico, ma ognuno deve sapere che inizia e finisce solo nei limiti del
sentimento che lo fonda, non ha valenza per conseguenze giuridiche e
patrimoniali, che sono di competenza solo dell’individuo a cui sono pertinenti.
Il matrimonio monogamico formalizzato, solo a richiesta, può anche prevedere
una penale simbolica, ma solo per far capire chi dei due si è comportato
scorrettamente, non per avere dei compensi economici che contrastano moralmente
con il proprio sentimento offeso (quando mai il denaro compensa un sentimento
offeso?). Per il resto i matrimoni poligamici devono essere ammessi dallo Stato
(in questo si dà ragione a “Il Corano”) e possono avere sia la formula
esplicitamente poligamica che quella monogamica, in questo secondo caso si può
parlare di matrimoni con monogamia semplice e matrimoni con monogamia sentimentale.
In ogni caso, il divorzio non deve comportare conseguenze patrimoniali, a meno
che non si dimostra che uno dei due coniugi, per favorire la coppia, ha
rinunciato a lavori oppure ha lavorato nell’ambito privato della coppia stessa.
L’idea che l’uomo debba mantenere la donna (mettiamo da parte il caso dei
figli) è idea strisciante presente anche in Occidente, perché le stesse leggi
occidentali e lo stesso comportamento dei giudici hanno qualcosa di coranico.
Il che spiega pure perché molte donne occidentali si trovino rassicurate da “Il
Corano”.
Quanto al fatto che sia ai maschi che alle
femmine spetti “una parte di ciò che
hanno lasciato i genitori e i parenti” è solo un’apparente equità, subito
dopo smentita, ma occorre ricordare che nella cultura islamica è dovere
dell’uomo mantenere la donna. Il che, se è comprensibile in mondo pieno di
pericoli in cui alla donna è affidata la cura della casa e dei figli, è meno
comprensibile farlo diventare una regola assoluta, come, inevitabilmente, fa un
libro sacro. Il che non toglie che molti giudizi delle moderne femministe sulle
condizioni di vita del passato siano del tutto anacronistici e che la non
perfetta “uguaglianza” aveva, talvolta (anche se non sempre, bisognerebbe
esaminare caso per caso), una giustificazione ben valida nelle condizioni
materiali di vita dei tempi e dei luoghi (vedi “deserto”).
3) “Riguardo
ai vostri figli Allah
vi raccomanda di lasciare al maschio la
parte di due femmine: se i figli sono solo femmine e più di due, loro spettano i
due terzi dell’eredità; se è una femmina sola le spetta la metà; i genitori del
defunto avranno ciascuno un sesto dell’eredità, se il defunto abbia un
figlio..A voi spetta la metà di quel lasciano in eredità le vostre mogli, se
esse non hanno figli, e, se li hanno, a voi spetterà un quarto di quel che esse
avranno lasciato, dopo che siano stati pagati eventuali debiti; ed esse avranno
a loro volta un quarto di quel che voi morendo lascerete, se non avete
figli;”(IV - Sura delle donne, 11-12)
Il passo sembra un piccolo trattato di
diritto successorio. Come si vede l’equità riguardante quel che hanno lasciato
genitori e parenti, riguarda solo l’aspetto generale per cui sia i figli maschi
che le figlie femmine hanno diritto ad una parte di eredità. Ma le parti sono
ben diverse. Nel caso dei figli, il figlio maschio riceve il doppio di una
figlia femmina: “Riguardo ai vostri figli
Allah vi raccomanda di lasciare al
maschio la parte di due femmine”. Al marito che sopravvive alla moglie,
poi, “spetta la metà” di quel lascia
la moglie, al contrario, alla moglie che sopravvive al marito spetta “un quarto” di quel che lascia il
marito. Appare evidente che il sistema di misura coranico non è paritario in
senso “individuale”, ignora che individuo è tanto il maschio che la femmina.
L’eredità non spetta, quindi, per motivi individuali, come, con molta fatica e
molte contraddizioni, è acquisito in Occidente, ma per motivi di funzionalità
sociale, per motivi di subordinazione alla comunità, cioè per olismo. Motivi
sociali che, ovviamente, sono condizionati dall’epoca storica e dalla località
geografica. E’ chiaro, da quanto esaminato fino ad ora de “Il Corano”, che
l’uomo e la donna nella cultura islamica svolgono dei ruoli ben differenti e la
distribuzione dell’eredità avviene in modo non equo e sproporzionato proprio
per via dei diversi ruoli svolti. Il ruolo principale maschile e femminile, dal
punto di vista economico, cui si riferisce l’eredità, consiste in questo:
l’uomo mantiene la donna, la donna è mantenuta dall’uomo. In epoca pre-coranica
alla donna, addirittura, non veniva dato nulla dell’eredità. Questo significa
che “Il Corano” recepisce le difficoltà in cui viene a trovarsi la donna nel
caso in cui perda il marito e per questo stabilisce che una parte dell’eredità,
sia pure minore, spetta anche alla donna. Ma, tanto per il figlio maschio, a
confronto con la figlia femmina, quanto per il marito, a confronto con la
moglie, questa maggiore considerazione della donna in sede di eredità non
diventa parità per il semplice motivo che resta valido il principio generale
per cui l’uomo mantiene la donna e la donna viene mantenuta dall’uomo. In altri
termini maggiore ricchezza dell’eredità deve andare a chi ha l’onere del
mantenimento. Questo in Occidente non ha più valore perché dovrebbe essere, nel
contempo, fissato anche il principio per cui l’uomo non ha a priori l’onere del
mantenimento. Eppure, anche in Occidente, nei tribunali c’è sempre una fila di
donne che pretendono un qualche mantenimento. Il fatto stesso che, ancora oggi
in Occidente, si consideri offensivo per l’uomo essere “mantenuto”, mentre non
si batte ciglio se è la donna ad essere “mantenuta”, dimostra che seguita a
sussistere, dietro le sbandierate “parità”, un pregiudizio coranico. Se la
donna ha sempre lavorato o lavora tuttora, oppure ha una sua pensione, non ci
dovrebbe essere alcun mantenimento, il fatto è che, mentre la parità a livello
ereditario e ad altri livelli economici è stabilita, non sempre tra leggi e
tribunali viene riconosciuta e si seguita a ragionare in modo coranico, cioè
come se la donna avesse comunque un maggiore diritto al mantenimento. Per altro
sul lavoro, per motivi speculativi, sopravvive il pregiudizio contrario, cioè
quello per cui si può pagare di meno una donna, perché si suppone che la
famiglia a carico ce l’ha solo o soprattutto l’uomo. Sopravvivono in Occidente
odiose forme coraniche riguardo presunti diritti o doveri di mantenere o essere
mantenuti. Per quanto attiene, poi, al lavoro e all’eredità, neppure l’equità
come semplice “uguaglianza” appare giusta, perché si dovrebbe sempre trovare il
mezzo per riconoscere la qualità e la quantità del lavoro che uno fa, donna o
uomo che sia. Lo stesso dicasi per i figli, la cui eredità non dovrebbe essere
stabilita per legge, perché è certo che alcuni figli sono più meritevoli di
essa rispetto ad altri figli. E’ evidente che una cultura islamica trapiantata
in Occidente genera contraddizioni insanabili, l’integrazione non è una
marmellata metafisica, esiste solo se nella comunità prevale la visione
occidentale o quella coranica. La visione coranica, dal punto di vista storico,
ha un senso, ma nella vita civile moderna è come se avesse formalizzato come
legge sacra l’idea che la donna è una casalinga che vive per forza in una casa dorata.
Il rischio che si islamizzi l’Occidente c’è, come c’è il rischio che si
occidentalizzi l’Islam. E’ l’Islam occidentalizzato che chiamiamo moderato e
santifichiamo? C’è qualcosa di ipocrita ed etnocentrico in questo parlare di
“integrazione”. I due modi di vivere non sono teoricamente integrabili, quindi
le contraddizioni, che poi sfociano in violenze, possono durare anche millenni.
4) “O
voi che credete! Non vi è lecito ereditare mogli contro la loro volontà, né
impedire di rimaritarsi allo scopo di riprendervi parte di quel che avete loro
dato..trattatele comunque con gentilezza, ché, se lo fate con disprezzo, può
darsi che voi disprezziate cosa in cui Allah ha invece posto un bene grande. E
se vorrete scambiare una moglie con un’altra e avrete dato a una di esse una
quantità d’oro, non riprendetene nulla..E non sposate le mogli già sposate ai
vostri padri..ché questo è una turpitudine, un’abbominio, un abietto costume.
V’è proibito prendere in sposa le vostre madri, la vostre figlie, le vostre sorelle,
le vostre zie paterne e materne, le figlie del fratello e le figlie della
sorella, le nutrici che vi hanno allattato, le vostre sorelle di latte, le
madri delle vostre mogli, le vostre figliastre che sono sotto tutela..e le
legittime mogli dei vostri figli..e v’è proibito anche di prendere in moglie
due sorelle insieme..e tutte le donne maritate vi sono anche interdette,
escluse le ancelle in vostro possesso..Escluso tutto questo vi è permesso
cercare spose dando loro in dote dei vostri beni, vivendo in castità e senza
darvi al libertinaggio; e a quelle di cui godiate come spose date la loro dote
come prescritto, anzi non sarà male che di comune accordo aggiungiate ancora
qualcosa al prescritto..Chi di voi non avrà mezzi sufficienti per sposare donne
libere e credenti, sposi, scegliendole fra le ancelle, delle fanciulle
credenti..che siano però caste, non libertine e non di quelle che si prendono
degli amanti. Se però, dopo sposate, commettono una turpitudine, s’abbiano metà
della pena stabilita per le donne libere” (IV – Sura delle donne, 19-25)
Sembra un piccolo compendio di diritto di
famiglia. Il diritto di famiglia è la tomba dei sentimenti. Del fatto che
l’interdizione a sposare donne già maritate impedisca la poligamia femminile
abbiamo già detto. Fa un po’ ridere quello “scambio” di mogli all’inizio del
passo, che si suppone avvenga con il consenso delle mogli: sembra quasi
l’anticipazione dello “scambismo” moderno, solo che Il Corano predica una
strana castità (quando hai quattro mogli, che significa castità?). Resta
pienamente confermato il ruolo dell’uomo come fornitore di mezzi di sussistenza
e della donna come colei che fruisce di questi mezzi di sussistenza: ciò è
particolarmente evidente là dove, parlando della dote prescritta versata dall’uomo,
viene aggiunto che “non sarà
male..aggiungiate ancora qualcosa al prescritto”. La pesantezza di tale
onere è tale che Maometto stesso prevede la possibilità che qualcuno dei maschi
non abbia i mezzi per sposarsi: “chi di
voi non avrà mezzi sufficienti per sposare donne libere e credenti, sposi,
scegliendole fra le ancelle, delle fanciulle credenti”. Le conquiste sono
servite anche per ridurre il numero dei maschi che non aveva i “mezzi sufficienti” per mantenere le
donne? Il finale, poi, lascia trasparire che, per “Il Corano”, la schiavitù è
cosa lecita, d’altra parte la stessa cosa si può trovare anche in alcuni passi
della “Bibbia”. Questa liceità, chissà perché, viene taciuta dai paladini
dell’integrazione islamica (e anche dai credenti cristiani della Bibbia), i
quali pur sanno che molti lavoratori stranieri in Arabia Saudita o in altri
paesi arabi tradizionalisti si trovano in condizioni poco dissimili dalla
schiavitù. Le “ancelle”, esseri
sub-umani (figurarsi i non credenti!), hanno, per disprezzo, il vantaggio di
ricevere, in caso di turpitudine, una punizione che è la metà di quella che
viene data alle donne libere, esseri umani veri e propri, cioè libere islamiche.
Il passo mostra anche un esempio di quell’ascetismo, di derivazione neo-testamentaria
o manichea, superficiale, moderato, all’acqua di rosa che è tipico di un popolo
pratico, il quale non sembra neppure capire fino in fondo il senso
dell’ascetismo. Ovviamente colpisce soprattutto il lungo elenco di “tabù” che
vengono fissati per consentire il matrimonio. Alcuni sono condivisi
dall’Occidente e, in effetti, ripugnano anche a noi, ma altri sono decisamente
strani. D’altra parte la follia umana, tra purezza e consanguineità (a cui,
perfino, la scienza si è adattata), genera tabù che vanno al di là del buon
senso. Tabù di questo genere si trovano un po’ ovunque e presso alcuni popoli
primitivi erano talmente estesi e insensati che diventava anche difficile
trovare lo sposo o la sposa. Credo si debba ritenere la facilità del matrimonio
inversamente proporzionale alle risorse del territorio nel quale il popolo
vive. Molti popoli di cacciatori-raccoglitori o di pescatori non potevano
permettersi una popolazione troppo abbondante. Così, almeno all’inizio, doveva
capitare anche presso i popoli nomadi della penisola arabica. Anche questo sta
alla base della formazione dell’Impero arabo. E’ chiaro che diventa tabù, per
Maometto, tutto ciò che viene accostato a madri, padri, figli, sorelle,
fratelli, ecc., il tabù per estensione si sposta anche alle mogli o ai mariti
che si uniscono a tali madri, padri, figli, sorelle ecc. La cosa è strana se si
tiene presente la poligamia islamica. Maometto, come abbiamo visto, sposò la
moglie del suo figlio adottivo, dopo che ebbe divorziato da quest’ultimo, precisando
che un figlio adottivo non è un figlio autentico. La nutrice, ad esempio, non
può essere sposata, perché, differenze di età a parte, viene equiparata alla
madre. Vi è, quindi, una sorta di estensione analogica tra le figure del padre,
della madre, dei figli, delle sorelle ecc. e figure esterne che vengono
equiparate, nel caso della nutrice funzionalmente, alle figure dei familiari.
C’è una scarsa capacità di distinzione individuale: padri, madri sono figure
che tendono ad andare oltre la loro individualità, per questo nella “Bibbia”
viene ripetutamente scritto che le colpe dei padri ricadono sui figli. E un
libro del genere, così barbaro, lo chiamano pure “sacro”! Il Corano appartiene
alla stessa razza.
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