Su: DONNA (parte finale) e GENTE DEL LIBRO: ebrei e cristiani (parte iniziale)
5) “Gli
uomini sono preposti alle donne, perché Allah ha scelto alcuni esseri sugli
altri e perché essi donano alcuni beni per mantenerle;..quanto a quelle di cui
temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti,
poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per
maltrattarle” (IV - Sura delle donne, 34)
6) “Ti
chiederanno il tuo parere sulle donne. Rispondi: ‘E’ Allah che vi darà
istruzioni su di loro..’. E se una donna teme maltrattamenti o avversione da
parte di suo marito non sarà male per essi che si mettano d’accordo fra loro,
in pace; poiché la pace è bene..Anche se lo desiderate non potrete agire con
equità con le vostre mogli; però non seguite in tutto la vostra inclinazione,
sì da lasciarne una <delle
mogli> come sospesa. Se troverete un
accordo e temerete Allah, Allah è misericordioso e clemente. Se poi marito e
moglie si separeranno, Allah arricchirà ambedue della sua abbondanza ampia ché
Allah è ampio sapiente” (IV - Sura delle donne, 127-130)
Il primo passo citato non meraviglia visto
che tutta la tradizione giudaico-cristiana creava, in vista della superiorità
stessa della “comunità”, una subordinazione della donna rispetto all’uomo,
giustificata, di fatto, dalle condizioni storico-materiali di vita. La
subordinazione era prevista esplicitamente anche nel Nuovo Testamento: “Cristo è il capo di ogni uomo, l’uomo è il
capo della donna e Dio è capo di Cristo..né fu creato l’uomo per la donna,
bensì la donna per l’uomo. Quindi la donna deve portare sul capo il segno della
potestà <il velo in testa durante la preghiera>” (“Nuovo Testamento” - Paolo di
Tarso - “1° Lettera ai corinzi” 11,
3-11). Si è visto che “Il Corano” è un libro di comunità che non
riconosce la singola individualità, come spesso capita nei libri sacri e nei
costumi barbari, ciò vuol dire che, come nel fascismo, gli individui sono
considerati cellule che svolgono una determinata “funzione”. La funzione
specializza gli individui perfino a seconda del sesso. Le differenze fisiche
tra uomo e donna rispetto alla cura della casa e dei figli o rispetto
all’attenzione all’ambiente e ai pericoli è, ovviamente, rapportabile alla
costituzione fisica dei singoli individui maschili o femminili. Così come ci
possono essere maschi deboli (l’uomo in genere è più forte), allo stesso modo
ci possono essere donne sterili (la donna in genere è molto portata alla
maternità). La specializzazione, però, non tiene conto delle eccezioni, ma di
una presunta regola naturale. Si può, quindi, ritenere ovvio che una società
spinga gli individui a fare soprattutto quello per cui sono per natura più
portati. Ma bisogna vedere che metodi usa. Dalla diversa funzionalità corporea
e quindi sociale l’Islam fa derivare la regola relativa al fatto che l’uomo
mantiene la donna e la donna viene mantenuta dall’uomo. Per certi aspetti,
anche se le regine si moltiplicano, sembra una distinzione tra ape regina e api
operaie. Ma, ovviamente, non si può fare una semplificazione del genere. Anche
se sussiste qualche motivo biologico affinché l’uomo e la donna possano fare,
con migliore profitto, una determinata attività, questo motivo non può essere
assolutizzato dal principio olistico o comunitario e scavalcare quella è
un’altra primaria realtà biologica, cioè la indipendenza fisica individuale.
Non è che individui, maschi o femmine che siano, nascano e muoiano in comunità
come se la comunità fosse un organismo unico: quando un organismo muore,
muoiono tutte le cellule. Non risulta che quando muore una donna muoiano anche
gli uomini o viceversa, quando muore un uomo, muoiono anche le donne. La
nascita e la morte dimostrano l’assolutezza dell’individualità della vita. In
Occidente, dopo che i laici hanno preso a ragionare come “protestanti
politici”, tali cioè da ignorare le differenze fisiche tra uomo e donna,
fissando un’astratta e inesistente “uguaglianza” (tutte “anime”, quindi tutti
“uguali”), commettendo l’errore fatale che Nietzsche faceva notare: “Disprezzano il corpo: lo hanno lasciato
fuori del calcolo” (F. Nietzsche -
“Frammenti postumi” 14 (96)), l’individualismo ha assunto caratteri del
tutto arbitrari e metafisici, spirituali, cerebrali. Tutti vogliono tutto,
senza più tenere in alcun conto le biologiche differenze individuali. Di fronte
a tanta astrattezza dell’Occidente, “Il Corano” sembra, ma solo per un certo
aspetto, mantenere i piedi per terra, nel senso che il rapporto tra uomo e
donna è regolato a partire dalla differenza biologica che li distingue. Questo
materialismo è saggio e va conservato, ma va corretto, eliminando
l’assolutizzazione ideologica che la società islamica, a partire da Il Corano,
vi costruisce intorno. In altri termini, l’individualismo occidentale va
corretto secondo il sistema di misura del corpo (in questo l’Occidente ha da
imparare da “Il Corano”), l’olismo sociale coranico e islamico, impostato a
partire da una base biologica, va corretto secondo la misura corporea
dell’individuo. Perciò, mentre l’Occidente fa fatica a distinguere maschio e
femmina in ogni luogo della società, l’Islam fa fatica a distinguere
l’individuo come entità indipendente, che si lega o non si lega agli altri su
base autonoma. Se, quindi, storicamente era comprensibile che, in una società
collocata in mezzo al deserto, la donna restasse in casa e fosse mantenuta,
mentre l’uomo usciva di casa e manteneva la donna, prendendo anche decisioni
(in questo senso, forse, Maometto dice che “gli
uomini sono preposti alle donne”), questo non può essere reso assoluto da
un libro sacro. Non solo sono cambiate le situazioni storiche, per cui quella
comunità che scavalcava l’individualità prevista da “Il Corano” non vive più
precariamente e non ha la cultura del deserto come suo immediato antecedente, ma
è stata stabilita la superiorità biologica dell’individuo a fissare una realtà
che l’aspetto comunitario de “Il Corano” ignora. Così come il protestantesimo
politico dei laici occidentali ignora le differenze fisiche in nome di
un’astratta uguaglianza, allo stesso modo l’Islam ignora che l’individuo non è
una cellula in cui sono assolutizzate le differenze biologiche tra maschio e
femmina. Non è l’individuo che appartiene al genere sessuale o sociale, ma è il
genere sessuale e sociale che appartiene all’individuo. In quanto individui, il
maschio e la femmina non sono, a priori, colui che mantiene e colei che viene
mantenuta, per cui non si giustificano più, davanti al tribunale dello stesso
corpo individuale, le sperequazioni nell’eredità fatte in nome della “funzione
sociale” svolta dai maschi e delle femmine. A maggior ragione non si giustifica
più, davanti all’individuo, maschio o femmina che sia, la perdita
dell’indipendenza, per la quale il maschio sarebbe “preposto” alla femmina, fino al punto di pretendere “obbedienza”, fino al punto di “battere” le donne. Non solo la violenza
fisica del “battere” è una violenza
contro l’individuo, in questo caso la donna, ma la stessa pretesa di “obbedienza” è da ritenersi, secondo
natura, violenza, secondo il criterio dell’aggressione. L’“obbedienza”, però, è
un valore morale anche dell’Antico Testamento, nonché del Nuovo Testamento: “per la disobbedienza di un solo uomo <Adamo> gli altri uomini furono costituiti
peccatori, così per l’obbedienza di uno solo <Gesù: il modello
sacrificale> gli altri sono costituiti
giusti” (“Nuovo Testamento” - Paolo di
Tarso - “Lettera ai romani” 5, 19). E’ chiaro, quindi, che l’Antico
Testamento, il Nuovo Testamento e Il Corano contengono forme di istigazione
alla violenza, ne “Il Corano” più specificatamente verso le donne.
Il secondo passo riportato fonda sul
presupposto autoritario e metafisico, cioè Allah, quella che è una regola
storica della vita dei tempi relativamente alla differenza fisica tra uomo e
donna, in questo modo quella regola diventa assoluta e viene vietata ogni
discussione in merito. Dopo aver combattuto il nazi-fascismo e il comunismo,
appare evidente che questo aspetto della cultura coranica, ma forse religiosa
in generale, è assolutamente da condannare moralmente. Per il resto del passo
Allah assume, quasi, il ruolo passivo di una provvidenza che segue, in realtà,
le decisioni prese dagli esseri umani. Se uomo e donna divorziano, Allah darà
comunque benessere, se restano insieme, accadrà lo stesso. L’importante è che
si abbia “timore” di Allah, cioè che
si abbia dentro il proprio cervello la cultura della sottomissione ad
un’autorità, che, in questo, caso, somiglia molto al protestantesimo. Il
movimento di Allah, in questo passo, sembra quello della filosofia astratta di
Hegel, che pensava di fissare tutto dall’alto e teoricamente nel momento stesso
in cui seguiva empiricamente e passivamente quel che accadeva (divorzio o
proseguimento del matrimonio). Allah è un principio legalizzante anche a
posteriori. Allah, come il Dio dei protestanti, è una specie di polizia segreta
che il credente si porta dentro e per la quale, avendo interiorizzato
l’autorità, è diventato una vera marionetta o un automa che si ricarica,
anziché con le batterie, con il cibo.
7) Dì
ai credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne..E dì
alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non
mostrino troppo le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare, e si
coprano i seni d’un velo e non mostrino le loro parti belle che ai loro mariti
o ai loro padri o ai loro suoceri o ai loro figli, o ai figli dei loro mariti,
o ai loro fratelli..o alle loro donne, o alle loro schiave, o ai loro servi
maschi privi di genitali, o ai fanciulli che non notano la nudità delle donne”
(XXIV, 30-31)
Ovviamente questa mentalità snaturata trova
i suoi corrispondenti anche nella Bibbia: “Non
scoprire la nudità d’una donna e quella di sua figlia..esse sono una medesima
carne con la tua: ciò è un’infamia” (“Antico
Testamento” - Levitico 18, 17). La sensuale manifestazione della
bellezza e dell’erotismo dell’epoca pagana veniva distrutta da “popoli sacerdotali”,
come li chiamava Nietzsche, cioè quello ebraico, quello cristiano e quello
islamico. La negazione della bellezza naturale e del sano erotismo diventavano
la castrazione fattasi libro sacro. Ci si può mostrare nudi, come dice
Agostino, come in Paradiso, perché lì non si hanno desideri sessuali. Il
Paradiso è la negazione stessa della vita. Le negazione della sessualità viene fatta
diventare “libro sacro”, ma osceni sono i libri sacri. Si lasci da parte il
fatto che la bellezza venga riservata solo ai coniugi (che non possono
presumersi privi di desideri sessuali) o a persone di famiglia che si presumono
prive di desideri sessuali. Si può anche ammettere che, dove vi è un legame
sentimentale tra un uomo e una donna, questi due facciano una scelta di riservatezza
corporea per compiacere ognuno l’altro . Questa scelta, però, è giustificata
solo da quel sentimento e non da una comunità che vuole eliminare la bellezza,
il desiderio sessuale e, alfine, lo stesso corpo. Senza libertà corporea non
esiste alcuna libertà della persona. Dove, però, non sussiste alcun legame
sentimentale, privare gli esseri umani di vivere con gaiezza la loro bellezza
(e ognuno ne possiede un po’) e la loro sessualità è segno di odio verso
l’umanità. L’Antico Testamento, il Nuovo Testamento e Il Corano mostrano qui
tutto il loro odio per la vita terrena e per l’umanità. E’ chiaro, poi, che il
divieto colpisce soprattutto la sessualità femminile che vive, a torto o a
ragione (qui non si discute di questo), della sua capacità di seduzione. Questo
divieto, lungo i secoli bui dell’ebraismo, del cristianesimo, dell’islamismo ha
assunto connotati maniacali e sessuofobici, portando ad attacchi isterici dei
credenti di fronte alla nudità parziale o totale del corpo. Far sopravvivere
queste assurdità significa cancellare l’ultima vera rivoluzione del mondo
occidentale, vale a dire quella sessuale. Occorre tenere lontano da queste
conquiste la sozzura contro natura della religione ebraica, della religione
cristiana e della religione islamica.
8) “E
uno dei Suoi Segni è che Egli v’ha create da voi stessi delle spose, acciocché
riposiate con loro, e ha posto fra di voi compassione e amore” (XXX, 21)
9) “Ei
v’ha creato da una persona sola, poi ne trasse la sua sposa, e delle bestie del
gregge ve ne diede quattro accoppiate; vi crea nel ventre delle madri vostre,
procreazione dopo procreazione” (XXXIX, 6)
10) “è
Lui che creò la coppia, il maschio creò e la femmina, da gocce di sperma che
emesse vengano?..è lui il signore di Sirio?” (LIII, 45-49)
Nell’ultimo
passo riportato, Allah viene considerato il “creatore del mondo”, anche se c’è
una “creazione ultima”, in ogni caso Allah ha creato anche questo mondo, il che
mostra che la componente dualistico-gnostica è assente, dato che gli gnostici
ritenevano l’Antico Testamento un libro del Demonio proprio in virtù del fatto
che prevedeva la creazione di questo mondo terreno. Tale componente gnostica ne
Il Corano affiora solo qua e là, a rimorchio del principio assoluto di
autorità. Dato che l’Antico Testamento ha un orizzonte mesopotamico-pagano,
almeno in partenza, e dato che Il Corano è sicuramente più vicino all’Antico
Testamento che al Nuovo Testamento rispetto al dualismo gnostico e anche a
quanto di potenzialmente metafisico c’è nel Nuovo Testamento stesso, non
meraviglia che qui vengano accostate ad Allah delle qualità procreatrici
tipiche del mondo pagano: in questo caso, però, quello egizio. Infatti Sirio è
l’unica stella citata ne Il Corano ed essa aveva molta importanza nella cultura
araba già da molto tempo prima di Maometto. Tale importanza risale,
probabilmente, alla notte dei tempi, e forse ha qualcosa a che fare con la
civiltà egizia, che per millenni si era sviluppata proprio ai confini della
penisola arabica. La stella, infatti, era già importante presso gli antichi
egizi. Questo spiega anche il fatto che la creazione dell’uomo (la donna, anche
qui, tratta dall’uomo, quest’ultimo preso come tipo unico iniziale: in pratica
si stabilisce che è nato prima l’uovo e poi la gallina: l’uovo sarebbe l’uomo e
la gallina sarebbe la donna) avvenga da “gocce
di sperma emesse”. Nell’antico Egitto, in effetti, nei “Testi delle
piramidi”, risalenti al 2300 a.C. circa, si dà proprio il caso di un dio, Atum,
che genera una coppia di divinità cosmiche primordiali, mediante una
masturbazione, quindi “da gocce di sperma
emesse” prima ancora che esistesse qualsiasi elemento femminile: “Egli <Atum> mise il fallo nel suo pugno e ne ebbe voluttà, e generò i due fratelli
Shu e Tefnut” (“Testi delle piramidi”
1248 a-1249 d). Questa generazione asessuata, che nell’Antico
Testamento viene giustificata con il fatto che Jahvé prende una costola di
Adamo per formare la donna, nel principio astratto “Allah” conserva
involontariamente ancora i suoi caratteri originari di derivazione pagana,
rafforzata dall’idea del Dio e principio unici e assoluti. Nella versione
originaria egizia questa procreazione asessuata maschile rivela tutta la sua
paradossalità in termini naturali: un organo sessuale maschile, cioè un
maschio, che procrea senza un organo sessuale femminile. Altrettanto
paradossale sarebbe un organo sessuale femminile che procrea senza un organo
sessuale maschile. Era ingenuità pagana, quella di usare il sesso in modo non
sessuale? Eppure oggi, a causa dell’astrazione e dell’incorporeità di tipo
protestante con le quali si intende la persona, sempre più spesso si pretende
di procreare senza o un maschio o una femmina, sostituendoli o con artifici o
elementi corporei affittati o presi da altri. Questa pretesa contro natura,
soddisfatta spesso dall’affarismo connesso ai metodi scientifici, è ancora più
frequente presso gli omosessuali. Costoro non si rendono conto che stanno
imitando i pagani e i libri sacri, pur facendo mostra di essere laici. Dei
laici snaturati, occorre precisare.
Gente del
Libro (ebrei, cristiani)
1) “Questo
è il Libro scevro di dubbi dato come guida per i timorati di Dio, i quali
credono nell’invisibile, eseguono la Preghiera ed elargiscono di ciò che loro
abbiamo donato” (II, 3)
Il Corano è, dunque, un Libro
dell’invisibile e dell’indubitabile. L’invisibile sembra rinviare ad un
dualismo gnostico, ma questo mondo dell’al di là appare sempre molto generico e
misterioso, più che altro ha la sua importanza per i riflessi autoritari che
svolge in questo mondo. Di fronte all’assolutezza spirituale di Allah, la
logica de Il Corano è, al contrario, piuttosto “materialistica”, come se la
spiritualità neo-testamentaria fosse usata in funzione dell’Antico Testamento,
che è il vero centro psicologico e normativo de Il Corano, là dove il cristiano
fa esattamente il contrario, cioè legge l’Antico Testamento in funzione del
Nuovo Testamento, arrivando a forzature “simbolistiche” di ogni tipo. Il
disagio psicologico del cristiano moderno di fronte all’Antico Testamento è
noto, ma il dogma lo porta a non svolgere una sana funzione critica. Per altro
all’epoca di Maometto la distinzione psicologica tra Antico Testamento e Nuovo
Testamento era avvertita in modo molto meno sensibile anche dai cristiani, per
cui è chiaro che Maometto non l’avverte quasi. Maometto reputa coerenti
l’Antico e il Nuovo Testamento, ma, di fatto, sceglie il primo per i continui
riferimenti mesopotamici che condivide con esso e perché la dottrina trinitaria
e dell’incarnazione lo spingono tenere a distanza il Nuovo Testamento, vista la
lettura che i cristiani ne fanno. Maometto, quindi, presenta il suo Libro,
assieme, come la corretta lettura della Bibbia e come il suo superamento,
creando un’ambiguità che si rifletterà di continuo nel rapporto di odio-amore
che avrà con ebrei e cristiani, i quali restano, comunque, su un piano di
inferiorità, ma possono essere tollerati, quando prevale la considerazione che
sono “gente del Libro”, e non tollerati, quando vengono considerati dei viscidi
modificatori dell’essenza del Libro e perciò vengono accostati ai demoni veri e
propri, quali sono i pagani e gli atei.
2) “Ma
quelli che credono, siano essi ebrei, cristiani o sabei, quelli che credono
cioè in Dio e nell’Ultimo giorno e operano il bene, avranno la loro mercede
presso il Signore, e nulla avranno da temere né li coglierà tristezza” (II, 62)
E’ evidente che, nel passo, prevale
l’aspetto tollerante nei confronti dei cristiani e degli ebrei, in quanto sono
fedeli del Libro, in cui si crede “in Dio
e nell’Ultimo giorno”. Ebrei e cristiani sono visti nel segno della
continuità che Maometto attribuisce a Il Corano rispetto alla Bibbia.
3) “eppure
sapete quel che accadde a coloro di voi <la gente del popolo con il Patto con
Dio> che disobbedirono violando il
sabato e ai quali dicemmo ‘Siate scimmie spregevoli!’, e ne facemmo castigo
esemplare per i presenti e pei posteri e monito pei timorati di Dio” (II, 65)
Il passo sembra riferirsi, in particolare,
agli ebrei e indica nella violazione del sacralità del sabato la colpa. Insomma
appare chiaro che il passo è molto meno tollerante del precedente. Per la
violazione della festività del sabato non è che l’Antico Testamento sia più
tenero de Il Corano: “Colui che in tal
giorno <il sabato di riposo> fa
qualche lavoro, sia punito con la morte” (“Antico
Testamento” - Esodo 35, 2). La mancanza di rispetto per la vita e per
l’individualità di questi “Libri sacri” è sconcertante. Sono Libri di
“comunità”, in cui l’individuo è una marionetta che esegue le regole della
Comunità. Quando riposarsi lo dovrebbe decidere l’individuo, perché è lui che
sa quando è stanco, oppure solo Dio ha diritto di riposarsi quando è stanco?
Lasciamo da parte il fatto che la stanchezza di Dio fa ridere, è più pagana di
trecento idoli messi in fila. Il fatto che, però, qui ci interessa è che
Maometto stava parlando di ebrei, cristiani ecc., e, dopo aver notato la
continuità - con conseguente tolleranza -, sembra riferirsi in particolare agli
ebrei, allorché afferma che alcuni di loro violavano le regole di Dio,
specificando quella del sabato. Insomma, almeno gli ebrei, sarebbero il popolo
che ha stipulato il Patto con Jahvé (assimilato ad Allah), ma anche il popolo
che tende a tradire questo Patto. Per cui, a seconda dei modi e dei tempi, si
può essere tolleranti e intolleranti insieme nei loro confronti. Sembra una
pericolosa furberia politica. L’intolleranza, ovviamente, fa degradare ebrei e
cristiani al livello di semplici infedeli, tipo i pagani o gli atei. Questa
ambiguità nasce dallo stesso modo di porsi di Maometto, il quale, da un lato,
cerca di usare l’autorità già affermata della Bibbia e, dall’altro lato,
partendo da questa base cerca di creare una nuova autorità. Il nuovo è più
perfetto e insieme si presenta come l’autentica verità del vecchio. E’ la
ripetizione di una logica che venne usata anche dai cristiani, allorché posero
il Nuovo Testamento in continuità con l’Antico Testamento. Ma, così come gli
ebrei che non adottavano anche il Nuovo Testamento potevano essere demonizzati,
allo stesso modo gli ebrei e i cristiani che non accettano la nuova rivelazione
coranica possono essere demonizzati. Pagani ed atei sono esclusivamente
demonizzati, cosa, per altro, che tende a fare, ancora oggi, anche il
cristianesimo. I cristiani seguitano a storcere il naso di fronte ad una
dichiarazione esplicita di ateismo, anche se la laicità dello Stato impedisce
loro qualsiasi persecuzione nei confronti degli atei. Ma darebbe scandalo vero
e proprio se qualcuno si presentasse da un cristiano, un ebreo o un mussulmano
e gli dicesse “sono pagano”. Qui l’intolleranza scatterebbe quasi
automaticamente, perché i Libri sacri sono una fabbrica ideologica di deficienti-delinquenti.
4) “Quelli
fra la gente del Libro che non credono, e i pagani, non amano che il Signore
vostro vi elargisca de’ suoi favori; ma Allah trascende nella sua misericordia
chi Egli vuole e Allah ha grazia grande” (II, 105)
5) “A molti della gente del Libro piacerebbe
farvi tornare miscredenti dopo che voi avete accettato la Fede, per l’invidia
che nasce loro nell’animo allorché vedono manifesta la verità; perdonate loro e
lasciateli in pace, finché Allah non mandi il Suo ordine, ché Allah è, in
verità, onnipotente” (II, 109)
Questo passo, che segue di poco quello
precedentemente citato, fa riferimento più chiaro al fatto che i “non credenti” fossero nello stesso
passo precedente gli ebrei e i cristiani in quanto tali, cioè come religiosi
che non riconoscono la rivelazione coranica. Sono qui presentati come “perfidi”
perché vorrebbero impedire la conversione all’Islam e vorrebbero riconvertire
all’ebraismo e al cristianesimo chi si era convertito in precedenza alla
religione coranica. Il passo, in fatto di tolleranza, è ambiguo: da un lato
dice, esplicitamente, di “lasciare in
pace” ebrei e cristiani, in quanto miscredenti appartenenti alla “gente del Libro” (il che vuol dire che
i miscredenti non appartenenti alla “gente
del Libro”, come i pagani e gli atei, non hanno nessuna possibilità di
essere tollerati), ma poi accenna al fatto che Allah può mandare un suo “ordine”, che si presume in contrasto
con quel “lasciare in pace”, perché
solo in questo modo ha un senso quanto dice Il Corano. Se Allah dicesse di
“lasciare in pace” chi viene già “lasciato in pace” pronuncerebbe un ordine del
tutto superfluo. Lo Stesso richiamo all’onnipotenza di Allah, fatta appena
dopo, sembra confermare che non si tratta di seguitare a “lasciare in pace”.
6) “Gli
ebrei dicono: ‘I cristiani non sanno nulla!’ e i cristiani: ‘Non sanno di nulla
gli ebrei’ rispondono, eppure recitano gli uni e gli altri lo stesso Libro. E
come loro dicono anche i pagani ignoranti, ma sarà Allah a giudicare dei loro
dissensi, il dì della Resurrezione..E certo né ebrei né cristiani saranno
contenti di te finché tu non seguirai la loro religione, ma tu rispondi: ‘E’ la
guida che viene da Allah che è la vera Guida!’, ché, se ti arrendessi ai loro
desideri dopo che tu hai saputo quello che hai saputo, non avrai aiuti né
protettori di contro all’ira di Allah. Coloro cui demmo il Libro <Il Corano> e lo recitano come si deve, quelli sono i
veri credenti, ma coloro che lo rinnegano, quelli sono i perdenti” (II,
113-121)
Insomma, alla fine, i veri credenti sono
solo gli islamici, la “gente del Libro” va rispettata più di chi non si fa adoratore
di libri, ma rimane, comunque, non autenticamente credente. Questo genera già
una gerarchia che colloca ebrei e cristiani nella posizione dell’“infedele”,
con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Il passo indica che, di
fronte alla discussione tra ebrei e cristiani, fermi entrambi in posizioni di
intolleranza, Maometto si presenta come il risolutore delle dispute mediante
un’autorità superiore, Il Corano, che incorpora l’autorità della Bibbia. Dato
che l’intolleranza di ebrei e cristiani dipendeva dal medesimo principio che
fondava entrambe le religioni, cioè quello di autorità (più gnostico nei
cristiani), la conclusione è che Maometto pretende di superare le dispute
dovute all’intolleranza di due principi di autorità contrapposti (quello
ebraico e quello cristiano) con un terzo e superiore principio di autorità (una
specie di sintesi hegeliana) espresso da Il Corano e dall’islamismo. La vera
conseguenza è che ci si è venuti a trovare di fronte a tre, anziché due,
principi di autorità e perciò a tre forme di intolleranza. Il modo in cui si
esprime Maometto fa venire in mente quello con il quale gli scettici delle
filosofie clandestine e libertine del Seicento deridevano, a ragione, tutte e
tre le religioni, definendo parimenti “impostori” Mosè, Gesù Cristo e Maometto:
“da che cosa ti risulta che Dio esiga di
essere conosciuto?..Da una rivelazione speciale? Chi sei tu, che dici
questo?..che miscuglio di rivelazioni! Chiami in causa gli oracoli dei pagani?
Già ne rise l’antichità. Le testimonianze dei sacerdoti? Ti presento altri
sacerdoti che li contraddicono..Citi gli scritti di Mosè, dei profeti e degli
apostoli? Ti si contrappone Il Corano, che sulla base dell’ultima rivelazione
definisce manipolati quegli scritti..la natura delle principali religioni è
tale che l’una presuppone l’altra, quella di Mosè il paganesimo, quella del
Messia il giudaismo, quella di Maometto il cristianesimo, e non sempre la
successiva respinge la precedente in tutto..ogni religione asserisce che tutti
i maestri sono dalla propria parte..Sicché o bisogna credere a tutte le
religioni, il che è ridicolo, o a nessuna, che è la cosa più sicura” (Anonimo - “I tre impostori”).
7) “Vi
diranno ancora: ‘Diventate ebrei o cristiani e sarete ben guidati!’ Ma tu
rispondi: ‘No, noi non siamo della Nazione di Abramo, ch’era un hanif <culto puro>, e non già un pagano’ E dite loro ancora:
‘Noi crediamo in Dio, in ciò ch’è stato rivelato a noi e a ciò che fu rivelato
ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, e alle dodici Tribù, e in ciò che
fu dato a Mosé e a Gesù, e ai profeti del Signore; noi non facciamo differenza
alcuna fra loro e a Lui tutti ci diamo! E se ebrei e cristiani avranno questa
stessa vostra fede saranno ben guidati, ma se vi volgeranno le spalle si
porranno in aperta scissione e allora ti basterà Allah contro di loro..Dì loro:
‘Volete discutere di Dio con noi? Ma Dio è il nostro e vostro Signore, noi
abbiamo le nostre opere e voi le vostre, ma noi siamo sinceri con Lui’..E dì
loro ancora: ‘Ne sapete più voi o Allah? E chi è più iniquo di chi cela una
testimonianza ch’ebbe da Dio?” (II, 135-140)
La derivazione e la discontinuità, rispetto
alla Bibbia, si intrecciano nel passo in un groviglio di contraddizioni che
possiedono una logica sconnessa solo nel principio di autorità. Fa quasi ridere
il fatto che, subendo un’influenza culturale così pesante - quella biblica in
generale -, si possa poi cercare di prendere le distanze dagli ebrei e dai
cristiani stessi, in un modo che, a un certo momento, accosta ebrei e cristiani
agli stessi pagani. E’ evidente che Maometto giudica idolatriche molte pratiche
rituali e molte rappresentazioni o simboli religiosi ebraiche e cristiane opponendo
ad esse uno spirito metafisico gnostico di tipo iconoclastico che coinvolge la
stessa figura di Abramo, nonché dei vari Ismaele, Gesù, ecc. (tutti equiparati
nel rango degli esseri umani portatori della parola di Dio), i quali appaiono
come entità “pure”, anziché, come sono, ebrei in carne ed ossa. Uno
sdoppiamento di tipo gnostico che verrà applicato anche alla figura di Gesù. I
profeti ebrei o cristiani cessano, in qualche misura, di essere ebrei e
cristiani, perché, pur portatori delle verità di Dio, essi non appartengono al
contesto culturale ebraico o cristiano, ma assumono caratteri universali ai
quali solo Il Corano si atterrebbe. Ci sono “le
nostre opere” e le “vostre opere”,
ma solo i fedeli de Il Corano sono “sinceri
con Dio”. Come per dire la verità dell’ebraismo e del cristianesimo non è,
o almeno non è più, presso gli ebrei e i cristiani, ma presso gli islamici. La
Bibbia è rivelazione di Dio, ma, ormai, la sua verità si è spostata ne Il
Corano. Il rifiuto, da parte di ebrei e cristiani, dell’autorità della nuova
rivelazione coranica si configura come falsificazione della stessa vecchia
rivelazione biblica ebraica e cristiana. Si ha il paradosso che ci si riferisce
alla rivelazione fatta ad ebrei e cristiani, ma ebrei e cristiani non sono più
gli esponenti della rivelazione biblica. Il Corano include ed espropria la
Bibbia contemporaneamente. Il motivo non c’è, perché, come per autorità gli
ebrei non credono a Gesù Cristo e lo contestano, come per autorità i cristiani
credono a Gesù Cristo e contestano gli ebrei, allo stesso modo ebrei e
cristiani per autorità non credono alla rivelazione coranica e la contestano,
ma allo stesso modo, ancora, i mussulmani per autorità credono alla rivelazione
coranica e, pur condividendo la rivelazione biblica - incorporandola a Il
Corano -, contestano ebrei e cristiani perché non credono all’autorità della
nuova rivelazione coranica. Questo religioni rivelano una cosa soltanto: la
vastità della follia e del fanatismo umani. Ovviamente questi fanatici hanno un
tratto comune, quello di sottomettersi all’autorità, per cui poco capiscono la
libertà di chi non subisce alcuna autorità. Quando un ateo dice che Allah o il
Dio biblico non esistono, costoro rispondono nel modo assurdo in cui risponde
Maometto: “Ne sapete più di Allah?”,
facendo finta di non capire che dire “Dio e Allah non esistono” è solo il rifiuto
del principio psicologico di autorità e che la presunta esistenza di Allah o di
Dio è, invece, solo la conseguenza della loro debolezza e viltà per le quali
hanno bisogno di “essere guidati” da un principio di autorità.
8) “Anche
se apportassi a coloro cui fu dato il Libro ogni sorta di Segni divini, essi
non seguirebbero la tua qibla <direzione
della preghiera>, né tu devi seguire
la loro, né del resto essi stessi seguono la qibla gli uni degli altri. Ma se
tu obbedissi alle loro voglie dopo quanto hai appreso di scienza certa,
saresti, in verità, fra gli iniqui. Coloro cui demmo il Libro lo conoscono come
conoscono i figli loro, ma una banda fra loro tiene nascosta la verità,
scientemente” (II, 145)
9) “Questa
gente che non crede è come quando uno grida e chi lo ascolta non percepisce che
voce indistinta d’invito: sordi, muti, ciechi, non intendono nulla!” (II, 171)
Maometto non può dire che il Libro, inteso
come Bibbia, sia una falsa rivelazione, altrimenti non ci sarebbe quella
continuità di autorità che desidera avere per se stesso, quindi è costretto,
continuamente, a fare i salti mortali per spiegare come mai ebrei e cristiani
si rifiutano di accettare la rivelazione coranica, che Maometto intende come
verità della stessa Bibbia. Il principio di autorità, di cui si riveste, gli
impedisce di capire che, nonostante molti contenuti de “Il Corano” siano
ispirati direttamente alla Bibbia, in particolare all’Antico Testamento, la sua
è, comunque, una nuova rivelazione e che chi è convinto che la sua vecchia rivelazione
sia già completa non può accettare l’autorità di Maometto in aggiunta alle
precedenti. Ma il rifiuto dell’autorità è cosa inconcepibile per le persone
autoritarie come Maometto, specie se si tratta della sua. Dati questi fatti,
Maometto presume che ci sia una “banda” tra ebrei e cristiani che nasconde la verità,
che poi sarebbe la rivelazione coranica come essenza della stessa Bibbia. Il
passo, in realtà, mostra solo la divisione e l’intolleranza a cui porta
l’autorità di ogni rivelazione. Le rivelazioni sono dogmi politici che vogliono
giustificare un potere e la sottomissione altrui, sono strutturalmente
immorali. Quanto al secondo passo citato, esso vorrebbe porre la rivelazione
coranica sul piano di un famoso proverbio “non c’è peggior sordo di chi non
vuole sentire”. Solo che una rivelazione non è un’evidenza empirica, è un atto
di fede cieca. Non si può pensare che, se uno dice una cosa, debba essere
creduto solo perché l’ha detta. Se dico di essere Napoleone, solo i creduloni
possono prendere sul serio le mie affermazioni. I profeti sono un po’ come i
pazzi, poi, dato che esistono anche i creduloni, alcuni di essi vengono
creduti. Ma, dato che le rivelazioni si fondano sul principio di autorità e
vengono percepite come “zattere della salvezza”, capita anche che ogni
rivelazione presenta i suoi dogmi in modo da escludere altre rivelazioni, in
fondo anche Il Corano fa la stessa cosa, infatti, pur riconoscendo l’autorità
della Bibbia, gliela riconosce solo a patto che venga integrata e superata da
Il Corano, quindi anche Il Corano, in realtà, esclude l’autorità della Bibbia
fine a se stessa. Considerando il dogmatismo, l’autoritarismo, il fanatismo
della fede, l’intolleranza con cui queste rivelazioni, che escludono le altre,
vengono a proporsi ed imporsi, è del tutto conseguente la violenza religiosa.
Presentare le grandi religioni come messaggi di pace è una grossa ipocrisia, è
sempre sottinteso in esse che la pace stia nell’universalismo di ognuna di
esse, quindi nella silenziosa soppressione delle altre, che è il motivo stesso
della loro violenza. Religione e violenza dovrebbero essere considerati
sinonimi.
10) “dì
a coloro cui fa dato il Libro e ai gentili: ‘Vi date ad Allah?’ E se si daranno
a Lui saranno ben guidati, ma se ti volteranno le spalle, ebbene, tu non devi
che portare il Messaggio..E a coloro che rifiutano i segni di Allah e uccidono
i Profeti ingiustamente, e uccidono coloro fra gli uomini che invitano
all’equità, annuncia castigo cocente..Non vedesti tu dunque coloro cui fa data
una parte del Libro?..I credenti non si scelgano a patroni gli infedeli a
preferenza dei fedeli, chi fa questo non è da Allah..In verità Allah ha eletto
Adamo e Noé e la gente di Abramo e la gente di Imran <Gioacchino, secondo
gli apocrifi sarebbe il padre di Maria madre di Gesù> sovra tutto il creato” (III, 20-33)
A coloro che rifiutano Il Corano, cioè “i segni di Allah”, Maometto deve sempre
trovare un comportamento disdicevole oltre al semplice rifiuto del messaggio
coranico, devono uccidere profeti, devono uccidere uomini che professano
l’equità, insomma devono essere demonizzati. Va fatto notare che la stessa
tecnica la usò Hitler nel Mein kampf per demonizzare gli ebrei, che, comunque,
pure non erano dei santi. In tal modo viene a giustificarsi qualsiasi
comportamento violento nei loro confronti. Non che qualcuno degli ebrei,
cristiani o “gentili” non sia mai stato violento anch’esso, ma lo spostamento
dal rifiuto de Il Corano alla perfidia dei suoi interlocutori ebrei e cristiani
è piuttosto continuo in Maometto. Intendiamoci la perfidia è la regola della
religiosità ebraica e cristiana, ma è la regola anche della religiosità
mussulmana. Si tratta di quei segnali di intolleranza che fanno capo allo
stesso fanatismo religioso. Le rivelazioni religiose creano un “muro”, per cui
chi sceglie un infedele al posto di un credente islamico si rende già colpevole
nei confronti Allah. Siamo al livello medievale dantesco per il quale Virgilio
non può entrare in Paradiso. Sembra poi che il “Messaggio”, cioè la rivelazione coranica, debba convincere per
forza già come semplice messaggio, come se “i
segni di Allah” fossero evidenti a tutti: già questa pretesa è una forma di
violenza.
11) “Dì:
‘O gente del Libro! Venite a un accordo equo fra noi e voi, decidiamo cioè di
non adorare che Allah e di non associare a Lui cosa alcuna, di non sceglierci
fra noi padrone alcuno che non sia Allah’. Se poi non accettano dite loro:
‘Testimoniate almeno che noi ci siamo dati tutti a Dio!’..Ecco voi siete quelli
che discutete su ciò di cui avete nozione, ma perché mai discutete di ciò di
cui non avete nozione alcuna? Allah sa e voi non sapete! Abramo non era né
ebreo, né cristiano: era un hanif <di
culto puro>, dedito interamente ad
Allah e non era idolatra” (III, 64-67)
Il passo sembra estremamente tollerante,
quasi da dialogo interreligioso, come si usa fare oggi. Ma è anche estremamente
ipocrita. Per prima cosa l’accordo è riservato ai credenti in Dio, quindi con
atei e pagani non c’è alcuna possibilità di “accordo
equo”. Poi l’accordo è falso anche con i credenti in Dio, proprio perché
non sono credenti in Allah, cioè a Dio nella versione coranica. Ciò emerge da
quanto Maometto stesso dice, cioè di “non
associare a Lui alcuna cosa”, il che vuol dire che i cristiani sono già
esclusi dall’accordo, visto che accostano a Dio il Figlio e lo Spirito Santo.
Il Dio padrone, quindi, è già Allah e non il Dio cristiano. Poi sembra che
Maometto non voglia si discuta di teologia, perché di Dio non si avrebbe
nozione. La religione mussulmana che più rispetta questo carattere acefalo
della religiosità è quella sunnita, ma se i cristiani (gli ebrei discutono
molto meno, in questo somigliano di più a quanto dice qui Maometto) discutono
di ciò che non hanno nozione, come fa Maometto ad avere la nozione di Allah. E’
Allah che sa, non Maometto. Questa strana sovrapposizione tra Maometto e Allah
dovrebbe ritenersi blasfema. Si accetta l’ipotesi assurda per cui i profeti
sono esseri speciali che, sebbene esseri umani, hanno nozione di quello di cui
non possono avere nozione? Perché, se solo “Allah
sa”, allora Maometto non sa. Per cui così come i cristiani non dovrebbero
discutere di Dio, perché discutono di quello che non sanno, allo stesso modo
Maometto non dovrebbe parlare di Allah, perché parla di quello che non sa.
Insomma, su Dio o Allah, tutti gli esseri umani non sanno, solo Maometto sa.
Questo principio medievale stava alla base della teocrazia in cui solo il papa
aveva la “scienza” religiosa e in epoca moderna stabilì che solo Hitler sapesse
cosa fosse la Germania, mentre tutti gli altri non lo sapevano, o che solo
Stalin sapesse cosa fosse il comunismo, mentre tutti gli altri russi non lo
sapevano. La pericolosità del culto del figlio di Dio, Gesù Cristo, o del
profeta, Maometto, è alquanto evidente. Gli impostori si fanno “duci” con la
collaborazione dell’incapacità critica del popolo.
12) “E
gli uomini debbono il pellegrinaggio al Tempio, quelli di loro che abbiano la
possibilità di fare quel viaggio...Dì: ‘O gente del Libro! Perché rifiutate
fede ai segni di Allah, mentre Allah stesso è testimone di ciò che operate?’..’O
gente del Libro! Perché distogliete coloro che credono dalla via di Allah? Voi
cercate di renderla torta mentre siete voi stessi testimoni che essa è la Via
retta. Ma Allah non è incurante di quel che voi fate’..ricordate le grazie che
Allah v’ha elargito: eravate nemici e v’ha posto armonia in cuore per la Sua
grazia siete divenuti fratelli” (III, 97-103)
La “fratellanza” è un segno di appartenenza
alla propria religione, solo coloro che appartengono alla medesima fede
religiosa sono fratelli. Che il termine “fratellanza” sia un abuso del termine
anche nel senso laico di “fratellanza umana” è fuori di dubbio, ma questa
prassi astratta e falsa della “fratellanza” è nata proprio a seguito
dell’adesione alle comunità religiose, che, poi, facendosi universali, hanno
preparato la strada per la religione laica dell’uomo, nella quale gli esseri
umani sarebbero tutti fratelli. Nella realtà e nei sentimenti non esistono che
i fratelli che crescono insieme nella stessa famiglia e ogni altro tipo di
fratellanza è ipocrisia e falsità. Quanto al “pellegrinaggio al Tempio” è un chiaro residuo di idolatria pagana,
perché un tempio, sia esso in occasione del “giubileo” cattolico a San Pietro,
sia esso il Tempio di Gerusalemme o di La Mecca o di Medina, in quanto luogo
terreno, in quanto composto di pietre “sacre”, non sono diversi da un idolo
pagano. Sono solo “centri turistici” per idioti che non
sanno godersi il mare, la collina e la montagna. E’ idolatria, per conseguenza, anche rivolgersi a Roma, a Gerusalemme,
a La Mecca per pregare. Il passo mostra anche la inevitabile rotta di
collisione tra due religioni, come quella cristiana e quella mussulmana, che
hanno per dogma primario quello di “convertire” il prossimo, anziché lasciarlo
in pace. Nel finale il passo rivela, nel classico linguaggio religioso della
“fratellanza”, quello che era il vero scopo politico de Il Corano, cioè
l’unione delle varie tribù arabe. Il culto dell’unione è un culto della forza,
sia nelle religioni che nelle potenze degli Stati moderni e dell’economia. Per
il resto il passo è la solita contraddizione con ebrei e cristiani, i quali
sono e non sono credenti, e per avallare la seconda ipotesi Maometto non risparmia
mai una qualche diffamazione, come, ad esempio, dire che essi “rendono torta” la via che porta a Dio.
In effetti è anche vero che ne Il Corano c’è un’enorme semplificazione del
principio autoritario, in questo esso è già un esempio mediatico notevole, si
muove con la semplicità autoritaria di chi sa di rivolgersi a gente ignorante e
provinciale.