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domenica 13 dicembre 2015

PASSI CORANICI (10°, 11°, 12° parte pubblicata su facebook)

Su: DONNA (parte finale) e GENTE DEL LIBRO: ebrei e cristiani (parte iniziale)


5) “Gli uomini sono preposti alle donne, perché Allah ha scelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano alcuni beni per mantenerle;..quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattarle” (IV - Sura delle donne, 34)
6) “Ti chiederanno il tuo parere sulle donne. Rispondi: ‘E’ Allah che vi darà istruzioni su di loro..’. E se una donna teme maltrattamenti o avversione da parte di suo marito non sarà male per essi che si mettano d’accordo fra loro, in pace; poiché la pace è bene..Anche se lo desiderate non potrete agire con equità con le vostre mogli; però non seguite in tutto la vostra inclinazione, sì da lasciarne una <delle mogli> come sospesa. Se troverete un accordo e temerete Allah, Allah è misericordioso e clemente. Se poi marito e moglie si separeranno, Allah arricchirà ambedue della sua abbondanza ampia ché Allah è ampio sapiente” (IV - Sura delle donne, 127-130)
    Il primo passo citato non meraviglia visto che tutta la tradizione giudaico-cristiana creava, in vista della superiorità stessa della “comunità”, una subordinazione della donna rispetto all’uomo, giustificata, di fatto, dalle condizioni storico-materiali di vita. La subordinazione era prevista esplicitamente anche nel Nuovo Testamento: “Cristo è il capo di ogni uomo, l’uomo è il capo della donna e Dio è capo di Cristo..né fu creato l’uomo per la donna, bensì la donna per l’uomo. Quindi la donna deve portare sul capo il segno della potestà <il velo in testa durante la preghiera>(“Nuovo Testamento” - Paolo di Tarso - “1° Lettera ai corinzi”  11, 3-11). Si è visto che “Il Corano” è un libro di comunità che non riconosce la singola individualità, come spesso capita nei libri sacri e nei costumi barbari, ciò vuol dire che, come nel fascismo, gli individui sono considerati cellule che svolgono una determinata “funzione”. La funzione specializza gli individui perfino a seconda del sesso. Le differenze fisiche tra uomo e donna rispetto alla cura della casa e dei figli o rispetto all’attenzione all’ambiente e ai pericoli è, ovviamente, rapportabile alla costituzione fisica dei singoli individui maschili o femminili. Così come ci possono essere maschi deboli (l’uomo in genere è più forte), allo stesso modo ci possono essere donne sterili (la donna in genere è molto portata alla maternità). La specializzazione, però, non tiene conto delle eccezioni, ma di una presunta regola naturale. Si può, quindi, ritenere ovvio che una società spinga gli individui a fare soprattutto quello per cui sono per natura più portati. Ma bisogna vedere che metodi usa. Dalla diversa funzionalità corporea e quindi sociale l’Islam fa derivare la regola relativa al fatto che l’uomo mantiene la donna e la donna viene mantenuta dall’uomo. Per certi aspetti, anche se le regine si moltiplicano, sembra una distinzione tra ape regina e api operaie. Ma, ovviamente, non si può fare una semplificazione del genere. Anche se sussiste qualche motivo biologico affinché l’uomo e la donna possano fare, con migliore profitto, una determinata attività, questo motivo non può essere assolutizzato dal principio olistico o comunitario e scavalcare quella è un’altra primaria realtà biologica, cioè la indipendenza fisica individuale. Non è che individui, maschi o femmine che siano, nascano e muoiano in comunità come se la comunità fosse un organismo unico: quando un organismo muore, muoiono tutte le cellule. Non risulta che quando muore una donna muoiano anche gli uomini o viceversa, quando muore un uomo, muoiono anche le donne. La nascita e la morte dimostrano l’assolutezza dell’individualità della vita. In Occidente, dopo che i laici hanno preso a ragionare come “protestanti politici”, tali cioè da ignorare le differenze fisiche tra uomo e donna, fissando un’astratta e inesistente “uguaglianza” (tutte “anime”, quindi tutti “uguali”), commettendo l’errore fatale che Nietzsche faceva notare: “Disprezzano il corpo: lo hanno lasciato fuori del calcolo” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 14 (96)), l’individualismo ha assunto caratteri del tutto arbitrari e metafisici, spirituali, cerebrali. Tutti vogliono tutto, senza più tenere in alcun conto le biologiche differenze individuali. Di fronte a tanta astrattezza dell’Occidente, “Il Corano” sembra, ma solo per un certo aspetto, mantenere i piedi per terra, nel senso che il rapporto tra uomo e donna è regolato a partire dalla differenza biologica che li distingue. Questo materialismo è saggio e va conservato, ma va corretto, eliminando l’assolutizzazione ideologica che la società islamica, a partire da Il Corano, vi costruisce intorno. In altri termini, l’individualismo occidentale va corretto secondo il sistema di misura del corpo (in questo l’Occidente ha da imparare da “Il Corano”), l’olismo sociale coranico e islamico, impostato a partire da una base biologica, va corretto secondo la misura corporea dell’individuo. Perciò, mentre l’Occidente fa fatica a distinguere maschio e femmina in ogni luogo della società, l’Islam fa fatica a distinguere l’individuo come entità indipendente, che si lega o non si lega agli altri su base autonoma. Se, quindi, storicamente era comprensibile che, in una società collocata in mezzo al deserto, la donna restasse in casa e fosse mantenuta, mentre l’uomo usciva di casa e manteneva la donna, prendendo anche decisioni (in questo senso, forse, Maometto dice che “gli uomini sono preposti alle donne”), questo non può essere reso assoluto da un libro sacro. Non solo sono cambiate le situazioni storiche, per cui quella comunità che scavalcava l’individualità prevista da “Il Corano” non vive più precariamente e non ha la cultura del deserto come suo immediato antecedente, ma è stata stabilita la superiorità biologica dell’individuo a fissare una realtà che l’aspetto comunitario de “Il Corano” ignora. Così come il protestantesimo politico dei laici occidentali ignora le differenze fisiche in nome di un’astratta uguaglianza, allo stesso modo l’Islam ignora che l’individuo non è una cellula in cui sono assolutizzate le differenze biologiche tra maschio e femmina. Non è l’individuo che appartiene al genere sessuale o sociale, ma è il genere sessuale e sociale che appartiene all’individuo. In quanto individui, il maschio e la femmina non sono, a priori, colui che mantiene e colei che viene mantenuta, per cui non si giustificano più, davanti al tribunale dello stesso corpo individuale, le sperequazioni nell’eredità fatte in nome della “funzione sociale” svolta dai maschi e delle femmine. A maggior ragione non si giustifica più, davanti all’individuo, maschio o femmina che sia, la perdita dell’indipendenza, per la quale il maschio sarebbe “preposto” alla femmina, fino al punto di pretendere “obbedienza”, fino al punto di “battere” le donne. Non solo la violenza fisica del “battere” è una violenza contro l’individuo, in questo caso la donna, ma la stessa pretesa di “obbedienza” è da ritenersi, secondo natura, violenza, secondo il criterio dell’aggressione. L’“obbedienza”, però, è un valore morale anche dell’Antico Testamento, nonché del Nuovo Testamento: “per la disobbedienza di un solo uomo <Adamo> gli altri uomini furono costituiti peccatori, così per l’obbedienza di uno solo <Gesù: il modello sacrificale> gli altri sono costituiti giusti” (“Nuovo Testamento” - Paolo di Tarso - “Lettera ai romani” 5, 19). E’ chiaro, quindi, che l’Antico Testamento, il Nuovo Testamento e Il Corano contengono forme di istigazione alla violenza, ne “Il Corano” più specificatamente verso le donne.
    Il secondo passo riportato fonda sul presupposto autoritario e metafisico, cioè Allah, quella che è una regola storica della vita dei tempi relativamente alla differenza fisica tra uomo e donna, in questo modo quella regola diventa assoluta e viene vietata ogni discussione in merito. Dopo aver combattuto il nazi-fascismo e il comunismo, appare evidente che questo aspetto della cultura coranica, ma forse religiosa in generale, è assolutamente da condannare moralmente. Per il resto del passo Allah assume, quasi, il ruolo passivo di una provvidenza che segue, in realtà, le decisioni prese dagli esseri umani. Se uomo e donna divorziano, Allah darà comunque benessere, se restano insieme, accadrà lo stesso. L’importante è che si abbia “timore” di Allah, cioè che si abbia dentro il proprio cervello la cultura della sottomissione ad un’autorità, che, in questo, caso, somiglia molto al protestantesimo. Il movimento di Allah, in questo passo, sembra quello della filosofia astratta di Hegel, che pensava di fissare tutto dall’alto e teoricamente nel momento stesso in cui seguiva empiricamente e passivamente quel che accadeva (divorzio o proseguimento del matrimonio). Allah è un principio legalizzante anche a posteriori. Allah, come il Dio dei protestanti, è una specie di polizia segreta che il credente si porta dentro e per la quale, avendo interiorizzato l’autorità, è diventato una vera marionetta o un automa che si ricarica, anziché con le batterie, con il cibo.
7) Dì ai credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne..E dì alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare, e si coprano i seni d’un velo e non mostrino le loro parti belle che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro suoceri o ai loro figli, o ai figli dei loro mariti, o ai loro fratelli..o alle loro donne, o alle loro schiave, o ai loro servi maschi privi di genitali, o ai fanciulli che non notano la nudità delle donne” (XXIV, 30-31)
    Ovviamente questa mentalità snaturata trova i suoi corrispondenti anche nella Bibbia: “Non scoprire la nudità d’una donna e quella di sua figlia..esse sono una medesima carne con la tua: ciò è un’infamia” (“Antico Testamento” - Levitico 18, 17). La sensuale manifestazione della bellezza e dell’erotismo dell’epoca pagana veniva distrutta da “popoli sacerdotali”, come li chiamava Nietzsche, cioè quello ebraico, quello cristiano e quello islamico. La negazione della bellezza naturale e del sano erotismo diventavano la castrazione fattasi libro sacro. Ci si può mostrare nudi, come dice Agostino, come in Paradiso, perché lì non si hanno desideri sessuali. Il Paradiso è la negazione stessa della vita.  Le negazione della sessualità viene fatta diventare “libro sacro”, ma osceni sono i libri sacri. Si lasci da parte il fatto che la bellezza venga riservata solo ai coniugi (che non possono presumersi privi di desideri sessuali) o a persone di famiglia che si presumono prive di desideri sessuali. Si può anche ammettere che, dove vi è un legame sentimentale tra un uomo e una donna, questi due facciano una scelta di riservatezza corporea per compiacere ognuno l’altro . Questa scelta, però, è giustificata solo da quel sentimento e non da una comunità che vuole eliminare la bellezza, il desiderio sessuale e, alfine, lo stesso corpo. Senza libertà corporea non esiste alcuna libertà della persona. Dove, però, non sussiste alcun legame sentimentale, privare gli esseri umani di vivere con gaiezza la loro bellezza (e ognuno ne possiede un po’) e la loro sessualità è segno di odio verso l’umanità. L’Antico Testamento, il Nuovo Testamento e Il Corano mostrano qui tutto il loro odio per la vita terrena e per l’umanità. E’ chiaro, poi, che il divieto colpisce soprattutto la sessualità femminile che vive, a torto o a ragione (qui non si discute di questo), della sua capacità di seduzione. Questo divieto, lungo i secoli bui dell’ebraismo, del cristianesimo, dell’islamismo ha assunto connotati maniacali e sessuofobici, portando ad attacchi isterici dei credenti di fronte alla nudità parziale o totale del corpo. Far sopravvivere queste assurdità significa cancellare l’ultima vera rivoluzione del mondo occidentale, vale a dire quella sessuale. Occorre tenere lontano da queste conquiste la sozzura contro natura della religione ebraica, della religione cristiana e della religione islamica.
8) “E uno dei Suoi Segni è che Egli v’ha create da voi stessi delle spose, acciocché riposiate con loro, e ha posto fra di voi compassione e amore” (XXX, 21)
9) “Ei v’ha creato da una persona sola, poi ne trasse la sua sposa, e delle bestie del gregge ve ne diede quattro accoppiate; vi crea nel ventre delle madri vostre, procreazione dopo procreazione” (XXXIX, 6)
10) “è Lui che creò la coppia, il maschio creò e la femmina, da gocce di sperma che emesse vengano?..è lui il signore di Sirio?” (LIII, 45-49)
    Nell’ultimo passo riportato, Allah viene considerato il “creatore del mondo”, anche se c’è una “creazione ultima”, in ogni caso Allah ha creato anche questo mondo, il che mostra che la componente dualistico-gnostica è assente, dato che gli gnostici ritenevano l’Antico Testamento un libro del Demonio proprio in virtù del fatto che prevedeva la creazione di questo mondo terreno. Tale componente gnostica ne Il Corano affiora solo qua e là, a rimorchio del principio assoluto di autorità. Dato che l’Antico Testamento ha un orizzonte mesopotamico-pagano, almeno in partenza, e dato che Il Corano è sicuramente più vicino all’Antico Testamento che al Nuovo Testamento rispetto al dualismo gnostico e anche a quanto di potenzialmente metafisico c’è nel Nuovo Testamento stesso, non meraviglia che qui vengano accostate ad Allah delle qualità procreatrici tipiche del mondo pagano: in questo caso, però, quello egizio. Infatti Sirio è l’unica stella citata ne Il Corano ed essa aveva molta importanza nella cultura araba già da molto tempo prima di Maometto. Tale importanza risale, probabilmente, alla notte dei tempi, e forse ha qualcosa a che fare con la civiltà egizia, che per millenni si era sviluppata proprio ai confini della penisola arabica. La stella, infatti, era già importante presso gli antichi egizi. Questo spiega anche il fatto che la creazione dell’uomo (la donna, anche qui, tratta dall’uomo, quest’ultimo preso come tipo unico iniziale: in pratica si stabilisce che è nato prima l’uovo e poi la gallina: l’uovo sarebbe l’uomo e la gallina sarebbe la donna) avvenga da “gocce di sperma emesse”. Nell’antico Egitto, in effetti, nei “Testi delle piramidi”, risalenti al 2300 a.C. circa, si dà proprio il caso di un dio, Atum, che genera una coppia di divinità cosmiche primordiali, mediante una masturbazione, quindi “da gocce di sperma emesse” prima ancora che esistesse qualsiasi elemento femminile: “Egli <Atum> mise il fallo nel suo pugno e ne ebbe voluttà, e generò i due fratelli Shu e Tefnut” (“Testi delle piramidi” 1248 a-1249 d). Questa generazione asessuata, che nell’Antico Testamento viene giustificata con il fatto che Jahvé prende una costola di Adamo per formare la donna, nel principio astratto “Allah” conserva involontariamente ancora i suoi caratteri originari di derivazione pagana, rafforzata dall’idea del Dio e principio unici e assoluti. Nella versione originaria egizia questa procreazione asessuata maschile rivela tutta la sua paradossalità in termini naturali: un organo sessuale maschile, cioè un maschio, che procrea senza un organo sessuale femminile. Altrettanto paradossale sarebbe un organo sessuale femminile che procrea senza un organo sessuale maschile. Era ingenuità pagana, quella di usare il sesso in modo non sessuale? Eppure oggi, a causa dell’astrazione e dell’incorporeità di tipo protestante con le quali si intende la persona, sempre più spesso si pretende di procreare senza o un maschio o una femmina, sostituendoli o con artifici o elementi corporei affittati o presi da altri. Questa pretesa contro natura, soddisfatta spesso dall’affarismo connesso ai metodi scientifici, è ancora più frequente presso gli omosessuali. Costoro non si rendono conto che stanno imitando i pagani e i libri sacri, pur facendo mostra di essere laici. Dei laici snaturati, occorre precisare.
Gente del Libro (ebrei, cristiani)
1) “Questo è il Libro scevro di dubbi dato come guida per i timorati di Dio, i quali credono nell’invisibile, eseguono la Preghiera ed elargiscono di ciò che loro abbiamo donato” (II, 3)
    Il Corano è, dunque, un Libro dell’invisibile e dell’indubitabile. L’invisibile sembra rinviare ad un dualismo gnostico, ma questo mondo dell’al di là appare sempre molto generico e misterioso, più che altro ha la sua importanza per i riflessi autoritari che svolge in questo mondo. Di fronte all’assolutezza spirituale di Allah, la logica de Il Corano è, al contrario, piuttosto “materialistica”, come se la spiritualità neo-testamentaria fosse usata in funzione dell’Antico Testamento, che è il vero centro psicologico e normativo de Il Corano, là dove il cristiano fa esattamente il contrario, cioè legge l’Antico Testamento in funzione del Nuovo Testamento, arrivando a forzature “simbolistiche” di ogni tipo. Il disagio psicologico del cristiano moderno di fronte all’Antico Testamento è noto, ma il dogma lo porta a non svolgere una sana funzione critica. Per altro all’epoca di Maometto la distinzione psicologica tra Antico Testamento e Nuovo Testamento era avvertita in modo molto meno sensibile anche dai cristiani, per cui è chiaro che Maometto non l’avverte quasi. Maometto reputa coerenti l’Antico e il Nuovo Testamento, ma, di fatto, sceglie il primo per i continui riferimenti mesopotamici che condivide con esso e perché la dottrina trinitaria e dell’incarnazione lo spingono tenere a distanza il Nuovo Testamento, vista la lettura che i cristiani ne fanno. Maometto, quindi, presenta il suo Libro, assieme, come la corretta lettura della Bibbia e come il suo superamento, creando un’ambiguità che si rifletterà di continuo nel rapporto di odio-amore che avrà con ebrei e cristiani, i quali restano, comunque, su un piano di inferiorità, ma possono essere tollerati, quando prevale la considerazione che sono “gente del Libro”, e non tollerati, quando vengono considerati dei viscidi modificatori dell’essenza del Libro e perciò vengono accostati ai demoni veri e propri, quali sono i pagani e gli atei.
2) “Ma quelli che credono, siano essi ebrei, cristiani o sabei, quelli che credono cioè in Dio e nell’Ultimo giorno e operano il bene, avranno la loro mercede presso il Signore, e nulla avranno da temere né li coglierà tristezza” (II, 62)
    E’ evidente che, nel passo, prevale l’aspetto tollerante nei confronti dei cristiani e degli ebrei, in quanto sono fedeli del Libro, in cui si crede “in Dio e nell’Ultimo giorno”. Ebrei e cristiani sono visti nel segno della continuità che Maometto attribuisce a Il Corano rispetto alla Bibbia.
3) “eppure sapete quel che accadde a coloro di voi <la gente del popolo con il Patto con Dio> che disobbedirono violando il sabato e ai quali dicemmo ‘Siate scimmie spregevoli!’, e ne facemmo castigo esemplare per i presenti e pei posteri e monito pei timorati di Dio” (II, 65)
    Il passo sembra riferirsi, in particolare, agli ebrei e indica nella violazione del sacralità del sabato la colpa. Insomma appare chiaro che il passo è molto meno tollerante del precedente. Per la violazione della festività del sabato non è che l’Antico Testamento sia più tenero de Il Corano: “Colui che in tal giorno <il sabato di riposo> fa qualche lavoro, sia punito con la morte” (“Antico Testamento” - Esodo 35, 2). La mancanza di rispetto per la vita e per l’individualità di questi “Libri sacri” è sconcertante. Sono Libri di “comunità”, in cui l’individuo è una marionetta che esegue le regole della Comunità. Quando riposarsi lo dovrebbe decidere l’individuo, perché è lui che sa quando è stanco, oppure solo Dio ha diritto di riposarsi quando è stanco? Lasciamo da parte il fatto che la stanchezza di Dio fa ridere, è più pagana di trecento idoli messi in fila. Il fatto che, però, qui ci interessa è che Maometto stava parlando di ebrei, cristiani ecc., e, dopo aver notato la continuità - con conseguente tolleranza -, sembra riferirsi in particolare agli ebrei, allorché afferma che alcuni di loro violavano le regole di Dio, specificando quella del sabato. Insomma, almeno gli ebrei, sarebbero il popolo che ha stipulato il Patto con Jahvé (assimilato ad Allah), ma anche il popolo che tende a tradire questo Patto. Per cui, a seconda dei modi e dei tempi, si può essere tolleranti e intolleranti insieme nei loro confronti. Sembra una pericolosa furberia politica. L’intolleranza, ovviamente, fa degradare ebrei e cristiani al livello di semplici infedeli, tipo i pagani o gli atei. Questa ambiguità nasce dallo stesso modo di porsi di Maometto, il quale, da un lato, cerca di usare l’autorità già affermata della Bibbia e, dall’altro lato, partendo da questa base cerca di creare una nuova autorità. Il nuovo è più perfetto e insieme si presenta come l’autentica verità del vecchio. E’ la ripetizione di una logica che venne usata anche dai cristiani, allorché posero il Nuovo Testamento in continuità con l’Antico Testamento. Ma, così come gli ebrei che non adottavano anche il Nuovo Testamento potevano essere demonizzati, allo stesso modo gli ebrei e i cristiani che non accettano la nuova rivelazione coranica possono essere demonizzati. Pagani ed atei sono esclusivamente demonizzati, cosa, per altro, che tende a fare, ancora oggi, anche il cristianesimo. I cristiani seguitano a storcere il naso di fronte ad una dichiarazione esplicita di ateismo, anche se la laicità dello Stato impedisce loro qualsiasi persecuzione nei confronti degli atei. Ma darebbe scandalo vero e proprio se qualcuno si presentasse da un cristiano, un ebreo o un mussulmano e gli dicesse “sono pagano”. Qui l’intolleranza scatterebbe quasi automaticamente, perché i Libri sacri sono una fabbrica ideologica di deficienti-delinquenti.
4) “Quelli fra la gente del Libro che non credono, e i pagani, non amano che il Signore vostro vi elargisca de’ suoi favori; ma Allah trascende nella sua misericordia chi Egli vuole e Allah ha grazia grande” (II, 105)
 5) “A molti della gente del Libro piacerebbe farvi tornare miscredenti dopo che voi avete accettato la Fede, per l’invidia che nasce loro nell’animo allorché vedono manifesta la verità; perdonate loro e lasciateli in pace, finché Allah non mandi il Suo ordine, ché Allah è, in verità, onnipotente” (II, 109)
    Questo passo, che segue di poco quello precedentemente citato, fa riferimento più chiaro al fatto che i “non credenti” fossero nello stesso passo precedente gli ebrei e i cristiani in quanto tali, cioè come religiosi che non riconoscono la rivelazione coranica. Sono qui presentati come “perfidi” perché vorrebbero impedire la conversione all’Islam e vorrebbero riconvertire all’ebraismo e al cristianesimo chi si era convertito in precedenza alla religione coranica. Il passo, in fatto di tolleranza, è ambiguo: da un lato dice, esplicitamente, di “lasciare in pace” ebrei e cristiani, in quanto miscredenti appartenenti alla “gente del Libro” (il che vuol dire che i miscredenti non appartenenti alla “gente del Libro”, come i pagani e gli atei, non hanno nessuna possibilità di essere tollerati), ma poi accenna al fatto che Allah può mandare un suo “ordine”, che si presume in contrasto con quel “lasciare in pace”, perché solo in questo modo ha un senso quanto dice Il Corano. Se Allah dicesse di “lasciare in pace” chi viene già “lasciato in pace” pronuncerebbe un ordine del tutto superfluo. Lo Stesso richiamo all’onnipotenza di Allah, fatta appena dopo, sembra confermare che non si tratta di seguitare a “lasciare in pace”.
6) “Gli ebrei dicono: ‘I cristiani non sanno nulla!’ e i cristiani: ‘Non sanno di nulla gli ebrei’ rispondono, eppure recitano gli uni e gli altri lo stesso Libro. E come loro dicono anche i pagani ignoranti, ma sarà Allah a giudicare dei loro dissensi, il dì della Resurrezione..E certo né ebrei né cristiani saranno contenti di te finché tu non seguirai la loro religione, ma tu rispondi: ‘E’ la guida che viene da Allah che è la vera Guida!’, ché, se ti arrendessi ai loro desideri dopo che tu hai saputo quello che hai saputo, non avrai aiuti né protettori di contro all’ira di Allah. Coloro cui demmo il Libro <Il Corano> e lo recitano come si deve, quelli sono i veri credenti, ma coloro che lo rinnegano, quelli sono i perdenti” (II, 113-121)
    Insomma, alla fine, i veri credenti sono solo gli islamici, la “gente del Libro” va rispettata più di chi non si fa adoratore di libri, ma rimane, comunque, non autenticamente credente. Questo genera già una gerarchia che colloca ebrei e cristiani nella posizione dell’“infedele”, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Il passo indica che, di fronte alla discussione tra ebrei e cristiani, fermi entrambi in posizioni di intolleranza, Maometto si presenta come il risolutore delle dispute mediante un’autorità superiore, Il Corano, che incorpora l’autorità della Bibbia. Dato che l’intolleranza di ebrei e cristiani dipendeva dal medesimo principio che fondava entrambe le religioni, cioè quello di autorità (più gnostico nei cristiani), la conclusione è che Maometto pretende di superare le dispute dovute all’intolleranza di due principi di autorità contrapposti (quello ebraico e quello cristiano) con un terzo e superiore principio di autorità (una specie di sintesi hegeliana) espresso da Il Corano e dall’islamismo. La vera conseguenza è che ci si è venuti a trovare di fronte a tre, anziché due, principi di autorità e perciò a tre forme di intolleranza. Il modo in cui si esprime Maometto fa venire in mente quello con il quale gli scettici delle filosofie clandestine e libertine del Seicento deridevano, a ragione, tutte e tre le religioni, definendo parimenti “impostori” Mosè, Gesù Cristo e Maometto: “da che cosa ti risulta che Dio esiga di essere conosciuto?..Da una rivelazione speciale? Chi sei tu, che dici questo?..che miscuglio di rivelazioni! Chiami in causa gli oracoli dei pagani? Già ne rise l’antichità. Le testimonianze dei sacerdoti? Ti presento altri sacerdoti che li contraddicono..Citi gli scritti di Mosè, dei profeti e degli apostoli? Ti si contrappone Il Corano, che sulla base dell’ultima rivelazione definisce manipolati quegli scritti..la natura delle principali religioni è tale che l’una presuppone l’altra, quella di Mosè il paganesimo, quella del Messia il giudaismo, quella di Maometto il cristianesimo, e non sempre la successiva respinge la precedente in tutto..ogni religione asserisce che tutti i maestri sono dalla propria parte..Sicché o bisogna credere a tutte le religioni, il che è ridicolo, o a nessuna, che è la cosa più sicura” (Anonimo - “I tre impostori”).
7) “Vi diranno ancora: ‘Diventate ebrei o cristiani e sarete ben guidati!’ Ma tu rispondi: ‘No, noi non siamo della Nazione di Abramo, ch’era un hanif <culto puro>, e non già un pagano’ E dite loro ancora: ‘Noi crediamo in Dio, in ciò ch’è stato rivelato a noi e a ciò che fu rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, e alle dodici Tribù, e in ciò che fu dato a Mosé e a Gesù, e ai profeti del Signore; noi non facciamo differenza alcuna fra loro e a Lui tutti ci diamo! E se ebrei e cristiani avranno questa stessa vostra fede saranno ben guidati, ma se vi volgeranno le spalle si porranno in aperta scissione e allora ti basterà Allah contro di loro..Dì loro: ‘Volete discutere di Dio con noi? Ma Dio è il nostro e vostro Signore, noi abbiamo le nostre opere e voi le vostre, ma noi siamo sinceri con Lui’..E dì loro ancora: ‘Ne sapete più voi o Allah? E chi è più iniquo di chi cela una testimonianza ch’ebbe da Dio?” (II, 135-140)
    La derivazione e la discontinuità, rispetto alla Bibbia, si intrecciano nel passo in un groviglio di contraddizioni che possiedono una logica sconnessa solo nel principio di autorità. Fa quasi ridere il fatto che, subendo un’influenza culturale così pesante - quella biblica in generale -, si possa poi cercare di prendere le distanze dagli ebrei e dai cristiani stessi, in un modo che, a un certo momento, accosta ebrei e cristiani agli stessi pagani. E’ evidente che Maometto giudica idolatriche molte pratiche rituali e molte rappresentazioni o simboli religiosi ebraiche e cristiane opponendo ad esse uno spirito metafisico gnostico di tipo iconoclastico che coinvolge la stessa figura di Abramo, nonché dei vari Ismaele, Gesù, ecc. (tutti equiparati nel rango degli esseri umani portatori della parola di Dio), i quali appaiono come entità “pure”, anziché, come sono, ebrei in carne ed ossa. Uno sdoppiamento di tipo gnostico che verrà applicato anche alla figura di Gesù. I profeti ebrei o cristiani cessano, in qualche misura, di essere ebrei e cristiani, perché, pur portatori delle verità di Dio, essi non appartengono al contesto culturale ebraico o cristiano, ma assumono caratteri universali ai quali solo Il Corano si atterrebbe. Ci sono “le nostre opere” e le “vostre opere”, ma solo i fedeli de Il Corano sono “sinceri con Dio”. Come per dire la verità dell’ebraismo e del cristianesimo non è, o almeno non è più, presso gli ebrei e i cristiani, ma presso gli islamici. La Bibbia è rivelazione di Dio, ma, ormai, la sua verità si è spostata ne Il Corano. Il rifiuto, da parte di ebrei e cristiani, dell’autorità della nuova rivelazione coranica si configura come falsificazione della stessa vecchia rivelazione biblica ebraica e cristiana. Si ha il paradosso che ci si riferisce alla rivelazione fatta ad ebrei e cristiani, ma ebrei e cristiani non sono più gli esponenti della rivelazione biblica. Il Corano include ed espropria la Bibbia contemporaneamente. Il motivo non c’è, perché, come per autorità gli ebrei non credono a Gesù Cristo e lo contestano, come per autorità i cristiani credono a Gesù Cristo e contestano gli ebrei, allo stesso modo ebrei e cristiani per autorità non credono alla rivelazione coranica e la contestano, ma allo stesso modo, ancora, i mussulmani per autorità credono alla rivelazione coranica e, pur condividendo la rivelazione biblica - incorporandola a Il Corano -, contestano ebrei e cristiani perché non credono all’autorità della nuova rivelazione coranica. Questo religioni rivelano una cosa soltanto: la vastità della follia e del fanatismo umani. Ovviamente questi fanatici hanno un tratto comune, quello di sottomettersi all’autorità, per cui poco capiscono la libertà di chi non subisce alcuna autorità. Quando un ateo dice che Allah o il Dio biblico non esistono, costoro rispondono nel modo assurdo in cui risponde Maometto: “Ne sapete più di Allah?”, facendo finta di non capire che dire “Dio e Allah non esistono” è solo il rifiuto del principio psicologico di autorità e che la presunta esistenza di Allah o di Dio è, invece, solo la conseguenza della loro debolezza e viltà per le quali hanno bisogno di “essere guidati” da un principio di autorità.
8) “Anche se apportassi a coloro cui fu dato il Libro ogni sorta di Segni divini, essi non seguirebbero la tua qibla <direzione della preghiera>, né tu devi seguire la loro, né del resto essi stessi seguono la qibla gli uni degli altri. Ma se tu obbedissi alle loro voglie dopo quanto hai appreso di scienza certa, saresti, in verità, fra gli iniqui. Coloro cui demmo il Libro lo conoscono come conoscono i figli loro, ma una banda fra loro tiene nascosta la verità, scientemente” (II, 145)
9) “Questa gente che non crede è come quando uno grida e chi lo ascolta non percepisce che voce indistinta d’invito: sordi, muti, ciechi, non intendono nulla!” (II, 171)
    Maometto non può dire che il Libro, inteso come Bibbia, sia una falsa rivelazione, altrimenti non ci sarebbe quella continuità di autorità che desidera avere per se stesso, quindi è costretto, continuamente, a fare i salti mortali per spiegare come mai ebrei e cristiani si rifiutano di accettare la rivelazione coranica, che Maometto intende come verità della stessa Bibbia. Il principio di autorità, di cui si riveste, gli impedisce di capire che, nonostante molti contenuti de “Il Corano” siano ispirati direttamente alla Bibbia, in particolare all’Antico Testamento, la sua è, comunque, una nuova rivelazione e che chi è convinto che la sua vecchia rivelazione sia già completa non può accettare l’autorità di Maometto in aggiunta alle precedenti. Ma il rifiuto dell’autorità è cosa inconcepibile per le persone autoritarie come Maometto, specie se si tratta della sua. Dati questi fatti, Maometto presume che ci sia una “banda”  tra ebrei e cristiani che nasconde la verità, che poi sarebbe la rivelazione coranica come essenza della stessa Bibbia. Il passo, in realtà, mostra solo la divisione e l’intolleranza a cui porta l’autorità di ogni rivelazione. Le rivelazioni sono dogmi politici che vogliono giustificare un potere e la sottomissione altrui, sono strutturalmente immorali. Quanto al secondo passo citato, esso vorrebbe porre la rivelazione coranica sul piano di un famoso proverbio “non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”. Solo che una rivelazione non è un’evidenza empirica, è un atto di fede cieca. Non si può pensare che, se uno dice una cosa, debba essere creduto solo perché l’ha detta. Se dico di essere Napoleone, solo i creduloni possono prendere sul serio le mie affermazioni. I profeti sono un po’ come i pazzi, poi, dato che esistono anche i creduloni, alcuni di essi vengono creduti. Ma, dato che le rivelazioni si fondano sul principio di autorità e vengono percepite come “zattere della salvezza”, capita anche che ogni rivelazione presenta i suoi dogmi in modo da escludere altre rivelazioni, in fondo anche Il Corano fa la stessa cosa, infatti, pur riconoscendo l’autorità della Bibbia, gliela riconosce solo a patto che venga integrata e superata da Il Corano, quindi anche Il Corano, in realtà, esclude l’autorità della Bibbia fine a se stessa. Considerando il dogmatismo, l’autoritarismo, il fanatismo della fede, l’intolleranza con cui queste rivelazioni, che escludono le altre, vengono a proporsi ed imporsi, è del tutto conseguente la violenza religiosa. Presentare le grandi religioni come messaggi di pace è una grossa ipocrisia, è sempre sottinteso in esse che la pace stia nell’universalismo di ognuna di esse, quindi nella silenziosa soppressione delle altre, che è il motivo stesso della loro violenza. Religione e violenza dovrebbero essere considerati sinonimi.
10) “dì a coloro cui fa dato il Libro e ai gentili: ‘Vi date ad Allah?’ E se si daranno a Lui saranno ben guidati, ma se ti volteranno le spalle, ebbene, tu non devi che portare il Messaggio..E a coloro che rifiutano i segni di Allah e uccidono i Profeti ingiustamente, e uccidono coloro fra gli uomini che invitano all’equità, annuncia castigo cocente..Non vedesti tu dunque coloro cui fa data una parte del Libro?..I credenti non si scelgano a patroni gli infedeli a preferenza dei fedeli, chi fa questo non è da Allah..In verità Allah ha eletto Adamo e Noé e la gente di Abramo e la gente di Imran <Gioacchino, secondo gli apocrifi sarebbe il padre di Maria madre di Gesù> sovra tutto il creato” (III, 20-33)
    A coloro che rifiutano Il Corano, cioè “i segni di Allah”, Maometto deve sempre trovare un comportamento disdicevole oltre al semplice rifiuto del messaggio coranico, devono uccidere profeti, devono uccidere uomini che professano l’equità, insomma devono essere demonizzati. Va fatto notare che la stessa tecnica la usò Hitler nel Mein kampf per demonizzare gli ebrei, che, comunque, pure non erano dei santi. In tal modo viene a giustificarsi qualsiasi comportamento violento nei loro confronti. Non che qualcuno degli ebrei, cristiani o “gentili” non sia mai stato violento anch’esso, ma lo spostamento dal rifiuto de Il Corano alla perfidia dei suoi interlocutori ebrei e cristiani è piuttosto continuo in Maometto. Intendiamoci la perfidia è la regola della religiosità ebraica e cristiana, ma è la regola anche della religiosità mussulmana. Si tratta di quei segnali di intolleranza che fanno capo allo stesso fanatismo religioso. Le rivelazioni religiose creano un “muro”, per cui chi sceglie un infedele al posto di un credente islamico si rende già colpevole nei confronti Allah. Siamo al livello medievale dantesco per il quale Virgilio non può entrare in Paradiso. Sembra poi che il “Messaggio”, cioè la rivelazione coranica, debba convincere per forza già come semplice messaggio, come se “i segni di Allah” fossero evidenti a tutti: già questa pretesa è una forma di violenza.
 11) “Dì: ‘O gente del Libro! Venite a un accordo equo fra noi e voi, decidiamo cioè di non adorare che Allah e di non associare a Lui cosa alcuna, di non sceglierci fra noi padrone alcuno che non sia Allah’. Se poi non accettano dite loro: ‘Testimoniate almeno che noi ci siamo dati tutti a Dio!’..Ecco voi siete quelli che discutete su ciò di cui avete nozione, ma perché mai discutete di ciò di cui non avete nozione alcuna? Allah sa e voi non sapete! Abramo non era né ebreo, né cristiano: era un hanif <di culto puro>, dedito interamente ad Allah e non era idolatra” (III, 64-67)
    Il passo sembra estremamente tollerante, quasi da dialogo interreligioso, come si usa fare oggi. Ma è anche estremamente ipocrita. Per prima cosa l’accordo è riservato ai credenti in Dio, quindi con atei e pagani non c’è alcuna possibilità di “accordo equo”. Poi l’accordo è falso anche con i credenti in Dio, proprio perché non sono credenti in Allah, cioè a Dio nella versione coranica. Ciò emerge da quanto Maometto stesso dice, cioè di “non associare a Lui alcuna cosa”, il che vuol dire che i cristiani sono già esclusi dall’accordo, visto che accostano a Dio il Figlio e lo Spirito Santo. Il Dio padrone, quindi, è già Allah e non il Dio cristiano. Poi sembra che Maometto non voglia si discuta di teologia, perché di Dio non si avrebbe nozione. La religione mussulmana che più rispetta questo carattere acefalo della religiosità è quella sunnita, ma se i cristiani (gli ebrei discutono molto meno, in questo somigliano di più a quanto dice qui Maometto) discutono di ciò che non hanno nozione, come fa Maometto ad avere la nozione di Allah. E’ Allah che sa, non Maometto. Questa strana sovrapposizione tra Maometto e Allah dovrebbe ritenersi blasfema. Si accetta l’ipotesi assurda per cui i profeti sono esseri speciali che, sebbene esseri umani, hanno nozione di quello di cui non possono avere nozione? Perché, se solo “Allah sa”, allora Maometto non sa. Per cui così come i cristiani non dovrebbero discutere di Dio, perché discutono di quello che non sanno, allo stesso modo Maometto non dovrebbe parlare di Allah, perché parla di quello che non sa. Insomma, su Dio o Allah, tutti gli esseri umani non sanno, solo Maometto sa. Questo principio medievale stava alla base della teocrazia in cui solo il papa aveva la “scienza” religiosa e in epoca moderna stabilì che solo Hitler sapesse cosa fosse la Germania, mentre tutti gli altri non lo sapevano, o che solo Stalin sapesse cosa fosse il comunismo, mentre tutti gli altri russi non lo sapevano. La pericolosità del culto del figlio di Dio, Gesù Cristo, o del profeta, Maometto, è alquanto evidente. Gli impostori si fanno “duci” con la collaborazione dell’incapacità critica del popolo.
12) “E gli uomini debbono il pellegrinaggio al Tempio, quelli di loro che abbiano la possibilità di fare quel viaggio...Dì: ‘O gente del Libro! Perché rifiutate fede ai segni di Allah, mentre Allah stesso è testimone di ciò che operate?’..’O gente del Libro! Perché distogliete coloro che credono dalla via di Allah? Voi cercate di renderla torta mentre siete voi stessi testimoni che essa è la Via retta. Ma Allah non è incurante di quel che voi fate’..ricordate le grazie che Allah v’ha elargito: eravate nemici e v’ha posto armonia in cuore per la Sua grazia siete divenuti fratelli” (III, 97-103)
    La “fratellanza” è un segno di appartenenza alla propria religione, solo coloro che appartengono alla medesima fede religiosa sono fratelli. Che il termine “fratellanza” sia un abuso del termine anche nel senso laico di “fratellanza umana” è fuori di dubbio, ma questa prassi astratta e falsa della “fratellanza” è nata proprio a seguito dell’adesione alle comunità religiose, che, poi, facendosi universali, hanno preparato la strada per la religione laica dell’uomo, nella quale gli esseri umani sarebbero tutti fratelli. Nella realtà e nei sentimenti non esistono che i fratelli che crescono insieme nella stessa famiglia e ogni altro tipo di fratellanza è ipocrisia e falsità. Quanto al “pellegrinaggio al Tempio” è un chiaro residuo di idolatria pagana, perché un tempio, sia esso in occasione del “giubileo” cattolico a San Pietro, sia esso il Tempio di Gerusalemme o di La Mecca o di Medina, in quanto luogo terreno, in quanto composto di pietre “sacre”, non sono diversi da un idolo pagano. Sono solo “centri turistici” per idioti che non sanno godersi il mare, la collina e la montagna. E’ idolatria, per conseguenza, anche rivolgersi a Roma, a Gerusalemme, a La Mecca per pregare. Il passo mostra anche la inevitabile rotta di collisione tra due religioni, come quella cristiana e quella mussulmana, che hanno per dogma primario quello di “convertire” il prossimo, anziché lasciarlo in pace. Nel finale il passo rivela, nel classico linguaggio religioso della “fratellanza”, quello che era il vero scopo politico de Il Corano, cioè l’unione delle varie tribù arabe. Il culto dell’unione è un culto della forza, sia nelle religioni che nelle potenze degli Stati moderni e dell’economia. Per il resto il passo è la solita contraddizione con ebrei e cristiani, i quali sono e non sono credenti, e per avallare la seconda ipotesi Maometto non risparmia mai una qualche diffamazione, come, ad esempio, dire che essi “rendono torta” la via che porta a Dio. In effetti è anche vero che ne Il Corano c’è un’enorme semplificazione del principio autoritario, in questo esso è già un esempio mediatico notevole, si muove con la semplicità autoritaria di chi sa di rivolgersi a gente ignorante e provinciale. 


giovedì 10 dicembre 2015

PASSI CORANICI (parti 7°, 8°, 9°, già pubblicate su facebook)

PASSI SU: fine DIVORZIO (E RIPUDIO) e inizio DONNA


2) “E se temete una rottura fra marito e moglie, nominate un arbitrio della parte di lui e uno della parte di lei, e se i due compagni desiderano riconciliarsi, Allah metterà armonia fra loro, perché Allah è sapiente e di tutti ha notizia” (IV, 35)
    In Occidente chi attribuisce a Dio la riuscita della riconciliazione matrimoniale apparirebbe bigotto, d’altra parte se il tentativo di riconciliazione non riesce di chi sarebbe la colpa? Se si fosse coerenti con quanto annunciato, sarebbe di Allah. Ma, a questo punto, di sicuro la non riuscita della riconciliazione matrimoniale non apparirebbe più come una colpa, ma come un merito di Allah, che ha voluto, in tal modo, evitare guai peggiori e comunque segue i suoi non perscrutabili disegni. E’ questa una storiella medievale che ammorba anche la psicologia del cristiano retrivo. Dio, Allah in questo caso, è perfetto e senza colpe: creare esseri perfetti di tal genere, che guidano tutta la vita umana, è segno di odio verso l’umanità, di misantropia. Nelle religioni, ma anche nelle scienze, al di là della retorica “buonista”, c’è sempre un atteggiamento punitivo della libertà individuale. L’Umanità, è vero, non riesce ad essere giusta, per questo poi crea divinità onnipotenti buone o suscitanti timore, ma questo non risolve il problema dell’ingiustizia - che si risolve solo con la responsabilità individuale -, genera solo un altro, più grave, problema, cioè quello della tirannia. Presumere un dio perfetto, onnipotente, misericordioso, sul cui modello dovrebbero poi misurarsi i dittatori (anch’essi ritenuti perfetti, onnipotenti e misericordiosi) è presumere, a priori, un disprezzo verso la libertà umana che è inaccettabile. L’uomo può essere accusato di ingiustizia e perfino disprezzato per questo, ma solo a posteriori. La creazione di divinità o dittatori perfetti, cose che hanno la stessa natura psicologica (per cui veri credenti democratici non esistono, sarebbero come dei cerchi quadrati), è un’offesa per tutti gli esseri viventi. Quanto al divorzio, la presenza di due arbitri, uno per lui e uno per lei, suona come una discussione fatta davanti ai propri avvocati. Niente di strano, quindi, rispetto al mondo Occidentale, che oscura il matrimonio e il divorzio con le sue leggi. Se il matrimonio consegue ad un sentimento, solo l’esistenza o meno di questo decide le cose, con l’aggiunta di un elementare senso di giustizia. Appare anche chiaro che “Il Corano”, pur non negando il divorzio, preferisce la riconciliazione.
3) “Allah non ha posto nelle viscere dell’uomo due cuori, né ha fatto delle mogli vostre che voi ripudiate col zihar <da ‘zahr’, ‘schiena’>, delle madri, né dei vostri figli adottivi dei veri figli..Chiamate i vostri figli adottivi dal nome dei loro veri padri: questo è più equo agli occhi di Allah. E se non conoscete i loro padri, siano essi vostri fratelli nella religione e vostri protetti” (XXXIII, 4-5)
4) “E quando Zayd <figlio adottivo di Maometto> ebbe regolato con lei ogni cosa <con la moglie ebbe regolato il divorzio o ripudio>, te la facemmo sposare <Maometto sposò la moglie divorziata del figlio adottivo>, affinché non sia peccato per i credenti sposar le mogli divorziate dei figli adottivi allorché questi abbiano regolato ogni cosa con loro: l’ordine di Allah è assoluto” (XXXIII, 37)
5) “Quelli di fra voi che ripudiano le mogli loro dicendo: ‘Sii per me come il dorso di mia madre!’ sappino che esse non sono le loro madri, e che le loro madri son solo quelle che li hanno generati, ed essi così facendo profferiscono abbominio e falsità” (LVIII, 2)
    Tralasciando il fatto che il secondo passo sembra una norma “ad personam”, cioè creata per consentire a Maometto di sposare la moglie del proprio figlio adottivo (se fosse vero, ciò dimostrerebbe un’arroganza nella propria vita che non è stata molto dissimile da quella che raggiunse Lutero: questi profeti di religioni sono dei prepotenti), il principio che sembra uniformare i tre passi è la distinzione biologica: le madri adottate dopo il divorzio, cioè le ex-mogli, non sono madri vere e proprie, cioè biologiche, i figli adottati non sono veri e propri figli, cioè biologici. Proprio perché il figlio adottivo non è un vero e proprio figlio, sposarne la moglie, dopo il divorzio dal figlio adottivo, non è peccato. Evidentemente in quella mentalità arcaica anche la moglie del proprio figlio biologico era tabù, quasi assimilata alla parentela, d’altra parte non bisogna dimenticare che nell’Antico Testamento viene considerato peccato anche osservare nuda la moglie del figlio, cioè la nuora, messa sullo stesso piano di padri, madri, figli, sorelle, ecc.: “Non scoprire la nudità di tua nuora, essa è moglie di tuo figlio: non scoprire la sua nudità” (“Antico Testamento” - Levitico 17, 15). Ancora una volta Maometto si ispira all’Antico Testamento, il quale, non solo è brutale, mesopotamico e immorale quanto “Il Corano”, ma ne è il segreto ispiratore principale. Il ripudio con il metodo dello zihar (“possa tu essere per me come la schiena di mia madre”), evidentemente significava che la moglie ripudiata, che era sempre compensata economicamente, si lasciava con il marito restando in buoni rapporti con lui, così che poteva occuparsi del marito come una specie di madre adottiva. Ciò era un costume pre-islamico e forse facilitava troppo il ripudio. Maometto vieta tale costume, da un lato per impedire un abuso, ma, dall’altro lato, mostrando la solita insensibilità verso le decisioni individuali: perché i due divorziati dovrebbero essere liberi di scegliere i rapporti che ritengono più adatti a loro. Quello che colpisce, tuttavia, è il materialismo che sta alla base del riconoscimento della madre e del figlio: madre e figlio si designano solo in termini biologici. Ciò conferma il fatto che “Il Corano” segue l’orizzonte pratico e terreno dell’Antico Testamento e non possiede, ne desidera possedere, il livello astrattivo dello spiritualismo cristiano. L’Islam, pur somigliando, per alcuni aspetti (riguardo l’autorità terrena), di più al protestantesimo, è lontanissimo da quest’ultimo per quanto riguarda la sfera metafisica della religiosità. Il protestantesimo, al quale si è adeguato anche il cattolicesimo, riconosce il credente solo come “anima”, essendo il “corpo” la parte che è assegnata al demonio (dualismo gnostico), ebbene l’Islam su questo è molto meno rigido. Anzi nel decidere il ruolo di madre e di figlio è proprio il corpo che svolge il ruolo fondamentale. L’atto biologico procreativo diventa un criterio materiale per assegnare il ruolo di madre e quello di figlio. Non esistono madri adottive e neppure figli adottivi, le madri adottive non sono madri, i figli adottivi non sono figli. Questa è una verità biologica che l’Occidente, inseguendo le astrazioni, ha dimenticato. In Occidente di parla di sentimenti, ma i sentimenti verso un figlio che si adotta non possono esistere, visto che il figlio non ha ancora alcun rapporto con i futuri genitori che lo adottano. Al di là del fatto che ci siano bambini senza genitori (problema irrisolvibile, perché il bambino può sentirsi privato di qualcosa sia se resta in orfanotrofio fino all’età adulta, sia se viene adottato, perché l’adottato, quando sa di essere adottato - o non bisogna neppure dirglielo? Se adottato ad una certa età, lo sa da solo -, non è mai pienamente soddisfatto dei propri genitori, va sempre alla ricerca di quelli naturali o cerca dei sostituti), la sensazione è che i genitori che adottano lo fanno soprattutto per una loro frustrazione o per una bontà cristiana quasi professionale (sostenuta da molti soldi). E’ chiaro, poi, che vivendo insieme figli e genitori possano sviluppare legami sentimentali, ma questo avviene solo a posteriori, ma non si è madri o figli solo a posteriori. Ho il fondato sospetto che, una volta tanto, “Il Corano” abbia ragione, cioè che i figli (il caso di madri adottate è raro e in Occidente, quasi inesistente) adottati non siano figli veri e propri, perché non si può ignorare il corpo nello stabilire chi è madre e chi è figlio. Questo protestantesimo morale, molto diffuso proprio tra i laici, per cui tutto è stabilito dalla mente, artificialmente, quindi dall’artificio sociale, come se la natura non decidesse niente, ha francamente stancato: è la cancrena del mondo civile e moderno occidentale. Alla nascita, vero e proprio figlio è solo il figlio biologico (lo stesso dicasi per la madre e per il padre). Con il tempo, questo dovrebbe essere l’unico vero senso delle adozioni, i figli adottati (e i genitori adottanti) possono, al massimo, essere considerati “come se fossero figli” (“come se fossero genitori”), il che riconosce, appunto, che non sono figli veri e propri (non sono genitori veri e propri). Il materialismo coranico è qui pienamente condivisibile e sarebbe bene che l’Occidente se ne ricordi, invece di inseguire le astrazioni protestanti dei laici.
6) “Quando divorzierete le vostre donne, divorziatele allo spirare del periodo di attesa. Contate bene questo periodo e temete Allah Signor vostro; non le scacciate dalle loro case, ed esse non ne escano se non quando abbiano commesso qualche manifesta turpitudine..Tu non sai: può darsi che Allah produca, in seguito, qualche evento che porti a riunione. E quando siano giunte al termine loro, trattenetele con gentilezza o con gentilezza separatevene..Per quelle delle vostre donne che disperino d’aver più mestruazioni, se dubiterete che siano incinte, sia il periodo d’attesa di tre mesi, e lo stesso per quelle che non hanno avuto ancora mestruazioni. Quanto alle donne incinte, sia il loro termine d’attesa fino a che non abbiano deposto il loro peso..Alloggiatele dove abitate voi stessi, secondo i vostri mezzi, e non fate loro del male angustiandole; e se sono incinte, pagate loro le spese finché non abbiano deposto il loro peso; e se allatteranno per voi date loro la loro mercede e accordatevi con loro con gentilezza” (LXV, 1-6)
    In effetti questa sura LXV è proprio “La sura del divorzio”. Ma il passo che lo riguarda appare più corto di quello della sura II. Le cose sono qui indicate un po’ più brevemente, ma ribadiscono molte delle cose già viste in precedenza. C’è il noto augurio, nel segno di Allah, di una riappacificazione matrimoniale. Il rispetto del periodo di attesa è accompagnato dal solito “timore” verso Allah, definito, come nell’Antico Testamento, il “Signore”. Sembra un Enlil mesopotamico diventato onnipotente. Un Signore misericordioso e che governa con il terrore. Il terrorismo, come principio morale, è strutturale nell’Islam, così come nell’Antico Testamento. Qui ci vorrebbe uno spirito critico che faccia piazza pulita, non solo de “Il Corano”, ma anche della Bibbia, sia essa quella degli ebrei o sia essa quella dei cristiani. Nessun libro è sacro, questo è il principio dei laici. Ci sono solo libri più veritieri di altri, ma è compito personale verificare, di volta in volta, quale e in che misura questi libri siano effettivamente più veritieri. Io ho verificata molta verità nei libri di Nietzsche, ma, come temeva lo stesso Nietzsche (temeva di essere fatto santo), non mi sognerei mai di considerare i libri di Nietzsche come un “canone sacro”. La sura del divorzio conferma il notevole livello di tutela materiale della donna e conferma anche la preoccupazione che la donna sia incinta per stabilire la paternità e non ingannare gli uomini. Il fatto che si ribadisca di “non angustiare” le donne, di trattarle “con gentilezza” è preoccupante. Si presume sempre un atteggiamento potenzialmente violento, che, per quanto possa essere vero, genera quel circolo vizioso tra legge e violenza per cui la legge presume la violenza e la violenza finisce con il costituire l’alibi per la legge. In altri termini la violenza viola la legge, ma, nello stesso tempo, è riconosciuta come tale, quasi legittimata dalla legge. In ogni caso sembra diventare abituale. Preoccupante, a proposito delle mestruazioni, è anche quel “sia il periodo d’attesa di tre mesi..per quelle che non hanno avuto ancora mestruazioni”. Cosa vuol dire? Che la donna incinta di cui si parla è una ragazzina di 12-14 anni? Era una cosa normale nella penisola arabica dell’epoca?
7) “Può darsi che egli vi divorzia, il suo Signore gli dia in cambio mogli migliori di voi” (LXVI, 5)
    Questa legittimazione del divorzio è talmente unilaterale che offende ogni donna di buon senso del mondo occidentale e non si capisce come possa non offendere le donne del mondo islamico. Lasciamo perdere il fatto che la sura sembra riferirsi a vicende personali di Maometto con le sue mogli, Hafsa e A’isa, resta il fatto che il passo citato, pur riferendosi a Maometto e quindi a due mogli specifiche, per il fatto stesso che fa dipendere il divorzio da una unilaterale decisione maschile, se il motivo del divorzio è quello che sembra aver adottato Maometto stesso, cioè l’ottenere “in cambio mogli migliori”, appare evidente che il motivo stesso del matrimonio non esiste più. Sembra quasi che uno lasci un salumiere o un avvocato per un altro “migliore”. Se è anche vero che il divorzio occidentale è, là dove sia concordato, un ripudio bilaterale e se è anche vero che il divorzio non esclude la possibilità di avere, successivamente, mogli o mariti ritenuti “migliori”, è pur vero che, quando ciò avviene in modo unilaterale, il ruolo della moglie sembra configurarsi come un ruolo professionale, e si sa: ci sono professionisti migliori e peggiori. Da un punto di vista sentimentale, che è il vero ed unico motivo che può legare un uomo e una donna (matrimonio, ma anche unione in ogni senso), in aggiunta al corpo ovviamente, quello islamico non appare neppure come matrimonio, unione, sembra più un contratto formale. Che si sia oggi costretti ad inserire formule contrattuali nei matrimoni, soprattutto per colpa dell’invadenza del diritto di famiglia che fissa regole capestro (in Occidente soprattutto per il maschio), è un conto, ma ridurre il matrimonio stesso ad un semplice contratto di cui dispone solo una parte è negarlo. Per come sono descritti il matrimonio e il divorzio da “Il Corano”, l’uomo sembra un acquirente di servizi e di oneri connessi, e si sa che il cliente ha sempre ragione. L’Islam sembra ignorare il senso sentimentale e paritario del matrimonio.
Donna
1) “Ti domanderanno ancora delle mestruazioni. Rispondi: ‘E’ cosa immonda. Pertanto astenetevi dalle donne durante le mestruazioni e non avvicinatevi loro finché non siano purificate..’” (II, 222)
    Non può non venire in mente il seguente passo dell’Antico Testamento, che è anche più maniacale: “Quando una donna avrà il suo flusso, cioè colerà sangue dalla sua carne, rimarrà nella sua impurità mestruale per sette giorni: chiunque la tocchi sarà impuro fino alla sera. Qualunque cosa su cui si ponga a giacere o si segga, durante la sua impurità mestruale, sarà impura” (“Antico Testamento” - Levitico 15,19-20). Che ci possa essere un certo orrore del sangue è comprensibile, anche se qualcuno dirà che, proprio per l’esperienza mestruale fatta in prima persona, la donna sull’argomento è più reattiva psicologicamente e quindi l’orrore del sangue possa essere più facile nei maschi. Tuttavia, anche ciò può essere relativo, perché la consapevolezza che una mestruazione è un fenomeno naturale, mentre il sangue che scorre copioso da una ferita non lo è altrettanto, può generare anche nella donna una ben precisa distinzione, che, se caricata psicologicamente, può portare anche la donna a provare orrore per il sangue. Anche per questo, nonostante la consapevole distinzione, molte donne vivono con difficoltà psicologica notevole le mestruazioni. Ma, è chiaro, la difficoltà principale delle mestruazioni, specialmente in una società dove l’inserimento lavorativo della donna è generalizzato e dove i ritmi di lavoro non consentono pause, è di carattere pratico, non essendo il flusso qualcosa di controllabile e regolabile nel giro di pochi istanti. Si affronta qui solo l’aspetto oggettivo del fenomeno, perché è chiaro che la presunta “impurità” fa capo al flusso del sangue in quanto tale. Poi è ovvio che alle mestruazioni corrispondano sensazioni spesso molto dolorose che, per fortuna, non riguardano tutte le donne, essendo molto variabile il livello di queste sensazioni, che vanno dal dolore acuto alla quasi mancanza di dolore. Restando, quindi, sul piano oggettivo - da cui nascerebbe la presunta “impurità” -, appare chiaro che “Il Corano” dipende quasi per intero dai pregiudizi dell’“Antico Testamento”, il quale sovraccarica di pregiudizi quello che è solo un fastidio pratico della donna, generando intorno alla sua figura corporea una sorta di folle, sia pur temporanea, demonizzazione (che poi, nello spiritualismo più accentuato, diventa una demonizzazione della donna stessa, in quanto tentazione carnale per il “puro” di tipo sacerdotale). Per altro il puro e l’impuro, sia pure in altri orizzonti, si intravedono qua e là anche nella scienza e nella medicina (quanto dell’igiene ospedaliero è realmente necessario? Perché si sviluppano forme microbiche ospedaliere ancora più pericolose?), supportati da fenomeni microbici visibili solo dalla casta degli addetti (la scienza, per via microbica, lascia sopravvivere il concetto dell’“untore”). La via microbica e quella dell’impurità non hanno diritto di esistenza nel mondo reale e dei rapporti etici, perché ognuno ha il diritto di abbracciare tutti il microbico e l’impuro che vuole, sapendolo o non sapendolo, perché ognuno è responsabile di quello che fa e dei rapporti che istituisce e non esiste (quindi è solo la violenza di un potere) una predeterminazione normativa e sociale “garantista” che sussista al di sopra della responsabilità e volontà individuale. Dall’Antico Testamento a “Il Corano”, dalle religioni alle scienze: è tutto un fiorire di regole, di pregiudizi, di arroganza.
2) “O uomini! Temete Allah, il quale vi creò da una persona sola. Ne creò la compagna e suscitò da quei due esseri molti uomini e molte donne..Se temete di non esser equi con <le mogli degli?> gli orfani, sposate allora di fra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di non esser giusti con loro, una sola, o le ancelle in vostro possesso..Date spontaneamente alle donne la dote; e se loro piace farvene partecipi godetevela pure in pace e tranquillità..Agli uomini spetta una parte di ciò che hanno lasciato i genitori e i parenti; ma anche alle donne spetta una parte di ciò che hanno lasciato i genitori e i parenti..E si preoccupino degli orfani coloro che, ove morissero lasciando figli deboli, temerebbero per loro” (IV, Sura delle donne, 1-9)
    All’inizio c’è il solito richiamo al “timore” che deve generare Allah: Antico Testamento e Corano sono libri religiosi fondati sul “terrore”, là dove il Nuovo Testamento nasconde, ipocritamente, questo “terrore”: tra i primi due e il terzo c’è lo stesso rapporto che corre tra l’Antico regime e il Dispotismo illuminato dei sovrani illuministi, il sovrano, sosteneva l’illuminista Federico II di Prussia, è il primo servitore dello Stato e degli altri: il rovesciamento da padrone a servitore è la mistificazione del Nuovo Testamento rispetto all’Antico Testamento e a “Il Corano”: il Signore da cattivo si fa buono e con la bontà la gente viene, di nuovo, ingannata dalla formula politica. In questa direzione si colloca anche la democrazia rappresentativa, in cui il rappresentante eletto, in quanto, appunto, rappresentante ed eletto, si presume sia buono, cioè faccia gli interessi dei suoi elettori: è l’estremo inganno del Signore servitore. La democrazia vera non è mai rappresentativa, ed è democrazia solo se il popolo smette di essere un’astrazione e diventa la variegata realtà fatta di milioni di individui diversi, dove la democrazia non può che diventare anarchia, cioè anarchia individualista. Chiunque si mostra contrario all’anarchia è automaticamente, senza ombra di dubbio, un falso democratico, un cialtrone che vuole il tiranno “buono”, cioè il governo degli ipocriti. Non esiste un “governo democratico”, l’espressione è un ossimoro, come “ghiaccio bollente”, un governo, per il fatto stesso che governa individui, è un Signore, cioè non è democratico. E non democratico è sia un governo eletto (democrazie occidentali), sia un governo fondato su un partito politico (fascista, comunista), sia un governo fondato sulla religione (cristiano, islamico, ecc.). I codici di leggi dei governi occidentali sono dei volgari “libri sacri”, sono fanatismo biblico o coranico, così come la Bibbia e “Il Corano” sono dei volgari libri di leggi. Questo è evidente ovunque ne “Il Corano”, ma in particolare nella Sura delle donne, dove sembrano abbozzate le regole per un diritto di famiglia e per un diritto di successione. Occorre dire che Maometto, pur sottintendendo sempre una derivazione della donna da un elemento maschile, non è così preciso da ricorrere all’immagine della donna creata dalla “costola” di Adamo. Tuttavia le cose più importanti del passo ora commentato riguardano gli orfani e la poligamia. E’ evidente la preoccupazione per gli orfani, il che si spiega con il fatto che la sopravvivenza della comunità è sempre stata anteposta, dai capi delle comunità stesse, alla sopravvivenza o alla felicità del singolo. Dal “moltiplicatevi” della Bibbia, fino al dovere delle donne di dare figli alla Patria sotto il fascismo, la preoccupazione verso il futuro della specie ha sempre pesato, a danno della vita e del presente, nelle dottrine dei capi carismatici in modo folle e abnorme. Che lo stesso “futuro” sia una delle scuse più frequenti con le quali leggi e tiranni opprimono la libertà degli individui è cosa manifesta. Si tratta di “olismo”. Che un individuo possa preoccuparsi dei suoi figli è da ritenere normale, ma non può sacrificare completamente la sua vita a questo scopo e soprattutto non è compito a cui spetta di decidere al potere, alle leggi, ai santoni che scrivono libri sacri. Se la comunità intende proteggere gli orfani, qualora i genitori non lo abbiano fatto per tempo, deve farlo a posteriori, non a priori, impossessandosi della vita della vita dei genitori. La libertà esiste solo nella “deregolamentazione”. Per altro l’orfano al quale i genitori non sono riusciti a provvedere per tempo (quindi per mancanza di tempo o di capacità, non di volontà), se la comunità non lo protegge a posteriori, non lo protegge proprio. Quel che è inaccettabile è l’a priori, cioè la legge, il libro sacro.
    Proprio, trattando degli orfani, per verificare un’equità, “Il Corano” ammette la possibilità della poligamia, che, appare evidente, è una facoltà e non un obbligo. Una facoltà riferita agli uomini, ma, almeno su “Il Corano”, non c’è un passo che dica esplicitamente che la poligamia è vietata per le donne. Tuttavia il divieto c’è lo stesso, nel senso che il divieto appare “mediante” la figura maschile, perché tutte le donne già maritate sono “interdette” al nuovo matrimonio. Si dice, spesso, in Occidente che la poligamia è un’offesa per le donne. Questa affermazione è assurda. Le donne mussulmane non sembra che si offendano. Il problema non è e non può essere il fatto che le donne o gli uomini si offendono della poligamia del proprio coniuge. Questo è qualcosa che può essere deciso solo dai singoli individui. Non c’è una regola che in proposito comporti il rispetto del genere femminile o maschile in quanto genere. I maschi e le femmine sono, senz’altro, una distinzione oggettiva, fisica, carnale, ma sono pur sempre solo e soltanto individui, quindi non può esserci un comportamento non direttamente violento che possa apparire a priori offensivo delle donne in generale o degli uomini in generale. La poligamia, in quanto tale, quindi, non offende né i maschi e né le femmine e chi dice il contrario è vittima di ideologie, spesso femministe, le quali danno per scontata la monogamia occidentale. Caso mai c’è da indignarsi del fatto che “Il Corano” vieti, di fatto, tramite il divieto ai maschi di sposare donne già maritate, la possibilità concreta della poligamia femminile. Occorre poi vedere se si ragiona in base a sentimenti profondi e quindi esclusivi oppure in base a sentimenti superficiali o addirittura solo su base sessuale. A seconda di questi casi appare più giusta la monogamia o la poligamia. In base alla visione romantica e anche in base alla logica individuale, il sentimento profondo, che riconosce per istinto l’uomo o la donna del cuore, appare evidente che l’unico matrimonio concepibile è quello monogamico. E’ anche vero, però, che di matrimoni che corrispondono alla profondità e unicità individuale del sentimento ce ne sono pochi anche in Occidente, dove non bastano le dichiarazioni, più o meno giuridiche, fatte in chiesa o davanti alla società. Se la monogamia è l’espressione di un sentimento profondo di unicità individuale della coppia, allora i matrimoni monogamici dell’Occidente sono, per la maggior parte, falsamente monogamici. La monogamia, insomma, può apparire e talvolta è una semplice facciata ipocrita. Questa osservazione sembra dare ragione alla “praticità” de “Il Corano”, che, però, mantiene il suo torto fino a quando non concede la poligamia anche alle donne. Occorre vedere se il matrimonio è più un atto giuridico-religioso o sentimentale e profondo. Nel secondo caso la poligamia è inconcepibile per motivi sentimentali: quindi nulla impedisce di giudicare gli islamici, i maschi che la praticano e le femmine che l’accettano (la responsabilità è bipolare, non solo maschilista, come affermano, faziosamente, le femministe), dei veri e proprio “superficiali” dal punto di vista sentimentale. Personalmente ritengo l’amore sentimentale moralmente superiore a quello poligamico, sia quest’ultimo basato su sentimenti superficiali o solo su desideri sessuali, tanto è vero che, spesso, tra le mogli c’è la “favorita” (il “favorito” in un’eventuale poligamia femminile) e la “favorita” entra come una palese contraddizione nell’ambito della poligamia, nega quella stessa equità che “Il Corano” auspicava. Non c’è dubbio che il rapporto da individuo a individuo entra come fatto ontologico fondamentale nel rapporto tra un uomo e una donna. La superiorità morale della monogamia, se basata su sentimenti autentici, è indiscutibile. Il fatto è che, però, spesso la monogamia non è basata su sentimenti autentici, spesso è solo un fatto giuridico religioso e sociale, cioè sostanzialmente ipocrita. Il “tradimento” non può essere una colpa giuridica da far valere nei tribunali laici o religiosi, perché là dove il matrimonio è monogamico solo per una facciata giuridica, allora ciò vuol dire che non è un legame sentimentale profondo e quindi va equiparato, di fatto e anche giuridicamente, alla poligamia, la quale, perciò, deve essere ammessa dalla legge. Mentre moralmente l’unico matrimonio è quello monogamico e sentimentale, giuridicamente il matrimonio è, o “dovrebbe essere” - se non si fosse ipocriti -, solo, o quasi, poligamico. Da un punto di vista giuridico, perciò, la poligamia dovrebbe rientrare nell’ambito di quella libertà di scelta dei rapporti personali sui quali né i libri sacri, né la legge e né lo Stato dovrebbero mettere bocca. Se lo fanno, si ha una prevaricazione nei confronti degli individui. L’atto religioso o civile del matrimonio non ha nulla a che fare con la sussistenza di un sentimento unico e irripetibile nei confronti di un individuo, questo si può anche formalizzare, ma non sviluppa diritti e doveri al di fuori del sentimento che lo fonda, mentre i tribunali sono squallidi luoghi venali dove, in base al presupposto che il legame matrimoniale è monogamico, si consente, con la benedizione della legge, dei preti e dei giudici, agli ex-coniugi di scannarsi senza pietà in nome di ricchezze, patrimoni, case ecc. Cosa del tutto vergognosa. In altri termini il matrimonio può essere formalizzato come monogamico, ma ognuno deve sapere che inizia e finisce solo nei limiti del sentimento che lo fonda, non ha valenza per conseguenze giuridiche e patrimoniali, che sono di competenza solo dell’individuo a cui sono pertinenti. Il matrimonio monogamico formalizzato, solo a richiesta, può anche prevedere una penale simbolica, ma solo per far capire chi dei due si è comportato scorrettamente, non per avere dei compensi economici che contrastano moralmente con il proprio sentimento offeso (quando mai il denaro compensa un sentimento offeso?). Per il resto i matrimoni poligamici devono essere ammessi dallo Stato (in questo si dà ragione a “Il Corano”) e possono avere sia la formula esplicitamente poligamica che quella monogamica, in questo secondo caso si può parlare di matrimoni con monogamia semplice e matrimoni con monogamia sentimentale. In ogni caso, il divorzio non deve comportare conseguenze patrimoniali, a meno che non si dimostra che uno dei due coniugi, per favorire la coppia, ha rinunciato a lavori oppure ha lavorato nell’ambito privato della coppia stessa. L’idea che l’uomo debba mantenere la donna (mettiamo da parte il caso dei figli) è idea strisciante presente anche in Occidente, perché le stesse leggi occidentali e lo stesso comportamento dei giudici hanno qualcosa di coranico. Il che spiega pure perché molte donne occidentali si trovino rassicurate da “Il Corano”.
   Quanto al fatto che sia ai maschi che alle femmine spetti “una parte di ciò che hanno lasciato i genitori e i parenti” è solo un’apparente equità, subito dopo smentita, ma occorre ricordare che nella cultura islamica è dovere dell’uomo mantenere la donna. Il che, se è comprensibile in mondo pieno di pericoli in cui alla donna è affidata la cura della casa e dei figli, è meno comprensibile farlo diventare una regola assoluta, come, inevitabilmente, fa un libro sacro. Il che non toglie che molti giudizi delle moderne femministe sulle condizioni di vita del passato siano del tutto anacronistici e che la non perfetta “uguaglianza” aveva, talvolta (anche se non sempre, bisognerebbe esaminare caso per caso), una giustificazione ben valida nelle condizioni materiali di vita dei tempi e dei luoghi (vedi “deserto”).
3) “Riguardo ai vostri figli Allah vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine: se i figli sono solo femmine e più di due, loro spettano i due terzi dell’eredità; se è una femmina sola le spetta la metà; i genitori del defunto avranno ciascuno un sesto dell’eredità, se il defunto abbia un figlio..A voi spetta la metà di quel lasciano in eredità le vostre mogli, se esse non hanno figli, e, se li hanno, a voi spetterà un quarto di quel che esse avranno lasciato, dopo che siano stati pagati eventuali debiti; ed esse avranno a loro volta un quarto di quel che voi morendo lascerete, se non avete figli;”(IV - Sura delle donne, 11-12)
    Il passo sembra un piccolo trattato di diritto successorio. Come si vede l’equità riguardante quel che hanno lasciato genitori e parenti, riguarda solo l’aspetto generale per cui sia i figli maschi che le figlie femmine hanno diritto ad una parte di eredità. Ma le parti sono ben diverse. Nel caso dei figli, il figlio maschio riceve il doppio di una figlia femmina: “Riguardo ai vostri figli Allah vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine”. Al marito che sopravvive alla moglie, poi, “spetta la metà” di quel lascia la moglie, al contrario, alla moglie che sopravvive al marito spetta “un quarto” di quel che lascia il marito. Appare evidente che il sistema di misura coranico non è paritario in senso “individuale”, ignora che individuo è tanto il maschio che la femmina. L’eredità non spetta, quindi, per motivi individuali, come, con molta fatica e molte contraddizioni, è acquisito in Occidente, ma per motivi di funzionalità sociale, per motivi di subordinazione alla comunità, cioè per olismo. Motivi sociali che, ovviamente, sono condizionati dall’epoca storica e dalla località geografica. E’ chiaro, da quanto esaminato fino ad ora de “Il Corano”, che l’uomo e la donna nella cultura islamica svolgono dei ruoli ben differenti e la distribuzione dell’eredità avviene in modo non equo e sproporzionato proprio per via dei diversi ruoli svolti. Il ruolo principale maschile e femminile, dal punto di vista economico, cui si riferisce l’eredità, consiste in questo: l’uomo mantiene la donna, la donna è mantenuta dall’uomo. In epoca pre-coranica alla donna, addirittura, non veniva dato nulla dell’eredità. Questo significa che “Il Corano” recepisce le difficoltà in cui viene a trovarsi la donna nel caso in cui perda il marito e per questo stabilisce che una parte dell’eredità, sia pure minore, spetta anche alla donna. Ma, tanto per il figlio maschio, a confronto con la figlia femmina, quanto per il marito, a confronto con la moglie, questa maggiore considerazione della donna in sede di eredità non diventa parità per il semplice motivo che resta valido il principio generale per cui l’uomo mantiene la donna e la donna viene mantenuta dall’uomo. In altri termini maggiore ricchezza dell’eredità deve andare a chi ha l’onere del mantenimento. Questo in Occidente non ha più valore perché dovrebbe essere, nel contempo, fissato anche il principio per cui l’uomo non ha a priori l’onere del mantenimento. Eppure, anche in Occidente, nei tribunali c’è sempre una fila di donne che pretendono un qualche mantenimento. Il fatto stesso che, ancora oggi in Occidente, si consideri offensivo per l’uomo essere “mantenuto”, mentre non si batte ciglio se è la donna ad essere “mantenuta”, dimostra che seguita a sussistere, dietro le sbandierate “parità”, un pregiudizio coranico. Se la donna ha sempre lavorato o lavora tuttora, oppure ha una sua pensione, non ci dovrebbe essere alcun mantenimento, il fatto è che, mentre la parità a livello ereditario e ad altri livelli economici è stabilita, non sempre tra leggi e tribunali viene riconosciuta e si seguita a ragionare in modo coranico, cioè come se la donna avesse comunque un maggiore diritto al mantenimento. Per altro sul lavoro, per motivi speculativi, sopravvive il pregiudizio contrario, cioè quello per cui si può pagare di meno una donna, perché si suppone che la famiglia a carico ce l’ha solo o soprattutto l’uomo. Sopravvivono in Occidente odiose forme coraniche riguardo presunti diritti o doveri di mantenere o essere mantenuti. Per quanto attiene, poi, al lavoro e all’eredità, neppure l’equità come semplice “uguaglianza” appare giusta, perché si dovrebbe sempre trovare il mezzo per riconoscere la qualità e la quantità del lavoro che uno fa, donna o uomo che sia. Lo stesso dicasi per i figli, la cui eredità non dovrebbe essere stabilita per legge, perché è certo che alcuni figli sono più meritevoli di essa rispetto ad altri figli. E’ evidente che una cultura islamica trapiantata in Occidente genera contraddizioni insanabili, l’integrazione non è una marmellata metafisica, esiste solo se nella comunità prevale la visione occidentale o quella coranica. La visione coranica, dal punto di vista storico, ha un senso, ma nella vita civile moderna è come se avesse formalizzato come legge sacra l’idea che la donna è una casalinga che vive per forza in una casa dorata. Il rischio che si islamizzi l’Occidente c’è, come c’è il rischio che si occidentalizzi l’Islam. E’ l’Islam occidentalizzato che chiamiamo moderato e santifichiamo? C’è qualcosa di ipocrita ed etnocentrico in questo parlare di “integrazione”. I due modi di vivere non sono teoricamente integrabili, quindi le contraddizioni, che poi sfociano in violenze, possono durare anche millenni.  
4) “O voi che credete! Non vi è lecito ereditare mogli contro la loro volontà, né impedire di rimaritarsi allo scopo di riprendervi parte di quel che avete loro dato..trattatele comunque con gentilezza, ché, se lo fate con disprezzo, può darsi che voi disprezziate cosa in cui Allah ha invece posto un bene grande. E se vorrete scambiare una moglie con un’altra e avrete dato a una di esse una quantità d’oro, non riprendetene nulla..E non sposate le mogli già sposate ai vostri padri..ché questo è una turpitudine, un’abbominio, un abietto costume. V’è proibito prendere in sposa le vostre madri, la vostre figlie, le vostre sorelle, le vostre zie paterne e materne, le figlie del fratello e le figlie della sorella, le nutrici che vi hanno allattato, le vostre sorelle di latte, le madri delle vostre mogli, le vostre figliastre che sono sotto tutela..e le legittime mogli dei vostri figli..e v’è proibito anche di prendere in moglie due sorelle insieme..e tutte le donne maritate vi sono anche interdette, escluse le ancelle in vostro possesso..Escluso tutto questo vi è permesso cercare spose dando loro in dote dei vostri beni, vivendo in castità e senza darvi al libertinaggio; e a quelle di cui godiate come spose date la loro dote come prescritto, anzi non sarà male che di comune accordo aggiungiate ancora qualcosa al prescritto..Chi di voi non avrà mezzi sufficienti per sposare donne libere e credenti, sposi, scegliendole fra le ancelle, delle fanciulle credenti..che siano però caste, non libertine e non di quelle che si prendono degli amanti. Se però, dopo sposate, commettono una turpitudine, s’abbiano metà della pena stabilita per le donne libere” (IV – Sura delle donne, 19-25)
    Sembra un piccolo compendio di diritto di famiglia. Il diritto di famiglia è la tomba dei sentimenti. Del fatto che l’interdizione a sposare donne già maritate impedisca la poligamia femminile abbiamo già detto. Fa un po’ ridere quello “scambio” di mogli all’inizio del passo, che si suppone avvenga con il consenso delle mogli: sembra quasi l’anticipazione dello “scambismo” moderno, solo che Il Corano predica una strana castità (quando hai quattro mogli, che significa castità?). Resta pienamente confermato il ruolo dell’uomo come fornitore di mezzi di sussistenza e della donna come colei che fruisce di questi mezzi di sussistenza: ciò è particolarmente evidente là dove, parlando della dote prescritta versata dall’uomo, viene aggiunto che “non sarà male..aggiungiate ancora qualcosa al prescritto”. La pesantezza di tale onere è tale che Maometto stesso prevede la possibilità che qualcuno dei maschi non abbia i mezzi per sposarsi: “chi di voi non avrà mezzi sufficienti per sposare donne libere e credenti, sposi, scegliendole fra le ancelle, delle fanciulle credenti”. Le conquiste sono servite anche per ridurre il numero dei maschi che non aveva i “mezzi sufficienti” per mantenere le donne? Il finale, poi, lascia trasparire che, per “Il Corano”, la schiavitù è cosa lecita, d’altra parte la stessa cosa si può trovare anche in alcuni passi della “Bibbia”. Questa liceità, chissà perché, viene taciuta dai paladini dell’integrazione islamica (e anche dai credenti cristiani della Bibbia), i quali pur sanno che molti lavoratori stranieri in Arabia Saudita o in altri paesi arabi tradizionalisti si trovano in condizioni poco dissimili dalla schiavitù. Le “ancelle”, esseri sub-umani (figurarsi i non credenti!), hanno, per disprezzo, il vantaggio di ricevere, in caso di turpitudine, una punizione che è la metà di quella che viene data alle donne libere, esseri umani veri e propri, cioè libere islamiche. Il passo mostra anche un esempio di quell’ascetismo, di derivazione neo-testamentaria o manichea, superficiale, moderato, all’acqua di rosa che è tipico di un popolo pratico, il quale non sembra neppure capire fino in fondo il senso dell’ascetismo. Ovviamente colpisce soprattutto il lungo elenco di “tabù” che vengono fissati per consentire il matrimonio. Alcuni sono condivisi dall’Occidente e, in effetti, ripugnano anche a noi, ma altri sono decisamente strani. D’altra parte la follia umana, tra purezza e consanguineità (a cui, perfino, la scienza si è adattata), genera tabù che vanno al di là del buon senso. Tabù di questo genere si trovano un po’ ovunque e presso alcuni popoli primitivi erano talmente estesi e insensati che diventava anche difficile trovare lo sposo o la sposa. Credo si debba ritenere la facilità del matrimonio inversamente proporzionale alle risorse del territorio nel quale il popolo vive. Molti popoli di cacciatori-raccoglitori o di pescatori non potevano permettersi una popolazione troppo abbondante. Così, almeno all’inizio, doveva capitare anche presso i popoli nomadi della penisola arabica. Anche questo sta alla base della formazione dell’Impero arabo. E’ chiaro che diventa tabù, per Maometto, tutto ciò che viene accostato a madri, padri, figli, sorelle, fratelli, ecc., il tabù per estensione si sposta anche alle mogli o ai mariti che si uniscono a tali madri, padri, figli, sorelle ecc. La cosa è strana se si tiene presente la poligamia islamica. Maometto, come abbiamo visto, sposò la moglie del suo figlio adottivo, dopo che ebbe divorziato da quest’ultimo, precisando che un figlio adottivo non è un figlio autentico. La nutrice, ad esempio, non può essere sposata, perché, differenze di età a parte, viene equiparata alla madre. Vi è, quindi, una sorta di estensione analogica tra le figure del padre, della madre, dei figli, delle sorelle ecc. e figure esterne che vengono equiparate, nel caso della nutrice funzionalmente, alle figure dei familiari. C’è una scarsa capacità di distinzione individuale: padri, madri sono figure che tendono ad andare oltre la loro individualità, per questo nella “Bibbia” viene ripetutamente scritto che le colpe dei padri ricadono sui figli. E un libro del genere, così barbaro, lo chiamano pure “sacro”! Il Corano appartiene alla stessa razza.
            
 

domenica 6 dicembre 2015

PASSI CORANICI (4°, 5°, 6° - parti già pubblicate su facebook)


4) “E fu rivelato a Mosé ‘..costruisci l’Arca davanti ai nostri occhi e secondo quanto ti abbiamo rivelato, e non mi rivolgere più parole in favore degli iniqui, poiché saranno tutti affogati’. E Noè si mise a costruire l’Arca” (X, 36-39)

Il passo conferma tre cose: la prima è che Maometto ammette la presenza di rivelazioni precedenti, che, ovviamente, saranno perfezionate dalla sua. La seconda è che l’Antico Testamento, in cui è compresa la narrazione del Diluvio universale, è il testo sacro di suo maggior gradimento e che meglio si adatta ad essere compreso da un popolo di nomadi del deserto relativamente urbanizzato, ancora paganeggiante e soprattutto provinciale. Ma l’Antico Testamento, lo abbiamo già fatto notare, ha sostanzialmente una psicologia pagano-mesopotamica e il passo conferma questa connessione. Infatti la terza cosa da notare è che il racconto del Diluvio universale è presente, non solo nell’Antico Testamento e quindi nella Bibbia, ma anche nei racconti della letteratura mesopotamica e si trova sia in versione sumerica che accadica, cioè risalente ad età più antiche (prima del 2.000 a.C) e poi in età babilonese (dopo il 2.000 a.C). In particolare il Noè più famoso è inserito all’interno del racconto delle peripezie di Gilgames (questo ispiratore del modello Ulisse e dell’Odissea) e si chiama Uta-napisti. Attraverso l’influenza ebraica e cristiana, Maometto (la stessa cosa capita anche ai cristiani) introduce ne “Il Corano” un racconto di derivazione pagana e idolatrica senza rendersene conto. Gli dei decisero di uccidere tutti gli uomini, si trattava degli dei mesopotamici Enlil, Ninurti, Ea, ecc.. Ea, però, avvisa Uta-napisti e lo invita a costruire una grande barca dove raccogliere gli animali: “Distruggi la tua casa per farti una barca;/ rinuncia alle tue ricchezze per salvarti la vita;/…/Ma imbarca con te/ esemplari di tutti gli esseri viventi” (“L’epopea di Gilgamesh” - Testo babilonese - XI, 24-28). E’ attestato storicamente, ma le religioni sembrano ignorare le origini storiche dei loro “libri sacri”, che sia in epoca sumerico-babilonese che in epoca romana-ebraica popoli nomadi si trovassero nelle zone desertiche limitrofe all’area mesopotamica e all’area palestinese, zona quest’ultima allora occupata dagli ebrei. Appare ovvio, quindi, che l’apparato letterario e religioso mesopotamico, ebraico, cristiano venisse in contatto con questi popoli e che questi popoli, culturalmente provinciali, lo abbiano assimilato solo in epoca tarda e che all’epoca di Maometto questi racconti delle civiltà più vicine erano stati assimilati al punto che Maometto, da ultimo nuovo profeta, ne da per scontata la conoscenza almeno generica. Sul carattere storico e provinciale de “Il Corano”, cioè delle sue derivazioni storiche, ovviamente i fedeli islamici non amano parlare, così come ebrei e cristiani non amano parlare delle derivazioni mesopotamiche dell’Antico Testamento. Questo atteggiamento fa parte del fanatismo ideologico delle religioni, specie di quelle basate su una “rivelazione divina”, perché mette in discussione proprio questa derivazione divina dei racconti. L’ideologia, perciò, non si arrende nemmeno di fronte all’evidenza, cioè, in questo caso, alla Storia.

5) “diranno: ‘Lo ha inventato lui!’..Chi preferisce la vita sulla terra con tutti i suoi adornamenti, sulla terra noi ripagheremo loro le azioni e non verranno, sulla terra, defraudati. Ma son quelli che nella vita dell’Oltre non avranno che fuoco, e annullate saranno le opere loro fatte nel mondo, e vanificate le loro azioni. Sarà forse simile a loro colui che si basa su una prova chiara venutagli dal Signore e che ha dietro di sé un Testimonio divino e avanti a sé il libro di Mosé..?” (XI, 13-17)

C’è qui l’ennesima conferma del fatto che Maometto ammetta delle rivelazioni precedenti. Ancora un volta l’Antico Testamento, il libro di Mosè, è l’antecedente preferito di Maometto. La cosa è chiara se si pensa, non solo all’influenza avuta dall’area palestinese sui popoli grezzi del deserto fin dall’antichità e fino all’epoca romana, ma soprattutto se si pensa che, dopo la deportazione romana degli ebrei, sicuramente alcuni ebrei andarono a vivere nelle zone desertiche, cosa testimoniata dallo stesso Maometto. Il passo, però, denota una certa insicurezza (che si potrebbe intendere come umiltà dell’ultimo arrivato) di Maometto che spiega il suo frequente ricorrere a citazioni delle precedenti rivelazioni. Per altro un atteggiamento simile era presente anche in Mani. Far proprie le rivelazioni precedenti, non solo significava non negare la realtà del fatto che tutti sapevano della loro esistenza, ma significava farne propria l’autorità. Maometto aveva bisogno di autorità presso un popolo di nomadi, di pagani, di ebrei trasferitisi, come rivela quella “excusatio non petita, accusatio manifesta”, cioè quella “scusa non richiesta”, che è un’“accusa manifesta” del fatto che Maometto aveva difficoltà a fa riconoscere la sua autorità. Ma ciò si mostra anche con l’ascetismo tollerante che Maometto mostra, allorché dice che coloro che sono attaccati alle opere terrene non verranno disturbati (se violano le regole coraniche pratiche vengono disturbati lo stesso), anche se, però, precisa che nell’al di là verranno condannati. Il fatto è che l’al di là appare una figura piuttosto debole, anche se può chiedere come sacrifici la morte. Insomma una vita quotidiana ascetica non è ben configurata, ma l’autorità di Allah può tutto. Il modello più specifico è l’Antico Testamento, in cui Jahvé è signore intollerante per principio, ma i compensi sono ancora molto spesso terreni. Ascetismo debole, dunque, non autoritarismo debole. In ogni caso le prescrizioni di Allah sono indiscutibili e in questa misura l’ascetismo è assoluto. Maometto sa che un ascetismo rigoroso non è adatto a quella cultura di nomadi del deserto, ex-pagani ed ebrei e per altro sembra qualcosa di lontano anche dalla stessa mentalità maomettana. Preoccupa l’affermazione per cui le opere dei non credenti “saranno annullate”, perché tale affermazione giustifica la distruzione delle opere storiche pagane, cose che gli integralisti islamici hanno fatto sia in Mesopotamia che a Palmira. Le religioni dette superiori (in barbarie?) non hanno senso storico e sono intolleranti anche verso la diversità storica (vedi quella pagana), la storia, per esse, rimane ingabbiata dentro l’orizzonte del libro sacro e dei suoi precedenti, tutto il resto è fango.

6) “Noè, quando Ci chiamò da prima, e Noi l’esaudimmo..E Davide ancora e Salomone..Noi facemmo comprendere il giusto giudizio a Salomone” (XXI, 76-79)

Non ci possono essere dubbi circa il fatto che la mentalità islamica sviluppa un dualismo gnostico moderato perché il suo orizzonte principale di dipendenza e di ragionamento è quello dell’Antico Testamento. Ma lo Jahvé dell’Antico Testamento diveniva più misericordioso mano mano che si avvicinava all’epoca cristiana, tuttavia non divenne mai cristiano (e i cristiani fanno una lettura allegorica, cioè falsa, dell’Antico Testamento), rimase sempre quel “Dio geloso” che gli gnostici rifiutarono per coerenza, ma che Maometto non rifiuta affatto, perché per un popolo la cui sopravvivenza nel deserto era sempre stata qualcosa di terribile, si prestava meglio l’idea di un Dio irascibile, ma tendenzialmente universale, cosa che avrebbe rafforzato, come avvenne, le varie tribù. Ancora oggi il mondo mussulmano è un mondo tribale inserito in un progetto religioso universale e intollerante. L’Islam, specie sunnita, è tanto pratico per quanto autoritario, non ha precisamente la vocazione ascetica radicale, tranne che nel martirio, nel fatto, cioè, che in esso si incarna la volontà di Allah. Sebbene gli islamici rifiutino l’incarnazione, Maometto, infatti, fu solo un profeta, proprio nel martirio, come capitò anche ai cristiani, si manifesta la possessione divina più radicale e ormai del tutto ascetica.

7) “E così coi malvagi noi operiamo. Esseri che, quando si diceva loro: ‘Non v’è altro dio che Allah’ s’ergevano superbi e dicevano ‘Dovremo abbandonare gli iddii nostri, per un poeta pazzo?’” (XXXVII, 34-36)

Il passo mostra le difficoltà che ebbe Maometto per far riconoscere la sua autorità, ma mostra anche che Maometto si trovava di fronte a dei pagani. Mostra anche che Maometto usò la diffusione dell’Antico Testamento presso i popoli arabi, ma, ovviamente, incorniciato in una struttura teorica universalizzante che derivava sia dal cristianesimo e sia dalla presenza dei vari Imperi, da quello romano a quello bizantino ecc. Non bisogna dimenticare che Maometto vive tra il 571 e il 632 dopo Cristo, quindi proprio ai margini, sia spaziali che temporali, della diffusione del cristianesimo e della presenza degli imperi. Il Corano è un prodotto storico ritardato delle civiltà dell’epoca, ritardato perché il popolo che l’ha prodotto era un popolo provinciale, molto vicino all’area culturale ebraica e mesopotamica. E’, quindi, chiaro che in esso convergono spunti di varia tendenza, ma quella ebraico-mesopotamica è certamente la più forte.

8) “E se questo Libro venisse davvero d’appresso Allah e voi gli negaste fede e qualcuno dei figli d’Israele testimoniasse della sua identità con le altre scritture..? (XLVI, 10)

Il passo conferma sia le difficoltà che Maometto incontrò nell’affermare la sua autorità e sia la dipendenza, in particolare, dalla cultura ebraica, al punto che qui si suppone che faccia riferimento ad un particolare ebreo, tale Abd Allah ibn Salam, che si sarebbe convertito all’Islam. La cultura ebraica vetero-testamentaria, però, occorre ricordarlo, rimanda ad una psicologia autoritaria mesopotamica, la quale, quindi, sopravvive sia nel cristianesimo, dove è in conflitto con la psicologia gnostica neo-testamentaria, che nell’islamismo, nel quale, data la moderazione ascetica, la psicologia autoritaria mesopotamica incontra meno ostacoli teorici. Nella pratica l’autoritarismo sussiste sia nel cristianesimo che nell’islamismo (nel protestantesimo, però, l’autoritarismo si fa gnostico, cioè spirituale e abbandona, perciò, il mondo terreno, identificandosi con Dio, anche se poi ogni credente finisce per avere un poliziotto all’interno della sua anima; l’islamismo ha ancora bisogno di una figura terrena, ma il suo gnosticismo gli impedisce di avere una figura unica, sarebbe idolatria, così ogni credente può essere “iman” purché gli venga riconosciuta un’autorità, per cui il tratto gnostico, nell’islamismo, è anti-idolatrico, quindi anti-cattolico, ma non è protestantesimo, perché il fatto che ognuno sia fedele riconosce, di volta in volta, una distinzione in persone particolari in base ad un principio di autorità non vincolato ad una precisa gerarchia).

9) “Ti faremo declamare il Corano e tu non lo dimenticherai..Ammonisci dunque, ché utile sarà il Mònito. Lo accoglierà chi teme. Lo fuggirà il malvagio, che brucerà nel fuoco immenso..Ma voi preferite la vita terrena, ma è l’altra che è più bella, più lunga. Ché queste cose son tutte scritte nelle pagine antiche, le pagine di Mosé e di Abramo” (LXXXVII, 6-19)

Il passo mostra, oltre all’orrore del far imparare le cose a memoria, ancora una volta la preferenza verso l’Antico Testamento o una sua maggiore conoscenza. Ma proprio in questa sura si manifesta un dualismo cielo-terra che è di tipo gnostico, anche se può derivare dal manicheismo o perfino dallo zoroastrismo. Tuttavia l’elemento gnostico non si diffonde per tutto “Il Corano”, anche se è presente nei momenti essenziali (ad esempio nel rifiuto dell’idea che Dio si incarni in Gesù Cristo), si fa presente, tuttavia, in modo particolare, allorché serve a rafforzare il principio di autorità che viene fissato in astratto nel Dio unico e superiore ad ogni cosa, cioè Allah. Per cui anche dove si fa presente l’elemento gnostico, esso è sempre a rimorchio di una psicologia guida che è di tipo autoritario, cioè ebraico-mesopotamica o pagano-mesopotamica.    

Digiuno (e astinenza)

1) “O voi che credete! V’è prescritto il digiuno, come fu prescritto a quelli che vennero prima di voi, nella speranza che voi possiate divenir timorati di Allah, per un numero determinato di giorni; ma chi di voi è malato o si trovi in viaggio, digiunerà in seguito per altrettanti giorni. Quanto agli abili che lo rompano, lo riscatteranno col nutrire un povero..E il mese di Ramadan..digiunate per tutto quel mese, e chi è malato o in viaggio digiuni in seguito per altrettanti giorni. Allah desidera agio per voi, non disagio, e vuole che compiate il numero dei giorni e che glorifichiate Allah..V’è permesso, nelle notti del mese del digiuno, d’accostarvi alle vostre donne: esse sono una veste per voi e voi una veste per loro. Allah sapeva che voi ingannavate voi stessi, e s’è rivolto misericorde su di voi, condonandovi quel rigore; pertanto ora giacetevi pure con loro e desiderate liberamente quel che Allah vi ha concesso, bevete e mangiate, fino a quell’ora dell’alba in cui potrete distinguere un filo bianco da un filo nero, poi compite il digiuno fino alla notte e non giacetevi con le vostre donne, ma ritiratevi in preghiera nei luoghi d’orazione” (II, 183-187)

Il tema del “digiuno” introduce un aspetto ascetico o del sacrificio. L’ascetismo, in genere, suppone un dualismo molto marcato rispetto al mondo terreno, quasi il tentativo di fare una vita del tutto spirituale a immagine e somiglianza dell’al di là e di Dio stesso. In questo senso né il digiuno islamico e nemmeno i vari digiuni popolari cristiani hanno un senso di forte ascetismo. Ciò che vuole essere popolare non può essere troppo punitivo in termini terreni. Per questo, poi, il mondo cristiano, contrariamente a quello islamico, ha finito per distinguere almeno due livelli (anche di più) spirituali dell’essere cristiano: quello popolare e quello sacerdotale. Il protestantesimo fu anch’esso un compromesso tra le esigenze naturali e popolari e quelle spirituali: essendo sacerdoti tutti i cristiani, l’accoppiamento sessuale in vista della procreazione era concessa a tutti, ma, nel contempo, al di fuori della procreazione, vi doveva essere una certa castità. Idea malata della sessualità condivisa anche dal cattolicesimo. E’ ovvio che i vincoli di castità fossero quasi ovunque disattesi. Il digiuno e la castità, limitati nel tempo o a determinate occasioni, possono apparire e sono un “ascetismo moderato”, anche se fastidioso, tuttavia sono pur sempre “ascetismo”. Quindi è chiaro che nel passo de “Il Corano” emerge il condizionamento ascetico di provenienza o neo-testamentaria o manichea. Ma è altrettanto chiaro che l’elemento ascetico è pilotato dall’elemento ebraico-mesopotamico, cioè autoritario, perché non serve ad assumere un vero abito spirituale per somigliare sempre di più all’eventuale carattere trascendente di Allah (carattere, per altro, mal definito: manca un vera “teologia negativa” ne “Il Corano”), come vorrebbe un ascetismo forte, ma serve soprattutto per ribadire l’autorità di Allah, nel segno del “timore”: “nella speranza che voi possiate divenir timorati di Allah”. L’ascetismo, quindi, cioè la componente cristiano-gnostica, è al servizio della componente ebraico-mesopotamica, cioè di un divinità sul modello di Jahvé, il cui scopo, come nella divinità ebraica, è soprattutto quello politico di ottenere una compattezza delle tribù arabiche. Se non fosse che l’universalismo cristiano e manicheo avevano già superato il livello etnico, si potrebbe pensare che Allah è la riproduzione di Jahvè come Dio etnico. Ma l’elemento etnico era ormai superato, gli arabi si erano, per secoli, confrontati con Imperi, da quello persiano a quello macedone, da quello romano a quello bizantino o dei Parti, quindi era ovvio che l’unità etnica delle tribù arabiche dovesse portare ad una forza di espansione imperiale: si giunse, infatti, non a caso, alla formazione dell’Impero arabo. Insomma l’Islam e l’imperialismo arabo furono entrambi la conseguenza dei gravi pregiudizi dei tempi. Che Allah sia simile a Jahvé lo dimostra anche il fatto che Maometto si preoccupa di chiarire che “Allah desidera agio per voi, non disagio”, il che mostra di trattarsi di un “ascetismo moderato”, quasi non ben compreso, qualcosa che somiglia fin troppo ai compensi terreni che Jahvé donava al popolo ebraico nell’Antico Testamento. In tutti i casi, sia i compensi che le punizioni, nonché il digiuno, cioè il carattere ascetico, fanno capo all’autorità di Allah e servono solo per ribadirla in continuazione. L’astinenza dal cibo e dal sesso sono dei “sacrifici” donati alla divinità presi direttamente dalla propria vita corporea, sono ascetismo, ma nel segno del “sacrificio”, cioè di uno sviluppo che deriva dallo stesso mondo pagano così disprezzato, sono da collocare nella linea pagano-mesopotamica che, attraverso gli ebrei, arriva direttamente a Maometto.

    Dal passo, inoltre, non si possono non ricavare due cattive impressioni: la prima riguarda le modalità dell’astinenza da cibo e sesso, la seconda riguarda la sessualità femminile. Partiamo dalla seconda impressione: per quanto Maometto chiarisca che le donne “sono una veste per voi e voi una veste per loro”, dando l’impressione di un’apparente parità sessuale, il passo è del tutto impostato al maschile, e se, per estensione, i divieti sul cibo si possono facilmente intendere riservati anche alle donne, non può non infastidire il fatto che sembra non riconoscersi alcuna sessualità femminile. L’astinenza sessuale è sempre “astinenza dalle donne”, mai “dagli uomini”. Che il mondo islamico abbia grosse difficoltà a riconoscere una sessualità alle donne è cosa, purtroppo, nota e negarlo è da ipocriti. La donna araba, a livello pubblico, somiglia più a una suora che ad una donna. Che a manifestare chiaramente la sessualità femminile ci sia sempre stato qualche problema in tutte le religioni è cosa altrettanto nota. Ma non più accettabile né dai cristiani e né dai mussulmani. Manifestare liberamente la sessualità, poi, non vuol dire che c’è l’equivalenza con la prostituta, i bigotti schiavizzati dalle religioni pensano facilmente conseguenze del genere. E lo pensano anche le donne molto cristiane e molto islamiche, tali, cioè, che hanno subito il lavaggio del cervello. Per quello che riguarda le modalità di astinenza dal cibo e dal sesso, occorre dire che, da un punto di vista della coerenza ascetica, le modalità sono piuttosto ipocrite. Non mangiare e non fare sesso di giorno, ma puoi farlo di notte. Come se giorno e notte fossero periodi diversi come quelli di altri pianeti. Ma Maometto sapeva bene che sacrifici del genere, specie se durano un mese, vengono facilmente disattesi, e allora l’autorità di Allah spariva del tutto, anziché rafforzarsi con le astinenze. Di qui l’espediente di ricorrere alla differenza giorno-notte, necessario affinché l’imperativo dell’astinenza potesse essere seguito dal popolo, perché Maometto sapeva benissimo che, altrimenti, i credenti avrebbero ingannato loro stessi in mille forme di ipocrisia: “Allah sapeva che voi ingannavate voi stessi”. Per evitare i comportamenti ipocriti dei fedeli di fronte a imperativi di astinenza così rigorosi, Maometto preferisce essere non rigoroso lui stesso. In tale modo, però, genera solo scomodità, non astinenza vera e propria. La scomodità serve lo stesso a ribadire l’autorità di Allah? Non è chiaro. Però appare certo che l’ipocrisia riguardo all’astinenza sembra confermata dallo stesso Corano: Maometto, per anticipare l’ipocrisia, detta un imperativo che sembra ipocrita esso stesso, un imperativo che non è un imperativo, che, piuttosto che negare il cibo e il sesso, sembra, invece, negare il “giorno”. La credulità popolare viene ingannata con piccoli e non nobili espedienti. L’ascetismo islamico è una presa in giro, è piuttosto un mezzo per ribadire l’unico vero interesse de “Il Corano”, cioè l’autorità fine a se stessa. Che tutto questo venga descritto con un linguaggio “poetico”, non toglie una virgola al contenuto inaccettabile.

Divorzio (e ripudio)

1) “A coloro che giurano di separarsi dalle loro donne è imposta un’attesa di quattro mesi. Se ritornano sul loro proposito, ebbene Allah è indulgente e perdona, e se poi saranno confermati nella loro decisione di divorziarle, Allah ascolta e conosce. Quanto alle divorziate, attendano, prima di rimaritarsi, per tre periodi mestruali. E non è loro lecito nascondere quel che Allah ha creato nel loro ventre..Ché è più giusto che i loro mariti le riprendano quando si trovano in questo stato, se vogliono riappacificarsi. Esse agiscano coi mariti come i mariti agiscono con loro, con gentilezza; tuttavia gli uomini sono un gradino più in alto, e Allah è potente e saggio. Il ripudio v’è concesso due volte: poi dovete o ritenerla con gentilezza presso di voi, o rimandarla con dolcezza; e non v’è lecito riprendervi nulla di quel che avete loro dato..se temono di non poter osservare le leggi di Allah, non sarà peccato se la moglie si riscatterà pagando..Dunque se uno ripudia per la terza volta la moglie essa non potrà più lecitamente tornare da lui se non sposa prima un altro marito; il quale a sua volta la divorzia, non sarà peccato se i due coniugi si ricongiungano, se pensano di poter osservare le leggi di Allah..E quando ripudiate le donne e siano giunte al termine fissato per il ripudio, ritenetele con gentilezza o con gentilezza rimandatele, e non trattenetele a forza iniquamente, perché chi fa ciò fa ingiustizia a se stesso. Non prendete a gabbo i segni di Allah..e temete Allah e sappiate che Allah sa tutto. E quando ripudiate le donne e siano giunte al termine fissato per il ripudio, non impedite loro di sposare i loro mariti, se s’accordano fra loro umanamente..E le madri divorziate allatteranno i loro figli per due anni pieni se il padre vuole completare l’allattamento, e il padre è obbligato a fornir loro gli alimenti e le vesti, con gentilezza; comunque nessuno può essere obbligato a fare più di quanto può..Se poi i due coniugi vorranno interrompere l’allattamento di comune accordo..non faranno alcun peccato; né farete alcun peccato se darete ad allattare i vostri figli a una nutrice..Se qualcuno di voi muore e lascia delle mogli, queste attenderanno per quattro mesi e dieci giorni..Non v’è nulla di male se farete proposte di matrimonio a queste donne, o se celerete questa intenzione nei vostri cuori..Ma..non decidete di unirvi con loro in matrimonio finché la prescrizione non sia giunta al suo termine, e sappiate che Allah conosce quel che avete in cuore, badate! Ma sappiate che Dio è pietoso e clemente. Non v’è nulla di male se ripudierete le donne prima di averle toccate o prima di aver loro fissato una dote; ma assegnate loro mezzi per vivere..E se le ripudierete prima di averle toccate, ma avete già assegnato loro una dote, una metà di questa resterà a loro, a meno che non vi rinuncino..Alle ripudiate spettano mezzi di sussistenza secondo onestà: è un dovere per i timorati di Dio” (II, 226-241)

    Si tratta del passo più lungo riguardante il divorzio che sia presente ne “Il Corano”. Vi sono, in via preliminare, quattro sensazioni fastidiose in generale. La prima consiste nel fatto che appare evidente una forsennata volontà di “regolamentare” tutto, il che serve, in ogni caso, per affermare l’autorità di un potere autoritario che viene ad essere imposto mediante l’idea astratta della divinità, cioè Allah. La sottomissione a tale idea è totale: è questo il carattere “mongolico” di cui parlava Stirner. Proprio perché la sottomissione all’idea agisce più in senso giuridico e autoritario (in questo l’islamismo è l’erede dell’ebraismo), anziché in senso ascetico, per certi aspetti l’islamismo è meno medievale dell’ascetismo cristiano del Medioevo, più vicino alla modernità, ma rimane medievale per lo spirito con il quale legifera, ignorando una laicità terrena recuperata attraverso i grandi passi che l’Occidente ha fatto: recupero della classicità, Illuminismo, Romanticismo, rivoluzione sessuale. Cose che, ovviamente, sono a rischio anche in Occidente in virtù di rinascite cristiane e anche di un eccesso di regolamentazione di derivazione politica e scientifica. Una cosa è certa: la volontà di regolamentare tutto, presente ne “Il Corano”, non è molto dissimile, nello spirito, dal diritto di famiglia del moderno Occidente. La seconda sensazione fastidiosa è che il “divorzio” si presenta ne “Il Corano” nella forma del “ripudio” della donna da parte del maschio. Ciò sembra denotare una forma di maschilismo almeno di principio, come conferma l’ottusa affermazione per cui “gli uomini sono un gradino più in alto”. Intendiamoci, ogni divorzio è un ripudio, anche se è bilaterale. Ma qui è l’unilateralità del ripudio che fornisce una sensazione fastidiosa. Va, tuttavia, notato che il ripudio islamico, così come il divorzio in Occidente, permette alla donna di “cadere in piedi” e alla fine di trovarsi spesso in condizioni migliori dell’uomo. In altri termini la donna trova forme di protezione, per molte donne rassicuranti, che potrebbe non trovare in un mondo più libero per lei. Il ripudio, infatti, comporta una serie di obblighi di mantenimento da parte dell’uomo, così come accade nella maggior parte dei divorzi nel mondo occidentale, fino al punto di uomini ridotti ad andare a mangiare alla mensa dei poveri. Ovviamente, per chi ragiona in termini di libertà, questa dichiarata superiorità dell’uomo e questa iper-protezione della donna sono altrettanto inaccettabili. La terza sensazione fastidiosa consiste nel fatto che Allah, anche quando appare clemente e misericordioso, è sempre un principio di autorità brutale. La clemenza e la misericordia, certo eredità neo-testamentaria, in fondo sono proprio le virtù di chi è ritenuto il legittimo rappresentante di un potere mostruoso. Da Babilonia all’Antico Testamento fino a “Il Corano”, ma anche nel cristianesimo, la misericordia e la clemenza sono la virtù di un potere che pretende una sottomissione assoluta. Insomma la clemenza e la misericordia sono l’aspetto benevolo della barbarie, cioè di un potere tirannico. La cultura mesopotamica, quella ebraica, quella cristiana, quella islamica sono questa barbarie. Confermato, dunque, che clemenza e misericordia non eliminano, ma confermano, il dispotismo divino di Allah, appare ovvio, di conseguenza, che non dobbiamo meravigliarci se il rapporto uomo-Allah sia basato soprattutto sul “timore”. La paura di Allah è il vero motore della religione islamica, un principio inconciliabile con tutto il processo, non ancora terminato, di liberazione dell’individuo dell’Occidente. L’eventuale islamizzazione dell’Occidente sarebbe un ritorno alla barbarie, per cui davvero non si capisce cosa si intenda per “integrazione”: si dà per scontato che gli islamici abbandonino “Il Corano”? E’ una presunzione molto pericolosa. La quarta sensazione fastidiosa è che la regolamentazione presume un comportamento scorretto sia da parte degli uomini che delle donne e anzi lascia intendere una certa violenza fisica o verbale, come rammenta lo stesso Maometto con il suo continuo ripetere “con gentilezza”. Come si vede violenza e barbarie tirannica vanno particolarmente d’accordo, l’una richiama l’altra: non c’è violenza che non porti alla necessità di un potere assoluto e tirannico, non c’è potere assoluto e tirannico che non presuma la violenza. Che le unioni e le separazioni tra uomini e donne avvengano solo sul piano della “libertà” sembra cosa sconosciuta tanto al mondo islamico quanto al mondo occidentale moderno.

    Chiarito che nell’Islam il divorzio è, prima di tutto, un ripudio della donna da parte dell’uomo, vediamo quali sono le principali “regole” che stabilisce “Il Corano” in relazione al divorzio:

1) per ottenersi il divorzio devono passare quattro mesi; il periodo sembra imposto per una meditazione, infatti, subito dopo Maometto precisa le due ipotesi, cioè o ripensamento e riappacificazione o conferma della separazione;

2) le donne prima di maritarsi di nuovo devono attendere tre cicli mestruali (tre mesi?) e non devono nascondere il figlio avuto con il precedente marito che portano in grembo; la prescrizione sembra voler tutelare da inganni il marito successivo della donna;

3) “Il Corano” sembra augurarsi una riappacificazione quando la donna attende un figlio dal marito. Insomma il figlio sembra attenuare il diritto al divorzio che viene, per altro, confermato. E’ un punto in cui l’Islam tende ad avvicinarsi al divieto di divorzio della religione cattolica. La presenza del figlio attenua i diritti dei genitori. Essere genitori è, dunque, una vita di sacrificio per il figlio? Una vita a metà? Il figlio ha diritto ad essere cresciuto, non a limitare i diritti dei genitori, questo va detto in particolare contro l’attuale atteggiamento legislativo e giudiziario dell’Occidente;

4) il ripudio o divorzio è possibile, senza complicazioni, solo per due volte e, nel caso in cui la donna lasci il marito, quest’ultimo non può riprendersi le cose e la dote che le ha donato (conferma della protezione della donna);

5) Il ripudio può avvenire anche una terza volta, ma solo a certe condizioni: queste prevedono che la donna non possa tornare indietro se non dopo aver sposato un altro uomo e aver divorziato da questo altro marito. A noi occidentali ciò sembra assurdo, giacché proprio il fatto che abbia sposato un altro uomo ci appare come impossibilità a tornare indietro e anche se è previsto il divorzio da questo secondo uomo, tutto ci appare come una complicazione barocca. Occorre ricordare, tra l’altro, che l’Islam non prevede il reato di “bigamia” ed ammette la poligamia. La cosa si spiega come una forma di iper-protezione della donna e con il fatto che a disporre il divorzio è l’uomo unilateralmente. In altri termini, se un uomo divorzia e poi riaccetta la donna, quest’ultima viene a trovarsi in una condizione di sospensione per cui non può riprendersi la dote (il gioco tra ripudio e nuova accettazione della donna può spingere quest’ultima a rinunciare alla restituzione della dote). La preoccupazione de “Il Corano” per i mezzi di sussistenza della donna è costante, visto che la donna è sempre mantenuta da un uomo (l’idea che la donna lavori per suo conto e specialmente in luoghi pubblici, è idea non islamica ed è idea inconciliabile con la cultura occidentale e con l’idea di un’autonomia economica di base della donna). Proprio per questo la legge coranica impone il dovere di sposarsi di nuovo, perché in tal modo la dote deve essere restituita comunque e poi viene tutelato il mantenimento della donna grazie al nuovo marito. E’ ovvio che, nel caso in cui la donna ritorni dal primo marito, il nuovo marito sia spesso una persona che si presta a fare da finto nuovo marito. Su questo la letteratura islamica si è spesso molto divertita. Ma, se il ritorno dal primo marito non avviene, la dote restituita diventa un bene prezioso per il sostentamento della donna e il dovere di mantenimento della donna va in carico automaticamente al nuovo marito, finto o vero che sia, visto che l’impegno è comunque preso verso Allah. Le femministe, a ragione, direbbero che in tal modo diventa palese che la donna è accolta da un uomo perché pagata con la dote e con il mantenimento, per cui la donna sposata verrebbe a trovarsi nella medesima condizione di una prostituta. Certo il mantenimento è un’offesa alla donna, ma anche un ingiusto perso per l’uomo, per questo la dote e il mantenimento sono immorali da ogni punto di vista. Ma, se una donna, per necessità contingenti, ritiene di dover fare la casalinga, non si può sostenere che venga mantenuta dal marito e quindi ricavarne che la casalinga e la prostituta si equivalgano. La donna che fa la casalinga lavora e in ogni caso si dedica a persone particolari, il che elimina di per sé l’equivalenza con la prostituzione. Fare la casalinga è un lavoro, ma non una professione, non si fa la casalinga per tutti, per questo poi non può essere riconosciuto come lavoro pubblico, cioè fatto a un pubblico di clienti o di fruitori di servizi. Equiparare casalinga e prostituta equivarrebbe a ragionare come fa l’islamico che reputa di per sé la donna come una mantenuta. Il modo in cui l’Islam intende la donna è ingiusto verso la dignità delle donne e carica gli uomini di pesi di mantenimento che non gli spettano. Spesso, poi, la donna nell’Islam, almeno quello più ricco, non fa neppure la casalinga, ma fa la “signora”, che è cosa ben diversa, anche se appare come una “signora in gabbia”, ma molte donne, se la gabbia è dorata, adorano starci.

6) La donna poi deve allattare il figlio dopo il divorzio per due anni se il padre vuole che sia completato l’allattamento. Possono, però, di comune accordo interrompere l’allattamento e allora c’è l’affido alla nutrice.

7) In caso di morte del marito le donne non potranno sposarsi prima quattro mesi e dieci giorni. E’ un periodo di lutto. La cosa inaccettabile per noi è che sia obbligatorio. La brevità del lutto si spiega per due motivi principalmente: il primo è quella protezione della donna che abbiamo già notato. Se la donna è mantenuta da un uomo, quando questo muore, la donna non ha più chi la mantiene. Il secondo motivo è che presso le popolazioni arabiche dell’epoca non c’era la sovrappopolazione, ma la scarsità delle nascite, per cui più il periodo di lutto è lungo più si restringe la possibilità di fare figli. Poi ci può essere anche un interesse personale della donna o di qualche uomo, da questo punto di vista appare chiaro che “Il Corano” è una religione autoritaria, ma pratica, non si può fare a meno di rammentare la distinzione che face Marx tra ebrei e cristiani, che vale anche per gli islamici, messi al posto degli ebrei: “Il cristiano era fin da principio l’ebreo teorizzante; l’ebreo è perciò il cristiano pratico” (K. Marx - “La questione ebraica”). Ai pratici, cioè agli ebrei e agli islamici, quindi il principio ascetico metafisico non interessa in quanto tale, cioè in quanto spostamento in una effettiva e piena vita spirituale, ma solo in quanto si presta a giustificare l’esistenza di un essere “superiore” e “onnipotente”, che possa fungere da assoluto e indiscutibile principio di “autorità”: l’al di là conta, in senso pratico, solo in quanto è, per l’al di qua, Jahvé o Allah (eredi dei dio mesopotamico Enlil), vale a dire “obbedisci e striscia come individuo”. Un principio inaccettabile.

8) Il divorzio-ripudio può avvenire anche prima di aver consumato il matrimonio, sia prima che l’uomo abbia consegnato la dote e sia dopo. Nel caso di ripudio dopo aver consegnato la dote, nella circostanza di un matrimonio non consumato, l’uomo può riavere solo una metà della dote, per il già noto principio che, anche se il matrimonio non è stato consumato, la donna conserva un qualche diritto alla dote perché “Il Corano” si preoccupa certamente della sussistenza delle donne. Questo spiega anche le molte adesioni femminili alla religione islamica, donne, evidentemente, più preoccupate della loro protezione e sussistenza che della propria dignità personale e individuale. Donne pronte al martirio giacché la protezione vi è nell’al di qua e nell’al di là, nel nome di Allah. Un nome, appunto, come disse Herder, polemizzando con il teismo di Jacobi (e l’Islam è iper-teista): “E se tu riduci questo concetto supremo, intimo, onnicomprensivo ad un puro nome, allora sei tu ateo, non Spinoza” (J. G. Herder - “Lettera a F. H. Jacobi” del 20/12/1784). Herder era panteista e riteneva il teismo basato su un puro “nome” addirittura una forma non confessata di ateismo. Da questo punto di vista gli islamici e gli ebrei sarebbero atei. Ma degli atei sottomessi ad un nome-idea astratta (Jahvé, Allah, Dio, Umanità che sia) sono comunque degli schiavi, direbbe Nietzsche.

9) L’onere del mantenimento e della tutela delle donne nell’Islam sembra vada di pari passo con l’affermazione della superiorità maschile: 1) “gli uomini sono un gradino più in alto”, 2) “è più giusto che i loro mariti le riprendano quando si trovano in questo stato <incinta>, 3) “non v’è lecito riprendervi nulla di quel che avete loro <alle mogli> dato <come dote>, 4) “il padre è obbligato a fornir loro <alle madri divorziate che allattano> gli alimenti e le vesti”, 5) “assegnate loro <alle donne da cui si è divorziato senza consumare il matrimonio> mezzi per vivere”, 6) “se le ripudierete prima di averle toccate, ma avete già assegnato loro una dote, una metà di questa resterà a loro”, 7) “Alle ripudiate spettano mezzi di sussistenza secondo onestà: è un dovere per i timorati di Dio”. Tutto questo, rispetto all’individuo, è ingiusto nei confronti sia dell’uomo che della donna. L’idea che tra uomo e donna vi sia, nell’unione, un sodalizio di autonomia, tutela e mantenimento reciproco, proprio in virtù dell’individualità completa di ognuno dei due, è ignota a “Il Corano” e forse alle religioni in generale.