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venerdì 10 settembre 2021

 Considerando che è dimostrato che anche i vaccinati si contagiano e contagiano gli altri, non ha motivo di sussistere un green pass, perché il vaccino non impedisce la diffusione del virus, che è l'unico motivo per il quale si vuole impedire ai non vaccinati di stare a contatto con gli altri. Il fatto che poi i vaccinati non abbiano conseguenze gravi o mortali dal virus (cosa dimostrata fino a un certo punto, perché si va sempre per percentuali e la stessa informazione al riguardo non è chiara, non si dice mai quanti sono i vaccinati o meno tra i deceduti o coloro che stanno in terapia intensiva) è cosa che non riguarda la diffusione del virus, ma le conseguenze personali dopo averlo contratto. Il green pass e l'obbligo vaccinale sono una violenza inutile, fatta solo per interessi economici delle ditte multinazionali, infatti non spetta allo Stato stabilire se un individuo muore se non ha provveduto a prendere un farmaco o un vaccino. O si stabilirà anche l'obbligo di Stato di prendere farmaci salvavita? Il green pass e l'obbligo vaccinale hanno l'unica ragion d'essere nel fatto che venga eliminata la diffusione del virus, ebbene questa ragion d'essere non c'è, green pass e obbligo vaccinale sono puro razzismo sanitario.

sabato 17 luglio 2021

 NOI FILOSOFI - Noi filosofi siamo più intelligenti dei virologi. Questi ultimi ripetono, come una litania, che, se oggi ci sono meno morti per il Covid, il merito è del vaccino. Non prendono nemmeno in considerazione l'effetto della buona stagione estiva. Nonostante ciò, i morti ci sono, di meno, ma ci sono: sia in Francia, che in Inghilterra e in Italia. Nessuno ci precisa, con esattezza, quanti di questi morti erano vaccinati del tutto e quanti no. Questa mancanza di precisazione nasconde qualcosa? I virologi ci dicono che il vaccino non difende dai contagi, ma dalla gravità della malattia e dalla morte. Ma, se non difende dai contagi, allora ogni vaccinato che prende il Covid è, a sua volta, contagioso. Quindi a cosa servono l'obbligo vaccinale e l'obbligo del "green pass", se il contagio possono trasmetterlo anche i vaccinati? Chi si vaccina, stando ai virologi, non muore, chi non si vaccina rischia. La gente è libera di rischiare o c'è l'obbligo di Stato di non ammalarsi e di non morire? Il contagio lo trasmettono sia i vaccinati che i non vaccinati. Dunque? L'obbligo vaccinale, insito nell'obbligo del "green pass" (che è di un'ipocrisia senza precedenti), quindi è puro sfoggio di autoritarismo e chi lo propugna dimostra di essere anti-democratico (in questo caso più la sinistra che la destra, anche se Macron fa eccezione). Il vaccino è diventato il mantra degli operatori turistici, sportivi, ecc. che, con il green pass, mirano a fare affari, nonostante il vaccino non garantisca affatto di evitare il contagio. Se uno si contagia e muore perché non vaccinato, che gliene frega ai gestori di alberghi e di stadi? La verità è che il "green pass" è diventato una specie di lasciapassare contro il terrore, non un'effettiva garanzia. Un lasciapassare che, però, viola la libertà di alcuni (no-vax) e tormenta la vita di tutti gli altri pecoroni che corrono a fare fare tamponi e anche 10000 vaccini se gli viene chiesto. Un lasciapassare che viola gli articoli della Costituzione.

mercoledì 28 ottobre 2020

 LIBERI O UGUALI?

Subito si associano le due cose: dalla Rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fratellanza) è diventato un superficiale luogo comune di tutta la modernità. Ma essere uguali esclude l'essere liberi. Se l'uguale è un "dover essere", appare chiaro che chi cerca di essere uguale o pretende di esserlo non è libero, chi è libero se ne infischia di essere uguale. Se l'uguale, come è di fatto, significa essere uguali davanti ad un potere (come l'essere uguali davanti a Dio o davanti alla società), allora vuol dire che si sottostà ad un potere e, di nuovo, non si è liberi. Bisogna rimuovere tale potere, non la differenza che viene fuori naturalmente dalla libertà. Chi è quel cretino che ha diffuso l'idea che essere uguali e liberi siano la stessa cosa? Io ho basato tutta la mia filosofia sull'essere liberi e non sull'essere uguali. La società moderna sta facendo morire la libertà con l'eguaglianza e io combatterò eguaglianza e società moderna fino a che vivrò.

lunedì 17 agosto 2020

 SUL SENSO DI GIUSTIZIA

  1. Che la “pena” sia una punizione “rieducativa” mirante al reinserimento sociale della “pecorella smarrita” è un concetto illuministico-cristiano che non può appartenere a Leopardi come non apparteneva a Nietzsche. La rieducazione è interesse sociale e non individuale. Chi ha subito un danno vuole la restituzione di un danno, è una “violenza giusta” di fronte alla “violenza ingiusta” subita. Ciò può anche concepirsi come “vendetta”, ma dettata dall’ira: alla base della pena e della giustizia, per la singola vittima della violenza, c’è l’ira: “Senza crudeltà non v’è festa..e anche nella pena v’è tanta aria di festa” (F. Nietzsche - “Genealogia della morale” - 2° dis. 6). La società, invece, vuole “narcotizzare” l’ira della vittima e la demonizza come “vendetta”, per far sì che la gestione del potere sociale resti comoda. La pena come rieducazione è interesse del potere sociale, non di chi ha subito l’ingiustizia. L’ira si deve intendere come reazione ad una violenza subita, come giustizia. Un orso che reagisce con una zampata ad una zampata subita sta facendo giustizia mediante la pena. L’animale, certo, a lungo andare dimentica, l’uomo no. Leopardi condanna la vendetta perché nella società “stretta” si creano le condizioni di vendette continue all’infinito: è la memoria, la convivenza vicina con il violento che genera questa catena di vendette, mentre in natura la cosa si esaurisce in poco tempo. C’è la reazione immediata: pena, giustizia, vendetta vengono esercitate immediatamente o mai più. Leopardi, quindi, non condanna la vendetta in se stessa, ma la catena delle vendette, trova la vendetta presa all’istante, al di fuori della sua socializzazione, naturale tanto che trova ovvio lo spirito di vendetta e ne condanna solo l’eternità e la catena sociale: “Chi non sa che cosa possa nell’uomo lo spirito di vendetta? Il quale rende eterna l’ira e l’odio verso i suoi simili..Or questo spirito ch’è inevitabile in qualunque società umana stretta, fu ignoto all’uomo primitivo, è ignoto a qualunque altro animale, in cui l’ira non dura più di qualunque altra passione momentanea, e la ricordanza dell’ingiuria più dell’ira” (G. Leopardi - “Zibaldone” 3795). Dunque, per Leopardi, all’ingiuria segue l’ira, momentanea o durevole che sia (l’uomo, però, ha più memoria). L’ira dell’individuo che ha subito l’ingiuria sta, quindi, alla base del desiderio di giustizia, quindi della pena, vendetta o no che sia. La convergenza tra Leopardi e Nietzsche è chiara. L’interesse sociale non c’entra nulla con la giustizia e la pena, è solo l’interesse del potere. Come era interesse della logica cristiana creare il “Purgatorio” (l’equivalente della pena per l’ottica totalitaria del potere sociale), in modo che la pecorella smarrita rientri nell’ovile del Paradiso, cioè della società perbenista. La pena come rieducazione annienta la giustizia per l’individuo, neppure lo calcola, tanto è vero che tende al “perdono” per confermare l’onnipotenza di Dio, cioè laicamente della società: “Che vivano e prosperino: sono ancora abbastanza forte per permettermelo!” (F. Nietzsche - “Genealogia della morale” - 2° dis. 10). Finché non si arriva all’indifferenza verso l’ingiuria subita dal singolo individuo, all’abolizione della giustizia, come nel perdono cristiano, nei continui sconti di pena della legge e alla grazia: “Questa autosoppressione della giustizia: è noto con quale bel nome essa viene chiamata: grazia <perdono>” (F. Nietzsche - “Genealogia della morale” - 2° dis. 10).

venerdì 17 luglio 2020

LA CITTA' VIRTUALE MONDIALE

Il razionalismo, la democrazia, il mercato, lo scambio, la scienza, la tecnica, sono tutte necessità della società borghese e non verità assolute, servono per esercitare il dominio sul mondo mediante la velocità, la comunicazione. La comunicazione in tempo reale equivale a una città mondiale, un’illusione virtuale che ignora le distanze materiali. L’uomo comunica in tempo reale da Londra a Tokio, si forma una città mondiale, ma solo virtuale, metafisica, nella realtà ci sono gli altipiani dell’Asia, le montagne gigantesche dell’Himalaia, i deserti. L’élite borghese vive in megalopoli mondiali virtuali costituite dalla comunicazione, dai trasporti, dalla tecnica, dalla scienza. I vari popoli sfruttati sono i “dintorni” della città virtuale che la mantengono.

mercoledì 15 luglio 2020

MERCATO GLOBALE: PACE O GUERRA?

“È lo spirito commerciale che non può accordarsi con la guerra e che prima o dopo si impadronisce d’ogni popolo” (I. Kant-“Per la pace perpetua”). Questa sintonia tra pace e mercato è vera solo in teoria: senza una pace non si può “scambiare” niente. Però accade spesso che il mercato, per la concorrenza, mette un popolo in “conflitto” con l’altro e la concorrenza economica è già una guerra fatta con altri mezzi. Ci vorrebbe un “organismo mondiale”, un Dio, che controllasse i popoli. Ma sarebbe il “Grande Fratello”, che è peggio della guerra. Quindi resta la concorrenza economica tra i popoli e lo stesso commercio può portare alla guerra: “La politica e il commercio nelle loro forme più evolute..sono entrambi un surrogato della guerra realizzato con mezzi diversi” (O. Spengler-“Il tramonto dell’Occidente”).
SCIENZA E LIBERTA'

I “filosofi del destino” sviluppano un approccio alla vita del tutto inconciliabile con il pensiero scientifico. La filosofia del destino, proprio perché è una filosofia di libertà, lascia aperto il futuro, giacché il destino non è né prevedibile e né controllabile. Se il futuro fosse prevedibile e controllabile, sarebbe già vincolato, si saprebbe a priori cosa accadrà e quindi sarebbe “chiuso” da quello che la previsione stabilisce. Libertà e scienza sono assolutamente inconciliabili, la libertà vuole l’imprevedibilità del destino, non la predeterminazione della legge di causa ed effetto: “l’antitesi tra idea di destino e principio di causalità. Cotesta antitesi finora non era stata mai riconosciuta come tale nella sua necessità profonda e formalmente determinante” (O. Spengler-“Il tramonto dell’Occidente”).