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lunedì 15 maggio 2017

 CIVILTA’ MODERNA

    Per chi, come me, ha fatto del sentimento una “filosofia sentimentale”, dato che il sentimento è una discriminazione affettiva, distingue un figlio da un estraneo, un padre, un’innammorata, un innamorato, ecc., dal resto dell’umanità, esso, in modo inevitabile, si scontra con l’egualitarismo e l’universalismo allo stesso modo in cui il Romanticismo si scontrò con l’Illuminismo. Il sentimento, dunque, ha, di necessità, una radice aristocratica, ognuno si circonda di quelli che, per lui, sono i migliori, perché i migliori sono quelli che ama personalmente, anche se questo non avviene per una scelta razionale, ma per circostanze che generano affettività. Il sentimento è figlio del caso, non della scienza, trova o non trova il suo riferimento secondo il destino. Il sentimento può esistere solo in questa discriminazione aristocratica, quando si pretende di amare tutti (cristianesimo) o di essere solidali con tutti (sinistra), è proprio il sentimento che si cancella, per questo è cattivo gusto voler compiacere a tutti, una mentalità servile: “Non si vuole vivere con tutti, né si può vivere per tutti; chi se ne rende conto saprà stimare molto i propri amici e non odierà né perseguiterà i propri nemici” (J. W. Goethe - “Massime e riflessioni” 396). Chi ama tutti, non ama nessuno. Il fatto, quindi, che il sentimento nasca e seguiti a sussistere solo nella “discriminazione” è cosa che l’astrattezza razionale della moderna coscienza illuminista, progressista, economica e globalizzante non riesce proprio a comprendere. Il sentimento non è moderno e seppellirà la modernità: sarà la vendetta romantica. Il sentimento, ovviamente, si estende con maggiore o minore profondità ad ambienti e popoli, non è indifferente ad ambienti e popoli, quindi discrimina anche ambienti e popoli. E’ nella natura individuale del sentimento, che vive sempre nell’hic et nunc. Il sentimento non comprende lo spirito universale, perché questo spirito universale è astratto: non distingue nulla e non discriminando un padre o una moglie da un estraneo, un ambiente caro da un ambiente che è estraneo, un popolo al quale, in qualche misura (mai del tutto, perché l’individuo viene prima dei popoli), si è legati da popoli estranei e perfino culturalmente ritenuti spregevoli, tutta questa indistinzione, si diceva, distrugge il sentimento e la sua realtà affettiva che si estende negli spazi concentrici e circoscritti dell’hic et nunc in cui l’individuo vive. La discriminazione personale, di ambiente, di popolo che il sentimento genera nell’hic et nunc ovunque, si rafforza discriminando, fino a farsi aristocratico, quando, avendo di fronte l’ipocrisia generale, giunge a diventare: “il piacere aristocratico di dispiacere” (C. Baudelaire - “Razzi” XII). Se si vuole piacere a tutti, non si ama nessuno e non si riconosce l’affetto che persone specifiche hanno per noi. Ovviamente questa discriminazione aristocratica non può avere la pretesa di essere “assoluta”, deve essere cosciente di dover convivere con i sentimenti altrui e con le discriminazioni aristocratiche altrui. Ma cosa rende “assoluta” una discriminazione aristocratica? La ragione, con il suo universalismo ed egualitarismo è l’Illuminismo che rese assoluto il culto nazista della “aristocraticità” della razza germanica, perché solo la ragione rende assoluta una diversità, provocando la gerarchia razziale, il sentimento, invece, discrimina anch’esso, ma senza gerarchia, nel senso che ognuno discrimina sentimentalmente per conto suo, per selezione individuale. Il sentimento è discriminazione, ma mai discriminazione di Stato.. Chi si attiene alla discriminazione aristocratica del sentimento sa che questa discriminazione si basa, come capitava nel Romanticismo, sulla diversità e quindi rifiuta l’ipotesi di un mondo tutto uguale e universale, ipotesi che porta una diversità a farsi assoluta, come fece il nazismo che voleva tutti “universalmente” e “ugualmente” tedeschi e nazisti e, nell’impossibilità di ottenere ciò, sottomessi ad essi (la sottomissione riafferma l’universalismo di una discriminazione, il marcio non è la discriminazione, ma l’universalismo). La ragione, non il sentimento, è portatrice di quello spirito tirannico che è l’assoluto universale. L’Illuminismo distrusse un’aristocrazia sociale storica, che era una gerarchia che rendeva assoluto il valore di certe famiglie a scapito di altre, e questo fu un suo merito, ma poi creò il vuoto dell’egualitarismo e dell’universalismo che oggi dilaga nella globalizzazione. La globalizzazione non è un destino, ma una costruzione dovuta all’Illuminismo e come tale si sgretolerà. Questo vuoto razionale, che affermò il principio di eguaglianza e l’universale, ignorava la diversità e il fatto che il sentimento si atteneva proprio a quella discriminazione aristocratica che è la diversità naturale. Tale discriminazione, proprio perché non è assoluta e razionale, non comporta una gerarchia e quindi una sopraffazione verso altri individui. Nel sentimento non si vuole avere schiavi, ma si vuole stare con le persone, gli ambienti e i costumi che si amano. Non è una discriminazione sociale, bensì naturale, tuttavia comporta dei rapporti preferenziali che scavalcano la società e riguardo ai quali la società dovrebbe ritirarsi in buon ordine. Anche se la società si è impadronita di certi sentimenti (paterno, filiale, ecc.) facendone dei ruoli caricati da obblighi che vanno al di là dei sentimenti (militarizzazione dei sentimenti), ruoli da cui il sentimento dovrebbe essere liberato, è chiaro che i sentimenti nascono al di là dell’ordine sociale, ne è un esempio il sentimento dell’amicizia: è talmente anarchico che la società non è riuscita a farne un ruolo e ad ingabbiarlo, tutti l’ammettono, ma non ha alcun valore istituzionale o giuridico. Le discriminazioni sentimentali sono legittimate dalla natura e la lotta indiscriminata alle discriminazioni rischia di distruggere ogni sentimento, creando, per colpa della ragione, persone sempre più vuote e quindi sempre più sole ed insicure. Ovviamente questo lo comprese il Romanticismo, mentre l’Illuminismo non lo comprese affatto e ancora oggi borghesi, scientisti, economisti, affaristi, cristiani e comunisti seguitano a non capirlo. L’Illuminismo creò un calderone generale gestito dalla politica di parte (partiti) e dai giornali, politici e giornalisti si presentarono, mistificando, come rappresentanti del nuovo sovrano, che doveva essere l’“opinione pubblica”. L’“opinione pubblica” è una metafisica politica che sposta sul piano sociale quel principio di “uniformità” che la scienza aveva calato su tutta la natura, resa sovrana con la democrazia essa non è una persona, non è un individuo, in pratica “non è”. E’ un’approssimazione matematica che si riempie di contenuti particolari, i quali non hanno alcun diritto di diventare universali e venire imposti a tutti. L’unica “discriminante” che l’uniformità dell’universale, dell’egualitarismo, dell’opinione pubblica riconosce è quella numerica, quella dei voti, del prezzo, del mercato, della statistica, non riconosce le discriminanti personali, naturali e sentimentali. L’“opinione pubblica”, non essendo rintracciabile da nessuna parte, diviene una forma personale che viene sostituita dall’uniformità della ragione o meglio ancora da volontà singole che spacciano i propri interessi per interessi razionali, generali, tipo il filosofo di Platone. L’opinione pubblica è un “entimema”, cioè una semplice “considerazione mentale”, una realtà fittizia data per scontata. L’“opinione pubblica”, come sovrano, quindi non esiste oppure è rappresentato dal “luogo comune”, dal “conformismo”, dalla “tirannia della maggioranza”, dal “si” (si dice, si fa), addirittura dalla “volgarità”, come sembrano dire Nietzsche e Baudelaire a proposito della grande città e dei giornali, grande città e giornali (mezzi mediatici) che sono una classica espressione dell’Illuminismo e dell’astratto egualitarismo e universalismo. Grande città e giornali rappresentano quella che io, nei miei versi, ho chiamato “civiltà moderna”, qualcosa, cioè, di assolutamente volgare, superficiale, spregevole. Scrive Baudelaire: “Non capisco come possa una mano pura toccare un giornale senza una convulsione di disgusto!” (C. Baudelaire - “Il mio cuore messo a nudo” XLIV). Scrive Nietzsche: “Sputa piuttosto sulla porta della città e torna indietro!..Qui marciscono tutti i grandi sentimenti: qui soltanto sentimentucci scheletriti possono far rumore coi loro ossicini!..Non vedi le anime penzolare come stracci sudici e stracchi? E di questi stracci fanno anche giornali!” (F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Del passar oltre). L’amore universale cristiano, il solidarismo globale comunista, il filantropismo illuminista, il mercato globale borghese, la civiltà moderna nel suo insieme, sono, appunto, quegli stracci con i quali fanno i giornali e tutti gli strumenti mediatici, sono il “marcire” stesso dei sentimenti. La "civiltà moderna" è un inquinante terrificante del buon senso naturale. Solo questo intendevo dire con i miei versi.


Civiltà moderna,
sanguinante altare,
che gl’individui immoli
e inghiotti come il mare,

meccanismo orrendo
di scienza e di paura,
uccidi il cuor nel calcolo,
tu sei la sua tortura,

tu vendi e compri tutto,
basta sol pagare,
vendi perfino l’anima,
che non sa più amare.

La dignità calpesti
nel benessere infernale,
i sentimenti soffochi,
sei superficiale,

con vanità e ricatti
corrompi ogni famiglia,
l’affetto misconosci
tra genitore e figlia,

l’amore lo macelli
nell’oceano dell’uguale,
la scienza poi lo trita
e lo vende ogni giornale,

d’insulti, di leggi,
di mostri e di catene,
con somma progressiva
ci carichi le schiene,

crei orride storture
turpi e intellettuali
e le deviazioni orribili
dei miti culturali,

ogni cuor soccombe
al feroce tuo ingranaggio,
l’anima si spegne,
diventa scarafaggio.

(9/1/1983)




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