CIVILTA’ MODERNA
Per chi, come me, ha fatto del sentimento
una “filosofia sentimentale”, dato che il sentimento è una discriminazione affettiva,
distingue un figlio da un estraneo, un padre, un’innammorata, un innamorato,
ecc., dal resto dell’umanità, esso, in modo inevitabile, si scontra con
l’egualitarismo e l’universalismo allo stesso modo in cui il Romanticismo si
scontrò con l’Illuminismo. Il sentimento, dunque, ha, di necessità, una radice
aristocratica, ognuno si circonda di quelli che, per lui, sono i migliori, perché
i migliori sono quelli che ama personalmente, anche se questo non avviene per
una scelta razionale, ma per circostanze che generano affettività. Il
sentimento è figlio del caso, non della scienza, trova o non trova il suo
riferimento secondo il destino. Il sentimento può esistere solo in questa
discriminazione aristocratica, quando si pretende di amare tutti
(cristianesimo) o di essere solidali con tutti (sinistra), è proprio il sentimento
che si cancella, per questo è cattivo gusto voler compiacere a tutti, una
mentalità servile: “Non si vuole vivere con tutti, né si può vivere per tutti; chi se ne
rende conto saprà stimare molto i propri amici e non odierà né perseguiterà i
propri nemici” (J. W. Goethe - “Massime e riflessioni” 396). Chi ama tutti, non ama nessuno. Il
fatto, quindi, che il sentimento nasca e seguiti a sussistere solo nella
“discriminazione” è cosa che l’astrattezza razionale della moderna coscienza
illuminista, progressista, economica e globalizzante non riesce proprio a
comprendere. Il sentimento non è moderno e seppellirà la modernità: sarà la
vendetta romantica. Il sentimento, ovviamente, si estende con maggiore o minore
profondità ad ambienti e popoli, non è indifferente ad ambienti e popoli,
quindi discrimina anche ambienti e popoli. E’ nella natura individuale del
sentimento, che vive sempre nell’hic et nunc. Il sentimento non comprende lo
spirito universale, perché questo spirito universale è astratto: non distingue
nulla e non discriminando un padre o una moglie da un estraneo, un ambiente
caro da un ambiente che è estraneo, un popolo al quale, in qualche misura (mai
del tutto, perché l’individuo viene prima dei popoli), si è legati da popoli
estranei e perfino culturalmente ritenuti spregevoli, tutta questa
indistinzione, si diceva, distrugge il sentimento e la sua realtà affettiva che
si estende negli spazi concentrici e circoscritti dell’hic et nunc in cui
l’individuo vive. La discriminazione personale, di ambiente, di popolo che il
sentimento genera nell’hic et nunc ovunque, si rafforza discriminando, fino a
farsi aristocratico, quando, avendo di fronte l’ipocrisia generale, giunge a
diventare: “il piacere aristocratico di
dispiacere” (C. Baudelaire - “Razzi”
XII). Se si vuole piacere a tutti, non si ama nessuno e non si
riconosce l’affetto che persone specifiche hanno per noi. Ovviamente questa
discriminazione aristocratica non può avere la pretesa di essere “assoluta”,
deve essere cosciente di dover convivere con i sentimenti altrui e con le
discriminazioni aristocratiche altrui. Ma cosa rende “assoluta” una
discriminazione aristocratica? La ragione, con il suo universalismo ed
egualitarismo è l’Illuminismo che rese assoluto il culto nazista della
“aristocraticità” della razza germanica, perché solo la ragione rende assoluta
una diversità, provocando la gerarchia razziale, il sentimento, invece,
discrimina anch’esso, ma senza gerarchia, nel senso che ognuno discrimina
sentimentalmente per conto suo, per selezione individuale. Il sentimento è
discriminazione, ma mai discriminazione di Stato.. Chi si attiene alla
discriminazione aristocratica del sentimento sa che questa discriminazione si
basa, come capitava nel Romanticismo, sulla diversità e quindi rifiuta
l’ipotesi di un mondo tutto uguale e universale, ipotesi che porta una
diversità a farsi assoluta, come fece il nazismo che voleva tutti
“universalmente” e “ugualmente” tedeschi e nazisti e, nell’impossibilità di
ottenere ciò, sottomessi ad essi (la sottomissione riafferma l’universalismo di
una discriminazione, il marcio non è la discriminazione, ma l’universalismo).
La ragione, non il sentimento, è portatrice di quello spirito tirannico che è
l’assoluto universale. L’Illuminismo distrusse un’aristocrazia sociale storica,
che era una gerarchia che rendeva assoluto il valore di certe famiglie a
scapito di altre, e questo fu un suo merito, ma poi creò il vuoto
dell’egualitarismo e dell’universalismo che oggi dilaga nella globalizzazione.
La globalizzazione non è un destino, ma una costruzione dovuta all’Illuminismo
e come tale si sgretolerà. Questo vuoto razionale, che affermò il principio di
eguaglianza e l’universale, ignorava la diversità e il fatto che il sentimento
si atteneva proprio a quella discriminazione aristocratica che è la diversità naturale.
Tale discriminazione, proprio perché non è assoluta e razionale, non comporta
una gerarchia e quindi una sopraffazione verso altri individui. Nel sentimento
non si vuole avere schiavi, ma si vuole stare con le persone, gli ambienti e i
costumi che si amano. Non è una discriminazione sociale, bensì naturale,
tuttavia comporta dei rapporti preferenziali che scavalcano la società e
riguardo ai quali la società dovrebbe ritirarsi in buon ordine. Anche se la
società si è impadronita di certi sentimenti (paterno, filiale, ecc.) facendone
dei ruoli caricati da obblighi che vanno al di là dei sentimenti (militarizzazione
dei sentimenti), ruoli da cui il sentimento dovrebbe essere liberato, è chiaro
che i sentimenti nascono al di là dell’ordine sociale, ne è un esempio il
sentimento dell’amicizia: è talmente anarchico che la società non è riuscita a
farne un ruolo e ad ingabbiarlo, tutti l’ammettono, ma non ha alcun valore
istituzionale o giuridico. Le discriminazioni sentimentali sono legittimate
dalla natura e la lotta indiscriminata alle discriminazioni rischia di distruggere
ogni sentimento, creando, per colpa della ragione, persone sempre più vuote e
quindi sempre più sole ed insicure. Ovviamente questo lo comprese il
Romanticismo, mentre l’Illuminismo non lo comprese affatto e ancora oggi
borghesi, scientisti, economisti, affaristi, cristiani e comunisti seguitano a
non capirlo. L’Illuminismo creò un calderone generale gestito dalla politica di
parte (partiti) e dai giornali, politici e giornalisti si presentarono,
mistificando, come rappresentanti del nuovo sovrano, che doveva essere
l’“opinione pubblica”. L’“opinione pubblica” è una metafisica politica che
sposta sul piano sociale quel principio di “uniformità” che la scienza aveva
calato su tutta la natura, resa sovrana con la democrazia essa non è una
persona, non è un individuo, in pratica “non è”. E’ un’approssimazione
matematica che si riempie di contenuti particolari, i quali non hanno alcun
diritto di diventare universali e venire imposti a tutti. L’unica
“discriminante” che l’uniformità dell’universale, dell’egualitarismo,
dell’opinione pubblica riconosce è quella numerica, quella dei voti, del
prezzo, del mercato, della statistica, non riconosce le discriminanti personali,
naturali e sentimentali. L’“opinione pubblica”, non essendo rintracciabile da
nessuna parte, diviene una forma personale che viene sostituita dall’uniformità
della ragione o meglio ancora da volontà singole che spacciano i propri
interessi per interessi razionali, generali, tipo il filosofo di Platone. L’opinione
pubblica è un “entimema”, cioè una semplice “considerazione mentale”, una
realtà fittizia data per scontata. L’“opinione pubblica”, come sovrano, quindi
non esiste oppure è rappresentato dal “luogo comune”, dal “conformismo”, dalla
“tirannia della maggioranza”, dal “si” (si dice, si fa), addirittura dalla
“volgarità”, come sembrano dire Nietzsche e Baudelaire a proposito della grande
città e dei giornali, grande città e giornali (mezzi mediatici) che sono una
classica espressione dell’Illuminismo e dell’astratto egualitarismo e
universalismo. Grande città e giornali rappresentano quella che io, nei miei
versi, ho chiamato “civiltà moderna”, qualcosa, cioè, di assolutamente volgare,
superficiale, spregevole. Scrive Baudelaire: “Non capisco come possa una mano pura toccare un giornale senza una
convulsione di disgusto!” (C. Baudelaire
- “Il mio cuore messo a nudo” XLIV). Scrive Nietzsche: “Sputa piuttosto sulla porta della città e
torna indietro!..Qui marciscono tutti i grandi sentimenti: qui soltanto
sentimentucci scheletriti possono far rumore coi loro ossicini!..Non vedi le
anime penzolare come stracci sudici e stracchi? E di questi stracci fanno anche
giornali!” (F. Nietzsche - “Così parlò
Zarathustra” - Del passar oltre). L’amore universale cristiano, il
solidarismo globale comunista, il filantropismo illuminista, il mercato globale
borghese, la civiltà moderna nel suo insieme, sono, appunto, quegli stracci con
i quali fanno i giornali e tutti gli strumenti mediatici, sono il “marcire” stesso dei sentimenti. La "civiltà moderna" è un inquinante
terrificante del buon senso naturale. Solo questo intendevo
dire con i miei versi.
Civiltà
moderna,
sanguinante
altare,
che
gl’individui immoli
e
inghiotti come il mare,
meccanismo
orrendo
di
scienza e di paura,
uccidi
il cuor nel calcolo,
tu
sei la sua tortura,
tu
vendi e compri tutto,
basta
sol pagare,
vendi
perfino l’anima,
che
non sa più amare.
La
dignità calpesti
nel
benessere infernale,
i
sentimenti soffochi,
sei
superficiale,
con
vanità e ricatti
corrompi
ogni famiglia,
l’affetto
misconosci
tra
genitore e figlia,
l’amore
lo macelli
nell’oceano
dell’uguale,
la
scienza poi lo trita
e
lo vende ogni giornale,
d’insulti,
di leggi,
di
mostri e di catene,
con
somma progressiva
ci
carichi le schiene,
crei
orride storture
turpi
e intellettuali
e
le deviazioni orribili
dei
miti culturali,
ogni
cuor soccombe
al
feroce tuo ingranaggio,
l’anima
si spegne,
diventa
scarafaggio.
(9/1/1983)
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