LE DONNE E LA GUERRA
La letteratura
borghese e comunista, che sta alla base del femminismo moderno occidentale, ha
sempre mostrato la sua ipocrisia e le sue contraddizioni, attribuendo l’orrore
della guerra ai maschi. Le femmine, insomma, vengono ad assumere il ruolo
ipocrita della mentalità cristiana, borghese, comunista del pacifista: la
guerra è colpa degli uomini, è sempre stato detto negli ambienti sessisti di
genere femminista e ribadito anche recentemente: “la violenza, dalle guerre tra Stati alle guerre civili dovute al
fanatismo o a problemi sociali, alla persecuzione delle minoranze, è stata
praticata dal sesso maschile, sia pure con l’aiuto e la complicità delle donne”
(Lea Melandri - “Il genere della
violenza, gli orrori hanno un sesso” su “Il Manifesto” del 10/4/2015). La guerra tra partigiani e fascisti era una “guerra civile” e allora
perché vengono mostrate con orgoglio delle donne partigiane combattenti con il
mitra in mano? Era una “guerra santa”? Ma, a parte che la maggior parte di coloro
che fanno la guerra, ritengono, anche a torto, di fare una guerra santa, le
affermazioni fatte dalle donne e dalle femministe negli ultimi cinquant’anni
non distinguono neppure il fatto che “la
guerra educa alla libertà” (F. Nietzsche
- “Crepuscolo degli idoli” - idem). Esse si assumono la vanteria del
pacifismo cristiano-comunista e scaricano sugli uomini anche il fardello morale
della crudeltà che ogni lotta comporta. Un atteggiamento moralmente scorretto.
L’uomo è più protagonista della guerra allo stesso modo in cui la donna è più
protagonista nel parto, guerra e parto avvengono spesso per l’interesse del
gruppo (se la guerra viene fatta per qualche commettere qualche sopruso, le
donne del gruppo che commette il sopruso sono responsabili quanto i maschi di
quel gruppo). Ma mentre l’uomo ha rispettato, almeno genericamente parlando, il
ruolo biologico femminile nel parto, la donna, negli ultimi cinquant’anni, in
particolar modo le femministe, non hanno rispettato il ruolo biologico dell’uomo
nella guerra, hanno demonizzato, sulla base di un’ideologia da “altro mondo”,
cioè cristiana e pacifista, la guerra e il maschio assieme. Queste mistificazioni femministe devono cessare. Sulla base dell’educazione
cristiana e pacifista, le donne hanno sempre confermato il ruolo di
sottomissione allorché si presentano come paladine della pace e presentano gli
uomini come i primi e veri responsabili della guerra. Abbiamo mostrato fino ad
ora, nelle pagine che precedono, che la pace è solo la vittoria di un
dominatore, mentre la guerra è l’unica speranza per mantenere la libertà dove
il dominatore non rinuncia al dominio (non conosciamo dominatori che
rinuncino). In ciò le femministe tengono per intero il ruolo ipocrita di quella
cultura altruistica che ignora la lotta per la vita. Verrebbe da dire che si
tratta di ingratidudine del ruolo che l’uomo, per doti fisiche più adatte alla
lotta, volente o nolente, si è dovuto assumere. Non è facile dire se è meglio
vivere da sottomessi o morire combattendo (anche se qui la risposta che si dà è
la seconda), ma, se alla donna spesso è stato consentito solo di essere
sottomessa, agli uomini, ancora più spesso, è stato consentito solo di morire. Avviene
la stessa cosa tra i gatti e non perché le gatte siano delle pacifiste, è come
il segno di un destino. Il fatto è che la società moderna, non riconoscendo più
amici e nemici, vivendo in un mondo ovattato di benessere, spinge la donna a
diventare femminista, cioè ostile non al maschio di gruppi nemici, bensì al
maschio in generale, al maschio come genere. In fondo, come diceva Leopardi, la
società moderna è la guerra di tutti contro tutti: “La fola <favola>
dell’amore universale..ha prodotto l’egoismo <egocentrismo> universale. Non si odia più lo straniero? ma
si odia il compagno <il maschio>,
il concittadino, l’amico, il padre, il figlio” (G. Leopardi - “Zibaldone” 890). Il femminismo è una guerra di
genere. Una guerra, per ora, dichiarata solo dalle femministe e da donne senza
personalità che seguono l’andamento ideologico moderno passivamente, nel
momento in cui venisse dichiarata anche dagli uomini e questi ultimi smettono
di fare i “femminstielli”, la situazione sarebbe catastrofica e la società
diverrebbe preda di culture più barbare proprio perché più compatte. La tesi di
un’islamizzazione del mondo Occidentale è tutt’altro che campata in aria. Anche
perché molte donne, se sono protette, si sentono sicure anche se sottomesse,
evidentemente contano nella proverbiale e deprecabile “astuzia femminile”, che,
onestamente, sia pure con tutte le malattie ideologiche che hanno, le
femministe non possiedono. Le femministe sono delle borghesi egocentriche e
ambiziose di potere e di successo, hanno la malattia del mondo borghese
moderno, quella del “protagonismo”, ma, di sicuro, non sono delle disoneste “furbe”,
non pretendono quel diritto all’uso della furbizia, che non è correttezza, che
le donne sfacciatamente rivendicano da sempre come loro dote, senza rendersi
conto che, nello stesso senso, allora anche l’uomo avrebbe diritto a rivendicare
l’uso della forza come sua dote. Insomma, se c’è da sempre una guerra
strisciante tra uomo e donna, tanto che lo stesso Nietzsche lo riteneva un
problema irrisolvibile: “Impigliarsi
nella questione di fondo ‘uomo e donna’, negare, a questo proposito, l’antagonismo
abissale e la necessità di una tensione eternamente ostile, sognare forse di
eguali diritti, di un’eguale educazione, di eguali esigenze e doveri: tutto ciò
è un tipico indice di una mente superficiale” (F. Nietzsche - “Al dilà del bene e del male” 238), al giorno d’oggi
sembra che solo le donne, nel linguaggio, nell’atteggiamento aggressivo, nella
retorica giornalistica, ecc. siano autorizzate alle guerra, ovviamente una
guerra moderna, imbalsamata dentro i limiti del buonismo e con qualche coito
non ammesso troppo facilmente. Non ammesso facilmente anche perché la mentalità
femminista, in parte travasata nella mentalità femminile corrente, del tutto
ignara della storia e attenta solo ai documenti formali trasmessi dal passato,
ha adottato in senso laico la morale sessuofobica della suora cristiana (documenti
del passato dove non mancano affermazioni di maschilismo, ma spesso libresche e
comunque concepite al di fuori della lotta quotidiana, allora più dura - molto
di più di quanto la borghese femminista possa concepire: ad un congresso di
quarant’anni fa le femministe occidentali parlavano solo di oppressione e di
sesso, mentre le donne del terzo mondo parlavano solo di fame e di bambini -, lotta che si rifletteva in regole sociali
irrigidite senza dubbio, come sono tutte le regole sociali, ma di cui le donne
erano responsabili come gli uomini, perché non si può affermare che gli uomini
sono responsabili e le donne solo complici, ci si sta prendendo per il sedere).
I conventi delle suore sono stati i primi modelli della “guerra di genere”,
infatti tale guerra si può condurre solo con una rigorosa sessuofobia
anti-maschile, insomma con una specie di misoginia rovesciata contro gli
uomini. Questa sessuofobia anti-maschile sfociò in quello che già Freud notava
come il carattere più tipico delle donne, che ritenendo di non trovare
soddisfazione all’esterno, rivolgono il loro interesse verso se stesse, a
partire dal corpo, vale a dire il narcisismo:
“La
libido sottratta al mondo esterno è stata diretta sull’Io, dando origine a un
comportamento che possiamo definire narcisistico.. Con lo sviluppo della
pubertà dovuto alla completa maturazione degli organi sessuali femminili
latenti fino a quella fase, sembra prodursi nella donna un incremento
dell’originario narcisismo che non risulta propizio alla configurazione di un
amore d’oggetto vero e proprio <cioè
rivolto all’esterno, si riferisce alla sfera sessuale, non a quella
sentimentale, molto più complessa> con
la relativa sopravvalutazione sessuale. Specialmente quando sviluppandosi le
donne acquistano in bellezza, interviene in esse una sorta di autosufficienza” (S. Freud - “Introduzione al narcisismo”).
Sviluppando questa tendenza femminile al narcisismo, le femministe, confermando
la propria insicurezza ogni volta che dicevano “donna è bello” (le persone
sicure non hanno bisogno di conferme né verbali e né psicologiche), hanno
finito per spostare la loro sessuofobia da suora, difficile da mantenere, nel
lesbo-femminismo dei primi anni Ottanta, tanto che si può facilmente ritenere
il lesbo-femminismo la dimensione laicizzata e sessualizzata del convento di
suore: lo sposalizio con Dio (che ha reso misogini quasi tutti i preti, così
che, visto che scrivevano solo monaci e preti, l’unica cultura che appariva era
quella misogina, ciò non può essere preso per la realtà) rendeva le donne
misantrope nei confronti del maschi e dopo di ciò lesbiche. Ciò è tanto vero
che quelle donne, anche del movimento femminista, che hanno cercato di far
entrare l’erotismo (in qualche caso anche la pornografia) nella dimensione
femminista sono state continuamente isolate o osteggiate. Il femminismo ha
tutto il cattivo odore della mentalità cristiana e borghese, da cui deriva il
comunismo, quindi non c’è da meravigliarsi se le femministe e la letteratura al
femminile arriva ad attribuire l’orrore della guerra solo ai maschi.
Ovviamente, in questa prospettiva pacifista-femminista, l’idea della guerra
come “educazione alla libertà”
neppure figura, essendo da sempre delegato ai maschi questo compito. In
sostanza le donne, le femministe assumono un atteggiamento di comodo, dandosi,
al massimo, la responsabilità della “complicità”
(seguitando a dimostrare che le donne sono immature e scansano le
responsabilità che affiorano quando la cosa non appare buona secondo i loro
valori: essendo la guerra un disvalore nei termini pacifisti post-cristiani,
borghesi e comunisti, ecco che la responsabilità viene scaricata sui maschi e
alla donna si attribuisce il ruolo marginale della “complice”). Questo cosa significa? Significa che tutta la
contestazione del passato maschilista è una buffonata. Se, infatti, questa
contestazione si basa sul fatto che si rimproverano le società passate perché
maschiliste, nel senso che il maschio aveva il ruolo del protagonista e le
donne solo il ruolo della “complice”,
perché la donna c’era, adesso, di fronte al presunto disvalore della guerra,
alla donna e alla femminista non ripugna affatto di assumere il solo ruolo di “complice”, dichiarando la sua
irresponsabilità in tutto e per tutto, trova ora motivo di vantarsi del
presunto pacifismo delle donne. Qui l’ipocrisia galoppa. Che contraddizione:
contestare sempre il ruolo marginale, al massimo, di “complice” e ora trovare il modo per vantarsene. Come per dire:
abbiamo scherzato, il ruolo di complice ci va anche bene. L’importante è che il
demonio resti il maschio. Queste donne troppo spesso lanciano il sasso e
nascondono la mano, sono troppo figlie del moralismo benpensante e
post-cristiano, non hanno l’onestà delle donne spartane che, riconoscendo i
sacrifici dei loro uomini, gli dicevano orgogliose, indicando lo scudo, data la
pratica di riportare indietro i morti sul grosso scudo, “o con questo o su
questo”. Le donne che rinnegano i loro uomini nella guerra sono delle traditrici
borghesi e viziate chiuse nel loro egocentrismo, non sono degne neppure dello
sguardo di un uomo coraggioso. Le guerre erano fatte dalle comunità e con pari
energia da uomini e donne, ognuno con le sue possibilità intellettuali e
fisiche. Sostenere il contrario significa mentire.