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domenica 26 marzo 2017


LE DONNE E LA GUERRA

  La letteratura borghese e comunista, che sta alla base del femminismo moderno occidentale, ha sempre mostrato la sua ipocrisia e le sue contraddizioni, attribuendo l’orrore della guerra ai maschi. Le femmine, insomma, vengono ad assumere il ruolo ipocrita della mentalità cristiana, borghese, comunista del pacifista: la guerra è colpa degli uomini, è sempre stato detto negli ambienti sessisti di genere femminista e ribadito anche recentemente: “la violenza, dalle guerre tra Stati alle guerre civili dovute al fanatismo o a problemi sociali, alla persecuzione delle minoranze, è stata praticata dal sesso maschile, sia pure con l’aiuto e la complicità delle donne” (Lea Melandri - “Il genere della violenza, gli orrori hanno un sesso” su “Il Manifesto” del 10/4/2015)La guerra tra partigiani e fascisti era una “guerra civile” e allora perché vengono mostrate con orgoglio delle donne partigiane combattenti con il mitra in mano? Era una “guerra santa”? Ma, a parte che la maggior parte di coloro che fanno la guerra, ritengono, anche a torto, di fare una guerra santa, le affermazioni fatte dalle donne e dalle femministe negli ultimi cinquant’anni non distinguono neppure il fatto che “la guerra educa alla libertà” (F. Nietzsche - “Crepuscolo degli idoli” - idem). Esse si assumono la vanteria del pacifismo cristiano-comunista e scaricano sugli uomini anche il fardello morale della crudeltà che ogni lotta comporta. Un atteggiamento moralmente scorretto. L’uomo è più protagonista della guerra allo stesso modo in cui la donna è più protagonista nel parto, guerra e parto avvengono spesso per l’interesse del gruppo (se la guerra viene fatta per qualche commettere qualche sopruso, le donne del gruppo che commette il sopruso sono responsabili quanto i maschi di quel gruppo). Ma mentre l’uomo ha rispettato, almeno genericamente parlando, il ruolo biologico femminile nel parto, la donna, negli ultimi cinquant’anni, in particolar modo le femministe, non hanno rispettato il ruolo biologico dell’uomo nella guerra, hanno demonizzato, sulla base di un’ideologia da “altro mondo”, cioè cristiana e pacifista, la guerra e il maschio assieme. Queste mistificazioni femministe devono cessare. Sulla base dell’educazione cristiana e pacifista, le donne hanno sempre confermato il ruolo di sottomissione allorché si presentano come paladine della pace e presentano gli uomini come i primi e veri responsabili della guerra. Abbiamo mostrato fino ad ora, nelle pagine che precedono, che la pace è solo la vittoria di un dominatore, mentre la guerra è l’unica speranza per mantenere la libertà dove il dominatore non rinuncia al dominio (non conosciamo dominatori che rinuncino). In ciò le femministe tengono per intero il ruolo ipocrita di quella cultura altruistica che ignora la lotta per la vita. Verrebbe da dire che si tratta di ingratidudine del ruolo che l’uomo, per doti fisiche più adatte alla lotta, volente o nolente, si è dovuto assumere. Non è facile dire se è meglio vivere da sottomessi o morire combattendo (anche se qui la risposta che si dà è la seconda), ma, se alla donna spesso è stato consentito solo di essere sottomessa, agli uomini, ancora più spesso, è stato consentito solo di morire. Avviene la stessa cosa tra i gatti e non perché le gatte siano delle pacifiste, è come il segno di un destino. Il fatto è che la società moderna, non riconoscendo più amici e nemici, vivendo in un mondo ovattato di benessere, spinge la donna a diventare femminista, cioè ostile non al maschio di gruppi nemici, bensì al maschio in generale, al maschio come genere. In fondo, come diceva Leopardi, la società moderna è la guerra di tutti contro tutti: “La fola <favola> dell’amore universale..ha prodotto l’egoismo <egocentrismo> universale. Non si odia più lo straniero? ma si odia il compagno <il maschio>, il concittadino, l’amico, il padre, il figlio” (G. Leopardi - “Zibaldone” 890). Il femminismo è una guerra di genere. Una guerra, per ora, dichiarata solo dalle femministe e da donne senza personalità che seguono l’andamento ideologico moderno passivamente, nel momento in cui venisse dichiarata anche dagli uomini e questi ultimi smettono di fare i “femminstielli”, la situazione sarebbe catastrofica e la società diverrebbe preda di culture più barbare proprio perché più compatte. La tesi di un’islamizzazione del mondo Occidentale è tutt’altro che campata in aria. Anche perché molte donne, se sono protette, si sentono sicure anche se sottomesse, evidentemente contano nella proverbiale e deprecabile “astuzia femminile”, che, onestamente, sia pure con tutte le malattie ideologiche che hanno, le femministe non possiedono. Le femministe sono delle borghesi egocentriche e ambiziose di potere e di successo, hanno la malattia del mondo borghese moderno, quella del “protagonismo”, ma, di sicuro, non sono delle disoneste “furbe”, non pretendono quel diritto all’uso della furbizia, che non è correttezza, che le donne sfacciatamente rivendicano da sempre come loro dote, senza rendersi conto che, nello stesso senso, allora anche l’uomo avrebbe diritto a rivendicare l’uso della forza come sua dote. Insomma, se c’è da sempre una guerra strisciante tra uomo e donna, tanto che lo stesso Nietzsche lo riteneva un problema irrisolvibile: Impigliarsi nella questione di fondo ‘uomo e donna’, negare, a questo proposito, l’antagonismo abissale e la necessità di una tensione eternamente ostile, sognare forse di eguali diritti, di un’eguale educazione, di eguali esigenze e doveri: tutto ciò è un tipico indice di una mente superficiale” (F. Nietzsche - “Al dilà del bene e del male” 238), al giorno d’oggi sembra che solo le donne, nel linguaggio, nell’atteggiamento aggressivo, nella retorica giornalistica, ecc. siano autorizzate alle guerra, ovviamente una guerra moderna, imbalsamata dentro i limiti del buonismo e con qualche coito non ammesso troppo facilmente. Non ammesso facilmente anche perché la mentalità femminista, in parte travasata nella mentalità femminile corrente, del tutto ignara della storia e attenta solo ai documenti formali trasmessi dal passato, ha adottato in senso laico la morale sessuofobica della suora cristiana (documenti del passato dove non mancano affermazioni di maschilismo, ma spesso libresche e comunque concepite al di fuori della lotta quotidiana, allora più dura - molto di più di quanto la borghese femminista possa concepire: ad un congresso di quarant’anni fa le femministe occidentali parlavano solo di oppressione e di sesso, mentre le donne del terzo mondo parlavano solo di fame e di bambini -, lotta che si rifletteva in regole sociali irrigidite senza dubbio, come sono tutte le regole sociali, ma di cui le donne erano responsabili come gli uomini, perché non si può affermare che gli uomini sono responsabili e le donne solo complici, ci si sta prendendo per il sedere). I conventi delle suore sono stati i primi modelli della “guerra di genere”, infatti tale guerra si può condurre solo con una rigorosa sessuofobia anti-maschile, insomma con una specie di misoginia rovesciata contro gli uomini. Questa sessuofobia anti-maschile sfociò in quello che già Freud notava come il carattere più tipico delle donne, che ritenendo di non trovare soddisfazione all’esterno, rivolgono il loro interesse verso se stesse, a partire dal corpo, vale a dire il narcisismo: La libido sottratta al mondo esterno è stata diretta sull’Io, dando origine a un comportamento che possiamo definire narcisistico.. Con lo sviluppo della pubertà dovuto alla completa maturazione degli organi sessuali femminili latenti fino a quella fase, sembra prodursi nella donna un incremento dell’originario narcisismo che non risulta propizio alla configurazione di un amore d’oggetto vero e proprio <cioè rivolto all’esterno, si riferisce alla sfera sessuale, non a quella sentimentale, molto più complessa> con la relativa sopravvalutazione sessuale. Specialmente quando sviluppandosi le donne acquistano in bellezza, interviene in esse una sorta di autosufficienza” (S. Freud - “Introduzione al narcisismo”). Sviluppando questa tendenza femminile al narcisismo, le femministe, confermando la propria insicurezza ogni volta che dicevano “donna è bello” (le persone sicure non hanno bisogno di conferme né verbali e né psicologiche), hanno finito per spostare la loro sessuofobia da suora, difficile da mantenere, nel lesbo-femminismo dei primi anni Ottanta, tanto che si può facilmente ritenere il lesbo-femminismo la dimensione laicizzata e sessualizzata del convento di suore: lo sposalizio con Dio (che ha reso misogini quasi tutti i preti, così che, visto che scrivevano solo monaci e preti, l’unica cultura che appariva era quella misogina, ciò non può essere preso per la realtà) rendeva le donne misantrope nei confronti del maschi e dopo di ciò lesbiche. Ciò è tanto vero che quelle donne, anche del movimento femminista, che hanno cercato di far entrare l’erotismo (in qualche caso anche la pornografia) nella dimensione femminista sono state continuamente isolate o osteggiate. Il femminismo ha tutto il cattivo odore della mentalità cristiana e borghese, da cui deriva il comunismo, quindi non c’è da meravigliarsi se le femministe e la letteratura al femminile arriva ad attribuire l’orrore della guerra solo ai maschi. Ovviamente, in questa prospettiva pacifista-femminista, l’idea della guerra come “educazione alla libertà” neppure figura, essendo da sempre delegato ai maschi questo compito. In sostanza le donne, le femministe assumono un atteggiamento di comodo, dandosi, al massimo, la responsabilità della “complicità” (seguitando a dimostrare che le donne sono immature e scansano le responsabilità che affiorano quando la cosa non appare buona secondo i loro valori: essendo la guerra un disvalore nei termini pacifisti post-cristiani, borghesi e comunisti, ecco che la responsabilità viene scaricata sui maschi e alla donna si attribuisce il ruolo marginale della “complice”). Questo cosa significa? Significa che tutta la contestazione del passato maschilista è una buffonata. Se, infatti, questa contestazione si basa sul fatto che si rimproverano le società passate perché maschiliste, nel senso che il maschio aveva il ruolo del protagonista e le donne solo il ruolo della “complice”, perché la donna c’era, adesso, di fronte al presunto disvalore della guerra, alla donna e alla femminista non ripugna affatto di assumere il solo ruolo di “complice”, dichiarando la sua irresponsabilità in tutto e per tutto, trova ora motivo di vantarsi del presunto pacifismo delle donne. Qui l’ipocrisia galoppa. Che contraddizione: contestare sempre il ruolo marginale, al massimo, di “complice” e ora trovare il modo per vantarsene. Come per dire: abbiamo scherzato, il ruolo di complice ci va anche bene. L’importante è che il demonio resti il maschio. Queste donne troppo spesso lanciano il sasso e nascondono la mano, sono troppo figlie del moralismo benpensante e post-cristiano, non hanno l’onestà delle donne spartane che, riconoscendo i sacrifici dei loro uomini, gli dicevano orgogliose, indicando lo scudo, data la pratica di riportare indietro i morti sul grosso scudo, “o con questo o su questo”. Le donne che rinnegano i loro uomini nella guerra sono delle traditrici borghesi e viziate chiuse nel loro egocentrismo, non sono degne neppure dello sguardo di un uomo coraggioso. Le guerre erano fatte dalle comunità e con pari energia da uomini e donne, ognuno con le sue possibilità intellettuali e fisiche. Sostenere il contrario significa mentire.      


mercoledì 15 marzo 2017

IL RAZZISMO UNIVERSITARIO

    Per Heidegger, quindi, con la confusione circa il fatto che il mondo delle “idee” è effettivamente metafisico, perché la realtà è fatta di individui assolutamente diversi e separati, nasconde il suo sentimento da cristiano represso nei confronti della natura (sublimata, indirettamente, solo come simbolo del nascosto), perché è chiaro che alla base di tutto c’è, direbbe Nietzsche, una repulsione per l’estetica naturale, sessuale, materiale, come ben dimostra il tono sprezzante con il quale tratta l’animalità: “All’animale l’ente non compare mai come ente: l’ente non è per l’animale né rivelato, né nascosto. L’animale dà la caccia a quel che irrompe nella sua sfera vitale; lo cattura, azzanna quel che ha catturato e lo inghiotte” (M. Heidegger - “Logica e linguaggio” 28 a). Questo, forse, è quello che fa Heidegger quando considera gli enti degli “utilizzabili” o “fondo a disposizione”, l’animale è molto più sensibile, intelligente e sofisticato di Heidegger, l’animale ama, soffre, ha istinti naturali, molto più difficilmente dell’uomo esce dai suoi limiti e invade l’esistenza altrui. Quando la follia di considerare il pensare e l’interrogare come qualcosa di più reale, di fondante, di essenziale, cessa, quando lo stesso Heidegger si trova davanti ad un pericolo, a meno che non chiuda gli occhi, come è probabile per i vili che stanno rinchiusi nel pensiero e nell’anima, scatta come una molla per difendersi, allora, forse, Heidegger capirà che l’animale ha quel coraggio che Nietzsche pretende per il superuomo, quel coraggio che deriva dalla morale romantica del “sublime”, cioè il coraggio di dire sì ad un’esistenza tragica, il coraggio di sentirsi solo un ente tra gli enti, enti non meccanici, ma viventi. Al contrario gli spiritualisti, a cui la demenza novecentesca ha riportato, pretendono di vivere in una dimensione spirituale “superiore”, che genera, non solo il dualismo tra spirito e corpo o tra Essere ed ente, ma anche la superiorità razziale e intellettuale, tra la razza superiore spiritualmente e quella inferiore spiritualmente (razzismo gerarchico), quella tra sapiente e ignorante, la quale ultima, nell’età della tecnica, sta diventando una forma di razzismo tra gli individui, come se l’ignorante non fosse un individuo che ha scelto la sua vita, ma fosse un “inferiore”. Troppi razzisti della sapienza stanno sfornando le università, che sono, sempre di più, delle istituzioni auto-referenziali che pretendono di stabilire una gerarchia tra laureati e non laureati. Se le si chiudesse, nessun danno ne verrebbe alla natura e la libertà delle persone sarebbe maggiormente garantita. E, infatti, Heidegger stesso fa diventare il problema dell’Essere un problema dell’università, l’università deve rincorrere l’Essere, con ciò si stabilirebbero le caratteristiche dell’università superiore. Questo fondamento di superiorità spirituale che l’Essere connota con il domandare viene poi a ritrovarsi anche nella missione che avrebbe il popolo tedesco di ridisegnare l’inizio, allorché la domanda era fondante, cioè portava all’Essere e finiva per contrapporre il popolo dell’Essere (tedesco) e i popoli dell’ente (americani, bolscevichi, ebrei; l’anti-semitismo di Heidegger, quindi, è solo un caso particolare tra i popoli dell’ente, non l’unico): “L’opera reale deve - ponendo ancora una volta la questione dell’essere <la domanda essenziale> - esserci e configurare quell’interrogare nella sua piena originarietà adattandolo al lontano destino dell’epoca <insomma deve essere reso attuale in ogni epoca: allora a renderlo attuale dovevano essere i tedeschi> per poter riannodare nel grande inizio <greco, con la fiaccola ora  passata ai tedeschi> il più segreto compito del popolo tedesco. L’incomparabilità dell’ora mondiale il cui spazio di risonanza deve portare ad amplificare la filosofia tedesca” (M. Heidegger - “Quaderni neri” 1931-38 – III, 2-3). Questa supremazia dello spirito, vero fondamento del razzismo gerarchico, viene tolta del tutto là dove l’estetica diventa etica tragica della vita del sublime, perché Nietzsche ha proprio trasformato l’estetismo romantico in un’etica terrena che distingue individui e popoli per il coraggio, non per presunte superiorità spirituali, e nel fare questo si attiene all’innocenza del corpo e dell’animalità, partendo dall’irresistibile fascino dell’apparire naturale: “l’artista a ogni disvelamento della verità rimane attaccato con sguardi eatatici sempre e solo a ciò che anche ora, dopo il disvelamento, rimane velo, l’uomo teoretico a sua volta gode e si appaga nel togliere il velo <solo che dietro il velo non c’è nulla, il nulla, contrariamente alla follia di Heidegger, ‘non è’ e basta>(F. Nietzsche – “La nascita della tragedia” 15). Per Heidegger, teoretico e spirituale più che mai, vale quanto disse Nietzsche dei filosofi tedeschi: “Il pastore protestante è il nonno della filosofia tedesca” (F. Nietzsche - “L’anticristo” – 10).
RELIGIONE: L'OPPIO DEGLI ATEI 

Marx scrisse: "La religione..è l'oppio dei popoli" ("Critica della filosofia del diritto di Hegel"), intendendo che essa è "una coscienza capovolta" (idem): non è Dio che fa l'uomo, ma l'uomo che fa Dio. Però, poi, faceva dell'Umanità un Dio, cioè un'"autorità" davanti alla quale sono tutti "uguali". Ma si è uguali solo davanti a Dio, all'autorità: "L'amore per gli uomini dei cristiani, che non fa differenze, è possibile solo nella costante contemplazione di Dio..allo stesso modo che,..da un'alta montagna, il grande e il piccolo diventano formiche e simili tra loro" (F. Nietzsche-"Frammenti postumi" '85-87, 1(66)). Il laico (anche Marx) perpetua l'autoritarismo e l'egualitarsimo religioso (l'essenza del cristianesimo) attraverso l'umanitarismo: fuma oppio religioso.

giovedì 2 marzo 2017

CHE COS'E' ROMANTICO (E ANCHE UN PO' AUTOBIOGRAFICO)

"Lontani e morti sono coloro che amavo e di loro non mi giunge notizia alcuna. La mia attività su questa terra è finita, ho versato il sangue per esso e non ho arricchito il mondo nemmeno di un centesimo...Ma tu risplendi ancora, o Sole del cielo! Tu verdeggi ancora, o terra sacra!..La pienezza di un mondo che dà vita al tutto nutre e sazia con ebbrezza il mio misero essere..Tutto il mio essere ammutolisce e sta in ascolto quando le delicate onde del vento giocano intorno al mio petto..un Dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando riflette, e, quando l'estasi <l'entusiasmo> si è dileguata, si ritrova come un figlio fuorviato che il padre cacciò via di casa" (F. Holderlin - "Iperione" lib. 1°). Non un sogno fuori della natura, ma dentro la natura. All'opposto l'io dell'individuo odierno si colloca fuori della natura e vuole che il mondo circostante e il suo stesso corpo si adattino ai suoi progetti, non ha un rapporto vivo con una terra viva, ma è solo e isolato dall'utilitarismo della sua razionalità con il quale vede solo strumenti da adattare alla comodità del suo egocentrismo, non "lascia vivere", impone ovunque  tale egocentrismo che considera perfino ordine morale come "dover essere".