PERCHE’ GLI ATTENTATI:
LA SOCIETA’ APERTA E I
SUOI NEMICI
OVVERO IL TRIBALISMO
CRITICO
Popper per “società aperta” intende una
società non tribale, non regolata dai tabù, non collettivistica, tale da non
avere gli spazi delle possibilità future chiusi. Considerava delle “chiusure”
della società quelle filosofie storicistiche e idealistiche che ponevano una
mèta finale alla società e alla storia (storicismo), ad esempio “la città
ideale” di Platone, il “mondo cristiano-germanico” di Hegel, la “società dei
lavoratori” di Marx, la “civiltà scientifica” di Comte. Platone, Hegel, Marx,
Comte, il finalismo storicistico appaiono, in questa dimensione, come “nemici”
della “società aperta”, come nemici della stessa individualità e come
potenziali fondatori di Stati totalitari. Così si esprime Popper: “Il tribalismo, cioè l’insistenza sulla
decisiva importanza della tribù, senza la quale l’individuo è assolutamente
nulla, è un elemento che si riscontra in molte forme di teorie
storicistiche..Altre forme..possono tuttavia conservare un elemento di
collettivismo” (K. R. Popper - “La
società aperta e i suoi nemici”), poi: “Il mio termine <in relazione a ‘società aperta’> indica, per così dire, una distinzione
razionalistica. La società chiusa è caratterizzata dai tabù magici, mentre la
società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere un
atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a basare le
loro decisioni sull’autorità della propria intelligenza” (K. R. Popper - “La società aperta e i suoi nemici”). La
“società aperta”, quindi, sembra rifiutare la “chiusura” nelle “tradizioni”,
tabù o altro che sia, e appare come una “società anti-tradizionalista”. Le
tradizioni, infatti, se imposte e non scelte, “chiudono” la società nel suo
passato. Che occorra avere uno spirito “critico” nei confronti delle
tradizioni, eliminando quelle che ostacolano la libertà, la natura, gli
istinti, i sentimenti, ma conservando quelle che favoriscono libertà, natura, istinto
e sentimenti, nonché un certo gusto della particolarità, è fuori di dubbio. Ma
parlare di “società aperta”, come se ogni tradizione dovesse essere cancellata,
iniziando un processo di cambiamento fine a se stesso, significa ignorare la
diversità e supporre che non esista alcuna forma di diversità, né quella
individuale e né quella di gruppo. Questo “cambiamento” fine a se stesso
coincide, molto spesso, con la follia della “società progressista”, tra l’altro
falsamente “aperta”, giacché è “aperta” solo a ciò che viene considerato “progresso”
(sociale, tecnologico, ecc.), mentre una società veramente aperta può recuperare,
passando per il piano critico, anche delle tradizioni. Far coincidere, poi, il
piano critico con il piano razionale è una mistificazione cartesiana. Il piano
critico, al massimo, può corrispondere ad una “razionalità negativa”, mentre la
“ragione” ha costruito un mondo strumentale, fatto di scienza, di tecnica, di commercio,
di industria, che, a sua volta, dovrebbe subire l’esame del piano critico.
Esame che soltanto in occasioni speciali viene effettuato, mentre non si mette
mai in discussione il fatto che lo stesso “progresso” e la stessa “ragione
strumentale” siano diventati dei tabù. In questo modo la “società aperta”
finisce per coincidere con il progresso borghese e capitalista e l’“apertura”
non avviene soltanto a danno dei tabù, ma avviene nei confronti delle stesse
diversità individuali e di popolo che vengono trattate, dal neo-illuminismo
della razionalità, come se fossero dei tabù, restando come non-tabù soltanto
l’apertura fine a se stessa, che, sul piano pratico, coincide quasi del tutto
con la società commerciale e industriale borghese e mondiale. Le diversità
individuali e di popolo vengono trattate in questo mondo globalizzato della
“società aperta” come dei fantasmi che si aggirano per la terra, vengono, al
più, tollerate, ma, nel caso siano incompatibili con l’uniformità globale della
società aperta, non vengono in alcun modo legittimate. Parafrasando Marx, si
può dire che “un fantasma si aggira per il mondo, il fantasma della diversità”.
La diversità, infatti, è un modo naturale di essere, non può essere scavalcato
dalla ragione, dal commercio, dall’industria, per cui nella libera circolazione
della “società aperta” si aggirano della diversità che, inevitabilmente,
diventano dei “nemiche” della società aperta: dall’anarchico fino
all’integralista islamico. La lotta di questi ultimi, è vero, appare, spesso,
senza esclusione di colpi, ma questo accade perché avviene una “demonizzazione”
reciproca: le diversità in lotta demonizzano la “società aperta”, la società
aperta demonizza, a sua volta, tutte le diversità in lotta. Le diversità, tra
loro, possono convivere pacificamente o entrare in lotta (dipende, spesso, da
cose molto banali), ma è certo che la “società aperta” fagocita tutte le
diversità, le ridicolizza fino a farle diventare dimensioni folcloristiche,
agisce nei loro confronti come il Dio cristiano nei confronti degli dei pagani:
“non c’è altro Dio all’infuori di me”. Nei mezzi del progresso, quindi,
viaggiano, ormai, anche i nemici della società aperta, per impedire che i
pericoli che ne conseguono si ripetano all’infinito, occorre, quindi, una nuova
“società chiusa”, che faccia valere la sua diversità e facendolo si difenda, ma
nello stesso tempo applichi al suo interno quella capacità critica che,
trasferita nella “società aperta”, fa della società stessa un’assoluta
negazione di ogni diversità caratteriale e naturale, appiattendo tutto nei
valori dell’equivalente matematico, tecnologico, commerciale e industriale. Il
riconoscimento della diversità genera, inevitabilmente, una frammentazione
della società globale (neo-tribalismo), le singole società locali saranno
“chiuse” fino a quando non si manifesti un volontà di cambiare che provenga
dall’interno, grazie al fatto che le tradizioni sono intoccabili dall’esterno
(sparizione della “società globale”), ma non sono dei tabù se viste
dall’interno (questo è l’insegnamento valido della “società aperta”). Si tratta
di creare un “tribalismo critico”, che superi tanto il vecchio tribalismo
basato sui tabù, quanto il mancato riconoscimento della diversità che opera la
“società aperta”. Società aperta che sarà inevitabilmente esposta ai suoi
nemici fino a quando non sarà in grado di riconoscere spazi diversi per le
varie diversità (nemici che, spesso, occorre dirlo, sono ancora figli di tabù:
ad esempio un integralista islamico vive di tabù, mentre un anarchico di
spirito critico, ma in tutti e due i casi la diversità rende nemici della
“società aperta”). La società aperta è un gigante, ma si sa che i giganti hanno
i piedi di argilla.
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