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venerdì 15 luglio 2016

PERCHE’ GLI ATTENTATI:
LA SOCIETA’ APERTA E I SUOI NEMICI
OVVERO IL TRIBALISMO CRITICO


    Popper per “società aperta” intende una società non tribale, non regolata dai tabù, non collettivistica, tale da non avere gli spazi delle possibilità future chiusi. Considerava delle “chiusure” della società quelle filosofie storicistiche e idealistiche che ponevano una mèta finale alla società e alla storia (storicismo), ad esempio “la città ideale” di Platone, il “mondo cristiano-germanico” di Hegel, la “società dei lavoratori” di Marx, la “civiltà scientifica” di Comte. Platone, Hegel, Marx, Comte, il finalismo storicistico appaiono, in questa dimensione, come “nemici” della “società aperta”, come nemici della stessa individualità e come potenziali fondatori di Stati totalitari. Così si esprime Popper: “Il tribalismo, cioè l’insistenza sulla decisiva importanza della tribù, senza la quale l’individuo è assolutamente nulla, è un elemento che si riscontra in molte forme di teorie storicistiche..Altre forme..possono tuttavia conservare un elemento di collettivismo” (K. R. Popper - “La società aperta e i suoi nemici”), poi: “Il mio termine <in relazione a ‘società aperta’> indica, per così dire, una distinzione razionalistica. La società chiusa è caratterizzata dai tabù magici, mentre la società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a basare le loro decisioni sull’autorità della propria intelligenza” (K. R. Popper - “La società aperta e i suoi nemici”). La “società aperta”, quindi, sembra rifiutare la “chiusura” nelle “tradizioni”, tabù o altro che sia, e appare come una “società anti-tradizionalista”. Le tradizioni, infatti, se imposte e non scelte, “chiudono” la società nel suo passato. Che occorra avere uno spirito “critico” nei confronti delle tradizioni, eliminando quelle che ostacolano la libertà, la natura, gli istinti, i sentimenti, ma conservando quelle che favoriscono libertà, natura, istinto e sentimenti, nonché un certo gusto della particolarità, è fuori di dubbio. Ma parlare di “società aperta”, come se ogni tradizione dovesse essere cancellata, iniziando un processo di cambiamento fine a se stesso, significa ignorare la diversità e supporre che non esista alcuna forma di diversità, né quella individuale e né quella di gruppo. Questo “cambiamento” fine a se stesso coincide, molto spesso, con la follia della “società progressista”, tra l’altro falsamente “aperta”, giacché è “aperta” solo a ciò che viene considerato “progresso” (sociale, tecnologico, ecc.), mentre una società veramente aperta può recuperare, passando per il piano critico, anche delle tradizioni. Far coincidere, poi, il piano critico con il piano razionale è una mistificazione cartesiana. Il piano critico, al massimo, può corrispondere ad una “razionalità negativa”, mentre la “ragione” ha costruito un mondo strumentale, fatto di scienza, di tecnica, di commercio, di industria, che, a sua volta, dovrebbe subire l’esame del piano critico. Esame che soltanto in occasioni speciali viene effettuato, mentre non si mette mai in discussione il fatto che lo stesso “progresso” e la stessa “ragione strumentale” siano diventati dei tabù. In questo modo la “società aperta” finisce per coincidere con il progresso borghese e capitalista e l’“apertura” non avviene soltanto a danno dei tabù, ma avviene nei confronti delle stesse diversità individuali e di popolo che vengono trattate, dal neo-illuminismo della razionalità, come se fossero dei tabù, restando come non-tabù soltanto l’apertura fine a se stessa, che, sul piano pratico, coincide quasi del tutto con la società commerciale e industriale borghese e mondiale. Le diversità individuali e di popolo vengono trattate in questo mondo globalizzato della “società aperta” come dei fantasmi che si aggirano per la terra, vengono, al più, tollerate, ma, nel caso siano incompatibili con l’uniformità globale della società aperta, non vengono in alcun modo legittimate. Parafrasando Marx, si può dire che “un fantasma si aggira per il mondo, il fantasma della diversità”. La diversità, infatti, è un modo naturale di essere, non può essere scavalcato dalla ragione, dal commercio, dall’industria, per cui nella libera circolazione della “società aperta” si aggirano della diversità che, inevitabilmente, diventano dei “nemiche” della società aperta: dall’anarchico fino all’integralista islamico. La lotta di questi ultimi, è vero, appare, spesso, senza esclusione di colpi, ma questo accade perché avviene una “demonizzazione” reciproca: le diversità in lotta demonizzano la “società aperta”, la società aperta demonizza, a sua volta, tutte le diversità in lotta. Le diversità, tra loro, possono convivere pacificamente o entrare in lotta (dipende, spesso, da cose molto banali), ma è certo che la “società aperta” fagocita tutte le diversità, le ridicolizza fino a farle diventare dimensioni folcloristiche, agisce nei loro confronti come il Dio cristiano nei confronti degli dei pagani: “non c’è altro Dio all’infuori di me”. Nei mezzi del progresso, quindi, viaggiano, ormai, anche i nemici della società aperta, per impedire che i pericoli che ne conseguono si ripetano all’infinito, occorre, quindi, una nuova “società chiusa”, che faccia valere la sua diversità e facendolo si difenda, ma nello stesso tempo applichi al suo interno quella capacità critica che, trasferita nella “società aperta”, fa della società stessa un’assoluta negazione di ogni diversità caratteriale e naturale, appiattendo tutto nei valori dell’equivalente matematico, tecnologico, commerciale e industriale. Il riconoscimento della diversità genera, inevitabilmente, una frammentazione della società globale (neo-tribalismo), le singole società locali saranno “chiuse” fino a quando non si manifesti un volontà di cambiare che provenga dall’interno, grazie al fatto che le tradizioni sono intoccabili dall’esterno (sparizione della “società globale”), ma non sono dei tabù se viste dall’interno (questo è l’insegnamento valido della “società aperta”). Si tratta di creare un “tribalismo critico”, che superi tanto il vecchio tribalismo basato sui tabù, quanto il mancato riconoscimento della diversità che opera la “società aperta”. Società aperta che sarà inevitabilmente esposta ai suoi nemici fino a quando non sarà in grado di riconoscere spazi diversi per le varie diversità (nemici che, spesso, occorre dirlo, sono ancora figli di tabù: ad esempio un integralista islamico vive di tabù, mentre un anarchico di spirito critico, ma in tutti e due i casi la diversità rende nemici della “società aperta”). La società aperta è un gigante, ma si sa che i giganti hanno i piedi di argilla.   

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