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venerdì 29 luglio 2016

LA BARBARIE DI RITORNO

    La democrazia occidentale è in pericolo, non solo per colpa dei terroristi islamici o dei migranti islamici che invadono l’Europa, ma perché la cultura islamica sta invadendo l’Europa. E’ in atto, non solo una guerra di religione in quanto tale, ma una guerra di civiltà (è ipocrita il papa quando dice che non c’è una guerra di religione, perché l’Islam ha nel libro sacro stesso l’idea di guerra di religione e non vederlo significa che il cristianesimo è una droga mentale che impedisce di riconoscere un nemico che si dichiara tale). Tale guerra non deve ancora avvenire, già è in atto. Ci sono europei e italiani che si convertono all’Islam, cioè alla barbarie di ritorno. Coloro che con faciloneria parlano di accoglienza sono i principali responsabili di questa “barbarie di ritorno” perché ne favoriscono la diffusione. Facciamo alcuni casi e alcune riflessioni in proposito.

1) La democrazia consiste nel superamento della teocrazia, nello stabilire dei diritti individuali di libertà per ogni persona, nello stabilire che la sovranità spetta al popolo. L’Islam nega tutto questo, perché identifica la sovranità con la legge coranica e religiosa, è per tendenza teocratico o dittatoriale, non riconosce i diritti individuali di libertà.

2) Assistendo alla trasmissione “Dalla vostra parte” del 28/7/2016 (Rete 4) si è potuto ascoltare che un deputato del Partito democratico (Stefano Esposito) sostiene che l’accoglienza è obbligatoria, il che è già una negazione dei diritti individuali nello stabilire rapporti umani. Sarebbe come dire che la carità è obbligatoria o che è obbligatorio amare tutti gli uomini. Insomma sarebbe obbligatorio essere come i preti (quindi ipocriti come essi). E’ la dittatura dell’antropologico astratto. La superficialità di cattolici e sinistra sull’accoglienza, fatta per schemi o cristiani o filantropici o per schemi borghesi (il migrante favorisce gli affari delle cooperative sociali, del caporalato, degli imprenditori, a questi ultimi i migranti offrono lavoratori che somiglieranno sempre di più a degli schiavi, il che fa tutt’uno con l’eliminazione degli statuti dei lavoratori), sottovaluta fino all’irresponsabilità il fatto che la cultura islamica è una cultura forte e quindi è lei che tende a fagocitare i valori dell’Occidente in crisi.

3) Sempre nella trasmissione “Dalla vostra parte” il giornalista Filippo Facci afferma, giustamente, che i valori dell’Occidente e quelli dell’Islam sono incompatibili, porta come esempi il fatto delle spose minorenni, della poligamia, della lotta agli infedeli, della teocrazia e della mancanza di senso democratico. Afferma anche, a ragion veduta, che un islamico si “integra” in Occidente nella misura in cui smette di essere mussulmano e si laicizza. La risposta dell’Imam Sharif Lorenzini è che tale giornalista è razzista e va rieducato. Quindi, se uno vede incompatibilità tra due modelli di civiltà, è razzista? Se uno fa un ragionamento, invece di rispondere al ragionamento, si risponde con un’accusa? Quando gli anti-razzisti, anziché fornire un ragionamento come risposta, come risposta forniscono un’accusa, quella di razzismo, significa che non hanno argomenti con cui ragionare e rispondono aggredendo. E un italiano che non crede alla compatibilità di Occidente e Islam dovrebbe essere “rieducato” dagli islamici presenti in Italia? Fino a quando verranno permesse queste cose in Europa la barbarie di ritorno avanzerà.

4) Si fa la distinzione tra islamico “moderato”, che si dovrebbe integrare, e islamico “integralista”, che non può integrarsi. Le parole, qui, tradiscono una verità che i perbenisti dell’accoglienza fanno finta di non vedere, cioè che chi segue l’Islam “integralmente” (per questo detto “integralista”) è esattamente colui che fa la guerra di civiltà contro l’Occidente. L’islamico “moderato”, quindi, è moderato solo perché non segue “integralmente” l’Islam. Ma non si può presentare come vero volto dell’Islam quello di chi segue l’Islam solo in parte. Che razza di ipocrisia è questa? Quando poi non si sa bene in che misura l’Islam verrà seguito. Se avviene una “radicalizzazione”, ciò vuol dire si abbraccia l’Islam più “radicalmente”. Da dove è nata la bugia per cui l’islamico moderato rappresenta il vero Islam? Dall’interesse pratico dei migranti, dall’interesse affaristico di coloro che fanno accoglienza? Cioè dall’ipocrisia di chi non ragiona? Un religione che afferma quanto segue è strutturalmente incompatibile con la civiltà occidentale, sia che la pratichi un “integralista”, sia che la pratichi un “moderato”. Dice “Il Corano”: “Volete forse guidare alla Via <la rivelazione coranica> chi Allah ha traviato? Per chi Allah ha traviato non troverai strada alcuna <coloro che hanno traviato Allah sarebbero i ‘miscredenti’, gli ‘infedeli’, prima di tutto i pagani e gli atei, poi anche gli ebrei e i cristiani>. Essi vorrebbero che voi rifiutaste la Fede <Il Corano> come loro l’hanno rifiutata e che diveniste uguali <un mussulmano, quindi, rifiuta di diventare ‘uguale’ a un ateo, a un cristiano ecc. Di quale ‘integrazione’ si parla?>. Ma non prendetevi patroni fra di loro..e se poi volgon le spalle, prendeteli e uccideteli dove li trovate” (“Il Corano” - Sura delle donne” IV - vv.88-89). Il Corano predica odio in continuazione, un islamico può essere moderato solo nella misura in cui smette di essere islamico. Possibile non si capisca che l’unico islamico coerente è quello “integralista”? E’ per ignoranza del Corano che non lo si capisce?

5) Tuttavia, il pericolo riguardante il ritorno della barbarie non si trova solo nei terroristi e nei migranti islamici, ma anche negli europei e italiani che si convertono all’Islam. Si tratta di gente ignorante, piena di problemi, non capace di svolgere un serio esame critico. Meraviglia anche che il 55% di tali convertiti stia tra le donne. Sono donne piene di insicurezza? Che non vogliono confrontarsi con il mondo esterno e si ritengono più al sicuro se sono mantenute e protette dagli uomini? Come capita nella cultura islamica? Queste donne negano che il velo sia segno di sottomissione, mentre è vero il contrario: è scritto nel Nuovo Testamento e si sa che Il Corano riprende sia l’Antico che il Nuovo Testamento. Soprattutto fanno finta di ignorare quanto è scritto ne “Il Corano”: “Gli uomini sono preposti alle donne, perché Allah ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle..quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele” (“Il Corano” - Sura delle donne IV - v. 34). Qui c’è una vera autorizzazione a picchiare le donne. Ora questo convertirsi a “Il Corano”, soprattutto per le donne, trova le sue radici in un retroterra culturale cristiano e cattolico che si congiunge con un certo vetero-femminismo immaginato sul modello della “suora”. Tra le suore un certo femminismo c’è sempre stato. Il cristianesimo spinge a vedere la propria identità solo a livello spirituale, eliminando il corpo. Il corpo, come si sa, nel cristianesimo (e anche nell’Islam) è il luogo dove domina il Diavolo, Per la femminista il diavolo è l’uomo, inteso come maschio, per cui il corpo in vista diventa una concessione al diavolo, cioè al maschio. Queste donne che si convertono all’Islam si portano dietro il delirio femminista della “donna oggetto”. Per cui coprirsi con abiti lungi e veli diventa un negare il proprio corpo ai maschi in generale. E’ evidente che si tratta di una cultura spirituale anti-estetica, che cancella la presenza corporea della persona. Ma è anche quella stupida idea, che attraversa il mondo cattolico e della sinistra, per la quale la donna, nella sensualità, sia soltanto “oggetto” e non “soggetto attivo”. Le donne si negano fisicamente e perciò negano la loro corporeità, come se un corpo nudo fosse a priori proprietà di chi lo vede. Che poi è esattamente quello che pensano i maschi islamici, quando aggrediscono per motivi sessuali le donne europee. Solo un ipocrita può dire che la civiltà islamica è compatibile con quella europea. L’integrazione è possibile solo nella misura in cui gli islamici smettono di essere islamici. Ma qui si sta prendendo la strada contraria, cioè quella della barbarie di ritorno e l’integrazione rischia di avvenire con l’islamizzazione dell’Occidente.

6) La diffusione dell’Islam è dovuta alla crisi di valori dell’Occidente. Dove per valori non si intende il cristianesimo, perché la diffusione dell’Islam in Europa non è altro che il riemergere della barbarie cristiana medievale. Questo retroterra cristiano-medievale, mai del tutto sconfitto, riemerge con la conversione all’Islam, perché l’Islam, a causa della sua combattività e delle sue certezze, appare come un sicuro rifugio per gli spiritualisti frustrati e gli insicuri che si aggirano in una società occidentale certamente, per molti aspetti, marcia. Una società, come quella occidentale, che ha fatto del fare soldi, delle borse, della speculazione, dell’economia, della tecnica, della scienza un fine e non un mezzo, è chiaro che soffre di una crisi di valori senza precedenti. Una cultura fanatica, ma proprio per questo forte, come l’Islam non può non ottenere successo in queste condizioni. E’ così che la barbarie ritorna. Una società dove contano solo i numeri, la produzione, l’interesse, gli affari, che non riconosce più il valore dei sentimenti personali e locali, che subordina la dignità della persona ai meccanismi, che esalta la scienza e la tecnica, che sono asettiche e anaffettive, è chiaro che genera un senso mostruoso di solitudine, dalla quale si tenta di uscire reinventando quel mondo spirituale e quelle certezze (Allah e le sue ricompense) che abbiamo conosciuto come barbarie anti-mondana medievale e che oggi è diventata islamizzazione. Per combattere la barbarie dell’islamizzazione dobbiamo ritrovare quei valori romantici, legati ai sentimenti, alla bellezza, alla libertà individuale, al coraggio, che l’illuminismo affaristico della borghesia ha distrutto dando importanza solo al conto in banca e al guadagno più alto.




venerdì 15 luglio 2016

PERCHE’ GLI ATTENTATI:
LA SOCIETA’ APERTA E I SUOI NEMICI
OVVERO IL TRIBALISMO CRITICO


    Popper per “società aperta” intende una società non tribale, non regolata dai tabù, non collettivistica, tale da non avere gli spazi delle possibilità future chiusi. Considerava delle “chiusure” della società quelle filosofie storicistiche e idealistiche che ponevano una mèta finale alla società e alla storia (storicismo), ad esempio “la città ideale” di Platone, il “mondo cristiano-germanico” di Hegel, la “società dei lavoratori” di Marx, la “civiltà scientifica” di Comte. Platone, Hegel, Marx, Comte, il finalismo storicistico appaiono, in questa dimensione, come “nemici” della “società aperta”, come nemici della stessa individualità e come potenziali fondatori di Stati totalitari. Così si esprime Popper: “Il tribalismo, cioè l’insistenza sulla decisiva importanza della tribù, senza la quale l’individuo è assolutamente nulla, è un elemento che si riscontra in molte forme di teorie storicistiche..Altre forme..possono tuttavia conservare un elemento di collettivismo” (K. R. Popper - “La società aperta e i suoi nemici”), poi: “Il mio termine <in relazione a ‘società aperta’> indica, per così dire, una distinzione razionalistica. La società chiusa è caratterizzata dai tabù magici, mentre la società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a basare le loro decisioni sull’autorità della propria intelligenza” (K. R. Popper - “La società aperta e i suoi nemici”). La “società aperta”, quindi, sembra rifiutare la “chiusura” nelle “tradizioni”, tabù o altro che sia, e appare come una “società anti-tradizionalista”. Le tradizioni, infatti, se imposte e non scelte, “chiudono” la società nel suo passato. Che occorra avere uno spirito “critico” nei confronti delle tradizioni, eliminando quelle che ostacolano la libertà, la natura, gli istinti, i sentimenti, ma conservando quelle che favoriscono libertà, natura, istinto e sentimenti, nonché un certo gusto della particolarità, è fuori di dubbio. Ma parlare di “società aperta”, come se ogni tradizione dovesse essere cancellata, iniziando un processo di cambiamento fine a se stesso, significa ignorare la diversità e supporre che non esista alcuna forma di diversità, né quella individuale e né quella di gruppo. Questo “cambiamento” fine a se stesso coincide, molto spesso, con la follia della “società progressista”, tra l’altro falsamente “aperta”, giacché è “aperta” solo a ciò che viene considerato “progresso” (sociale, tecnologico, ecc.), mentre una società veramente aperta può recuperare, passando per il piano critico, anche delle tradizioni. Far coincidere, poi, il piano critico con il piano razionale è una mistificazione cartesiana. Il piano critico, al massimo, può corrispondere ad una “razionalità negativa”, mentre la “ragione” ha costruito un mondo strumentale, fatto di scienza, di tecnica, di commercio, di industria, che, a sua volta, dovrebbe subire l’esame del piano critico. Esame che soltanto in occasioni speciali viene effettuato, mentre non si mette mai in discussione il fatto che lo stesso “progresso” e la stessa “ragione strumentale” siano diventati dei tabù. In questo modo la “società aperta” finisce per coincidere con il progresso borghese e capitalista e l’“apertura” non avviene soltanto a danno dei tabù, ma avviene nei confronti delle stesse diversità individuali e di popolo che vengono trattate, dal neo-illuminismo della razionalità, come se fossero dei tabù, restando come non-tabù soltanto l’apertura fine a se stessa, che, sul piano pratico, coincide quasi del tutto con la società commerciale e industriale borghese e mondiale. Le diversità individuali e di popolo vengono trattate in questo mondo globalizzato della “società aperta” come dei fantasmi che si aggirano per la terra, vengono, al più, tollerate, ma, nel caso siano incompatibili con l’uniformità globale della società aperta, non vengono in alcun modo legittimate. Parafrasando Marx, si può dire che “un fantasma si aggira per il mondo, il fantasma della diversità”. La diversità, infatti, è un modo naturale di essere, non può essere scavalcato dalla ragione, dal commercio, dall’industria, per cui nella libera circolazione della “società aperta” si aggirano della diversità che, inevitabilmente, diventano dei “nemiche” della società aperta: dall’anarchico fino all’integralista islamico. La lotta di questi ultimi, è vero, appare, spesso, senza esclusione di colpi, ma questo accade perché avviene una “demonizzazione” reciproca: le diversità in lotta demonizzano la “società aperta”, la società aperta demonizza, a sua volta, tutte le diversità in lotta. Le diversità, tra loro, possono convivere pacificamente o entrare in lotta (dipende, spesso, da cose molto banali), ma è certo che la “società aperta” fagocita tutte le diversità, le ridicolizza fino a farle diventare dimensioni folcloristiche, agisce nei loro confronti come il Dio cristiano nei confronti degli dei pagani: “non c’è altro Dio all’infuori di me”. Nei mezzi del progresso, quindi, viaggiano, ormai, anche i nemici della società aperta, per impedire che i pericoli che ne conseguono si ripetano all’infinito, occorre, quindi, una nuova “società chiusa”, che faccia valere la sua diversità e facendolo si difenda, ma nello stesso tempo applichi al suo interno quella capacità critica che, trasferita nella “società aperta”, fa della società stessa un’assoluta negazione di ogni diversità caratteriale e naturale, appiattendo tutto nei valori dell’equivalente matematico, tecnologico, commerciale e industriale. Il riconoscimento della diversità genera, inevitabilmente, una frammentazione della società globale (neo-tribalismo), le singole società locali saranno “chiuse” fino a quando non si manifesti un volontà di cambiare che provenga dall’interno, grazie al fatto che le tradizioni sono intoccabili dall’esterno (sparizione della “società globale”), ma non sono dei tabù se viste dall’interno (questo è l’insegnamento valido della “società aperta”). Si tratta di creare un “tribalismo critico”, che superi tanto il vecchio tribalismo basato sui tabù, quanto il mancato riconoscimento della diversità che opera la “società aperta”. Società aperta che sarà inevitabilmente esposta ai suoi nemici fino a quando non sarà in grado di riconoscere spazi diversi per le varie diversità (nemici che, spesso, occorre dirlo, sono ancora figli di tabù: ad esempio un integralista islamico vive di tabù, mentre un anarchico di spirito critico, ma in tutti e due i casi la diversità rende nemici della “società aperta”). La società aperta è un gigante, ma si sa che i giganti hanno i piedi di argilla.   

martedì 12 luglio 2016

TECNICA, VIZIO, COMPETIZIONE


    La moderna società tecnologica è una società competitiva per struttura, ma lo è in modo artificiale. Anche in natura due orsi che pescano per sopravvivere nello stesso specchio d’acqua litigano o entrano in competizione, ma lo fanno in maniera naturale e nei limiti delle loro possibilità fisiche. La società tecnologica, invece, mette in competizione tutto il genere umano e non per gioco. Nel momento in cui la tecnica rappresenta il modo univoco di saper fare una cosa, in quel momento stesso gli individui vengono misurati e messi in competizione, anche perché, a causa della stessa specializzazione tecnica, un mondo tecnologico presuppone a priori che si lavori per gli altri. Facciamo un esempio: il cuoco. Prescindiamo qui dai cuochi che si danno arie da artista e che ottengono successo soprattutto tra coloro che non mangiano quello che gli piace, ma mangiano la novità, immaginiamo solo un esperto nel cucinare messo di fronte a non esperti. I non esperti, consapevoli della maggiore abilità tecnica del cuoco A, lo preferiranno senz’altro al cuoco B. Il carattere univoco della tecnica ha messo in competizione automaticamente il cuoco A e il cuoco B. La base dell’automatica competitività sta nella viziosità acquisita dalla gente, che vuole cibi, vestiari, case, mezzi di trasporto sempre più raffinati, tali cioè che possono essere prodotti solo da tecnici specializzati. Nella società della tecnica, quindi, ognuno è schiavo dell’altro, per quanto attiene al consumo, ed ognuno è in competizione con tutti coloro che effettuano la sua medesima produzione. La globalizzazione non ha fatto altro che generalizzare a livello mondiale questa competizione e questa dipendenza. Tutto ciò crea delle contraddizioni insanabili che danno alla pace tutte le caratteristiche della guerra, così che, mentre non si sta mai in pace, si ha la pretesa di non stare neppure in guerra. La guerra nella pace o la mancanza di pace senza guerra si chiama “economia”, è quel mondo allucinante in cui solo i pochi sfruttano veramente a pieno i privilegi e le raffinatezze della tecnica. Credere che possa esistere un mondo tecnico, economico di tipo “etico” è il delirio dei complici benpensanti degli sfruttatori, benpensanti che sono ancora più nauseanti degli sfruttatori.