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martedì 21 luglio 2015

L'IPOCRISIA DELL'OMOSESSUALITA'

I ROMANTICI CREDEVANO IN DIO PERCHE’ LO VEDEVANO, LO VEDEVANO CIOE’ NELLA NATURA POSTA AL DI LA’ DELL’ARTIFICIALE, AL DI LA’ DELL’ARBITRIO UMANO, AL DI LA’ DEL BENE E DEL MALE (CHE SONO SEMPRE ANTROPOCENTRICI). “LA NATURA NASCONDE DIO! MA NON A TUTTI!” (“MASSIME E RIFLESSIONI”) DICEVA GOETHE. SOLO LA NATURA, QUINDI, RIVELA DIO, QUESTO E’ IL “MATERIALISMO ROMANTICO”. DEL TUTTO COERENTE A QUESTA FILOSOFIA E’ CONSIDERARE IL CORPO COME L’UNICA RIVELAZIONE DELL’ANIMA. NE CONSEGUE CHE E’ SOLO IL CORPO CHE RIVELA IL SESSO DI UNA PERSONA, QUINDI L’OMOSESSUALITA’ E’ ARBITRIO UMANO, FISICAMENTE NON ESISTE. IL FATTO CHE QUESTO NON PIACCIA AI BENPENSANTI E AI “RADICAL CHIC” DI OGGI NON MUTA NULLA. CHI RAGIONA CON LA SUA TESTA E NON CON QUELLA DELLE OPINIONI CORRENTI SE NE INFISCHIA DELL’ACCUSA DI “OMOFOBIA” E RITIENE CHI LA FA UN CRETINO INCAPACE DI ASCOLTARE LA NATURA, DI RAGIONARE CON LA PROPRIA TESTA E NON IN GRADO DI CAPIRE QUANTO QUI VIENE SCRITTO.



VIII - L’IPOCRISIA DELL’OMOSESSUALITA’

    Una teorica del “lesbo-femminismo”, agli inizi degli anni Ottanta, sostenne che l’idea di “donna” non è naturale, arrivando a sostenere che la “donna” è un’invenzione sociale e politica: “Una società lesbica rivela pragmaticamente che la divisione dagli uomini di cui le donne sono state l’oggetto è di natura politica..Nel caso delle donne l’ideologia ha avuto successo giacché i nostri corpi al pari delle nostre menti sono il prodotto di questa manipolazione. Noi siamo state costrette nei nostri corpi e nelle nostre menti per corrispondere..all’idea di natura che è stata stabilita per noi” (M. Wittig - “Donna non si nasce”). Per quanto gli individui di scarsa personalità assumano comportamenti socialmente prestabiliti e quindi tendano a “conformarsi” a regole sociali di comportamento, questo condizionamento non è mai né totale e né assoluto, appunto perché la società non è un assoluto. Ciò soprattutto a livello biologico, che è il luogo dove, principalmente, si trova la differenza tra maschio e femmina. Ora è pur vero che la differenza tra “uomo” e “donna” non corrisponde esattamente a quella tra “maschio” e “femmina” e che, quindi, maschi e femmine assumono, in società, comportamenti difformi pilotati dall’educazione, ma rimane il fatto che la differenza biologica maschio-femmina rimanga lì assolutamente immutabile. La società non è così onnipotente da poter impedire ad un maschio di essere maschio e ad una femmina di essere femmina, così come non può impedire agli individui di avere una bocca e di mangiare con la bocca. La società può “reprimere” la natura, non “eliminarla” del tutto. Se qualcuno dicesse, come fa la nostra lesbo-femminista a proposito del corpo della donna, che mangiare con la bocca è una creazione di “natura politica”, che la nostra bocca è “il prodotto di questa manipolazione”, che noi siamo stati “costretti” ad avere una bocca “per corrispondere..all’idea di natura che è stata stabilita per noi”, dovremmo pensare che costui è pazzo. Appare evidente che la lesbo-femminista non distingue bene ciò che è naturale da ciò che è sociale e, facendo una gran confusione, ritiene che quanto si trova in una donna è solo un prodotto culturale, quindi di una manipolazione, facendo, tra l’altro, in questo modo della società un Dio onnipotente che decide tutto, perfino la natura delle persone attraverso “l’idea di natura stabilita per noi”. Questo modo di ragionare è inaccettabile, la società non è Dio onnipotente che può tutto, nell’uomo e nella donna c’è un corpo che sussiste in maniera del tutto indipendente dai pregiudizi sociali e politici, se chiamiamo maschio e femmina ciò che è pertinente al corpo, vale a dire alla natura umana precedente al condizionamento sociale, occorre dire che la differenza sessuale tra maschio e femmina non ha nulla di ideologico e di sociale. Se così non fosse, dovremmo ammettere che la nascita mediante il parto non esiste e che la nascita avviene piuttosto nelle biblioteche, nei municipi, nei giornali, ecc.. Nel discorso della lesbo-femminista sono impliciti tre pregiudizi: il primo, che fonda gli altri due, è che l’uomo è scisso in due, mente e corpo, e che la mente ha valore, mentre il corpo è insignificante. Dal primo pregiudizio consegue che tutto ciò che è mentale ha valore assoluto e che, quindi, gli individui sono solo quello che l’idea vuole. Da ciò consegue il terzo pregiudizio, quello per cui la società, essendo ideologia (il che è certo vero), è assoluta e quindi gestisce le idee e le stabilisce, stabilendo perfino “l’idea di natura” che ci è pertinente. L’ideologia, cioè la società, non ha il potere di “creare” la natura; la stessa “seconda natura”, di cui tanto si parla, non solo è il segno di una spersonalizzazione, ma rimane pur sempre qualcosa di “ibrido” e “ambivalente” tra natura e condizionamento sociale. Se così forte fosse il potere della società, tanto varrebbe ammettere che non abbiamo un corpo e che esso è insignificante, in quanto maschio e femmina, nello stabilire i comportamenti degli uomini e delle donne. Si ha perfino il coraggio di considerare “materialista” un approccio che considera il corpo insignificante ai fini dei comportamenti umani: “Un approccio femminista materialista mostra che quella che consideriamo la causa e l’origine dell’oppressione <la differenza biologica, in aggiunta a quella storica> è di fatto il segno imposto dall’oppressore” (M. Wittig - “Donna non si nasce”). Che la differenza biologica non giustifichi, contro quanto sosteneva la De Beuavoir, una vera o presunta oppressione storica delle donne, in quanto oppressione sociale, è senz’altro vero, ma ciò non vuol dire che tutti i comportamenti degli uomini e delle donne siano esclusivamente sociali e quindi frutto di una costruzione ideologica imposta. Esistono anche comportamenti naturali: di certo si seguiterebbe a mangiare con la bocca anche se l’ideologia sociale dicesse che non si deve fare. Esistono delle attitudini naturali sessuali, che fanno capo al maschio e alla femmina, che provengono direttamente dalla natura e non sono affatto conseguenza di imposizioni dell’ideologia politica e sociale. Insomma credere che tutto è politico è stata una vera ossessione di quella ideologia olistica che ha fatto da base a tanti atteggiamenti rivoluzionari, ma non certo autenticamente anarchici. L’anarchico, infatti, è così attaccato alla libertà perché essa rappresenta il modo in cui viene tutelata e difesa la “propria individualità naturale” dai comportamenti socialmente imposti. L’anarchia deve dare per scontata questa base naturale posta al di là delle manipolazioni politiche e sociali, altrimenti non ha motivo di sussistere. E i veri anarchici, da Stirner a Nietzsche (chi non reputa anarchico Nietzsche ha capito poco di lui), hanno sempre ammesso un’individualità “propria” al di là dei costumi sociali, un’individualità “propria” che ha una base materialistica, avendo per fondamento certo proprio il “corpo”. Nulla determina esattamente l’individualità “propria” quanto il corpo naturale. Chi non riconosce il “proprio” corpo naturale, non riconosce la sua “individualità propria”, non riconosce la parte essenziale della sua “personalità”, vive nel pregiudizio di origine cristiana di cui abbiamo già detto, cioè che l’individuo sia, non quello che il corpo naturale è, ma quello che l’idea vuole. Dato che l’idea è l’assunzione mentale di qualcosa di esteriore, ecco che identificarsi con un’idea, equivale a “sbarazzarsi di”, come diceva Stirner, cioè a “sbarazzarsi di se stesso”, bisogna ascoltare i saggi taoisti in proposito: “Coloro che vedono altre cose e non vedono se stessi non acquistano se stessi ma acquistano altre cose” (“Chuang-tzu” VIII, 59). L’idea di gazzella gli esseri umani l’assumono dall’esterno, non è l’individualità propria di un essere umano. Se un cretino dicesse “io mi sento una gazzella”, non solo userebbe il verbo sentire in modo improprio, perché solo un alienato può “sentire” di essere quello che non è, ma avrebbe assunto come sua “individualità propria” un’idea assunta da una realtà esterna. Ciò è esattamente quella che viene chiamata “alienazione”, infatti, per un essere umano, dire “mi sento una gazzella”, equivale a dire “non mi sento essere umano”, significa essersi reso estraneo a se stesso per quanto è pertinente alla differenza biologica tra esseri umani e gazzelle. In pratica tale cretino si è “sbarazzato della sua corporeità da essere umano”. Ma di se stessi non ci si sbarazza, ci si sbarazza sempre di qualcosa di esterno che ci opprime, ci si sbarazza delle catene messe ai piedi, non dei piedi. Chi dice “mi sento una gazzella”, al contrario, invece di sbarazzarsi delle catene, si sbarazza dei piedi. Soffre di catene mentali e non ha un buon rapporto con la realtà e con se stesso. Perché è chiaro che credersi una gazzella non significa esserlo realmente, significa solo non riconoscere una parte fondamentale della propria personalità, dell’individualità propria, quella di essere un “umano” e non una “gazzella”, con tutto il rispetto per le gazzelle. Con tutto il rispetto per gli altri, se non ci si sente orgogliosi di quello che si è, vuol dire che non si ha personalità. Chi si priva del sé naturale, cioè il corpo, è un uomo senza individualità, giacché l’idea non può sostituire il corpo, non è che se penso di essere una gazzella, poi sono fisicamente una gazzella. Né ho diritto di pretendere che gli altri vedano in me una gazzella, anziché quello che realmente vedono, cioè un essere umano. Ciò nemmeno se venisse stabilito dalle istituzioni sociali. Con quale diritto, dunque, un transessuale pretende che lo si ritenga una donna dopo un’operazione e solo perché dice “mi sento una donna”? Con l’operazione si è soltanto “sbarazzato di” una parte di sé, quindi è un uomo mutilato, quanto al fatto che pensi di essere una donna, non significa che, poi,è fisicamente una donna. Non ha alcun diritto di pretendere che gli altri vedano in lui una donna, anziché quello che realmente vedono, cioè un uomo mutilato. Questo neppure se le istituzioni decidono di dargli una carta d’identità al femminile. Il sesso appartiene al corpo, vale a dire a ciò che precede la società, non è qualcosa di cui possono disporre le istituzioni  e le autorità sociali. Se si pretendesse di stabilire che un transessuale è una donna in base all’autorità, ci sarebbe solo un tentativo immorale e illegittimo di autoritarismo, come a dire “è così perché lo stabilisce l’autorità”, il che sarebbe la stessa cosa del regime militare che imponeva Ignazio di Loyola, il quale ha avuto la faccia tosta di scrivere una cosa che fa del gesuita l’alienato per definizione: “bisogna sempre ritenere che ciò che vedo bianco davanti a me sia invece nero, se la Chiesa gerarchica decide così” (Ignazio di Loyola - “Esercizi spirituali” (Regole da osservare per avere in nostro vero ruolo nella Chiesa militante - tredicesima regola)). Se la carta d’identità dice che ciò che vedo come un uomo (bianco), è invece una donna (nero), si butta la carta d’identità, non la propria vista. Bisogna credere a quello che si vede, non a quello che dice l’autorità. Altrimenti non si è un uomo libero. Il transessuale non è un uomo libero, perché si è sbarazzato, in parte, di se stesso: come dice Stirner, la libertà è l’“individualità propria”, non lo “sbarazzarsi di”: “‘Essere libero da qualcosa’ significa soltanto ‘essere privo’ o ‘essersene sbarazzato’. ‘Egli è libero dal mal di testa’ è lo stesso che: ‘se ne è sbarazzato’..Che differenza fra la libertà <presa in astratto come ‘liberarsi di’> e l’individualità propria <fondamento della personalità, a partire dal corpo>! Ci si può sbarazzare di moltissime cose..La mia propria individualità, invece, è tutto me stesso:..sono io stesso. Io sono libero da ciò di cui mi sono sbarazzato..ma sono proprietario di ciò che è in mio potere o di ciò che posso..L’individualità creò una nuova libertà; l’individualità, infatti, è la creatrice di tutto..La libertà <sarebbe più esatto dire la ‘falsa libertà’> v’insegna soltanto a sbarazzarvi, a disfarvi di tutto ciò che vi pesa, ma non v’insegna chi siete” (M. Stirner - “L’Unico e la sua proprietà”). Chi si mette in contrasto con il proprio corpo non sa chi è. Il transessuale, materialmente, l’omosessuale, psicologicamente, non sanno chi sono, per questo non possono essere liberi. Non si è mai nulla al di là del proprio corpo naturale. Il transessuale e l’omosessuale ignorano di essere, non “uomo” e “donna”, ma “maschio” e “femmina”. Ignorano quel “saggio ignoto” che è il fondamento della nostra personalità, cioè il corpo: “Dietro i tuoi pensieri <la tua stessa ‘idea’ di te stesso>..sta un possente sovrano, un saggio ignoto - che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo” (F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Dei dispregiatori del corpo). Ovviamente in una società di derivazione gnostica e cristiana, in cui si è “anima” e non “corpo”, appare ovvio che si abbia, poi, la pretesa di essere quel che si pensa di essere, anziché essere quel che si è. Si fa il contrario di quel che si dovrebbe fare, perché, se ci si attiene alla realtà, é il pensiero che deve adeguarsi all’essere, non l’essere al pensiero, è il pensiero che deve adeguarsi al corpo, non il corpo al pensiero. E’ chiaro che il transessuale tenta, senza riuscirci (perché è impossibile, bisognerebbe distruggere per intero il proprio corpo e rifarlo da capo), di adeguare il suo corpo al suo pensiero. In questo modo si aliena, perde l’“individualità propria”, quello che viene fuori è un artificio, una mutilazione, un tentativo di essere quello che “non si è”, si tenta di essere l’idea di quello che si pensa di essere, facendo finta di ignorare che l’idea viene sempre da qualcosa di esterno e che quindi identificarsi con un’idea significa perdere se stesso. Che tutto questo possa essere considerato ovvio e naturale solo perché c’è la moda dell’omofilia appare del tutto inaccettabile. Non ci si rende neppure conto che questo modo alienato di ragionare rispetto al corpo nasce dalla tradizione cristiana: dalla distinzione tra “uomo interiore” e “uomo esteriore” di Lutero: “L’uomo ha una natura duplice, spirituale e corporea: secondo quella spirituale, che dicono anima, è chiamato uomo spirituale, interiore, nuovo, tenendo conto di quella corporea, che chiamano carne, lo si definisce uomo carnale, esteriore, antico” (M. Lutero - “Della libertà del cristiano”). Secondo questa prospettiva, è libero solo l’uomo spirituale e l’uomo corporeo è sottoposto all’autorità della spada perché corrotto o comunque insignificante. E’ evidente che una mentalità, come quella cristiana, da cui deriva la modernità stessa, finisce per considerare come verità di se stessi quello che si pensa di sé, non quello che il Sé è a priori come corpo. Il pensiero, infatti, appartiene alla regione dell’anima e non a quella del corpo. Identificare la libertà con l’anima, anziché con il corpo, significa identificare la libertà con l’arbitrio. E’ esattamente questo che si ritrova tanto nel transessuale che nell’omosessuale. Il corpo di un transessuale e di un omosessuale parla in modo diverso rispetto a quello che il transessuale e l’omosessuale dicono di se stessi: bisogna credere sempre a ciò che si vede e non a quello che si dice o a quello che l’autorità stabilisce. L’innaturalezza del transessuale e dell’omosessuale è fuori discussione. E’ evidente che una cultura di derivazione cristiana, come quella moderna occidentale, non riesce più a prendere il corpo per quello che è e soprattutto non riesce a stimarlo e a considerarlo come il fattore basilare della personalità. Ciò appare ovvio se imbecilli come Cartesio e Kant hanno ridotto il fisico o ad un “automa” (Cartesio) o ad un “fenomeno” (Kant): “Suppongo che il corpo non sia altro che una macchina di terra” (R. Descartes - “L’uomo”), poi: “L’oggetto indeterminato d’una intuizione empirica prende il nome di fenomeno” (I. Kant - “Critica della ragion pura” - Estetica trascendentale 1). In realtà, Cartesio e Kant dicono la stessa cosa, perché Cartesio, considerando il corpo un “automa”, lo considera anche un “oggetto” privo di soggettività e di vita propria, allo stesso modo Kant, considerando il corpo, quale fenomeno empirico, un “oggetto”, non solo, anche lui, lo considera privo di soggettività e di vita, ma, come Cartesio, lo considera un “automa” costituito dalle parti funzionali a cui l’analisi lo riduce. Appare evidente che, là dove il corpo non viene ritenuto cosa pertinente alla persona, esso non viene neppure preso in considerazione come fonte primaria della personalità. Per cui il corpo diventa semplice materiale a disposizione della mente che, con il suo arbitrio, pretende di forgiarlo secondo i modelli ideali che si costruisce sulla base dei pregiudizi sociali di moda. Dal tatuaggio al percing, fino a giungere all’omosessualità e a quell’orrore che è la transessualità, il corpo diventa la vittima dell’arbitrio mentale, il quale, non possedendo niente di “proprio”, perché la mente prende “idee” solo dall’esterno (non si può confondere una personalità che si manifesta nel pensiero, con una semplice assunzione di idee), non fa altro che assimilare l’Io a qualcosa di esterno, con la pretesa che il corpo si adatti a questa degenerata immaginazione. In realtà ci si priva dell’unico fondamento solido della propria personalità, cioè il corpo così come è alla nascita. Sulla stessa linea di Cartesio e Kant si trova Heidegger, allorché pone il corpo nell’ambito della “semplice presenza”, giacché per lui la verità è l’interiorità (Essere, Esserci) e non la “presenza”, la quale ultima, di per sé, è insignificante. Heidegger considera il corpo insignificante, perché ciò che conta, individualmente, è l’Esserci e quest’ultimo, in virtù della “differenza ontologica” tra essere, o spirito informale, ed ente, non ha certo la dimensione determinata del corpo: “Esistenza significa, per l’ontologia tradizionale, qualcosa come la semplice-presenza, modo di essere, questo, essenzialmente estraneo a un ente che ha il carattere dell’Esserci” (M. Heidegger - “Essere e tempo”). Questo significa che l’Esserci è del tutto immateriale, in quanto il corpo è, prima di tutto, una presenza, anzi la presenza fondamentale grazie alla quale ci siamo e siamo venuti alla vita. Una cosa tanto fondamentale per la nostra vita e per la nostra esistenza, come il corpo, non può essere estraneo alla nostra personalità. Questo vuol dire che, nella filosofia di Heidegger, il corpo è sostanzialmente insignificante, perché i valori esistenziali sono posti al di fuori della “presenza”, dal che deriva che il corpo, così come in Lutero, in Cartesio e in Kant, finisce per trovarsi collocato all’interno di beni “strumentali”, i quali non hanno valore per se stessi, ma hanno valore solo per chi ne usufruisce. Dopo l’alienazione cristiana nello spirito riesce difficile all’uomo moderno in generale capire che l’individuo non “ha” un corpo, ma “è” un corpo. Dato che la modernità, sulla scia del cristianesimo, ritiene il corpo un bene “strumentale”, ne deriva che può diventare oggetto di disegni, di simboli, di modificazioni genitali (transessualità), ne deriva che una mente tutta psichica si ritiene giustificata nel considerare il proprio corpo come non adatto alla mente stessa, in fondo di tratta solo di rifiutare uno “strumento” (omosessualità: l’omosessuale si comporta, sessualmente, in modo del tutto incongruo rispetto al suo corpo) o addirittura di modificarlo (transessualità). Questo considerare il proprio corpo come un semplice “strumento” è del tutto innaturale ed è la conseguenza dell’altissimo livello di alienazione cui spinge la civiltà. L’omosessualità è più diffusa nei paesi civili che in quelli primitivi. Non che i primitivi non avessero dei possibili sviluppi omosessuali, ma il fatto stesso che la ritenessero una manifestazione strana, quasi simbolo di una elezione divina, dimostra che essa non era ritenuta appartenente del tutto al mondo naturale che gli era proprio. L’improprio secondo natura viene ritenuto dai primitivi un segno di elezione divina, cioè di superiorità, ma non di naturalezza. C’era, contemporaneamente, l’onore verso l’omosessuale e il suo rifiuto nel momento stesso in cui gli veniva assegnato tale ruolo. In alcuni popoli di cacciatori e raccoglitori l’omosessuale era una manifestazione del “contrario”, per cui l’individuo omosessuale era portato a tenere dei comportamenti “contrari” a quelli della tribù anche in altri ambiti della vita quotidiana diversi rispetto alla sessualità (vedi oltre per l’approfondimento del tema del “contrario”). Tutto questo con il consenso della tribù. Questo comportamento dei primitivi mostra che anch’essi ritenevano “innaturale” l’omosessualità,  ma aveva il pregio di evitare che ci potesse essere violenza nei confronti degli omosessuali. Il fatto che l’omosessualità sia e resti innaturale, ovviamente, non giustifica la violenza contro l’omosessuale, violenza fatta da persone che o ritengono la società un “ordine” da imporre con la violenza (fascisti) o che ritengono di essere dei giustizieri che agiscono in nome della natura. Che l’omosessualità sia fisicamente innaturale non significa che bisogna lapidare gli omosessuali, infatti chi, nella civiltà moderna, è del tutto esente da qualche comportamento innaturale? Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Il che, poi, non vuol dire neppure che tutti i comportamenti dell’uomo civile debbano essere per forza innaturali. Quelli che palesemente derivano dal corpo, come essere o maschio o femmina, non sono innaturali in alcun modo. Il corpo è la modalità con la quale veniamo al mondo ed è quindi precedente ad ogni forma di condizionamento sociale dovuta all’educazione, all’ideologia, alla politica. Insomma, è un diritto considerare innaturale l’omosessualità (e ovviamente ancora di più la transessualità, una vera mostruosità estetica, un pugno nello stomaco), ma non è un diritto essere intollerante verso gli omosessuali. Stabilito questo, appare ovvio che oggi si sia superato il limite anche nella critica a coloro che non accettano, sul piano naturale, l’omosessualità e la transessualità, dalla lotta all’omofobia si passa, in tal modo, all’obbligo dell’omofilia. Ciò è del tutto inaccettabile. E’ quello che fa Onfray nei confronti di Freud (e che qualche cretino potrebbe fare anche nei confronti di chi scrive, in piena libertà di coscienza, queste pagine), immaginando l’ipotesi assurda di un’“omofobia ontologica”, come se chiunque non si adegua all’opinione pubblica, oggi favorevole a sostenere che l’omosessualità sia una sessualità come un’altra, debba essere demonizzato come “omofobo”. Non esistono più tipi di sessualità, almeno dal punta di vista fisico, le variazioni psicologiche dell’eccitazione sono un’altra cosa rispetto alla verità ontologica del corpo. La sessualità è, in natura, solo la distinzione di maschio e femmina, chi non si comporta da maschio, essendo maschio, e chi non si comporta da femmina, essendo femmina, si comporta in modo innaturale. Il corpo non dice altro. Le varianti psicologiche del piacere e dell’eccitazione possono seguire qualunque fantasia, ma non sono la sessualità dal punto di vista fisico. L’importanza esclusiva che si attribuisce al piacere e all’eccitazione, senza le quali, ovviamente, l’atto sessuale non viene compiuto, dipende da quell’eccessiva importanza che viene oggi data all’interiorità psicologica. E’ la conseguenza del culto dell’interiorità di tipo cristiano e protestante. In questo modo si finisce per non riconoscere più la dimensione fisica della sessualità e quindi neppure l’innaturalezza dell’omosessualità e della transessualità. C’è chi equipara l’artificiale e il naturale (seni “rifatti”, operazioni genitali ecc.) con una superficialità sconcertante. Ciò appare ovvio in una società che ha stabilito che è importante solo quello che si pensa. Il fattore soggettivo, come il piacere e l’eccitazione, sono diventati qualcosa che hanno vita propria, indipendentemente dalla natura del corpo che si possiede. Se qualcuno si eccita e prova piacere facendo una specie di atto sessuale con un lampione, ciò viene preso semplicemente come una forma di sessualità “uguale” ad un'altra. Non si dice che è innaturale. L’importante è affermare l’“uguale”, come se tutti i comportamenti sessuali fossero equivalenti e non ci fosse un corpo naturale. Questo perché l’arbitrio regna sovrano e ad ogni arbitrio, sul piano sessuale, viene a priori assegnato valore equivalente (ad esempio si fa finta di non notare l’innaturalezza del sadismo e masochismo sessuale). In tal modo regna sovrana anche l’ipocrisia, in virtù della quale si è accondiscendi con qualsiasi innaturalezza perché si è schiavi del gruppo sociale che impone come prima regola l’“uguale”. Onfray, che accusa Freud di “omofobia ontologica”, neppure si rende conto del fatto che la sua affermazione è la conseguenza del più stupido “conformismo sociale”, il quale oggi ha stabilito che la sessualità è un fatto mentale e interiore (eccitazione e piacere avulsi da ogni natura fisica) e che, quindi, ci sono più forme di sessualità e che ogni forma di sessualità vale l’altra, mentre, nella realtà fisica, c’è solo una sessualità, quella che distingue i corpi in maschio e femmina, così che, nella realtà naturale, solo il comportamento eterosessuale è naturale e coerente con la distinzione dei corpi in maschio e femmina. Dice Onfray: “La fallocrazia e la misoginia di Freud si accompagnano a una omofobia ontologica. L’onestà impone di segnalare che nel 1897 Freud firma la petizione del sessuologo tedesco Magnus Hirschfeld in cui si chiedeva di abrogare un articolo del codice tedesco che puniva l’omosessualità maschile. E che nel 1905 in ‘Tre saggi sulla teoria sessuale’ afferma chiaramente: ‘Gli invertiti non sono degenerati’..il che ha il merito di essere chiaro. Ecco perché parlo di omofobia ontologica e non di omofobia politica e militante. Quale è la differenza? L’omofobia politica pratica la discriminazione, o la criminalizzazione di questa pratica sessuale; l’omofobia ontologica la considera in relazione a una norma rispetto alla quale essa appare come anormale o perversa..In questo caso la perversione non è morale, ma topica: come già abbiamo avuto modo di ricordare, Freud pensa la sessualità come unione di due esseri di sesso diverso in vista di una copulazione genitale’ (M. Onfray - ‘Crepuscolo di un idolo’ (Smantellare le favole freudiane)). Che la sessualità non abbia niente a che fare con una copulazione genitale chi lo stabilisce? Si può discutere se la copulazione genitale debba essere o no finalizzata alla procreazione (anche se appare certo disposta a tale scopo), ma dire che la sessualità è estranea alla copulazione genitale equivale a dire che la sessualità è estranea al corpo. Cioè equivale a dire una bestialità. Freud ‘omofobo teorico’? O semplicemente Freud moralista dell’età vittoriana? Che non è la stessa cosa. Anche perché, sapendo quanta importanza ha la bisessualità nell’omosessualità, non si può accusare Freud di ‘omofobia teorica’ quando Freud ha teorizzato l’idea di una ‘bisessualità originaria’ del genere umano, ciò in contrasto evidente con la realtà corporea e ricorrendo ad un’idea mitica sulla base di un’arbitraria analogia tra clitoride e pene, assimilati, appunto, nell’idea mitica. Quanto affermato da Onfray chiarisce la differenza tra ‘omofobia ontologica’ e ‘omofobia politica’ molto di più di quanto chiarisca che cos’è l’‘omofobia ontologica’. Essa sarebbe un’omofobia legata ad una ‘norma’, la norma sarebbe il fatto che Freud ‘pensa la sessualità come unione di due esseri di sesso diverso in vista di una copulazione genitale’. Occorre essere ciechi per non vedere che la sessualità è legata ad una diversità sessuale. E’ vero che Freud appare legato al pregiudizio della donna madre e quindi al sesso come semplice procreazione, ma da ciò all’omofobia c’è ancora un abisso, procreazione per la quale gli omosessuali sono comunque fuori gioco, ciò sebbene gli omosessuali sembra lo accettino poco (ma quel che pensano gli omosessuali non è la Bibbia), visto il modo insistente con il  quale cercano, contro natura, di eguagliarsi in tutto e per tutto agli eterosessuali (vedi l’esigenza di avere un figlio mediante le adozioni: come nasce questo bisogno di essere genitori senza avere la possibilità ‘in proprio’ di procreare? Il che, sia ben chiaro, appare anomalo anche nelle coppie eterosessuali sterili. Chi desidera quello che non può fare, sta prendendo a modello l’altro e non se stesso). Il fatto che gli omosessuali desiderino dei figli, nonostante la loro scelta sessuale, dimostra, inequivocabilmente, che essi ignorano la corporeità, perché vorrebbero essere procreativi anche come omosessuali e non potendo esserlo ricorrono all’artificio delle adozioni. L’omosessualità rientra nella più generale lotta contro il corpo che la civiltà sta compiendo da duemila anni a questa parte. Il solo far notare queste cose e queste differenze naturali appare ai sostenitori dell’uguaglianza assoluta come un atteggiamento ‘omofobo’, perché ragionano come se fosse ‘relativa’ anche la realtà e il corpo e vivono chiusi nella loro mente, nella quale c’è solo una stagnante palude fatta di ‘uguaglianza’. Viene veramente da irritarsi e da rispondere in modo maleducato quando alla realtà viene contrapposta continuamente un’astrazione intellettuale, cioè quella del tutto uguale, come se tutto fosse da misurare in termini di uguaglianza sociale. Questa gente è incapace di liberarsi dell’opinione pubblica, che, è bene segnalarlo, oggi come oggi non è certo omofoba, almeno tra le classi intellettuali. Anche svincolando il sesso dalla procreazione, a cui Freud sembra ancora legato, è la natura, non una norma sociale, non un’opinione soggettiva, che mostra i corpi come eterosessuali. Che ci si debba adeguare alle mode sociali fino a negare la realtà e la natura è veramente inaccettabile, è un tentativo di violenza e come tale va denunciato. Non esiste l’obbligo di ritenere che l’omosessualità sia naturale quanto l’eterosessualità e, se la società ponesse tale obbligo, sarebbe un diritto e un dovere ben preciso trasgredirlo e ignorarlo. Considerare l’opinione sociale come Dio è tipico dei vermi. L’eccitazione sessuale negli omosessuali genera reazioni genitali involontarie eterosessuali, questo lo dice il corpo, mentre Onfray sembra ragionare per uguaglianze astratte, ignorando il corpo. Solo i mediocri filosofi ignorano il corpo. Più che da Freud, che pure qui erra meno di chi lo accusa di ‘omofobia’, occorre prendere lezioni da Nietzsche: ‘Disprezzano il corpo: lo hanno lasciato fuori del calcolo’ (F. Nietzsche - ‘Frammenti postumi’ 1888 - 14 (96)).  E’ Nietzsche, prima ancora di Freud, che condanna come assurdo il concetto di ‘omofobia ontologica’, perché, quando si parla di ontologia, o si ‘mostra’, visivamente e materialmente, che le cose non stanno così o è meglio tacere. Mostrare sta per ‘vedere’, non per ragionare in astratto, cioè in termini di uguaglianza, rispetto al corpo. Se è vero che, nel passato e non sempre, molte società hanno assunto atteggiamenti ‘omofobi’ e del tutto arbitrari nei confronti degli omosessuali (che, in fondo, stavano solo gestendo la loro vita privata sessuale, distorta naturalmente sì, ma in fondo la “loro” vita privata), se è vero cioè che sia sussistito e talvolta sussista ancora un pregiudizio sociale di ‘omofobia’ (specialmente in certi ambienti dove regna il culto dell’‘ordine’, ambienti cristiani e gerarchici o fascisti; considerare ‘contro natura’ l’omosessualità, però, non si richiama al culto dell’ordine, che è un fenomeno sociale, ma alla necessità naturale: vedere in proposito la distinzione nietzscheana tra ‘necessità’ - natura - e ‘ordine’ - società -), è indubbio che, dopo gli anni Sessanta, sulla scia di uno psicologismo dilagante e di un egualitarismo sempre più astratto, la società ha finito con l’assumere un altro tipo di pregiudizio sociale, cioè il pregiudizio sociale di ‘omofilia’. Di questa ‘opinione pubblica’, drogata di psicologismo, Onfray si fa forza come se fosse, per il solo fatto di essere ‘opinione pubblica’, depositaria della verità. In questo senso Onfray è solo il megafono intellettuale del pregiudizio egualitarista del tempo, che si manifesta nell’astratta eguaglianza fissata da una coscienza che ignora i corpi secondo il modello protestante. Questi protestanti laici, che fanno oggi “opinione pubblica”, non si rendono conto di quanto sono “conformisti”, ma neppure si rendono conto del fatto che conformismo e opinione pubblica rappresentano la base per le dittature e per la soppressione della libertà di pensiero. L’accusa di “omofobia ontologica”, infatti, cos’altro è se non una “demonizzazione” di chi reputa inscindibile la sessualità dalla diversità corporea? Cos’altro è se non un voler eliminare la “libertà di opinione” sull’omosessualità? Ciò è evidente, essa nasconde un fascismo viscerale che non accetta opinioni che vanno controcorrente, visto che il presunto omofobo ontologico, di fatto, esprime solo una sua valutazione circa la naturalezza o meno dell’omosessualità e circa la legittimità di equiparare omosessualità ed eterosessualità. Non esiste il diritto di imporre per legge o per conformismo con l’opinione pubblica l’apprezzamento dell’omosessualità, dietro l’accusa di “omofobia ontologica” si nasconde una pretesa di assolutezza delle proprie opinioni a favore dell’omosessualità, il che, in termini politici, equivale all’imposizione dell’omosessualità di Stato. Dato che l’omofobo ontologico non effettua alcuna violenza o persecuzione reale sugli omosessuali, la questione diventa solo un divieto di pensare in modo diverso dall’omofilia. L’accusa di “omofobia ontologica” è una precisa minaccia per la libertà di pensiero e di opinione, possibile che si faccia finta di non rendersene conto? Si dirà: ma se le opinioni contrarie all’omosessualità diventano maggioranza non si rischia di assolutizzare l’omofobia anche pratica? Un conto è non apprezzare l’omosessualità, un altro conto è acconsentire alla violenza. La verità non sta mai nell’opinione pubblica di per sé, sia se è omofoba e sia se è omofila, non sta mai nell’esigenza psicologica di per sé, sta nel ‘corpo’ e nel modo in cui reagisce il corpo all’eccitazione, ci sia o non ci sia l’atto procreativo (comunque la funzione procreativa non può non essere considerata un indizio ben preciso di cosa sia fisicamente la sessualità). Insomma bisogna vedere se il pregiudizio consista nell’‘omofobia ontologica’ o non consista, invece, nello psicologismo ed egualitarismo astratto, se consista nel non partire dal corpo nelle considerazioni sessuali o nel partire dal corpo, se consista nel considerare l’omosessualità naturale o contro natura. Il corpo, nella sua oggettiva differenza tra maschio e femmina, nella reazione fisica susseguente all’eccitazione (anche mettendo tra parentesi la procreazione, il che si può fare rispetto al fine, non rispetto al mezzo, perché il mezzo, comunque, rivela la struttura eterosessuale della sessualità), non lascia dubbi sulla sua natura ontologicamente eterosessuale. Freud, quindi, ha perfettamente ragione nel ritenere ‘la sessualità come unione di due esseri di sesso diverso’, e, quando si fa sesso, bene o male, prima o poi, i genitali vengono coinvolti. Il corpo è ‘omofobo’? Se è così, in nome del corpo è perfettamente legittimo essere ‘omofobi’ in senso ontologico, anzi è l’unica posizione corrispondente alla verità, che Onfray e l’opinione pubblica di oggi lo vogliano o no.
    L’idea di una natura duplice, spirituale e materiale, dell’essere umano, abbiamo visto che si trova nella cultura cristiana (Lutero), per conseguenza si trova un pò ovunque, In Cartesio (vedi “ghiandola pineale” che deve mettere in contatto il corpo meccanico con l’anima inestesa), in Kant (fenomeno, noumeno), nella scienza (soggetto, oggetto). Quando l’uomo viene letto dualisticamente si perde il carattere univoco della persona, la base del carattere univoco della persona è il corpo. Esso è la realtà, l’altro lato del dualismo è l’allucinazione. Così si parla di doppiezza anche nella sessualità, nonostante il corpo sia sempre, tranne eccezioni molto rare, sempre univocamente o maschio o femmina. L’assolutezza ontologica del corpo non può essere scambiata per un’opinione sociale, per una convenzione o addirittura per ideologia. Il corpo è univoco ontologicamente e viceversa la sua ontologia è univoca. Se il corpo esclude ontologicamente l’omosessualità, questo fatto non può essere fatto passare per un pregiudizio sociale, come fa credere Onfray parlando di “omofobia ontologica”, perché l’ontologia è la realtà e il pregiudizio è ciò che la società costruisce come opinione pubblica contro la realtà. In altri termini, se l’opinione pubblica insiste nel dire che gli omosessuali sono “uguali” nei comportamenti sessuali agli eterosessuali, e lo dice per impedire che vengano perseguitati, dice comunque una cosa falsa, sia pure a fin di bene. Dice una cosa falsa perché i comportamenti non sono “uguali” e, mentre gli eterosessuali si comportano in maniera coerente al loro corpo, gli omosessuali non lo fanno, fino a giungere alla pretesa di mutare il loro corpo perché non ritenuto coerente all’abito mentale che l’omosessuale ha assunto, da ciò deriva la decisione di operarsi e di diventare un transessuale. L’incoerenza tra corpo e abito mentale, che nel transessuale diventa evidente al punto che vuole mutare il suo corpo, sussiste anche nell’omosessuale, solo che l’omosessuale convive con l’incoerenza rispetto al proprio corpo. Il pregiudizio risiede sempre nella mente, mai nel corpo: se è il corpo, quindi l’ontologia, a fondare l’incompatibilità tra corpo e omosessualità, allora il pregiudizio è l’omosessualità. Sostenere, al contrario, che chi ritiene innaturale l’omosessualità abbia un pregiudizio, come se l’omosessualità fosse qualcosa di dato oggettivamente alla stregua di un corpo e quindi indiscutibile, sicuramente significa aver fissato il pregiudizio dell’omosessualità. Questo pregiudizio è quello che viene fissato nell’“omofilia” odierna, che si presenta nella veste buonista della lotta alla violenza contro gli omosessuali. Dato che la violenza è inaccettabile e quindi la lotta all’omofobia è sacrosanta, ne consegue che inevitabilmente si cade nell’omofilia. In tal modo la libera discussione relativa alla naturalezza dell’omosessualità viene resa impossibile, censurata a priori, perché fatta passare per una variante dell’omofobia, cioè per “omofobia ontologica”. Il che equivale a dire che “non si deve” discutere liberamente circa l’omosessualità, ma si “deve” considerala una cosa del tutto naturale ed equivalente all’eterosessualità. Questa censura è inaccettabile. Il principio dell’uguaglianza tra omosessualità ed eterosessualità diventa il pregiudizio sociale in base al quale viene fissata l’etichetta di “omofobo”. Se tratti in modo diverso omosessuali ed eterosessuali, vieni subito etichettato come “omofobo” (da ciò il fatto che l’opinione pubblica diventa favorevole alle adozioni da parte di coppie omosessuali, cioè di coppie che, fisicamente parlando, sono costituite da due padri o da due madri). Dietro l’omofilia si cela il “pregiudizio di uguaglianza”. Occorre prendere atto che l’uguaglianza, al massimo, è un principio di equità sociale, ma non ha nulla a che fare con la natura. In natura eterosessualità e omosessualità sono diverse: la prima è conforme al corpo, la seconda no, appare come un semplice atto psichico arbitrario. Solo ciò che è conforme al corpo è naturale. Il pregiudizio di uguaglianza si trova perfino in Freud nascosto nel mito della “bisessualità” originaria dei singoli esseri umani. Questo perfino in contrasto con l’idea freudiana per cui la sessualità è fondamentalmente eterosessuale (per la quale Onfray lo accusa di “omofobia ontologica”). Sostenere la “bisessualità” degli esseri umani equivale ad affermare che hanno la possibilità ad avere tendenze sia eterosessuali che omosessuali. Visto che, però, il corpo è univoco, per essere bisessuali, bisognerebbe avere due corpi, non usare in modo improprio il corpo che si possiede. Freud, sulla base delle omologazioni analogiche che facevano i positivisti nelle varie parti del corpo (per cui si assimilavano cavalli, lepri ed uomini sulla semplice base della funzionalità di un arto), pretende perfino di trovare una “doppiezza” corporea, in particolare nella donna, interpretando la vagina come organo femminile e la clitoride come un “piccolo pene”, quindi un organo maschile: “Il primo luogo occorre riconoscere che la bisessualità, asserita nella disposizione di tutti gli esseri umani, viene fuori molto più chiaramente nella donna che nell’uomo. L’uomo ha solo una zona sessuale direttiva, un organo sessuale, mentre la donna ne possiede due: la vagina, propriamente femminile, e la clitoride, analoga al membro maschile” (S. Freud - “Scritti sulla sessualità femminile” - b. Sessualità femminile). Proprio questa bisessualità femminile, per Freud, porrebbe la donna in competizione sessuale con il maschio, giacché, se la clitoride è “analogo al membro maschile” (le “analogie” non sono verità scientifiche, direbbe qualsiasi scienziato serio, ma non sono neppure reali), allora diventa evidente che la clitoride è un “pene piccolo” e il pene è una “clitoride grossa”, da qui nascerebbe la presunta invidia del pene delle ragazzine: “Essa <la bambina> osserva il pene, vistoso e di grandi proporzioni <già da bambini si è ‘superdotati’?>, di un fratello o di un compagno di gioco, riconosce subito che esso è ciò che fa il paio in maggiori dimensioni al proprio organo piccolo e nascosto <la bambina è una scienziata positivista che effettua analogie assimilative? Per altro, se la clitoride è piccola e nascosta, per di più sembra inserita nel corpo e non appare come un organo del tutto esterno, come è il pene, per quale motivo la bambina, che già osserva con difficoltà la sua clitoride, dovrebbe assimilarla ad un pene più piccolo?> e di qui incorre nell’invidia del pene” (S. Freud - “Scritti sulla sessualità femminile” - a. Alcune differenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi). L’invidia del pene, dunque, nasce da una comparazione dovuta all’assimilazione arbitraria tra pene e clitoride. Dato che questa assimilazione è solo un delirio analogico dello scienziato positivista e dato che non sta scritto da nessuna parte che la bambina faccia analogie e assimilazioni del genere, l’invidia del pene deve ritenersi una gran buffonata della psicologia freudiana. Ma essa è, comunque, significativa di come la psicologia tende ad ignorare il corpo e le sue differenze. E’ significativa anche del fatto che si suppone senza fondamento una doppiezza sessuale nelle persone. Se la bisessualità non esiste, anche l’omosessualità subisce la stessa sorte. Freud ha almeno tentato di giustificare fisicamente la bisessualità: nella donna, dice, vi è un piccolo pene e una vagina. Si tratta sì di un’assimilazione del tutto arbitraria, ma almeno è un tentativo di mostrare fisicamente la bisessualità. Ma la clitoride non è un piccolo pene, né il pene è una grande clitoride, il corpo nega la bisessualità. Che l’omosessualità sia una bisessualità effettuata senza il supporto del corpo (da ciò nasce, poi, l’esigenza di modificare il corpo per giungere alla transessualità) appare evidente: nell’omosessualità maschile c’è il pene, ma manca la vagina, si cerca, quindi, un suo sostituto. Se ci si eccita sulla base del sostituto della vagina, resta il fatto che ci sono reazioni involontarie anche nel pene. Nell’omosessualità femminile c’è la vagina, ma manca il pene, per quanto la clitoride sia un organo direzionale, appare chiaro che esso non è fine a se stesso, altrimenti sarebbe del tutto esterno. La clitoride è eccitabile in funzione della vagina, non può essere separato e contrapposto alla vagina, come reputa Freud (e come reputarono, sul piano politico, le femministe storiche, che videro nella donna clitoridea la donna libera e nella donna vaginale la donna schiava dell’uomo). In realtà l’omosessualità fa sesso con un organo sessuale che “non c’è”, vale a dire usa in modo improprio il corpo. Poiché l’uso improprio del corpo non modifica la realtà del corpo, ne consegue che, fisicamente parlando, l’omosessualità non esiste ed è un fatto meramente psichico e arbitrario, cioè non naturale. Questa constatazione è un fatto, non un pregiudizio di “omofobia”, non si può, in nome dell’eguaglianza, negare i fatti e la realtà.
    La teoria della bisessualità di Freud nasce dai suoi pregiudizi positivisti, ad esempio dall’idea di evoluzione e di
organo atrofizzato, cioè dall’idea che due parti del corpo, collocate nella stessa zona ma diverse, di esseri anche complessivamente diversi fisicamente, come sono uomo e donna, siano originariamente lo stesso organo che ha subito due sviluppi evolutivi diversi: la clitoride sarebbe un pene atrofizzato. Allo stesso modo si potrebbe dire che la proboscide di un elefante non è altro che il naso di un ippopotamo sviluppato o, viceversa, che il naso dell’ippopotamo è una proboscide atrofizzata. E’ quasi impensabile una sopravvivenza della specie umana immaginando che, in tempi ancestrali, sia l’uomo che la donna possedessero un pene. Queste “analogie”, che la mente umana farnetica, sono del tutto scorrette, false, anti-naturali e irreali. Esse sono delle “mediazioni” che, non essendo sperimentabili nella realtà attuale, vengono spostate in un’età mitica, ancestrale, com’è tipico dell’evoluzionismo darwiniano e freudiano. Non è certo un caso che Freud sposti i suoi modelli di spiegazione tutti nell’infanzia: l’infanzia è l’equivalente dell’età mitica e ancestrale. Queste “mediazioni” nascono dall’arroganza della mente che fissa come “dover essere” la tendenza ad unificare, eguagliare, semplificare tutto, così che tutto, ove l’analogia è possibile, diventa riconducibile ad un modello “unico”. Il “pensiero unico” viene contrapposto alla varietà individuale, sessuale e di specie che la natura mostra ogni giorno nella realtà. La supposizione, in Freud, della bisessualità, più evidente nella donna, nasce dal presupposto dell’arbitraria analogia tra pene e clitoride, per cui quest’ultima sarebbe un pene atrofizzato. Con ciò viene posta un’“analogia” che, con una “mediazione”, scavalca la realtà, dove c’è soltanto la diversità tra i due organi sessuali. Procedendo in questo modo si viene a creare un’ambivalenza che in natura non esiste (tranne in pochi, rarissimi, casi): l’organo sessuale femminile, con l’imposizione dell’analogia con il pene, appare anche, in parte almeno, un organo sessuale maschile. Si apre la via ad una presunta giustificazione fisica della bisessualità. Tutti sono più tranquillizzati, perché la società è impostata, specie in epoca moderna, sul presupposto che tutti gli individui, maschio o femmina che siano, bianchi o neri che siano, bruni o biondi che siano, vanno considerati “uguali”. Di più, la società moderna nasce dal presupposto che gli individui “devono essere” uguali. Il “dover essere” sociale sta violentando la diversità naturale. Quindi la bisessualità, parente dell’omosessualità, appare come il corrispondente atteggiamento sessuale di una società regolata dal “dover essere dell’uguale”. L’uguale produce l’ambivalenza. Anche al di là delle precisazioni anatomiche di Freud, tutti ritengono oggi che c’è negli individui una parte maschile e femminile, si è giunti ad affermare che gli eterosessuali puri reprimono la loro parte omosessuale. Si ragiona secondo i parametri di un ermafroditismo universale ideologico che è il corrispondente del “dover essere dell’uguale”. La società si è impadronita delle mente fino al punto di giungere alla rimozione della natura e della realtà. L’ideologia sociale raggiunge, in tal modo, livelli psicotici. Questi omofili sono psicotici. Questo “pregiudizio di uguaglianza” della società è fortemente autoritario, viene inculcato negli individui fin dalla prima infanzia, per cui fin da giovani si cresce in una dimensione di “ambivalenza” e di “conflitto”, più o meno secondo una logica che corrisponde a quella che Freud descrive quando parla del “divieto ossessivo” che confluisce nel “tabù”. Il divieto sociale, imposto dal “dover essere dell’uguale”, appare come un principio immotivato, esattamente come il “tabù”. Il giovane individuo per impulso è spontaneamente individuo, quindi anche egoista in modo sano, per impulso sarebbe maschio o femmina a seconda della costituzione fisica del suo corpo e via dicendo. Questo impulso, però, è contrastato dal “divieto” di essere individuo o di essere maschio o femmina in piena spontaneità, perché in natura essere individuo o essere maschio o femmina significa affermare una diversità e un egoismo. La diversità e il naturale egoismo, però, eliminano il “dover essere dell’uguale” e altruismo che la società vorrebbe imporre. Il mondo pulsionale della diversità naturale, individuale e sessuale, e il tabù dell’uguale (l’orrore del diseguale), imposto dalla società, entrano in contrasto perenne, secondo modalità che Freud descrive in questo modo: “data la costituzione psichica del bambino, il divieto non riesce ad eliminare la pulsione. Unico risultato della proibizione è stato di rimuovere la pulsione..e di esiliarla nell’inconscio. Divieto e pulsione si sono conservati entrambi: la pulsione perché è stata soltanto rimossa e non eliminata, il divieto perché, venendo a cessare, la pulsione sarebbe penetrata nella coscienza e si sarebbe attuata. Si è creata così una situazione irrisolta..e dal perdurante conflitto tra divieto e pulsione deriva tutto il resto” (S. Freud - “Totem e tabù” - saggio n. 2). Freud chiama questa una situazione: “ambivalenza”. Ora appare chiaro che l’omofilia è l’espressione ideologica di questa ambivalenza. La società, imponendo il “dover essere dell’uguale”, pone, di fatto, un divieto: non si può essere “diversi” profondamente e in modo autentico: la diversità individuale, quella sessuale, quella dei corpi, non devono essere prese in considerazione, pur seguitando a sussistere materialmente. Deve essere preso in considerazione solo l’“uguale”, per il quale individui diversi, corpi diversi, sessualità diverse vanno considerate come uguali e quindi trattate in modo uguale. La società sembra appropriarsi degli stessi spazi della natura, si arriva perfino a negare la natura e ad affermare un “pensiero unico” come “dover essere” sociale. Se questo “dover essere dell’uguale” non fosse identificato, a sua volta, con il concetto di Umanità (il dover essere dell’uguale, quindi, è l’espressione di una religione laica dell’Umanità), sarebbe come se si dicesse che anche i cani hanno diritto, per eguaglianza, ad avere un televisore. Un’applicazione simile dell’uguale avrebbe soltanto rimosso la differenza psico-fisica che sussiste tra uomini e cani. Gli “amanti” degli animali spesso torturano gli animali stessi equiparandoli ad esseri umani con vestitini, casette e altri arnesi antropocentrici. Sembra che l’uomo sia capace di rispettare la vita solo se la riconduce nella gabbia dell’“uguale”, mentre la vita va rispettata nella diversità, riconoscendo la diversità, anziché rimuoverla. Altrimenti accade quel che diceva il saggio taoista, che in proposito la sapeva lunga: “Non hai inteso parlare di quell’uccello marino che una volta si fermò nel contado di Lu? Il marchese di Lu andò a riceverlo e gli offrì un festino nel tempio ancestrale, facendo eseguire le nove parti della musica shao per rallegrarlo e ammannire gli animali del grande sacrificio per satollarlo. L’uccello guardò con occhio deluso e, tutto afflitto e mesto, non osò mangiare una sola briciola di carne né bere una sola tazza di vino. Dopo tre giorni morì. Questo perché colui aveva nutrito l’uccello come nutriva se stesso e non come si nutriva l’uccello” (“Chuang-tzu” XVIII, 119). Con la rimozione all’impulso della diversità, che poi è un impulso egoistico, diversità ed egoismo subiscono un “divieto”, ognuno deve essere uguale ed altruista, deve essere se stesso e anche l’altro: ciò, a livello sessuale, diventa chiaramente teoria della bisessualità ed ermafroditismo ideologico, cioè omofilia ideologica. Il se stesso, individuale e sessuale, che viene indicato dal corpo e non dalle fantasie che stabiliscono solo la presunta onnipotenza del pensiero, viene rimosso assieme al corpo, ma, come dice Freud, gli impulsi corporei dell’individualità e della propria unica sessualità sono stati “soltanto rimossi e non eliminati”, per cui l’autorità dell’uguale, che porta a identificarsi con l’altro, anche con l’altro sesso (omosessualità, l’omosessualità e la bisessualità tendono a coincidere, perché l’identificazione con l’altro sesso non sempre riesce ad eliminare il rimosso, così che la propria eterosessualità riemerge spesso e volentieri), rimane in uno stato di “perdurante conflitto tra divieto <imposizione dell’uguale che vieta l’individualità e la sessualità come ‘diversità’> e pulsione”. Si fa, superficialmente, passare la società per responsabile della repressione dell’omosessualità o della bisessualità solo perché, storicamente, ha creato dei divieti in questo senso, ma questi divieti erano lo spostamento indebito della naturale diversità sul piano sociale, il quale ultimo trasforma tutto in autorità e gerarchia. Nel modo sbagliato, cioè sociale, quindi autoritario, le società repressive dell’omosessualità in qualche modo ancora recepivano un mondo estraneo alla società, cioè naturale. Per combattere la repressione, si è equiparata l’omosessualità all’eterosessualità, estendendo il principio del “dover essere dell’uguale”, che è il principio stesso della società, specie moderna. In questo modo, però, è stata cancellata del tutto la natura e al suo posto è stata collocata l’uniformità stagnante dell’“uguale” assoluto: questo non è assolutamente accettabile. La vera natura della società, specie moderna, non è la diversità, ma il “dover essere dell’uguale”, per cui è chiaro che la società, oggi come oggi, epoca di iper-socialismo (il che non significa affettività), esprime l’autentica dimensione della socialità, cioè quella per cui non si distingue tra gli individui e non si distingue tra i sessi: il dover essere dell’uguale diventa ermafroditismo universale ideologico, teoria della bisessualità, in cui l’essere dell’altro sesso corrisponde, appunto, all’omosessualità. Da ciò la diffusa omofilia che presenta se stessa come lotta all’omofobia. Tutto questo in barba ad ogni evidenza corporea, che viene rimossa generando il conflitto tra divieto (imposizione dell’uguale) e spontaneità corporea, spontaneità che mostra palesemente che l’individuo ha un solo corpo dal quale l’altro è escluso, che ha un solo sesso, quello designato dal corpo e non dall’arbitrio mentale (che poi risente dell’essere “uguale” che impone la società), dal quale l’altro sesso è escluso. La rimozione di se stessi, della propria sessualità e corporeità non è eliminazione di se stessi, della propria sessualità e corporeità, ma solo la creazione di un “perdurante conflitto”.  
     Nel corso della storia, l’omosessualità è stata ora più largamente accettata, ora meno. Rispetto al singolo individuo, nessuno ha il diritto di sindacare sul comportamento omosessuale o meno della persona, il che non significa, però, che la società debba imporre il dovere dell’omofilia. Se non esiste il diritto e il dovere dell’omofobia, non può esistere neppure il dovere dell’omofilia. Per chi non è omofilo, l’omosessualità è innaturale, far passare questa considerazione per omofobia, magari ontologica, significa demonizzare chiunque non è omofilo, significa voler imporre quello che non è affatto condiviso, cioè che omosessualità ed eterosessualità siano sessualità equivalenti. Non si può imporre il principio dell’uguaglianza sociale dove regna il fondamento della differenza naturale. Si è già accennato al fatto che, anche là dove l’omosessualità era stimata come elezione divina, la si considerava, in fondo, innaturale. Ciò viene confermato da quanto dice Leopardi circa l’omosessualità presso i greci (Leopardi fa anche notare che in epoca moderna c’è una certa omofobia, ma il fatto che si debba combattere l’omofobia, non significa che si debba sfociare nell’omofilia, ad esempio mettendo dovunque l’omosessuale: presentatori omosessuali, parate omosessuali, film dedicati ad omosessuali, perfino pubblicità che fa riferimento ad omosessuali, in pratica una “moda”, come vuole l’omofilia, questa non è la discrezione di chi semplicemente combatte la violenza cui può portare l’omofobia, questo è voler imporre l’omosessualità come una “norma”, come se la “normalità” dovesse essere socialmente e artificialmente costruita per sostituire e tenere lontana quella naturalezza che manca: è l’omofilia che sta sostituendo l’artificio dell’opinione pubblica, reso “normalità”, alla natura, l’omofilia attuale è conformismo sociale, l’omosessualità, nell’omofilia, è diventata prepotente come una moda): “Non sarebbe fischiato oggidì..un poeta, un romanziere ec. che togliesse <scegliesse> per argomento la pederastia o l’introducesse in qualunque modo..? Ora la più polita nazione del mondo, la Grecia, l’introduceva nella sua mitologia..scriveva elegantissime poesie su questo soggetto, donna a donna..uomo a giovane..ne faceva argomento di dispute o trattati rettorici o filosofici..Anzi si può dir che tutta la poesia, la filosofia e la filologia greca versasse principalmente sulla pederastia, essendo presso i greci troppo volgare e creduto troppo sensuale, basso, triviale, indegno della poesia, l’amore delle donne <intendi tra uomo e donna>, appunto perché naturale..E Virgilio..ridusse ed applicò all’infame pederastia il sentimento, e ne fece il soggetto di una storietta sentimentale nel suo Niso e Eurialo..nota che forse all’esuberanza di vita si può attribuire la grande universalità della pederastia in Grecia, e in Oriente.., mentre fra noi bisogna convenire che questo è un vizio antinaturale, una inclinazione che il solo eccesso di libidine snaturante i gusti e l’inclinazioni degli uomini può produrre” (G. Leopardi - “Zibaldone” 1840-41). Leopardi nota: 1) che c’è una certa tendenza omofoba nella modernità, 2) che nella Grecia questa omofobia non c’era perché si trattava spesso dell’omosessualità, 3) che questa importanza dell’omosessualità in Grecia dipendeva dal fatto che l’eterosessualità veniva ritenuta volgare, mentre l’omosessualità veniva ritenuta nobile, 4) che la volgarità dell’eterosessualità dipendeva dal fatto che era naturale, 5) definisce comunque “infame” la pederastia, vale a dire l’omosessualità, 6) attribuisce l’omosessualità diffusa presso i greci e presso gli orientali ad un’esuberanza sessuale che porta ad eccessi, 7) conferma che ritiene l’omosessualità “un vizio antinaturale” e una “libidine snaturante i gusti”. Che l’omosessualità possa far capo ad un’esuberanza incontrollata è possibile, come capita in certi atteggiamenti omosessuali dell’infanzia che poi svaniscono. L’esuberanza, all’inizio, non riconosce la meta sessuale, cioè la complementarità fisica uomo-donna, tanto è vero che la masturbazione, inizialmente, non è solo un rifugio di indipendenza, ma è addirittura ritenuta la sessualità in se stessa. Solo gradualmente il giovane e la giovane prendono consapevolezza della reciproca attrazione dei loro corpi. Anzi inizialmente negano tale attrazione, perché gli appare inquietante e gli suscita dei timori riguardo alla propria libertà. La carica emotiva del rapporto sentimentale inizialmente genera nei giovani una difficoltà a riconoscere nell’altro sesso la vocazione stessa del proprio corpo. Per questo l’esuberanza sessuale si scarica in qualunque modo possibile. Ci sono, soprattutto nei giovani, comportamenti che sembrano omosessuali, ma che, col tempo, svaniscono del tutto per una maggiore consapevolezza del proprio corpo e della differenza sessuale maschio-femmina. Quanto all’eterosessualità come volgare, in quanto naturale, essa ripete, a livello di civiltà, l’atteggiamento di alcuni popoli primitivi che reputavano gli omosessuali, proprio in quanto non naturali, come portatori di un misterioso segno divino. Mentre con ciò si manifestavano pregiudizi religiosi o aristocratici, allo stesso tempo si ammetteva, di fatto, che naturale fosse solo l’eterosessualità. Da questo punto di vista l’antica Grecia non è un buon esempio, anche se aveva il merito di una maggiore tolleranza verso gli omosessuali. Sulla base di un segno aristocratico rozzo si correva il rischio di fare dell’omosessualità la “normalità” sociale, con la scusa della nobiltà e della divinità, in contrapposizione alla naturalezza che avrebbe reso volgare l’eterosessualità. Leopardi, pur notando l’eccesso di ostilità verso l’omosessualità in epoca moderna, mostra di non essere in linea con la “normalità sociale e artificiale” dei greci riguardo all’omosessualità. Espressioni come “infame pederastia” e “vizio antinaturale” riferite all’omosessualità non lasciano dubbi in proposito. Eppure il poeta omosessuale Dario Bellezza ha voluto far credere che Leopardi fosse omosessuale. Anche questo voler far diventare omosessuali grandi personaggi del passato rientra in quel processo di “normalizzazione” (rendere norma) dell’omosessualità in cui consiste, da qualche decennio a questa parte, il trionfo dell’omofilia. Ma l’omofilia non può diventare obbligatoria attraverso il processo di “normalizzazione” dell’omosessualità, perché la “norma” non coincide con la “natura”. Tra natura e società, bisogna seguire sempre prima la natura, altrimenti si subisce una violenza. “Normalizzare”, quindi, Leopardi come omosessuale è solo un disegno politico, perché Leopardi non apprezzava affatto l’omosessualità, come queste pagine dello “Zibaldone” (un’opera non destinata alla pubblicazione) dimostrano: “Alle altre barbarie umane da me altrove notate si aggiunga la pederastia, snaturatezza infame che fu pure ed è comunissima in Oriente..e non fu solo propria de’ barbari ma di tutta una nazione così civile come la greca..Quanto noccia questo infame vizio alla società ed alla moltiplicazione del genere umano, è manifesto” (G. Leopardi - “Zibaldone” 4047)  
    E’ la vera prova provata del fatto che l’uomo moderno non vuole rispettare il mondo naturale, in cui è compreso il suo corpo, il fatto che l’omofilia nasca, da un lato, da una “trasgressione” fine a se stessa (la quale suppone sempre un regola da violare e, quindi, nel contempo autorizza la regola ad esistere) e dall’altro lato dall’uso di quei termini, come “apertura mentale”, che fanno riferimento alla semplice astrattezza di pensiero e dimenticano la realtà corporea delle cose e delle persone. Il corpo è quello che è, non può seguire le “aperture mentali”, un corpo “aperto” è un corpo che smette di essere se stesso, un corpo che muore, il corpo non può essere “aperto”. Tale apertura mentale è semplicemente un vizio intellettuale, come se l’uomo potesse essere tutto, quindi maschio e femmina contemporaneamente, come se potesse, da buon camaleonte, cambiare attitudine così come l’animale cambia la sua apparenza. Il lavorio psichico di alienazione viene spacciato per realtà più autentica, come se ci fosse una realtà più autentica “oltre” il corpo dato. L’omosessuale è tale per un atto religioso. Si dà per scontata, in tal modo, la bisessualità, come se fosse un’apertura e non semplicemente la perdita di cognizione del proprio corpo, del proprio Sé. Si cercano perfino convalide scientifiche dell’omosessualità e della bisessualità, come se non fosse noto che le ricerche scientifiche sono pilotate dai pregiudizi e dalle teorie sociali che fondano metodi, scopi e risultati della ricerca. Insomma l’apertura mentale, rispetto al corpo, è un vero e proprio pregiudizio. Il corpo non ha alcuna apertura mentale, perché il corpo non è una mente. Ma per capire questo occorrerebbe cessare di credere al dualismo mente-corpo, occorrerebbe capire che la coscienza resta nella realtà solo se fa sua la realtà corporea. Questa è maschio e femmina quanto alla differenza sessuale, mai, almeno a pieno, tutte e due contemporaneamente. Da duemila anni a questa parte l’uomo non ha fatto altro che tentare di “uscire da sé”, dalla propria realtà, ha reso una vera abitudine il mentire a se stesso. Questo mentire a se stesso è diventato perfino “opinione pubblica”, ma le persone libere dell’opinione pubblica se ne fregano.
    Nella società, specie odierna, in cui dominano la menzogna e l’artificio, credere, come si crede qui, che, in natura, l’omosessualità non esiste, ciò anche se esistono gli omosessuali, è difficile come far credere ai credenti che Dio non esiste. Il fatto che esistano i credenti non significa che esiste Dio, allo stesso modo, il fatto che ci siano esseri umani che tengono un comportamento omosessuale non significa che esista l’omosessualità. L’omosessualità non ha un corpo proprio (mentre l’eterosessualità sì: maschio e femmina) e ciò che non ha un corpo proprio non esiste. Il sesso lo decide la natura, non la società e neppure la psiche umana. Così come io non mi sono fatto traviare dall’opinione pubblica circa l’esistenza di un Dio, allo stesso modo non mi faccio traviare dall’opinione pubblica e dalla sua attuale omofilia.
    La natura è la dimensione più difficile da far comprendere all’intellettuale, il quale vede, sistematicamente, l’individuo naturale, umano o animale che sia, sempre in modo “dualistico”. Non si riesce a far comprendere che il “dover essere dell’uguale”, al massimo, può essere un’esigenza sociale, ma che essa non corrisponde alle diverse doti naturali. Chi considera le diverse doti naturali dei privilegi ha completamente perso la sua mente nella dimensione intellettuale, cioè artificiale, per la quale non esistono individui al di là dei cittadini, al di là delle classificazioni concettuali. La differenza di genere, cioè maschio-femmina, esattamente allo stesso modo della differenza individuale, si colloca “al di là” del bene (uguale) e del male (superiore-inferiore), si colloca nella dote naturale e le doti naturali non possono e non devono essere negate nell’uguaglianza sociale. C’è un limite all’uguaglianza sociale e si colloca nelle doti naturali degli individui, la differenza tra eterosessuali ed omosessuali si colloca “al di là” dell’uguaglianza sociale. Questo significa che se, come individui, gli eterosessuali e gli omosessuali hanno uguali diritti e doveri (quindi l’omosessuale ha diritto a snaturarsi come individuo), secondo la diversità delle doti naturali l’uguaglianza tra eterosessuali ed omosessuali non può e non deve essere riconosciuta. Non distinguere il piano naturale da quello sociale, tenendo presente che le norme giuridiche devono tenere conto sia del piano sociale che di quello naturale, è la cecità inaccettabile che ha portato oggi all’omofilia, che vuole imporre, in modo totalitario (cioè fascista, i veri fascisti sono quelli che oggi vedono in chi li contraddice solo “omofobi”, come i fascisti di un tempo vedevano in chi li contraddiceva solo comunisti), come legge assoluta il dover essere dell’uguale.
    Un’ultima considerazione: prendendo spunto da Pirandello. Mi riferisco a quello che Pirandello definiva “umoristico”, che, secondo il suo parere, si basa sul “sentimento del contrario”. Ecco, tanto l’omosessualità, nei comportamenti sessuali, quanto la transessualità, nel diretto apparire fisico, manifestano il “sentimento del contrario”. Che questo “sentimento del contrario” debba ricondursi al comico, all’umoristico o più semplicemente
al ridicolo, è cosa da stabilire dopo. Certamente l’omosessualità e la transessualità non sfuggono ad almeno una delle tre ipotesi, addirittura potrebbero coinvolgerne più di una. Dice Pirandello: “nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l’immagine; da questa analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo ‘il sentimento del contrario’. Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto ‘avvertimento del contrario’. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo ‘avvertimento del contrario’ mi ha fatto passare a questo ‘sentimento del contrario’. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico. ‘..signore, forse, come gli altri, voi stimate ‘ridicolo’ tutto questo..’. Così grida Marmeladoff nell’osteria, in ‘Delitto e castigo’ del Dostojevski, a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi. E questo grido è appunto la protesta dolorosa ed esasperata d’un personaggio umoristico contro chi, di fronte a lui, si ferma a un primo avvertimento superficiale e non riesce a vederne altro che la comicità” (L. Pirandello - “L’umorismo” - part. 2°). Sembrerebbe, dunque, che il comico e l’umoristico abbiano lo stesso contenuto, cioè ‘l’avvertimento del contrario’ che fa apparire ‘ridicolo’. Fermarsi a questo punto, secondo Pirandello, è superficiale, mentre l’umorismo, mediante l’analisi, aggiungerebbe un elemento psicologico che porta alla considerazione per cui esiste un elemento penoso che spinge al superamento del comico e del ridicolo. Pirandello complica intellettualmente con la psicologia le cose. Riguardo all’omosessualità e alla transessualità, ma anche riguardo alle operazioni chirurgiche di rifacimento del viso e del corpo, invece occorre attenersi con rigore al corpo e la psicologia non può minimamente giustificare. A parte che resta discutibile il fatto che “fare pena” (umorismo) sia cosa migliore del “fare ridere” (comico), l’elemento determinante nell’omosessualità, nella transessualità, nel rifacimento di labbra, zigomi, seni e altre cose del genere (il rifacimento chirurgico del fisico accomuna la transessualità a qualsiasi altro rifacimento corporeo) è il “ridicolo”. Il ridicolo può anche far ridere, oppure, se scatta la riflessione di cui parla Pirandello, suscitare quel senso di pena che non fa ridere e che Pirandello chiama “umorismo”, in ogni caso si tratta della reazione di osservatori di fronte alla “percezione del contrario”. In altri termini esiste oggettivamente una “percezione del contrario”, cioè il “ridicolo”, se esso susciti la comicità o l’umorismo interessa poco. Tra l’altro può anche suscitare la nausea. Il motivo che potrebbe indurre a suscitare pena verso la donna che, secondo la “percezione del contrario” (ridicolo), da vecchia vuole apparire giovane (nel passato con trucchi e vestiti, oggi con operazioni di “chirurgia estetica”), esiste e non esiste. Perché, se genericamente si può ammettere la tristezza dell’invecchiamento, molto meno si può ammettere una falsificazione così spinta, che va al di là di ogni piccolo accorgimento, come quella della “chirurgia estetica” e della “chirurgia sessuale”. Voler apparire il contrario di quello che si è, dal momento che viene coinvolto il corpo, fa cadere oggettivamente nel ridicolo. Dunque, al di là delle considerazioni di chi osserva (ride, prova pena, ecc.), rimane un fatto oggettivo nella misura in cui la “percezione del contrario” si manifesta nei corpi, nella chirurgia estetica per le persone che da vecchie voglio apparire giovani, nella chirurgia sessuale per le persone che, pur essendo di un sesso, vogliono apparire dell’altro, nei comportamenti tenuti durante l’atto sessuale per gli omosessuali, comportamenti che tendono, inevitabilmente, a scimmiottare l’atto eterosessuale, dando la chiara “percezione del contrario”. Per di più omosessuali e transessuali non possono, in genere, invocare la dolorosità della vecchiaia per indurre ad un sentimento penoso e alla riflessione umoristica, perché sono giovani e sani. Al contrario non si può fare a meno di constatare come in essi sia radicale l’arroganza (hybris) dell’arbitrio che, negando il proprio corpo originale, o con la chirurgia o con i comportamenti durante l’atto sessuale, offrono solo la “percezione del contrario”. Se non si vuole sfruttare questa percezione del contrario per far ridere, come avviene in certi film comici, per lo meno sarà necessario collocare il rifacimento estetico, la transessualità, l’omosessualità all’interno della categoria del “ridicolo”. Che l’opinione pubblica abbia la pretesa di voler far diventare “normale” ciò che, secondo il corpo, è “ridicolo” appare come un’arroganza inaccettabile dell’opinione pubblica ed eventualmente delle leggi che da tale opinione pubblica vengono create. A questo riguardo occorre mandare a quel paese tanto l’opinione pubblica che le leggi dello Stato fatte in nome di tal opinione pubblica degenerata. Un anarchico non obbedisce all’opinione pubblica e alle leggi dello Stato che santificano il “ridicolo”, solo perché, nel “dover essere dell’uguale”, ci si presenta come i “buoni” che integrano tutti, anche rifatti chirurgicamente, omosessuali, transessuali, come se essere buoni significasse non distinguere più l’artificiale dal naturale, il falso dal vero. Un conto è non perseguitare (con la violenza fisica, impedendo loro di lavorare o di avere certi diritti a livello giuridico) i mostri nati dalla chirurgia estetica, i transessuali, gli omosessuali, un altro conto è considerarli perfettamente uguali e non ridicoli, con la pretesa di far diventare obbligatoria questa opinione. Questi “buoni”, i “politicamente corretti”, sostenitori dell’integrazione universale, sono i più degenerati di tutti e sono ipocriti e mentitori di professione: “I buoni non dicono mai la verità” (F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Di antiche e nuove tavole 7).
    Un consiglio per i genitori che non vogliono favorire la nascita dell’omosessualità nei loro figli (anche se, una volta divenuti tali, occorre accettarli come figli, ma anche ricordare a tali figli che qualcosa non funziona nella loro psiche, accettare una persona non vuol dire condividere il suo modo di ragionare): la madre deve evitare di mostrare, fin dalla nascita, un eccessivo interesse verso il figlio maschio, deve impedire che il figlio giunga ad un’identificazione con la madre che lo renderebbe gay; per la femmina occorre vigilare sulle frustrazioni dell’età puberale e post-puberale e sulle delusioni amorose, che spingono le ragazze a rifiutare, temporaneamente o definitivamente, i maschi.     


Se ci crediamo uguali
qui, nella coscienza,
nel corpo, invece,
il sesso è differenza.

Solo maschio o femmina
è il neonato tra le fasce,
può apparire strano:
omosessuali non si nasce.

Se davvero ci fosse
il famoso terzo sesso,
anche un terzo corpo
ne verrebbe appresso:

nessuno ha visto mai
un neonato omosessuale:
ché neppure esiste
un corpo come tale.

Tempo e rapporti
ti deviano nel sesso,
ma l’artificio poi
ti fa perdere te stesso.

Solo maschio e femmina
possono far figli,
altri non son fecondi
là, nei lor giacigli,

se nel bosco tutto
fosse omosessuale
non ci sarebbe un albero
e neppure un animale.

Eppure gay e lesbiche
vogliono aver figlie
e come tutti gli etero
far delle famiglie,
                                                                             
vogliono essere
quello che non sono
e l’ipocrisia sociale
l’ammette come buono.


                                                                                                                                                                     
                                                                                                                                                     (10/6/1982)



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