I ROMANTICI CREDEVANO
IN DIO PERCHE’ LO VEDEVANO, LO VEDEVANO CIOE’ NELLA NATURA POSTA AL DI LA’
DELL’ARTIFICIALE, AL DI LA’ DELL’ARBITRIO UMANO, AL DI LA’ DEL BENE E DEL MALE
(CHE SONO SEMPRE ANTROPOCENTRICI). “LA
NATURA NASCONDE DIO! MA NON A TUTTI!” (“MASSIME
E RIFLESSIONI”) DICEVA GOETHE. SOLO LA NATURA, QUINDI, RIVELA DIO,
QUESTO E’ IL “MATERIALISMO ROMANTICO”. DEL TUTTO COERENTE A QUESTA FILOSOFIA E’
CONSIDERARE IL CORPO COME L’UNICA RIVELAZIONE DELL’ANIMA. NE CONSEGUE CHE E’
SOLO IL CORPO CHE RIVELA IL SESSO DI UNA PERSONA, QUINDI L’OMOSESSUALITA’ E’
ARBITRIO UMANO, FISICAMENTE NON ESISTE. IL FATTO CHE QUESTO NON PIACCIA AI
BENPENSANTI E AI “RADICAL CHIC” DI OGGI NON MUTA NULLA. CHI RAGIONA CON LA SUA
TESTA E NON CON QUELLA DELLE OPINIONI CORRENTI SE NE INFISCHIA DELL’ACCUSA DI
“OMOFOBIA” E RITIENE CHI LA FA UN CRETINO INCAPACE DI ASCOLTARE LA NATURA, DI
RAGIONARE CON LA PROPRIA TESTA E NON IN GRADO DI CAPIRE QUANTO QUI VIENE
SCRITTO.
VIII - L’IPOCRISIA
DELL’OMOSESSUALITA’
Una teorica del “lesbo-femminismo”, agli
inizi degli anni Ottanta, sostenne che l’idea di “donna” non è naturale,
arrivando a sostenere che la “donna” è un’invenzione sociale e politica: “Una società lesbica rivela pragmaticamente
che la divisione dagli uomini di cui le donne sono state l’oggetto è di natura
politica..Nel caso delle donne l’ideologia ha avuto successo giacché i nostri
corpi al pari delle nostre menti sono il prodotto di questa manipolazione. Noi
siamo state costrette nei nostri corpi e nelle nostre menti per corrispondere..all’idea
di natura che è stata stabilita per noi” (M.
Wittig - “Donna non si nasce”). Per quanto gli individui di scarsa
personalità assumano comportamenti socialmente prestabiliti e quindi tendano a
“conformarsi” a regole sociali di comportamento, questo condizionamento non è
mai né totale e né assoluto, appunto perché la società non è un assoluto. Ciò
soprattutto a livello biologico, che è il luogo dove, principalmente, si trova
la differenza tra maschio e femmina. Ora è pur vero che la differenza tra
“uomo” e “donna” non corrisponde esattamente a quella tra “maschio” e “femmina”
e che, quindi, maschi e femmine assumono, in società, comportamenti difformi
pilotati dall’educazione, ma rimane il fatto che la differenza biologica
maschio-femmina rimanga lì assolutamente immutabile. La società non è così
onnipotente da poter impedire ad un maschio di essere maschio e ad una femmina
di essere femmina, così come non può impedire agli individui di avere una bocca
e di mangiare con la bocca. La società può “reprimere” la natura, non
“eliminarla” del tutto. Se qualcuno dicesse, come fa la nostra lesbo-femminista
a proposito del corpo della donna, che mangiare con la bocca è una creazione di
“natura politica”, che la nostra
bocca è “il prodotto di questa manipolazione”,
che noi siamo stati “costretti” ad
avere una bocca “per
corrispondere..all’idea di natura che è stata stabilita per noi”, dovremmo
pensare che costui è pazzo. Appare evidente che la lesbo-femminista non
distingue bene ciò che è naturale da ciò che è sociale e, facendo una gran
confusione, ritiene che quanto si trova in una donna è solo un prodotto
culturale, quindi di una manipolazione, facendo, tra l’altro, in questo modo
della società un Dio onnipotente che decide tutto, perfino la natura delle
persone attraverso “l’idea di natura
stabilita per noi”. Questo modo di ragionare è inaccettabile, la società
non è Dio onnipotente che può tutto, nell’uomo e nella donna c’è un corpo che
sussiste in maniera del tutto indipendente dai pregiudizi sociali e politici,
se chiamiamo maschio e femmina ciò che è pertinente al corpo, vale a dire alla
natura umana precedente al condizionamento sociale, occorre dire che la
differenza sessuale tra maschio e femmina non ha nulla di ideologico e di
sociale. Se così non fosse, dovremmo ammettere che la nascita mediante il parto
non esiste e che la nascita avviene piuttosto nelle biblioteche, nei municipi,
nei giornali, ecc.. Nel discorso della lesbo-femminista sono impliciti tre
pregiudizi: il primo, che fonda gli altri due, è che l’uomo è scisso in due,
mente e corpo, e che la mente ha valore, mentre il corpo è insignificante. Dal
primo pregiudizio consegue che tutto ciò che è mentale ha valore assoluto e
che, quindi, gli individui sono solo quello che l’idea vuole. Da ciò consegue
il terzo pregiudizio, quello per cui la società, essendo ideologia (il che è
certo vero), è assoluta e quindi gestisce le idee e le stabilisce, stabilendo
perfino “l’idea di natura” che ci è
pertinente. L’ideologia, cioè la società, non ha il potere di “creare” la
natura; la stessa “seconda natura”, di cui tanto si parla, non solo è il segno
di una spersonalizzazione, ma rimane pur sempre qualcosa di “ibrido” e
“ambivalente” tra natura e condizionamento sociale. Se così forte fosse il
potere della società, tanto varrebbe ammettere che non abbiamo un corpo e che
esso è insignificante, in quanto maschio e femmina, nello stabilire i
comportamenti degli uomini e delle donne. Si ha perfino il coraggio di
considerare “materialista” un
approccio che considera il corpo insignificante ai fini dei comportamenti
umani: “Un approccio femminista
materialista mostra che quella che consideriamo la causa e l’origine
dell’oppressione <la differenza biologica, in aggiunta a quella
storica> è di fatto il segno imposto
dall’oppressore” (M. Wittig - “Donna non
si nasce”). Che la differenza biologica non giustifichi, contro quanto
sosteneva la De Beuavoir, una vera o presunta oppressione storica delle donne,
in quanto oppressione sociale, è senz’altro vero, ma ciò non vuol dire che
tutti i comportamenti degli uomini e delle donne siano esclusivamente sociali e
quindi frutto di una costruzione ideologica imposta. Esistono anche
comportamenti naturali: di certo si seguiterebbe a mangiare con la bocca anche
se l’ideologia sociale dicesse che non si deve fare. Esistono delle attitudini
naturali sessuali, che fanno capo al maschio e alla femmina, che provengono
direttamente dalla natura e non sono affatto conseguenza di imposizioni dell’ideologia
politica e sociale. Insomma credere che tutto è politico è stata una vera
ossessione di quella ideologia olistica che ha fatto da base a tanti
atteggiamenti rivoluzionari, ma non certo autenticamente anarchici.
L’anarchico, infatti, è così attaccato alla libertà perché essa rappresenta il
modo in cui viene tutelata e difesa la “propria individualità naturale” dai
comportamenti socialmente imposti. L’anarchia deve dare per scontata questa
base naturale posta al di là delle manipolazioni politiche e sociali,
altrimenti non ha motivo di sussistere. E i veri anarchici, da Stirner a
Nietzsche (chi non reputa anarchico Nietzsche ha capito poco di lui), hanno
sempre ammesso un’individualità “propria” al di là dei costumi sociali,
un’individualità “propria” che ha una base materialistica, avendo per
fondamento certo proprio il “corpo”. Nulla determina esattamente
l’individualità “propria” quanto il corpo naturale. Chi non riconosce il
“proprio” corpo naturale, non riconosce la sua “individualità propria”, non
riconosce la parte essenziale della sua “personalità”, vive nel pregiudizio di
origine cristiana di cui abbiamo già detto, cioè che l’individuo sia, non
quello che il corpo naturale è, ma quello che l’idea vuole. Dato che l’idea è
l’assunzione mentale di qualcosa di esteriore, ecco che identificarsi con
un’idea, equivale a “sbarazzarsi di”, come diceva Stirner, cioè a “sbarazzarsi
di se stesso”, bisogna ascoltare i saggi taoisti in proposito: “Coloro che vedono altre cose e non vedono
se stessi non acquistano se stessi ma acquistano altre cose” (“Chuang-tzu” VIII, 59). L’idea di
gazzella gli esseri umani l’assumono dall’esterno, non è l’individualità
propria di un essere umano. Se un cretino dicesse “io mi sento una gazzella”,
non solo userebbe il verbo sentire in modo improprio, perché solo un alienato
può “sentire” di essere quello che non è, ma avrebbe assunto come sua
“individualità propria” un’idea assunta da una realtà esterna. Ciò è
esattamente quella che viene chiamata “alienazione”, infatti, per un essere
umano, dire “mi sento una gazzella”, equivale a dire “non mi sento essere
umano”, significa essersi reso estraneo a se stesso per quanto è pertinente
alla differenza biologica tra esseri umani e gazzelle. In pratica tale cretino
si è “sbarazzato della sua corporeità da essere umano”. Ma di se stessi non ci
si sbarazza, ci si sbarazza sempre di qualcosa di esterno che ci opprime, ci si
sbarazza delle catene messe ai piedi, non dei piedi. Chi dice “mi sento una
gazzella”, al contrario, invece di sbarazzarsi delle catene, si sbarazza dei
piedi. Soffre di catene mentali e non ha un buon rapporto con la realtà e con
se stesso. Perché è chiaro che credersi una gazzella non significa esserlo
realmente, significa solo non riconoscere una parte fondamentale della propria
personalità, dell’individualità propria, quella di essere un “umano” e non una
“gazzella”, con tutto il rispetto per le gazzelle. Con tutto il rispetto per
gli altri, se non ci si sente orgogliosi di quello che si è, vuol dire che non
si ha personalità. Chi si priva del sé naturale, cioè il corpo, è un uomo senza
individualità, giacché l’idea non può sostituire il corpo, non è che se penso
di essere una gazzella, poi sono fisicamente una gazzella. Né ho diritto di
pretendere che gli altri vedano in me una gazzella, anziché quello che
realmente vedono, cioè un essere umano. Ciò nemmeno se venisse stabilito dalle
istituzioni sociali. Con quale diritto, dunque, un transessuale pretende che lo
si ritenga una donna dopo un’operazione e solo perché dice “mi sento una
donna”? Con l’operazione si è soltanto “sbarazzato di” una parte di sé, quindi
è un uomo mutilato, quanto al fatto che pensi di essere una donna, non
significa che, poi,è fisicamente una donna. Non ha alcun diritto di pretendere
che gli altri vedano in lui una donna, anziché quello che realmente vedono,
cioè un uomo mutilato. Questo neppure se le istituzioni decidono di dargli una
carta d’identità al femminile. Il sesso appartiene al corpo, vale a dire a ciò
che precede la società, non è qualcosa di cui possono disporre le istituzioni e le autorità sociali. Se si pretendesse di
stabilire che un transessuale è una donna in base all’autorità, ci sarebbe solo
un tentativo immorale e illegittimo di autoritarismo, come a dire “è così perché
lo stabilisce l’autorità”, il che sarebbe la stessa cosa del regime militare
che imponeva Ignazio di Loyola, il quale ha avuto la faccia tosta di scrivere
una cosa che fa del gesuita l’alienato per definizione: “bisogna sempre ritenere che ciò che vedo bianco davanti a me sia
invece nero, se la Chiesa gerarchica decide così” (Ignazio di Loyola - “Esercizi spirituali” (Regole da osservare per
avere in nostro vero ruolo nella Chiesa militante - tredicesima regola)).
Se la carta d’identità dice che ciò che vedo come un uomo (bianco), è invece una
donna (nero), si butta la carta d’identità, non la propria vista. Bisogna
credere a quello che si vede, non a quello che dice l’autorità. Altrimenti non
si è un uomo libero. Il transessuale non è un uomo libero, perché si è
sbarazzato, in parte, di se stesso: come dice Stirner, la libertà è
l’“individualità propria”, non lo “sbarazzarsi di”: “‘Essere libero da qualcosa’ significa soltanto ‘essere privo’ o
‘essersene sbarazzato’. ‘Egli è libero dal mal di testa’ è lo stesso che: ‘se
ne è sbarazzato’..Che differenza fra la libertà <presa in astratto come
‘liberarsi di’> e l’individualità
propria <fondamento della personalità, a partire dal corpo>! Ci si può sbarazzare di moltissime
cose..La mia propria individualità, invece, è tutto me stesso:..sono io stesso.
Io sono libero da ciò di cui mi sono sbarazzato..ma sono proprietario di ciò
che è in mio potere o di ciò che posso..L’individualità creò una nuova libertà;
l’individualità, infatti, è la creatrice di tutto..La libertà <sarebbe
più esatto dire la ‘falsa libertà’>
v’insegna soltanto a sbarazzarvi, a disfarvi di tutto ciò che vi pesa, ma non
v’insegna chi siete” (M. Stirner -
“L’Unico e la sua proprietà”). Chi si mette in contrasto con il proprio
corpo non sa chi è. Il transessuale, materialmente, l’omosessuale,
psicologicamente, non sanno chi sono, per questo non possono essere liberi. Non
si è mai nulla al di là del proprio corpo naturale. Il transessuale e
l’omosessuale ignorano di essere, non “uomo” e “donna”, ma “maschio” e
“femmina”. Ignorano quel “saggio ignoto” che è il fondamento della nostra
personalità, cioè il corpo: “Dietro i
tuoi pensieri <la tua stessa ‘idea’ di te stesso>..sta un possente sovrano, un saggio ignoto - che si chiama Sé. Abita
nel tuo corpo, è il tuo corpo” (F.
Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Dei dispregiatori del corpo).
Ovviamente in una società di derivazione gnostica e cristiana, in cui si è
“anima” e non “corpo”, appare ovvio che si abbia, poi, la pretesa di essere
quel che si pensa di essere, anziché essere quel che si è. Si fa il contrario
di quel che si dovrebbe fare, perché, se ci si attiene alla realtà, é il
pensiero che deve adeguarsi all’essere, non l’essere al pensiero, è il pensiero
che deve adeguarsi al corpo, non il corpo al pensiero. E’ chiaro che il
transessuale tenta, senza riuscirci (perché è impossibile, bisognerebbe
distruggere per intero il proprio corpo e rifarlo da capo), di adeguare il suo
corpo al suo pensiero. In questo modo si aliena, perde l’“individualità
propria”, quello che viene fuori è un artificio, una mutilazione, un tentativo
di essere quello che “non si è”, si tenta di essere l’idea di quello che si
pensa di essere, facendo finta di ignorare che l’idea viene sempre da qualcosa
di esterno e che quindi identificarsi con un’idea significa perdere se stesso.
Che tutto questo possa essere considerato ovvio e naturale solo perché c’è la
moda dell’omofilia appare del tutto inaccettabile. Non ci si rende neppure
conto che questo modo alienato di ragionare rispetto al corpo nasce dalla
tradizione cristiana: dalla distinzione tra “uomo interiore” e “uomo esteriore”
di Lutero: “L’uomo ha una natura duplice,
spirituale e corporea: secondo quella spirituale, che dicono anima, è chiamato
uomo spirituale, interiore, nuovo, tenendo conto di quella corporea, che
chiamano carne, lo si definisce uomo carnale, esteriore, antico” (M. Lutero - “Della libertà del cristiano”).
Secondo questa prospettiva, è libero solo l’uomo spirituale e l’uomo corporeo è
sottoposto all’autorità della spada perché corrotto o comunque insignificante.
E’ evidente che una mentalità, come quella cristiana, da cui deriva la
modernità stessa, finisce per considerare come verità di se stessi quello che
si pensa di sé, non quello che il Sé è a priori come corpo. Il pensiero,
infatti, appartiene alla regione dell’anima e non a quella del corpo.
Identificare la libertà con l’anima, anziché con il corpo, significa
identificare la libertà con l’arbitrio. E’ esattamente questo che si ritrova
tanto nel transessuale che nell’omosessuale. Il corpo di un transessuale e di
un omosessuale parla in modo diverso rispetto a quello che il transessuale e
l’omosessuale dicono di se stessi: bisogna credere sempre a ciò che si vede e
non a quello che si dice o a quello che l’autorità stabilisce. L’innaturalezza
del transessuale e dell’omosessuale è fuori discussione. E’ evidente che una
cultura di derivazione cristiana, come quella moderna occidentale, non riesce
più a prendere il corpo per quello che è e soprattutto non riesce a stimarlo e
a considerarlo come il fattore basilare della personalità. Ciò appare ovvio se
imbecilli come Cartesio e Kant hanno ridotto il fisico o ad un “automa”
(Cartesio) o ad un “fenomeno” (Kant): “Suppongo
che il corpo non sia altro che una macchina di terra” (R. Descartes - “L’uomo”), poi: “L’oggetto indeterminato d’una intuizione empirica prende il nome di
fenomeno” (I. Kant - “Critica della
ragion pura” - Estetica trascendentale 1). In realtà, Cartesio e Kant
dicono la stessa cosa, perché Cartesio, considerando il corpo un “automa”, lo considera anche un
“oggetto” privo di soggettività e di vita propria, allo stesso modo Kant,
considerando il corpo, quale fenomeno empirico, un “oggetto”, non solo, anche lui, lo considera privo di soggettività
e di vita, ma, come Cartesio, lo considera un “automa” costituito dalle parti
funzionali a cui l’analisi lo riduce. Appare evidente che, là dove il corpo non
viene ritenuto cosa pertinente alla persona, esso non viene neppure preso in
considerazione come fonte primaria della personalità. Per cui il corpo diventa
semplice materiale a disposizione della mente che, con il suo arbitrio,
pretende di forgiarlo secondo i modelli ideali che si costruisce sulla base dei
pregiudizi sociali di moda. Dal tatuaggio al percing, fino a giungere
all’omosessualità e a quell’orrore che è la transessualità, il corpo diventa la
vittima dell’arbitrio mentale, il quale, non possedendo niente di “proprio”,
perché la mente prende “idee” solo dall’esterno (non si può confondere una
personalità che si manifesta nel pensiero, con una semplice assunzione di
idee), non fa altro che assimilare l’Io a qualcosa di esterno, con la pretesa
che il corpo si adatti a questa degenerata immaginazione. In realtà ci si priva
dell’unico fondamento solido della propria personalità, cioè il corpo così come
è alla nascita. Sulla stessa linea di Cartesio e Kant si trova Heidegger,
allorché pone il corpo nell’ambito della “semplice presenza”, giacché per lui
la verità è l’interiorità (Essere, Esserci) e non la “presenza”, la quale
ultima, di per sé, è insignificante. Heidegger considera il corpo
insignificante, perché ciò che conta, individualmente, è l’Esserci e
quest’ultimo, in virtù della “differenza ontologica” tra essere, o spirito
informale, ed ente, non ha certo la dimensione determinata del corpo: “Esistenza significa, per l’ontologia
tradizionale, qualcosa come la semplice-presenza, modo di essere, questo,
essenzialmente estraneo a un ente che ha il carattere dell’Esserci” (M. Heidegger - “Essere e tempo”).
Questo significa che l’Esserci è del tutto immateriale, in quanto il corpo è,
prima di tutto, una presenza, anzi la presenza fondamentale grazie alla quale
ci siamo e siamo venuti alla vita. Una cosa tanto fondamentale per la nostra
vita e per la nostra esistenza, come il corpo, non può essere estraneo alla
nostra personalità. Questo vuol dire che, nella filosofia di Heidegger, il
corpo è sostanzialmente insignificante, perché i valori esistenziali sono posti
al di fuori della “presenza”, dal che deriva che il corpo, così come in Lutero,
in Cartesio e in Kant, finisce per trovarsi collocato all’interno di beni
“strumentali”, i quali non hanno valore per se stessi, ma hanno valore solo per
chi ne usufruisce. Dopo l’alienazione cristiana nello spirito riesce difficile
all’uomo moderno in generale capire che l’individuo non “ha” un corpo, ma “è”
un corpo. Dato che la modernità, sulla scia del cristianesimo, ritiene il corpo
un bene “strumentale”, ne deriva che può diventare oggetto di disegni, di
simboli, di modificazioni genitali (transessualità), ne deriva che una mente
tutta psichica si ritiene giustificata nel considerare il proprio corpo come
non adatto alla mente stessa, in fondo di tratta solo di rifiutare uno
“strumento” (omosessualità: l’omosessuale si comporta, sessualmente, in modo del
tutto incongruo rispetto al suo corpo) o addirittura di modificarlo
(transessualità). Questo considerare il proprio corpo come un semplice
“strumento” è del tutto innaturale ed è la conseguenza dell’altissimo livello
di alienazione cui spinge la civiltà. L’omosessualità è più diffusa nei paesi
civili che in quelli primitivi. Non che i primitivi non avessero dei possibili
sviluppi omosessuali, ma il fatto stesso che la ritenessero una manifestazione
strana, quasi simbolo di una elezione divina, dimostra che essa non era
ritenuta appartenente del tutto al mondo naturale che gli era proprio.
L’improprio secondo natura viene ritenuto dai primitivi un segno di elezione
divina, cioè di superiorità, ma non di naturalezza. C’era, contemporaneamente,
l’onore verso l’omosessuale e il suo rifiuto nel momento stesso in cui gli
veniva assegnato tale ruolo. In alcuni popoli di cacciatori e raccoglitori
l’omosessuale era una manifestazione del “contrario”, per cui l’individuo
omosessuale era portato a tenere dei comportamenti “contrari” a quelli della
tribù anche in altri ambiti della vita quotidiana diversi rispetto alla
sessualità (vedi oltre per l’approfondimento del tema del “contrario”). Tutto
questo con il consenso della tribù. Questo comportamento dei primitivi mostra
che anch’essi ritenevano “innaturale” l’omosessualità, ma aveva il pregio di evitare che ci potesse
essere violenza nei confronti degli omosessuali. Il fatto che l’omosessualità
sia e resti innaturale, ovviamente, non giustifica la violenza contro l’omosessuale,
violenza fatta da persone che o ritengono la società un “ordine” da imporre con
la violenza (fascisti) o che ritengono di essere dei giustizieri che agiscono
in nome della natura. Che l’omosessualità sia fisicamente innaturale non
significa che bisogna lapidare gli omosessuali, infatti chi, nella civiltà
moderna, è del tutto esente da qualche comportamento innaturale? Chi è senza
peccato scagli la prima pietra. Il che, poi, non vuol dire neppure che tutti i
comportamenti dell’uomo civile debbano essere per forza innaturali. Quelli che
palesemente derivano dal corpo, come essere o maschio o femmina, non sono
innaturali in alcun modo. Il corpo è la modalità con la quale veniamo al mondo
ed è quindi precedente ad ogni forma di condizionamento sociale dovuta
all’educazione, all’ideologia, alla politica. Insomma, è un diritto considerare
innaturale l’omosessualità (e ovviamente ancora di più la transessualità, una
vera mostruosità estetica, un pugno nello stomaco), ma non è un diritto essere
intollerante verso gli omosessuali. Stabilito questo, appare ovvio che oggi si
sia superato il limite anche nella critica a coloro che non accettano, sul
piano naturale, l’omosessualità e la transessualità, dalla lotta all’omofobia
si passa, in tal modo, all’obbligo dell’omofilia. Ciò è del tutto
inaccettabile. E’ quello che fa Onfray nei confronti di Freud (e che qualche
cretino potrebbe fare anche nei confronti di chi scrive, in piena libertà di
coscienza, queste pagine), immaginando l’ipotesi assurda di un’“omofobia
ontologica”, come se chiunque non si adegua all’opinione pubblica, oggi
favorevole a sostenere che l’omosessualità sia una sessualità come un’altra,
debba essere demonizzato come “omofobo”. Non esistono più tipi di sessualità,
almeno dal punta di vista fisico, le variazioni psicologiche dell’eccitazione
sono un’altra cosa rispetto alla verità ontologica del corpo. La sessualità è,
in natura, solo la distinzione di maschio e femmina, chi non si comporta da
maschio, essendo maschio, e chi non si comporta da femmina, essendo femmina, si
comporta in modo innaturale. Il corpo non dice altro. Le varianti psicologiche
del piacere e dell’eccitazione possono seguire qualunque fantasia, ma non sono
la sessualità dal punto di vista fisico. L’importanza esclusiva che si
attribuisce al piacere e all’eccitazione, senza le quali, ovviamente, l’atto
sessuale non viene compiuto, dipende da quell’eccessiva importanza che viene oggi
data all’interiorità psicologica. E’ la conseguenza del culto dell’interiorità
di tipo cristiano e protestante. In questo modo si finisce per non riconoscere
più la dimensione fisica della sessualità e quindi neppure l’innaturalezza
dell’omosessualità e della transessualità. C’è chi equipara l’artificiale e il
naturale (seni “rifatti”, operazioni genitali ecc.) con una superficialità
sconcertante. Ciò appare ovvio in una società che ha stabilito che è importante
solo quello che si pensa. Il fattore soggettivo, come il piacere e
l’eccitazione, sono diventati qualcosa che hanno vita propria, indipendentemente
dalla natura del corpo che si possiede. Se qualcuno si eccita e prova piacere
facendo una specie di atto sessuale con un lampione, ciò viene preso
semplicemente come una forma di sessualità “uguale” ad un'altra. Non si dice
che è innaturale. L’importante è affermare l’“uguale”, come se tutti i
comportamenti sessuali fossero equivalenti e non ci fosse un corpo naturale.
Questo perché l’arbitrio regna sovrano e ad ogni arbitrio, sul piano sessuale,
viene a priori assegnato valore equivalente (ad esempio si fa finta di non
notare l’innaturalezza del sadismo e masochismo sessuale). In tal modo regna
sovrana anche l’ipocrisia, in virtù della quale si è accondiscendi con
qualsiasi innaturalezza perché si è schiavi del gruppo sociale che impone come
prima regola l’“uguale”. Onfray, che accusa Freud di “omofobia ontologica”,
neppure si rende conto del fatto che la sua affermazione è la conseguenza del
più stupido “conformismo sociale”, il quale oggi ha stabilito che la sessualità
è un fatto mentale e interiore (eccitazione e piacere avulsi da ogni natura
fisica) e che, quindi, ci sono più forme di sessualità e che ogni forma di
sessualità vale l’altra, mentre, nella realtà fisica, c’è solo una sessualità,
quella che distingue i corpi in maschio e femmina, così che, nella realtà
naturale, solo il comportamento eterosessuale è naturale e coerente con la
distinzione dei corpi in maschio e femmina. Dice Onfray: “La fallocrazia e la misoginia di Freud si accompagnano a una omofobia
ontologica. L’onestà impone di segnalare che nel 1897 Freud firma la petizione
del sessuologo tedesco Magnus Hirschfeld in cui si chiedeva di abrogare un
articolo del codice tedesco che puniva l’omosessualità maschile. E che nel 1905 in ‘Tre saggi sulla
teoria sessuale’ afferma chiaramente: ‘Gli invertiti non sono degenerati’..il
che ha il merito di essere chiaro. Ecco perché parlo di omofobia ontologica e
non di omofobia politica e militante. Quale è la differenza? L’omofobia
politica pratica la discriminazione, o la criminalizzazione di questa pratica
sessuale; l’omofobia ontologica la considera in relazione a una norma rispetto
alla quale essa appare come anormale o perversa..In questo caso la perversione
non è morale, ma topica: come già abbiamo avuto modo di ricordare, Freud pensa
la sessualità come unione di due esseri di sesso diverso in vista di una
copulazione genitale’ (M. Onfray -
‘Crepuscolo di un idolo’ (Smantellare le favole freudiane)). Che la
sessualità non abbia niente a che fare con una copulazione genitale chi lo
stabilisce? Si può discutere se la copulazione genitale debba essere o no
finalizzata alla procreazione (anche se appare certo disposta a tale scopo), ma
dire che la sessualità è estranea alla copulazione genitale equivale a dire che
la sessualità è estranea al corpo. Cioè equivale a dire una bestialità. Freud
‘omofobo teorico’? O semplicemente Freud moralista dell’età vittoriana? Che non
è la stessa cosa. Anche perché, sapendo quanta importanza ha la bisessualità
nell’omosessualità, non si può accusare Freud di ‘omofobia teorica’ quando
Freud ha teorizzato l’idea di una ‘bisessualità originaria’ del genere umano,
ciò in contrasto evidente con la realtà corporea e ricorrendo ad un’idea mitica
sulla base di un’arbitraria analogia tra clitoride e pene, assimilati, appunto,
nell’idea mitica. Quanto affermato da Onfray chiarisce la differenza tra ‘omofobia ontologica’ e ‘omofobia politica’ molto di più di
quanto chiarisca che cos’è l’‘omofobia
ontologica’. Essa sarebbe un’omofobia legata ad una ‘norma’, la norma
sarebbe il fatto che Freud ‘pensa la
sessualità come unione di due esseri di sesso diverso in vista di una
copulazione genitale’. Occorre essere ciechi per non vedere che la
sessualità è legata ad una diversità sessuale. E’ vero che Freud appare legato
al pregiudizio della donna madre e quindi al sesso come semplice procreazione,
ma da ciò all’omofobia c’è ancora un abisso, procreazione per la quale gli
omosessuali sono comunque fuori gioco, ciò sebbene gli omosessuali sembra lo
accettino poco (ma quel che pensano gli omosessuali non è la Bibbia ), visto il modo
insistente con il quale cercano, contro
natura, di eguagliarsi in tutto e per tutto agli eterosessuali (vedi l’esigenza
di avere un figlio mediante le adozioni: come nasce questo bisogno di essere genitori
senza avere la possibilità ‘in proprio’ di procreare? Il che, sia ben chiaro,
appare anomalo anche nelle coppie eterosessuali sterili. Chi desidera quello
che non può fare, sta prendendo a modello l’altro e non se stesso). Il fatto
che gli omosessuali desiderino dei figli, nonostante la loro scelta sessuale,
dimostra, inequivocabilmente, che essi ignorano la corporeità, perché
vorrebbero essere procreativi anche come omosessuali e non potendo esserlo
ricorrono all’artificio delle adozioni. L’omosessualità rientra nella più
generale lotta contro il corpo che la civiltà sta compiendo da duemila anni a
questa parte. Il solo far notare queste cose e queste differenze naturali
appare ai sostenitori dell’uguaglianza assoluta come un atteggiamento
‘omofobo’, perché ragionano come se fosse ‘relativa’ anche la realtà e il corpo
e vivono chiusi nella loro mente, nella quale c’è solo una stagnante palude
fatta di ‘uguaglianza’. Viene veramente da irritarsi e da rispondere in modo
maleducato quando alla realtà viene contrapposta continuamente un’astrazione
intellettuale, cioè quella del tutto uguale, come se tutto fosse da misurare in
termini di uguaglianza sociale. Questa gente è incapace di liberarsi
dell’opinione pubblica, che, è bene segnalarlo, oggi come oggi non è certo
omofoba, almeno tra le classi intellettuali. Anche svincolando il sesso dalla
procreazione, a cui Freud sembra ancora legato, è la natura, non una norma
sociale, non un’opinione soggettiva, che mostra i corpi come eterosessuali. Che
ci si debba adeguare alle mode sociali fino a negare la realtà e la natura è
veramente inaccettabile, è un tentativo di violenza e come tale va denunciato.
Non esiste l’obbligo di ritenere che l’omosessualità sia naturale quanto
l’eterosessualità e, se la società ponesse tale obbligo, sarebbe un diritto e
un dovere ben preciso trasgredirlo e ignorarlo. Considerare l’opinione sociale
come Dio è tipico dei vermi. L’eccitazione sessuale negli omosessuali genera
reazioni genitali involontarie eterosessuali, questo lo dice il corpo, mentre
Onfray sembra ragionare per uguaglianze astratte, ignorando il corpo. Solo i
mediocri filosofi ignorano il corpo. Più che da Freud, che pure qui erra meno
di chi lo accusa di ‘omofobia’, occorre prendere lezioni da Nietzsche: ‘Disprezzano il corpo: lo hanno lasciato
fuori del calcolo’ (F. Nietzsche -
‘Frammenti postumi’ 1888 - 14 (96)).
E’ Nietzsche, prima ancora di Freud, che condanna come assurdo il
concetto di ‘omofobia ontologica’, perché, quando si parla di ontologia, o si
‘mostra’, visivamente e materialmente, che le cose non stanno così o è meglio
tacere. Mostrare sta per ‘vedere’, non per ragionare in astratto, cioè in
termini di uguaglianza, rispetto al corpo. Se è vero che, nel passato e non
sempre, molte società hanno assunto atteggiamenti ‘omofobi’ e del tutto
arbitrari nei confronti degli omosessuali (che, in fondo, stavano solo gestendo
la loro vita privata sessuale, distorta naturalmente sì, ma in fondo la “loro”
vita privata), se è vero cioè che sia sussistito e talvolta sussista ancora un
pregiudizio sociale di ‘omofobia’ (specialmente in certi ambienti dove regna il
culto dell’‘ordine’, ambienti cristiani e gerarchici o fascisti; considerare
‘contro natura’ l’omosessualità, però, non si richiama al culto dell’ordine,
che è un fenomeno sociale, ma alla necessità naturale: vedere in proposito la
distinzione nietzscheana tra ‘necessità’ - natura - e ‘ordine’ - società -), è
indubbio che, dopo gli anni Sessanta, sulla scia di uno psicologismo dilagante
e di un egualitarismo sempre più astratto, la società ha finito con l’assumere
un altro tipo di pregiudizio sociale, cioè il pregiudizio sociale di
‘omofilia’. Di questa ‘opinione pubblica’, drogata di psicologismo, Onfray si
fa forza come se fosse, per il solo fatto di essere ‘opinione pubblica’,
depositaria della verità. In questo senso Onfray è solo il megafono
intellettuale del pregiudizio egualitarista del tempo, che si manifesta
nell’astratta eguaglianza fissata da una coscienza che ignora i corpi secondo
il modello protestante. Questi protestanti laici, che fanno oggi “opinione
pubblica”, non si rendono conto di quanto sono “conformisti”, ma neppure si
rendono conto del fatto che conformismo e opinione pubblica rappresentano la
base per le dittature e per la soppressione della libertà di pensiero. L’accusa
di “omofobia ontologica”, infatti, cos’altro è se non una “demonizzazione” di
chi reputa inscindibile la sessualità dalla diversità corporea? Cos’altro è se
non un voler eliminare la “libertà di opinione” sull’omosessualità? Ciò è evidente,
essa nasconde un fascismo viscerale che non accetta opinioni che vanno
controcorrente, visto che il presunto omofobo ontologico, di fatto, esprime
solo una sua valutazione circa la naturalezza o meno dell’omosessualità e circa
la legittimità di equiparare omosessualità ed eterosessualità. Non esiste il
diritto di imporre per legge o per conformismo con l’opinione pubblica
l’apprezzamento dell’omosessualità, dietro l’accusa di “omofobia ontologica” si
nasconde una pretesa di assolutezza delle proprie opinioni a favore
dell’omosessualità, il che, in termini politici, equivale all’imposizione
dell’omosessualità di Stato. Dato che l’omofobo ontologico non effettua alcuna
violenza o persecuzione reale sugli omosessuali, la questione diventa solo un
divieto di pensare in modo diverso dall’omofilia. L’accusa di “omofobia
ontologica” è una precisa minaccia per la libertà di pensiero e di opinione,
possibile che si faccia finta di non rendersene conto? Si dirà: ma se le
opinioni contrarie all’omosessualità diventano maggioranza non si rischia di
assolutizzare l’omofobia anche pratica? Un conto è non apprezzare
l’omosessualità, un altro conto è acconsentire alla violenza. La verità non sta
mai nell’opinione pubblica di per sé, sia se è omofoba e sia se è omofila, non
sta mai nell’esigenza psicologica di per sé, sta nel ‘corpo’ e nel modo in cui
reagisce il corpo all’eccitazione, ci sia o non ci sia l’atto procreativo
(comunque la funzione procreativa non può non essere considerata un indizio ben
preciso di cosa sia fisicamente la sessualità). Insomma bisogna vedere se il
pregiudizio consista nell’‘omofobia
ontologica’ o non consista, invece, nello psicologismo ed egualitarismo
astratto, se consista nel non partire dal corpo nelle considerazioni sessuali o
nel partire dal corpo, se consista nel considerare l’omosessualità naturale o
contro natura. Il corpo, nella sua oggettiva differenza tra maschio e femmina,
nella reazione fisica susseguente all’eccitazione (anche mettendo tra parentesi
la procreazione, il che si può fare rispetto al fine, non rispetto al mezzo,
perché il mezzo, comunque, rivela la struttura eterosessuale della sessualità),
non lascia dubbi sulla sua natura ontologicamente eterosessuale. Freud, quindi, ha perfettamente ragione
nel ritenere ‘la sessualità come unione
di due esseri di sesso diverso’, e, quando si fa sesso, bene o male, prima
o poi, i genitali vengono coinvolti. Il corpo è ‘omofobo’? Se è così, in nome
del corpo è perfettamente legittimo essere ‘omofobi’ in senso ontologico, anzi
è l’unica posizione corrispondente alla verità, che Onfray e l’opinione
pubblica di oggi lo vogliano o no.
L’idea di una natura duplice, spirituale e
materiale, dell’essere umano, abbiamo visto che si trova nella cultura
cristiana (Lutero), per conseguenza si trova un pò ovunque, In Cartesio (vedi
“ghiandola pineale” che deve mettere in contatto il corpo meccanico con l’anima
inestesa), in Kant (fenomeno, noumeno), nella scienza (soggetto, oggetto).
Quando l’uomo viene letto dualisticamente si perde il carattere univoco della
persona, la base del carattere univoco della persona è il corpo. Esso è la
realtà, l’altro lato del dualismo è l’allucinazione. Così si parla di doppiezza
anche nella sessualità, nonostante il corpo sia sempre, tranne eccezioni molto
rare, sempre univocamente o maschio o femmina. L’assolutezza ontologica del
corpo non può essere scambiata per un’opinione sociale, per una convenzione o
addirittura per ideologia. Il corpo è univoco ontologicamente e viceversa la
sua ontologia è univoca. Se il corpo esclude ontologicamente l’omosessualità,
questo fatto non può essere fatto passare per un pregiudizio sociale, come fa
credere Onfray parlando di “omofobia ontologica”, perché l’ontologia è la
realtà e il pregiudizio è ciò che la società costruisce come opinione pubblica
contro la realtà. In altri termini, se l’opinione pubblica insiste nel dire che
gli omosessuali sono “uguali” nei comportamenti sessuali agli eterosessuali, e
lo dice per impedire che vengano perseguitati, dice comunque una cosa falsa,
sia pure a fin di bene. Dice una cosa falsa perché i comportamenti non sono
“uguali” e, mentre gli eterosessuali si comportano in maniera coerente al loro
corpo, gli omosessuali non lo fanno, fino a giungere alla pretesa di mutare il
loro corpo perché non ritenuto coerente all’abito mentale che l’omosessuale ha
assunto, da ciò deriva la decisione di operarsi e di diventare un transessuale.
L’incoerenza tra corpo e abito mentale, che nel transessuale diventa evidente
al punto che vuole mutare il suo corpo, sussiste anche nell’omosessuale, solo
che l’omosessuale convive con l’incoerenza rispetto al proprio corpo. Il
pregiudizio risiede sempre nella mente, mai nel corpo: se è il corpo, quindi
l’ontologia, a fondare l’incompatibilità tra corpo e omosessualità, allora il
pregiudizio è l’omosessualità. Sostenere, al contrario, che chi ritiene
innaturale l’omosessualità abbia un pregiudizio, come se l’omosessualità fosse
qualcosa di dato oggettivamente alla stregua di un corpo e quindi
indiscutibile, sicuramente significa aver fissato il pregiudizio
dell’omosessualità. Questo pregiudizio è quello che viene fissato
nell’“omofilia” odierna, che si presenta nella veste buonista della lotta alla
violenza contro gli omosessuali. Dato che la violenza è inaccettabile e quindi
la lotta all’omofobia è sacrosanta, ne consegue che inevitabilmente si cade
nell’omofilia. In tal modo la libera discussione relativa alla naturalezza
dell’omosessualità viene resa impossibile, censurata a priori, perché fatta
passare per una variante dell’omofobia, cioè per “omofobia ontologica”. Il che
equivale a dire che “non si deve” discutere liberamente circa l’omosessualità,
ma si “deve” considerala una cosa del tutto naturale ed equivalente
all’eterosessualità. Questa censura è inaccettabile. Il principio
dell’uguaglianza tra omosessualità ed eterosessualità diventa il pregiudizio
sociale in base al quale viene fissata l’etichetta di “omofobo”. Se tratti in
modo diverso omosessuali ed eterosessuali, vieni subito etichettato come
“omofobo” (da ciò il fatto che l’opinione pubblica diventa favorevole alle
adozioni da parte di coppie omosessuali, cioè di coppie che, fisicamente
parlando, sono costituite da due padri o da due madri). Dietro l’omofilia si
cela il “pregiudizio di uguaglianza”. Occorre prendere atto che l’uguaglianza,
al massimo, è un principio di equità sociale, ma non ha nulla a che fare con la
natura. In natura eterosessualità e omosessualità sono diverse: la prima è
conforme al corpo, la seconda no, appare come un semplice atto psichico
arbitrario. Solo ciò che è conforme al corpo è naturale. Il pregiudizio di
uguaglianza si trova perfino in Freud nascosto nel mito della “bisessualità”
originaria dei singoli esseri umani. Questo perfino in contrasto con l’idea
freudiana per cui la sessualità è fondamentalmente eterosessuale (per la quale
Onfray lo accusa di “omofobia ontologica”). Sostenere la “bisessualità” degli
esseri umani equivale ad affermare che hanno la possibilità ad avere tendenze
sia eterosessuali che omosessuali. Visto che, però, il corpo è univoco, per
essere bisessuali, bisognerebbe avere due corpi, non usare in modo improprio il
corpo che si possiede. Freud, sulla base delle omologazioni analogiche che
facevano i positivisti nelle varie parti del corpo (per cui si assimilavano
cavalli, lepri ed uomini sulla semplice base della funzionalità di un arto),
pretende perfino di trovare una “doppiezza” corporea, in particolare nella
donna, interpretando la vagina come organo femminile e la clitoride come un
“piccolo pene”, quindi un organo maschile: “Il
primo luogo occorre riconoscere che la bisessualità, asserita nella
disposizione di tutti gli esseri umani, viene fuori molto più chiaramente nella
donna che nell’uomo. L’uomo ha solo una zona sessuale direttiva, un organo
sessuale, mentre la donna ne possiede due: la vagina, propriamente femminile, e
la clitoride, analoga al membro maschile” (S.
Freud - “Scritti sulla sessualità femminile” - b. Sessualità femminile).
Proprio questa bisessualità femminile, per Freud, porrebbe la donna in
competizione sessuale con il maschio, giacché, se la clitoride è “analogo al membro maschile” (le
“analogie” non sono verità scientifiche, direbbe qualsiasi scienziato serio, ma
non sono neppure reali), allora diventa evidente che la clitoride è un “pene
piccolo” e il pene è una “clitoride grossa”, da qui nascerebbe la presunta
invidia del pene delle ragazzine: “Essa <la
bambina> osserva il pene, vistoso e di
grandi proporzioni <già da bambini si è ‘superdotati’?>, di un fratello o di un compagno di gioco,
riconosce subito che esso è ciò che fa il paio in maggiori dimensioni al
proprio organo piccolo e nascosto <la bambina è una scienziata
positivista che effettua analogie assimilative? Per altro, se la clitoride è
piccola e nascosta, per di più sembra inserita nel corpo e non appare come un
organo del tutto esterno, come è il pene, per quale motivo la bambina, che già
osserva con difficoltà la sua clitoride, dovrebbe assimilarla ad un pene più
piccolo?> e di qui incorre
nell’invidia del pene” (S. Freud -
“Scritti sulla sessualità femminile” - a. Alcune differenze psichiche della
differenza anatomica tra i sessi). L’invidia del pene, dunque, nasce da
una comparazione dovuta all’assimilazione arbitraria tra pene e clitoride. Dato
che questa assimilazione è solo un delirio analogico dello scienziato
positivista e dato che non sta scritto da nessuna parte che la bambina faccia
analogie e assimilazioni del genere, l’invidia del pene deve ritenersi una gran
buffonata della psicologia freudiana. Ma essa è, comunque, significativa di
come la psicologia tende ad ignorare il corpo e le sue differenze. E’
significativa anche del fatto che si suppone senza fondamento una doppiezza
sessuale nelle persone. Se la bisessualità non esiste, anche l’omosessualità
subisce la stessa sorte. Freud ha almeno tentato di giustificare fisicamente la
bisessualità: nella donna, dice, vi è un piccolo pene e una vagina. Si tratta
sì di un’assimilazione del tutto arbitraria, ma almeno è un tentativo di
mostrare fisicamente la bisessualità. Ma la clitoride non è un piccolo pene, né
il pene è una grande clitoride, il corpo nega la bisessualità. Che
l’omosessualità sia una bisessualità effettuata senza il supporto del corpo (da
ciò nasce, poi, l’esigenza di modificare il corpo per giungere alla
transessualità) appare evidente: nell’omosessualità maschile c’è il pene, ma
manca la vagina, si cerca, quindi, un suo sostituto. Se ci si eccita sulla base
del sostituto della vagina, resta il fatto che ci sono reazioni involontarie
anche nel pene. Nell’omosessualità femminile c’è la vagina, ma manca il pene,
per quanto la clitoride sia un organo direzionale, appare chiaro che esso non è
fine a se stesso, altrimenti sarebbe del tutto esterno. La clitoride è
eccitabile in funzione della vagina, non può essere separato e contrapposto
alla vagina, come reputa Freud (e come reputarono, sul piano politico, le
femministe storiche, che videro nella donna clitoridea la donna libera e nella
donna vaginale la donna schiava dell’uomo). In realtà l’omosessualità fa sesso
con un organo sessuale che “non c’è”, vale a dire usa in modo improprio il
corpo. Poiché l’uso improprio del corpo non modifica la realtà del corpo, ne
consegue che, fisicamente parlando, l’omosessualità non esiste ed è un fatto
meramente psichico e arbitrario, cioè non naturale. Questa constatazione è un
fatto, non un pregiudizio di “omofobia”, non si può, in nome dell’eguaglianza,
negare i fatti e la realtà.
La teoria della bisessualità di Freud nasce
dai suoi pregiudizi positivisti, ad esempio dall’idea di evoluzione e di
organo atrofizzato,
cioè dall’idea che due parti del corpo, collocate nella stessa zona ma diverse,
di esseri anche complessivamente diversi fisicamente, come sono uomo e donna,
siano originariamente lo stesso organo che ha subito due sviluppi evolutivi
diversi: la clitoride sarebbe un pene atrofizzato. Allo stesso modo si potrebbe
dire che la proboscide di un elefante non è altro che il naso di un ippopotamo
sviluppato o, viceversa, che il naso dell’ippopotamo è una proboscide
atrofizzata. E’ quasi impensabile una sopravvivenza della specie umana
immaginando che, in tempi ancestrali, sia l’uomo che la donna possedessero un
pene. Queste “analogie”, che la mente umana farnetica, sono del tutto
scorrette, false, anti-naturali e irreali. Esse sono delle “mediazioni” che,
non essendo sperimentabili nella realtà attuale, vengono spostate in un’età
mitica, ancestrale, com’è tipico dell’evoluzionismo darwiniano e freudiano. Non
è certo un caso che Freud sposti i suoi modelli di spiegazione tutti
nell’infanzia: l’infanzia è l’equivalente dell’età mitica e ancestrale. Queste
“mediazioni” nascono dall’arroganza della mente che fissa come “dover essere”
la tendenza ad unificare, eguagliare, semplificare tutto, così che tutto, ove
l’analogia è possibile, diventa riconducibile ad un modello “unico”. Il
“pensiero unico” viene contrapposto alla varietà individuale, sessuale e di
specie che la natura mostra ogni giorno nella realtà. La supposizione, in
Freud, della bisessualità, più evidente nella donna, nasce dal presupposto
dell’arbitraria analogia tra pene e clitoride, per cui quest’ultima sarebbe un
pene atrofizzato. Con ciò viene posta un’“analogia” che, con una “mediazione”,
scavalca la realtà, dove c’è soltanto la diversità tra i due organi sessuali.
Procedendo in questo modo si viene a creare un’ambivalenza che in natura non
esiste (tranne in pochi, rarissimi, casi): l’organo sessuale femminile, con
l’imposizione dell’analogia con il pene, appare anche, in parte almeno, un
organo sessuale maschile. Si apre la via ad una presunta giustificazione fisica
della bisessualità. Tutti sono più tranquillizzati, perché la società è
impostata, specie in epoca moderna, sul presupposto che tutti gli individui,
maschio o femmina che siano, bianchi o neri che siano, bruni o biondi che
siano, vanno considerati “uguali”. Di più, la società moderna nasce dal
presupposto che gli individui “devono essere” uguali. Il “dover essere” sociale
sta violentando la diversità naturale. Quindi la bisessualità, parente dell’omosessualità,
appare come il corrispondente atteggiamento sessuale di una società regolata
dal “dover essere dell’uguale”. L’uguale produce l’ambivalenza. Anche al di là
delle precisazioni anatomiche di Freud, tutti ritengono oggi che c’è negli individui
una parte maschile e femminile, si è giunti ad affermare che gli eterosessuali
puri reprimono la loro parte omosessuale. Si ragiona secondo i parametri di un
ermafroditismo universale ideologico che è il corrispondente del “dover essere
dell’uguale”. La società si è impadronita delle mente fino al punto di giungere
alla rimozione della natura e della realtà. L’ideologia sociale raggiunge, in
tal modo, livelli psicotici. Questi omofili sono psicotici. Questo “pregiudizio
di uguaglianza” della società è fortemente autoritario, viene inculcato negli
individui fin dalla prima infanzia, per cui fin da giovani si cresce in una
dimensione di “ambivalenza” e di “conflitto”, più o meno secondo una logica che
corrisponde a quella che Freud descrive quando parla del “divieto ossessivo”
che confluisce nel “tabù”. Il divieto sociale, imposto dal “dover essere
dell’uguale”, appare come un principio immotivato, esattamente come il “tabù”.
Il giovane individuo per impulso è spontaneamente individuo, quindi anche egoista
in modo sano, per impulso sarebbe maschio o femmina a seconda della
costituzione fisica del suo corpo e via dicendo. Questo impulso, però, è
contrastato dal “divieto” di essere individuo o di essere maschio o femmina in
piena spontaneità, perché in natura essere individuo o essere maschio o femmina
significa affermare una diversità e un egoismo. La diversità e il naturale
egoismo, però, eliminano il “dover essere dell’uguale” e altruismo che la
società vorrebbe imporre. Il mondo pulsionale della diversità naturale,
individuale e sessuale, e il tabù dell’uguale (l’orrore del diseguale), imposto
dalla società, entrano in contrasto perenne, secondo modalità che Freud
descrive in questo modo: “data la
costituzione psichica del bambino, il divieto non riesce ad eliminare la
pulsione. Unico risultato della proibizione è stato di rimuovere la pulsione..e
di esiliarla nell’inconscio. Divieto e pulsione si sono conservati entrambi: la
pulsione perché è stata soltanto rimossa e non eliminata, il divieto perché,
venendo a cessare, la pulsione sarebbe penetrata nella coscienza e si sarebbe
attuata. Si è creata così una situazione irrisolta..e dal perdurante conflitto
tra divieto e pulsione deriva tutto il resto” (S. Freud - “Totem e tabù” - saggio n. 2). Freud chiama questa
una situazione: “ambivalenza”. Ora appare chiaro che l’omofilia è l’espressione
ideologica di questa ambivalenza. La società, imponendo il “dover essere
dell’uguale”, pone, di fatto, un divieto: non si può essere “diversi”
profondamente e in modo autentico: la diversità individuale, quella sessuale,
quella dei corpi, non devono essere prese in considerazione, pur seguitando a
sussistere materialmente. Deve essere preso in considerazione solo l’“uguale”,
per il quale individui diversi, corpi diversi, sessualità diverse vanno
considerate come uguali e quindi trattate in modo uguale. La società sembra
appropriarsi degli stessi spazi della natura, si arriva perfino a negare la
natura e ad affermare un “pensiero unico” come “dover essere” sociale. Se
questo “dover essere dell’uguale” non fosse identificato, a sua volta, con il
concetto di Umanità (il dover essere dell’uguale, quindi, è l’espressione di
una religione laica dell’Umanità), sarebbe come se si dicesse che anche i cani
hanno diritto, per eguaglianza, ad avere un televisore. Un’applicazione simile
dell’uguale avrebbe soltanto rimosso la differenza psico-fisica che sussiste
tra uomini e cani. Gli “amanti” degli animali spesso torturano gli animali
stessi equiparandoli ad esseri umani con vestitini, casette e altri arnesi
antropocentrici. Sembra che l’uomo sia capace di rispettare la vita solo se la
riconduce nella gabbia dell’“uguale”, mentre la vita va rispettata nella
diversità, riconoscendo la diversità, anziché rimuoverla. Altrimenti accade
quel che diceva il saggio taoista, che in proposito la sapeva lunga: “Non hai inteso parlare di quell’uccello
marino che una volta si fermò nel contado di Lu? Il marchese di Lu andò a
riceverlo e gli offrì un festino nel tempio ancestrale, facendo eseguire le
nove parti della musica shao per rallegrarlo e ammannire gli animali del grande
sacrificio per satollarlo. L’uccello guardò con occhio deluso e, tutto afflitto
e mesto, non osò mangiare una sola briciola di carne né bere una sola tazza di
vino. Dopo tre giorni morì. Questo perché colui aveva nutrito l’uccello come
nutriva se stesso e non come si nutriva l’uccello” (“Chuang-tzu” XVIII, 119). Con la rimozione all’impulso della
diversità, che poi è un impulso egoistico, diversità ed egoismo subiscono un
“divieto”, ognuno deve essere uguale ed altruista, deve essere se stesso e
anche l’altro: ciò, a livello sessuale, diventa chiaramente teoria della
bisessualità ed ermafroditismo ideologico, cioè omofilia ideologica. Il se
stesso, individuale e sessuale, che viene indicato dal corpo e non dalle
fantasie che stabiliscono solo la presunta onnipotenza del pensiero, viene
rimosso assieme al corpo, ma, come dice Freud, gli impulsi corporei
dell’individualità e della propria unica sessualità sono stati “soltanto rimossi e non eliminati”, per
cui l’autorità dell’uguale, che porta a identificarsi con l’altro, anche con
l’altro sesso (omosessualità, l’omosessualità e la bisessualità tendono a
coincidere, perché l’identificazione con l’altro sesso non sempre riesce ad
eliminare il rimosso, così che la propria eterosessualità riemerge spesso e
volentieri), rimane in uno stato di “perdurante
conflitto tra divieto <imposizione dell’uguale che vieta l’individualità
e la sessualità come ‘diversità’> e
pulsione”. Si fa, superficialmente, passare la società per responsabile
della repressione dell’omosessualità o della bisessualità solo perché,
storicamente, ha creato dei divieti in questo senso, ma questi divieti erano lo
spostamento indebito della naturale diversità sul piano sociale, il quale
ultimo trasforma tutto in autorità e gerarchia. Nel modo sbagliato, cioè
sociale, quindi autoritario, le società repressive dell’omosessualità in
qualche modo ancora recepivano un mondo estraneo alla società, cioè naturale.
Per combattere la repressione, si è equiparata l’omosessualità
all’eterosessualità, estendendo il principio del “dover essere dell’uguale”,
che è il principio stesso della società, specie moderna. In questo modo, però,
è stata cancellata del tutto la natura e al suo posto è stata collocata
l’uniformità stagnante dell’“uguale” assoluto: questo non è assolutamente
accettabile. La vera natura della società, specie moderna, non è la diversità,
ma il “dover essere dell’uguale”, per cui è chiaro che la società, oggi come
oggi, epoca di iper-socialismo (il che non significa affettività), esprime
l’autentica dimensione della socialità, cioè quella per cui non si distingue
tra gli individui e non si distingue tra i sessi: il dover essere dell’uguale
diventa ermafroditismo universale ideologico, teoria della bisessualità, in cui
l’essere dell’altro sesso corrisponde, appunto, all’omosessualità. Da ciò la
diffusa omofilia che presenta se stessa come lotta all’omofobia. Tutto questo
in barba ad ogni evidenza corporea, che viene rimossa generando il conflitto
tra divieto (imposizione dell’uguale) e spontaneità corporea, spontaneità che
mostra palesemente che l’individuo ha un solo corpo dal quale l’altro è
escluso, che ha un solo sesso, quello designato dal corpo e non dall’arbitrio
mentale (che poi risente dell’essere “uguale” che impone la società), dal quale
l’altro sesso è escluso. La rimozione di se stessi, della propria sessualità e
corporeità non è eliminazione di se stessi, della propria sessualità e
corporeità, ma solo la creazione di un “perdurante
conflitto”.
Nel corso della storia, l’omosessualità è
stata ora più largamente accettata, ora meno. Rispetto al singolo individuo,
nessuno ha il diritto di sindacare sul comportamento omosessuale o meno della
persona, il che non significa, però, che la società debba imporre il dovere
dell’omofilia. Se non esiste il diritto e il dovere dell’omofobia, non può
esistere neppure il dovere dell’omofilia. Per chi non è omofilo,
l’omosessualità è innaturale, far passare questa considerazione per omofobia,
magari ontologica, significa demonizzare chiunque non è omofilo, significa
voler imporre quello che non è affatto condiviso, cioè che omosessualità ed
eterosessualità siano sessualità equivalenti. Non si può imporre il principio
dell’uguaglianza sociale dove regna il fondamento della differenza naturale. Si
è già accennato al fatto che, anche là dove l’omosessualità era stimata come
elezione divina, la si considerava, in fondo, innaturale. Ciò viene confermato
da quanto dice Leopardi circa l’omosessualità presso i greci (Leopardi fa anche
notare che in epoca moderna c’è una certa omofobia, ma il fatto che si debba
combattere l’omofobia, non significa che si debba sfociare nell’omofilia, ad
esempio mettendo dovunque l’omosessuale: presentatori omosessuali, parate
omosessuali, film dedicati ad omosessuali, perfino pubblicità che fa
riferimento ad omosessuali, in pratica una “moda”, come vuole l’omofilia,
questa non è la discrezione di chi semplicemente combatte la violenza cui può
portare l’omofobia, questo è voler imporre l’omosessualità come una “norma”,
come se la “normalità” dovesse essere socialmente e artificialmente costruita
per sostituire e tenere lontana quella naturalezza che manca: è l’omofilia che
sta sostituendo l’artificio dell’opinione pubblica, reso “normalità”, alla
natura, l’omofilia attuale è conformismo sociale, l’omosessualità,
nell’omofilia, è diventata prepotente come una moda): “Non sarebbe fischiato oggidì..un poeta, un romanziere ec. che
togliesse <scegliesse> per
argomento la pederastia o l’introducesse in qualunque modo..? Ora la più polita
nazione del mondo, la Grecia, l’introduceva nella sua mitologia..scriveva
elegantissime poesie su questo soggetto, donna a donna..uomo a giovane..ne
faceva argomento di dispute o trattati rettorici o filosofici..Anzi si può dir
che tutta la poesia, la filosofia e la filologia greca versasse principalmente
sulla pederastia, essendo presso i greci troppo volgare e creduto troppo
sensuale, basso, triviale, indegno della poesia, l’amore delle donne <intendi
tra uomo e donna>, appunto perché
naturale..E Virgilio..ridusse ed applicò all’infame pederastia il sentimento, e
ne fece il soggetto di una storietta sentimentale nel suo Niso e Eurialo..nota
che forse all’esuberanza di vita si può attribuire la grande universalità della
pederastia in Grecia, e in Oriente.., mentre fra noi bisogna convenire che
questo è un vizio antinaturale, una inclinazione che il solo eccesso di
libidine snaturante i gusti e l’inclinazioni degli uomini può produrre” (G. Leopardi - “Zibaldone” 1840-41).
Leopardi nota: 1) che c’è una certa tendenza omofoba nella modernità, 2) che
nella Grecia questa omofobia non c’era perché si trattava spesso
dell’omosessualità, 3) che questa importanza dell’omosessualità in Grecia
dipendeva dal fatto che l’eterosessualità veniva ritenuta volgare, mentre
l’omosessualità veniva ritenuta nobile, 4) che la volgarità
dell’eterosessualità dipendeva dal fatto che era naturale, 5) definisce
comunque “infame” la pederastia, vale
a dire l’omosessualità, 6) attribuisce l’omosessualità diffusa presso i greci e
presso gli orientali ad un’esuberanza sessuale che porta ad eccessi, 7)
conferma che ritiene l’omosessualità “un
vizio antinaturale” e una “libidine
snaturante i gusti”. Che l’omosessualità possa far capo ad un’esuberanza
incontrollata è possibile, come capita in certi atteggiamenti omosessuali
dell’infanzia che poi svaniscono. L’esuberanza, all’inizio, non riconosce la
meta sessuale, cioè la complementarità fisica uomo-donna, tanto è vero che la masturbazione,
inizialmente, non è solo un rifugio di indipendenza, ma è addirittura ritenuta
la sessualità in se stessa. Solo gradualmente il giovane e la giovane prendono
consapevolezza della reciproca attrazione dei loro corpi. Anzi inizialmente
negano tale attrazione, perché gli appare inquietante e gli suscita dei timori
riguardo alla propria libertà. La carica emotiva del rapporto sentimentale
inizialmente genera nei giovani una difficoltà a riconoscere nell’altro sesso
la vocazione stessa del proprio corpo. Per questo l’esuberanza sessuale si
scarica in qualunque modo possibile. Ci sono, soprattutto nei giovani,
comportamenti che sembrano omosessuali, ma che, col tempo, svaniscono del tutto
per una maggiore consapevolezza del proprio corpo e della differenza sessuale
maschio-femmina. Quanto all’eterosessualità come volgare, in quanto naturale,
essa ripete, a livello di civiltà, l’atteggiamento di alcuni popoli primitivi
che reputavano gli omosessuali, proprio in quanto non naturali, come portatori
di un misterioso segno divino. Mentre con ciò si manifestavano pregiudizi
religiosi o aristocratici, allo stesso tempo si ammetteva, di fatto, che
naturale fosse solo l’eterosessualità. Da questo punto di vista l’antica Grecia
non è un buon esempio, anche se aveva il merito di una maggiore tolleranza
verso gli omosessuali. Sulla base di un segno aristocratico rozzo si correva il
rischio di fare dell’omosessualità la “normalità” sociale, con la scusa della
nobiltà e della divinità, in contrapposizione alla naturalezza che avrebbe reso
volgare l’eterosessualità. Leopardi, pur notando l’eccesso di ostilità verso
l’omosessualità in epoca moderna, mostra di non essere in linea con la
“normalità sociale e artificiale” dei greci riguardo all’omosessualità.
Espressioni come “infame pederastia”
e “vizio antinaturale” riferite
all’omosessualità non lasciano dubbi in proposito. Eppure il poeta omosessuale
Dario Bellezza ha voluto far credere che Leopardi fosse omosessuale. Anche
questo voler far diventare omosessuali grandi personaggi del passato rientra in
quel processo di “normalizzazione” (rendere norma) dell’omosessualità in cui
consiste, da qualche decennio a questa parte, il trionfo dell’omofilia. Ma
l’omofilia non può diventare obbligatoria attraverso il processo di “normalizzazione”
dell’omosessualità, perché la “norma” non coincide con la “natura”. Tra natura
e società, bisogna seguire sempre prima la natura, altrimenti si subisce una
violenza. “Normalizzare”, quindi, Leopardi come omosessuale è solo un disegno
politico, perché Leopardi non apprezzava affatto l’omosessualità, come queste
pagine dello “Zibaldone” (un’opera non destinata alla pubblicazione)
dimostrano: “Alle altre barbarie umane da
me altrove notate si aggiunga la pederastia, snaturatezza infame che fu pure ed
è comunissima in Oriente..e non fu solo propria de’ barbari ma di tutta una
nazione così civile come la greca..Quanto noccia questo infame vizio alla
società ed alla moltiplicazione del genere umano, è manifesto” (G. Leopardi - “Zibaldone” 4047)
E’ la vera prova provata del fatto che
l’uomo moderno non vuole rispettare il mondo naturale, in cui è compreso il suo
corpo, il fatto che l’omofilia nasca, da un lato, da una “trasgressione” fine a
se stessa (la quale suppone sempre un regola da violare e, quindi, nel contempo
autorizza la regola ad esistere) e dall’altro lato dall’uso di quei termini,
come “apertura mentale”, che fanno riferimento alla semplice astrattezza di
pensiero e dimenticano la realtà corporea delle cose e delle persone. Il corpo
è quello che è, non può seguire le “aperture mentali”, un corpo “aperto” è un
corpo che smette di essere se stesso, un corpo che muore, il corpo non può
essere “aperto”. Tale apertura mentale è semplicemente un vizio intellettuale,
come se l’uomo potesse essere tutto, quindi maschio e femmina
contemporaneamente, come se potesse, da buon camaleonte, cambiare attitudine
così come l’animale cambia la sua apparenza. Il lavorio psichico di alienazione
viene spacciato per realtà più autentica, come se ci fosse una realtà più
autentica “oltre” il corpo dato. L’omosessuale è tale per un atto religioso. Si
dà per scontata, in tal modo, la bisessualità, come se fosse un’apertura e non
semplicemente la perdita di cognizione del proprio corpo, del proprio Sé. Si cercano
perfino convalide scientifiche dell’omosessualità e della bisessualità, come se
non fosse noto che le ricerche scientifiche sono pilotate dai pregiudizi e
dalle teorie sociali che fondano metodi, scopi e risultati della ricerca.
Insomma l’apertura mentale, rispetto al corpo, è un vero e proprio pregiudizio.
Il corpo non ha alcuna apertura mentale, perché il corpo non è una mente. Ma
per capire questo occorrerebbe cessare di credere al dualismo mente-corpo,
occorrerebbe capire che la coscienza resta nella realtà solo se fa sua la
realtà corporea. Questa è maschio e femmina quanto alla differenza sessuale,
mai, almeno a pieno, tutte e due contemporaneamente. Da duemila anni a questa
parte l’uomo non ha fatto altro che tentare di “uscire da sé”, dalla propria
realtà, ha reso una vera abitudine il mentire a se stesso. Questo mentire a se
stesso è diventato perfino “opinione pubblica”, ma le persone libere
dell’opinione pubblica se ne fregano.
Nella società, specie odierna, in cui
dominano la menzogna e l’artificio, credere, come si crede qui, che, in natura,
l’omosessualità non esiste, ciò anche se esistono gli omosessuali, è difficile
come far credere ai credenti che Dio non esiste. Il fatto che esistano i
credenti non significa che esiste Dio, allo stesso modo, il fatto che ci siano
esseri umani che tengono un comportamento omosessuale non significa che esista
l’omosessualità. L’omosessualità non ha un corpo proprio (mentre
l’eterosessualità sì: maschio e femmina) e ciò che non ha un corpo proprio non esiste.
Il sesso lo decide la natura, non la società e neppure la psiche umana. Così
come io non mi sono fatto traviare dall’opinione pubblica circa l’esistenza di
un Dio, allo stesso modo non mi faccio traviare dall’opinione pubblica e dalla
sua attuale omofilia.
La natura è la dimensione più difficile da
far comprendere all’intellettuale, il quale vede, sistematicamente, l’individuo
naturale, umano o animale che sia, sempre in modo “dualistico”. Non si riesce a
far comprendere che il “dover essere dell’uguale”, al massimo, può essere
un’esigenza sociale, ma che essa non corrisponde alle diverse doti naturali.
Chi considera le diverse doti naturali dei privilegi ha completamente perso la
sua mente nella dimensione intellettuale, cioè artificiale, per la quale non
esistono individui al di là dei cittadini, al di là delle classificazioni
concettuali. La differenza di genere, cioè maschio-femmina, esattamente allo
stesso modo della differenza individuale, si colloca “al di là” del bene
(uguale) e del male (superiore-inferiore), si colloca nella dote naturale e le
doti naturali non possono e non devono essere negate nell’uguaglianza sociale.
C’è un limite all’uguaglianza sociale e si colloca nelle doti naturali degli
individui, la differenza tra eterosessuali ed omosessuali si colloca “al di là”
dell’uguaglianza sociale. Questo significa che se, come individui, gli
eterosessuali e gli omosessuali hanno uguali diritti e doveri (quindi
l’omosessuale ha diritto a snaturarsi come individuo), secondo la diversità delle
doti naturali l’uguaglianza tra eterosessuali ed omosessuali non può e non deve
essere riconosciuta. Non distinguere il piano naturale da quello sociale,
tenendo presente che le norme giuridiche devono tenere conto sia del piano
sociale che di quello naturale, è la cecità inaccettabile che ha portato oggi
all’omofilia, che vuole imporre, in modo totalitario (cioè fascista, i veri
fascisti sono quelli che oggi vedono in chi li contraddice solo “omofobi”, come
i fascisti di un tempo vedevano in chi li contraddiceva solo comunisti), come
legge assoluta il dover essere dell’uguale.
Un’ultima considerazione: prendendo spunto
da Pirandello. Mi riferisco a quello che Pirandello definiva “umoristico”, che,
secondo il suo parere, si basa sul “sentimento
del contrario”. Ecco, tanto l’omosessualità, nei comportamenti sessuali,
quanto la transessualità, nel diretto apparire fisico, manifestano il “sentimento del contrario”. Che questo “sentimento del contrario” debba
ricondursi al comico, all’umoristico o più semplicemente
al ridicolo, è cosa da
stabilire dopo. Certamente l’omosessualità e la transessualità non sfuggono ad
almeno una delle tre ipotesi, addirittura potrebbero coinvolgerne più di una.
Dice Pirandello: “nella concezione di
ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile,
non resta quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il
sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza,
spassionandosene; ne scompone l’immagine; da questa analisi però, da questa
scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe
chiamarsi, e che io difatti chiamo ‘il sentimento del contrario’. Vedo una
vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile
manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi
metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che
una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e
superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto
‘avvertimento del contrario’. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi
suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi
così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché
pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie
riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che
io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando
in me, mi ha fatto andar oltre quel primo avvertimento, o piuttosto, più
addentro: da quel primo ‘avvertimento del contrario’ mi ha fatto passare a
questo ‘sentimento del contrario’. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e
l’umoristico. ‘..signore, forse, come gli altri, voi stimate ‘ridicolo’ tutto
questo..’. Così grida Marmeladoff nell’osteria, in ‘Delitto e castigo’ del
Dostojevski, a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi. E questo
grido è appunto la protesta dolorosa ed esasperata d’un personaggio umoristico
contro chi, di fronte a lui, si ferma a un primo avvertimento superficiale e
non riesce a vederne altro che la comicità” (L. Pirandello - “L’umorismo” - part. 2°). Sembrerebbe, dunque,
che il comico e l’umoristico abbiano lo stesso contenuto, cioè ‘l’avvertimento del contrario’ che fa
apparire ‘ridicolo’. Fermarsi a
questo punto, secondo Pirandello, è superficiale, mentre l’umorismo, mediante
l’analisi, aggiungerebbe un elemento psicologico che porta alla considerazione
per cui esiste un elemento penoso che spinge al superamento del comico e del
ridicolo. Pirandello complica intellettualmente con la psicologia le cose.
Riguardo all’omosessualità e alla transessualità, ma anche riguardo alle
operazioni chirurgiche di rifacimento del viso e del corpo, invece occorre
attenersi con rigore al corpo e la psicologia non può minimamente giustificare.
A parte che resta discutibile il fatto che “fare pena” (umorismo) sia cosa
migliore del “fare ridere” (comico), l’elemento determinante
nell’omosessualità, nella transessualità, nel rifacimento di labbra, zigomi,
seni e altre cose del genere (il rifacimento chirurgico del fisico accomuna la
transessualità a qualsiasi altro rifacimento corporeo) è il “ridicolo”. Il
ridicolo può anche far ridere, oppure, se scatta la riflessione di cui parla
Pirandello, suscitare quel senso di pena che non fa ridere e che Pirandello
chiama “umorismo”, in ogni caso si tratta della reazione di osservatori di
fronte alla “percezione del contrario”. In altri termini esiste oggettivamente
una “percezione del contrario”, cioè il “ridicolo”, se esso susciti la comicità
o l’umorismo interessa poco. Tra l’altro può anche suscitare la nausea. Il
motivo che potrebbe indurre a suscitare pena verso la donna che, secondo la
“percezione del contrario” (ridicolo), da vecchia vuole apparire giovane (nel
passato con trucchi e vestiti, oggi con operazioni di “chirurgia estetica”),
esiste e non esiste. Perché, se genericamente si può ammettere la tristezza
dell’invecchiamento, molto meno si può ammettere una falsificazione così
spinta, che va al di là di ogni piccolo accorgimento, come quella della
“chirurgia estetica” e della “chirurgia sessuale”. Voler apparire il contrario
di quello che si è, dal momento che viene coinvolto il corpo, fa cadere oggettivamente
nel ridicolo. Dunque, al di là delle considerazioni di chi osserva (ride, prova
pena, ecc.), rimane un fatto oggettivo nella misura in cui la “percezione del
contrario” si manifesta nei corpi, nella chirurgia estetica per le persone che
da vecchie voglio apparire giovani, nella chirurgia sessuale per le persone
che, pur essendo di un sesso, vogliono apparire dell’altro, nei comportamenti
tenuti durante l’atto sessuale per gli omosessuali, comportamenti che tendono,
inevitabilmente, a scimmiottare l’atto eterosessuale, dando la chiara
“percezione del contrario”. Per di più omosessuali e transessuali non possono,
in genere, invocare la dolorosità della vecchiaia per indurre ad un sentimento
penoso e alla riflessione umoristica, perché sono giovani e sani. Al contrario
non si può fare a meno di constatare come in essi sia radicale l’arroganza
(hybris) dell’arbitrio che, negando il proprio corpo originale, o con la
chirurgia o con i comportamenti durante l’atto sessuale, offrono solo la
“percezione del contrario”. Se non si vuole sfruttare questa percezione del
contrario per far ridere, come avviene in certi film comici, per lo meno sarà
necessario collocare il rifacimento estetico, la transessualità,
l’omosessualità all’interno della categoria del “ridicolo”. Che l’opinione
pubblica abbia la pretesa di voler far diventare “normale” ciò che, secondo il
corpo, è “ridicolo” appare come un’arroganza inaccettabile dell’opinione
pubblica ed eventualmente delle leggi che da tale opinione pubblica vengono
create. A questo riguardo occorre mandare a quel paese tanto l’opinione
pubblica che le leggi dello Stato fatte in nome di tal opinione pubblica
degenerata. Un anarchico non obbedisce all’opinione pubblica e alle leggi dello
Stato che santificano il “ridicolo”, solo perché, nel “dover essere
dell’uguale”, ci si presenta come i “buoni” che integrano tutti, anche rifatti
chirurgicamente, omosessuali, transessuali, come se essere buoni significasse
non distinguere più l’artificiale dal naturale, il falso dal vero. Un conto è
non perseguitare (con la violenza fisica, impedendo loro di lavorare o di avere
certi diritti a livello giuridico) i mostri nati dalla chirurgia estetica, i
transessuali, gli omosessuali, un altro conto è considerarli perfettamente
uguali e non ridicoli, con la pretesa di far diventare obbligatoria questa
opinione. Questi “buoni”, i “politicamente corretti”, sostenitori
dell’integrazione universale, sono i più degenerati di tutti e sono ipocriti e
mentitori di professione: “I buoni non
dicono mai la verità” (F. Nietzsche -
“Così parlò Zarathustra” - Di antiche e nuove tavole 7).
Un consiglio per i genitori che non
vogliono favorire la nascita dell’omosessualità nei loro figli (anche se, una
volta divenuti tali, occorre accettarli come figli, ma anche ricordare a tali
figli che qualcosa non funziona nella loro psiche, accettare una persona non
vuol dire condividere il suo modo di ragionare): la madre deve evitare di
mostrare, fin dalla nascita, un eccessivo interesse verso il figlio maschio,
deve impedire che il figlio giunga ad un’identificazione con la madre che lo
renderebbe gay; per la femmina occorre vigilare sulle frustrazioni dell’età
puberale e post-puberale e sulle delusioni amorose, che spingono le ragazze a
rifiutare, temporaneamente o definitivamente, i maschi.
Se ci crediamo uguali
qui, nella coscienza,
nel corpo, invece,
il sesso è differenza.
Solo maschio o femmina
è il neonato tra le
fasce,
può apparire strano:
omosessuali non si
nasce.
Se davvero ci fosse
il famoso terzo sesso,
anche un terzo corpo
ne verrebbe appresso:
nessuno ha visto mai
un neonato omosessuale:
ché neppure esiste
un corpo come tale.
Tempo e rapporti
ti deviano nel sesso,
ma l’artificio poi
ti fa perdere te
stesso.
Solo maschio e femmina
possono far figli,
altri non son fecondi
là, nei lor giacigli,
se nel bosco tutto
fosse omosessuale
non ci sarebbe un
albero
e neppure un animale.
Eppure gay e lesbiche
vogliono aver figlie
e come tutti gli etero
far delle famiglie,
vogliono essere
quello che non sono
e l’ipocrisia sociale
l’ammette come buono.
(10/6/1982)
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