IL VILLAGGIO GLOBALE
L’idea dell’Umanità come “villaggio globale” è moderna, anche se essa aveva i suoi equivalenti negli Imperi dell’antichità e del Medioevo. Il “villaggio globale” è una specie di “imperialismo informale”, avviene mediante una continua espansione commerciale che, ovviamente, di tanto in tanto viene difesa e imposta con la violenza delle armi e con la guerra. L’idea kantiana della pace universale attraverso il commercio è la sublimazione della schiavitù e dipendenza universale. La Seconda guerra mondiale è stata la lotta tra l’imperialismo terrestre nazi-fascista e l’imperialismo informale o marittimo anglo-americano. L’imperialismo terrestre è uno snaturamento dello Stato nazionale, il quale, sotto la pressione dello sviluppo economico dovuto alla società industriale e capitalistica, si mette alla ricerca di materie prime e di mercati, conquistando terre. Se non ci fosse stata tale degenerazione, cioè se il nazionalismo non fosse degenerato in imperialismo (c’è chi confonde direttamente nazionalismo e imperialismo sia a destra che a sinistra), le nazioni si sarebbero poste l’una di fronte all’altra come dei popoli viventi sul loro “proprio” territorio, come corpi individuali l’uno indipendente dall’altro, popoli che avrebbero assunto, quindi, un’individualità collettiva, basata sulla differenza rispetto agli altri popoli. E’ questa la concezione romantica di “nazione”: “Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica. Si giunge al principio di nazione in quanto si giunge ad affermare il principio di individualità, cioè ad affermare, contro tendenze generalizzanti ed universalizzanti, il principio del particolare, del singolo. Per questo, l’idea di nazione sorge e trionfa con il sorgere e il trionfare di quel grandioso movimento di cultura europea, che ha nome Romanticismo..L’imporsi del senso della ‘nazione’ non è che un particolare aspetto di un movimento..il quale, contro la ‘ragione’ cara agli illuministi..proclama i diritti della passione, contro le tendenze a livellare tutto” (F. Chabod - “L’idea di nazione”). La nazione non ha certo l’individualità fisica di un individuo in carne ed ossa, quindi è un’individualità relativa e non assoluta, deve sempre essere considerata meno importante dell’individualità vera e propria del singolo uomo, altrimenti si cade nella violenza collettiva e anti-individuale del fascismo. La nazione è una parte, più o meno grande, della personalità di un individuo, come tale soggiace al complesso dell’individuo e alla sua libertà. Se le nazioni non degenerano in imperialismo (imperialismo che è sempre conseguenza di un’inaccettabile assolutizzazione della patria), esse possono vivere in pace l’una di fronte all’altra, ognuna sovrana su se stessa e sul proprio territorio. E’ questa l’idea di diritto internazionale prima che si affermasse l’imperialismo informale e marittimo anglo-americano: “gli Stati secondo il diritto internazionale vivono gli uni di fronte agli altri nello stato di natura come ‘persone morali’” (C. Schmitt - “Terra e mare”). In realtà questa è esattamente la condizione in cui gli anarchici individualisti immaginano che dovrebbero vivere i singoli individui: “liberi gli uni di fronte agli altri nello stato di natura come ‘persone morali’”. Schmitt ammette perfino, ma solo per gli Stati nel diritto internazionale terrestre, che tale situazione non sarebbe priva di diritti, pur potendosi vedere in essa una situazione anarchica: “Si può vedere in ciò una situazione anarchica, ma assolutamente non una situazione priva di diritti” (C. Schmitt - “Terra e mare”). Anche l’anarchia ammette l’esistenza di diritti naturali, non si capisce, quindi, la sua demonizzazione, che ha come unico motivo la propaganda del potere, che, in caso di anarchia, sparirebbe. Di fronte al diritto internazionale terrestre, che, sulla spinta della rivoluzione industriale borghese, il nazi-fascismo ha fatto degenerare in imperialismo, si affermava il diritto internazionale marittimo. Così dice, a ragione, Schmitt. Per la verità già l’ingigantimento della nazione, come una piaga purulenta, aveva infettato l’originaria nazione, visto che la rivoluzione industriale borghese già corrispondeva all’idea del diritto internazionale marittimo o imperialismo informale, cioè che necessitava della continua espansione del mercato rispetto alla quale i limiti della nazione non apparivano adeguati. Solo che le nazioni più consolidate e per tradizione “terrestri” traducevano l’imperialismo marittimo in imperialismo terrestre e formale. In altri termini il diritto internazionale marittimo e il connesso imperialismo informale potevano sorgere solo in popoli sconnessi al loro interno, in non-popoli, come quello americano e britannico, che per secoli si erano dispersi o in territori immensi (americani) o in mari immensi (britannici). L’artificiosa nazionalità americana e britannica è costruita per intero intorno alle strutture dei loro imperi, quasi non esiste una nazione che vive di fronte ad altre nazioni in un territorio (un rigurgito di questa coscienza di popolo è avvenuta recentemente con la Brexit in Inghilterra e il successo di Trump come presidente americano. Ma, ovviamente, è troppo poco). L’imperialismo informale e marittimo è, per sua natura, tendente all’infinito, visto che si estende fin dove arriva il commercio e il commercio supera, come il concetto di infinito, ogni orizzonte possibile. Nulla è più invadente del commercio e nulla è più corruttore. Americani e britannici, più che popoli che fanno commercio, sono dei commercianti che simulano di essere popoli. La loro stessa religiosità, soprattutto di derivazione calvinista, più o meno come la religiosità presso gli ebrei, li rende delle “monadi” che in Dio vedono la loro Provvidenza e la Provvidenza deve portare benessere, cioè commercio. Il Dio calvinista e il Dio ebraico sono al servizio del commercio e dello scambio, alla fine del denaro e del numero. Il formalismo legale è l’unica cosa che tiene insieme un popolo marittimo e commerciale, in questo i protestanti sicuramente somigliano agli ebrei, con l’unica differenza che gli ebrei inseguono l’infinità del commercio fino a un certo punto, quasi perché costretti dalla circostanze storiche (come diceva Marx, perché sono pratici e non teorizzano l’infinito, come, invece, fa l’ebreo teorico, o cristiano, che trasforma il commercio in “imperialismo informale e marittimo”, cioè nella “globalizzazione”. Ma l’ebreo teorico è il cristiano, diceva Marx, quindi l’ebreo teorico sarebbe il capitalista, sarebbe più l’americano e l’inglese che l’ebreo in senso stretto. Il “formalismo” dell’Antico Testamento ha dato un volto apparente di unità al popolo ebraico, questo formalismo, mentre non detestava il commercio - al contrario dell’ascetismo cristiano medievale -, allo stesso tempo generava un limite nazionale al popolo ebraico. In virtù di questo limite il popolo ebraico, costretto, per la sua emerginazione interna ad altri popoli, a dedicarsi al commercio, sua vocazione interna e sua costrizione dopo la deportazione in Europa, pur favorendo in Europa lo sviluppo della mentalità borghese e commerciale, non è mai giunto all’imperialismo marittimo, cioè al commercio infinito. A meno che non si voglia credere a quanto dicevano i nazisti, che parlavano di “complotto giudaico internazionale”, riferendosi allo “scambismo” sia borghese-capitalista che comunista. I nazisti, pur intravedendo qualcosa di vero, tuttavia attribuivano agli ebrei delle colpe che non avevano per intero, giacché il concetto di “infinito” dell’imperialismo marittimo è più cristiano che ebraico, cioè , come diceva Marx, più teoretico che pratico. Certamente il cristianesimo ha origini giudaiche, ma cristiani erano diventati tutti gli europei, dagli inglesi agli americani, fino agli stessi tedeschi. Quello che avrebbe dovuto essere anti-cristianesimo - alla Nietzsche -, cristianesimo che è il vero progenitore dell’imperialismo marittimo, è diventato, per pregiudizi di bassa lega, anti-ebraismo). Ha ragione Schmitt nel descrivere l’imperialismo informale e marittimo, che, poi, è quello che oggi va a formare la “globalizzazione”, nel seguente modo: “L’impero britannico fondato sul mare, invece che sulla terra, non è l’opera di un’organizzazione statale..la società significa industrialismo, economia privata ed appunto per ciò progresso e pace. Tutto sfocia nel commercio e nei mercati mondiali..qualcuno, una volta, all’osservazione che ‘l’impero inglese scricchiola in tutte le sue giunture’ ha risposto che ‘l’impero inglese non ha giunture’..Al dominio inglese corrispondono i mezzi e i metodi del governo indiretto..L’esercizio del potere mediante l’influsso indiretto è tipico di una potenza che agisce dal mare sulla terra” (C. Schmitt - “Terra e mare”). Il “villaggio globale”, in cui qualcuno crede di vivere, ha queste caratteristiche di dominio informale e marittimo. Il corpo ci tiene legati al “qui ed ora”, rimane inguaribilmente terrestre, mentre la mente pensa, come Dio, di essere in ogni luogo. Televisioni, giornali, internet danno agli imbecilli che astraggono dal proprio corpo l’idea di avere un dominio marittimo e informativo sul mondo, mentre sono solo dei pupazzi del villaggio globale che esiste solo nella loro testa e che fa gli interessi di un’oligarchia economica e finanziaria che ha tutto l’interesse a sostenere l’idea del villaggio globale. Di tanto in tanto il “qui ed ora” si ribella (Brexit, elezione di Trump, anti-europeismo), vengono cacciati immigrati da una determinata zona, si vogliono impedire le costruzioni di ferrovie o di antenne per la telefonia in un’altra determinata zona, si rifiutano trivellazioni e tunnel invasivi in altre zone ancora, un determinato popolo si ribella alla congiuntura internazionale che le viene imposta (vedi caso Grecia). Ciò non basta, tuttavia, per tornare alla realtà, regna sempre sovrano il fantasma del villaggio globale sorretto da treni, borse, aerei, telefonini, computer, televisioni, ecc. e l’uomo seguita a credersi “infinito” e presente in ogni luogo, come vuole il dominio marittimo. Viene fuori anche la versione solidale della globalizzazione, i “buoni”, mentre chiudono gli occhi sullo sfruttamento industriale del pianeta, si sentono responsabili anche del fatto che qualcuno stia morendo di fame in qualche parte remota del pianeta, si sentono come Gesù Cristo (nessuno si ritiene più autorizzato a comandare del “salvatore”), venuto per salvare l’umanità. Ragionando nei termini dell’infinito, così come il commercio non conosce limiti, allo stesso modo la presunzione di essere il salvatore del mondo non ha confini. Chiamo “sindrome di Gesù Cristo” questa pretesa di salvezza universale e l’indebito senso di responsabilità mondiale che ne consegue. E’ chiaro che cristiani, comunisti e borghesi soffrano della “sindrome di Gesù Cristo”, in questo gli ebrei, più saggi e nazionalisti, non li hanno seguiti (a meno che, alla Lerner, non siano stati istupiditi dal cristianesimo e dal socialismo). L’unica cosa che conta nel dominio marittimo (capitalismo o globalizzazione solidale che sia), che ripercorre le strade dell’ecumenismo cristiano, è lo “scambio”, cioè l’esigenza di trasformare ogni cosa in un “equivalente”. L’“uguale” diventa il valore morale universale, gli individui sono “uguali”, i sessi sono “uguali”, omosessuali ed eterosessuali sono “uguali”, i popoli sono “uguali”, tutti gli acquirenti e i venditori sono “uguali”, l’unica cosa che può essere diversa è il “prezzo”. Il “valore di scambio”, infatti, presuppone l’identità numerica del valore, là dove nel passato, specie nel baratto, spesso si scambiavano prodotti solo sulla base del “valore d’uso”, che, essendo soggettivo, non ha alcun bisogno di un’equivalenza numerica. Si sorrideva all’idea che gli indios americani scambiassero oro per perline senza valore, ammettendo che ciò sia accaduto, era ovvio che lo scambio avveniva sulla base del valore d’uso e non sulla base del valore di scambio. Ma la società commerciale nasce sulla base della speculazione, quindi non può usare altro che il valore di scambio, in base al quale, tanto le merci quanto le persone, diventano “equivalenti”, cioè entità indifferenziate. Lo scambio avviene se le patate ricevono il numero di 100 (moneta di scambio della globalizzazione è il dollaro, materiale o bancario) e se con il 100 si ottengono poi delle zucchine. Nel 100 patate e zucchine diventano equivalenti, cioè il prodotto naturale diventa indifferenziato nello scambio. Ma indifferenziate diventano anche le persone, c’è solo il venditore e il compratore, non Giovanni o Pasquale. Per cui nella globalizzazione, capitalista o solidale che sia, esiste la dittatura dello scambio: se Pasquale ha in antipatia Giovanni e non vuole vendergli le zucchine, l’ordine mondiale marittimo, che ha reso obbligatorio lo scambio, ha la pretesa di imporglielo. Pasquale ha diritto di esistere solo come “venditore” e non come “Pasquale”. Che meraviglia può esserci se oggi tutto è diventato uguale e indifferenziato? Il giapponese è diventato equivalente al turco, il maschio è diventato equivalente alla femmina, l’omosessuale è diventato equivalente all’eterosessuale e via dicendo. Il “dover essere dell’uguale”, partendo dal commercio, è diventato valore assoluto del villaggio globale. L’equivalente numerico detta la legge del commercio e dell’altruismo. Come dice giustamente Zerzan, il numero diventa “categoria dell’esistenza”: “la matematica divenne pienamente..necessaria. Alla fine divenne, più che un mero strumento, una categoria dell’esistenza..In questa standardizzazione, una delle caratteristiche precipue della civiltà, l’esattezza matematica e la specializzazione procedono di pari passo..Le grandi vie commerciali, esprimendo il trionfo della divisione del lavoro, diffusero le nuove sofisticate tecniche di calcolo, misura e numerazione” (J. Zerzan - “Primitivo attuale” - Numero: origine ed evoluzione). Non c’è dubbio circa il fatto che l’imperialismo marittimo supponga la specializzazione dei prodotti e del lavoro e, alimentando continuamente lo “scambio”, supponga anche la “divisione del lavoro”, che è, appunto, la dipendenza e schiavitù universale. Alimentando lo “scambio”, nella sua sublimazione, l’imperialismo marittimo diventa “altruismo”: così come nel commercio il produttore lavora per gli altri e non per sé, allo stesso modo nell’altruismo il santo lavora per gli altri e non per sé. Il commercio, nella sua sublimazione, si trasforma nel fondamento della morale dello schiavo: altruismo, solidarietà. Nella società dello scambio tutto è transitorio, ogni cosa sfuma nell’altra grazie a quello che è diventato un vero vizio mentale, quello dell’equivalente. L’equivalente dello scambio commerciale porta alla sua sublimazione etica nel dogma dell’uguale, per cui le differenze non esistono o ci si comporta come se non esistessero. Ma il “qui ed ora” non sparisce per questo delirio mentale commerciale e altruistico e ripropone di continuo le differenze. La realtà impone di nuovo il fatto che gli individui non sono uguali, che giapponesi e turchi non sono uguali, che maschi e femmine non sono uguali, che omosessuali ed eterosessuali non sono uguali. La realtà mostra che nulla è uguale, mentre la mente alienata nell’equivalente dello scambio, sia esso commerciale o morale (l’altruismo è scambio sublimato), seguita ad ignorare la diversità e quindi la realtà. La confusione e l’indifferenza vengono presentati come valori, questa è l’aberrazione del villaggio globale. Occorre, invece, tornare alla realtà, dove tutto è naturale differenza, in base alla differenza occorre tenere ben conto anche del fatto che le differenze possono provocare attrazione o repulsione e che l’equivalente o indifferenza non è cosa degna di questo mondo. L’equivalente è gettato dall’alto dal potere mondiale informale o marittimo. Il primo esempio di potere mondiale informale o marittimo è la stessa religione spirituale: Dio è il perfetto esempio di potere indiretto. Dio è un principio commerciale, è “valore di scambio”. Senza un potere mondiale informale o marittimo non esisterebbe nessuna equivalenza, non ci sarebbe alcuno scambio commerciale, tanto meno gli individui potrebbero essere considerati uguali. Perché si è uguali sempre rispetto a qualcosa. Questo qualcosa che sovrasta l’imperialismo informale o marittimo è il mercato e la polizia internazionale costituita dagli eserciti delle grandi potenze militari, sullo sfondo un Dio c’è, perché solo di fronte ad un potere si può affermare l’“uguale”, che è il fondamento dello scambio, dell’altruismo, dell’equivalente commerciale. Che l’egualitarismo celi un autoritarismo nascosto è evidente da questa acuta osservazione di Nietzsche: “L’amore per gli uomini dei cristiani, che non fa differenze, è possibile solo nella costante contemplazione di Dio..rispetto al quale..l’uomo stesso diventa talmente insignificante, che i rapporti di grandezza non suscitano più nessun interesse: allo stesso modo che, guardando da un’alta montagna, il grande e il piccolo diventano formiche e simili tra loro. Non si deve trascurare questo modo di rimpicciolire e disprezzare l’uomo” (F. Nietzsche - “Frammenti postumi” 1885-86 - 1 (66)). Il potere più è forte e più sta in alto, la lontananza non permette più di distinguere le differenze, per il potere mondiale ogni individuo vale l’altro, è solo un numero o una funzione, il potere si costruisce sulla base dell’indifferenza, in tal modo l’individuo, non solo viene “rimpicciolito”, ma viene soprattutto “disprezzato”, perché è ridotto a cosa insignificante, senza qualità, facilmente sostituibile. Nasce dal potere l’idea dello “scambio” tra gli individui. Se un capitano non gli va bene, il generale lo “sostituisce”, cioè “scambia” nel ruolo di capitano due individui diversi. La loro diversità, la loro personalità, la loro qualità diventa insignificante rispetto a quello che il generale si attende da un capitano. Così avviene ovunque nella società marittima e nel villaggio globale. Se un padre soffre della “sindrome di Gesù Cristo”, cioè è altruista e solidale, non aiuta solo il figlio, la moglie, ecc., insomma coloro con i quali dovrebbe avere un legame personale, ma aiuta tutti quanti in modo indifferenziato, si è posto sull’“alta montagna” di cui diceva Nietzsche e vede solo indifferenziate formiche, “scambia” le persone l’una con l’altra, mostrando solo indifferenza. E’ la classici psicologia del santo, del prete, del solidale, ma anche del commerciante. Nietzsche ribadisce la sua ostilità al concetto di “uguaglianza”, ribadendo la sua stretta derivazione da quello di “autorità”, anche in libri pubblicati in vita: “’Voi uomini superiori, - così ammicca la plebe - non vi sono uomini superiori <che sta per assolutamente ‘diversi’, chi riesce a mantenere se stesso, la sua diversità è un uomo moralmente superiore rispetto a chi adotta la morale dello schiavo>, noi siamo tutti uguali, l’uomo è uomo; davanti a Dio - siamo tutti uguali!’. Davanti a Dio! Ma questo Dio è morto. Davanti alla plebe, però, noi non vogliamo essere uguali. Uomini superiori, fuggite il mercato!” (F. Nietzsche - “Così parlò Zarathustra” - Dell’uomo superiore). Come si vede Nietzsche, non solo collega il dogma dell’eguaglianza all’autorità (Dio), ma collega tale dogma dell’uguaglianza anche al “mercato”, cioè all’imperialismo commerciale informale e marittimo. Con l’affermarsi della borghesia, tra il Cinquecento e il Seicento, si affermò anche la matematica e assieme ad essa il commercio. Il dogma dello scambio e dell’equivalente entrò nelle menti come categoria fondante che ignorava la varietà corporea della natura. Il protestantesimo faceva la stessa svolta a livello religioso, dove non riconobbe la libera individualità, ma solo la libera anima, separata dal corpo. L’interiorità dell’anima protestante è la versione, sotto forma di “coscienza”, dell’uguale, dello scambio, dell’equivalente, cioè è qualcosa che non esiste. Numero, scambio, commercio, equivalente, altruismo, solidarismo di genere o di gruppo, interiorità protestante sono la stessa cosa, cioè l’indifferenziato. La scienza, da parte sua, provvedeva ad applicare il numero, lo scambio e l’equivalente ovunque: nel numerare o ordinare le cose del mondo, nel creare “scambi” tra i corpi, come avviene nella chimica, dove gli elementi chimici diventano presenze equivalenti, con variazioni solo numeriche, nei vari corpi: se in due corpi diversi si trovano, ad esempio, calcio e rame, ecco che è stata creata un’equivalenza (nel rame e nel calcio, di cui variano solo le dimensioni numeriche), uno scambio che ha scavalcato la diversità esperita nella vita reale. Il pregiudizio per cui la scienza sarebbe la vera realtà del mondo reale si fonda sul dogma dello scambio, del numero e dell’equivalente. La scienza, le religioni spirituali, il commercio, il mercato, l’altruismo, applicano ovunque il criterio dello scambio e dell’equivalente, perché tale criterio è il fondamento della violenza e della morale borghese. I socialisti e i comunisti sono, in tal senso, i più fanatici tra i borghesi. Nel commercio si lavora direttamente alle esigenze degli altri, anche se la verità di tale lavoro è quella indiretta, cioè il lavorare indirettamente per le poprie esigenze (contando sula possibilità continua dello scambio), lo stesso accade nell’altruismo (dove il tornaconto c’è e come, fosse anche una bella medaglia messa sul petto intisichito da Dio stesso in Paradiso), l’altro diventa la regola, non si bada mai direttamente a se stessi, a sé devono badare gli altri o restituendo l’equivalente con il commercio o tramite l’altruismo. Interrompendo lo scambio si bloccano, insieme, il capitalismo e il solidarismo, cancrene che nascono dallo stesso ceppo mentale. Con lo scambio si diventa incapaci di badare a se stessi, del tutto insicuri, si diventa schiavi, dipendenti dai prodotti altrui (commercio) o dipendenti dall’aiuto altrui (altruismo). Fino all’assurdo per cui, mentre un ladro mi sta rimpiendo di pugni, non posso spaccargli la faccia e dovrei chiamare la polizia tra un rigurgito di sangue e l’altro. Si distrugge, in tal modo, la propria personalità e la propria libertà. Nell’imperialismo marittimo e commerciale non esistono individui e popoli liberi e indipendenti. Tutto è scambio, mescolanza, confusione: Giovanni vuole essere “uguale” a Pasquale e Pasquale vuole essere “uguale” a Giovanni (scambio), il maschio vuole essere “uguale” alla femmina e la femmina vuole essere “uguale” al maschio (scambio), il congolese vuole essere “uguale” all’europeo e l’europeo vuole essere “uguale” al congolese (scambio), l’omosessuale vuole essere “uguale” all’eterosessuale e l’eterosessuale vuole essere “uguale” all’omosessuale (scambio), la confusione e l’artificio sono diventate la regola, tanto è vero che torna di piena attualità la seguente affermazione di Rousseau: “tutto degenera fra le mani dell’uomo. Egli sforza un terreno a nutrire i prodotti propri di un altro <scambio>, un albero a portare i frutti d’un altro <scambio>; mescola e confonde i climi, gli alimenti, le stagioni <scambio>; mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo; sconvolge tutto, altera tutto, ama le deformità, i mostri; non vuol nulla come l’ha fatto natura, neppure l’uomo” (J. J. Rousseau - “Emilio” - Libro primo). E, ovviamente, chi scambia e confonde tutto e crede di estendere la sua persona all’infinito, fino a comprendere tutto, dimentica che la persona è un corpo limitato, con le sue diversità e i suoi limiti. L’ideologia marittima ignora il concetto di “limite”, che è fondamentale per il rispetto etico dell’altro. Solo se riconosco i miei limiti rispetto all’altro non lo aggredisco e non tento di imporgli qualcosa. Solo se riconosco che io e lui “non siamo uguali” lui può rispettare me e io posso rispettare lui. Se suppongo, invece, che siamo “uguali” io sto già invadendo la sua persona, lo sto aggredendo in nome di un falso valore come quello dell’eguaglianza. Essere “uguali” rispetto alla società è solo essere uguali davanti all’autorità che si attribuisce alla società. Io devo rispettare l’altro come altro precedente all’essere uguale in società, cioè devo rispettare l’altro come “diverso” e per farlo devo, per prima cosa, affermare l’assolutezza della diversità. La diversità può suscitare entusiasmo e attrazione, ma può anche suscitare rifiuto e ripugnanza, perché tale diversa reazione nasce, appunto, dalla diversità individuale. Tale diversità individuale andrebbe rispettata sia nell’accoglienza che nel rifiuto, invece la regola dell’equivalente, dello scambio, dell’uguale ha la pretesa di imporre l’altruismo e l’accoglienza anche là dove c’è il rifiuto o la ripugnanza, magari usando espressioni ideologiche come, ad esempio, quella di “razzismo”. Accusa quest’ultima che viene fatta nel presupposto che tutti siamo, per dogma assoluto, “uguali”. Cosa che non sta né in cielo e né in terra, per cui, vista la diversità dei giudicanti, vista la diversità dei giudicati, è perfettamente naturale che la diversità possa suscitare entusiasmo e attrazione oppure rifiuto e ripugnanza: le due reazioni per natura sono entrambe legittime e perciò insindacabili. Rifiuto e ripugnanza, ovviamente, non giustificano la violenza, ma tentare di imporre una diversità che suscita ripugnanza a qualcuno, non solo è una violenza come imposizione, ma genera altra violenza, perché la convivenza ravvicinata tra individui o popoli che provano ripugnanza reciproca genera inevitabilmente scontri e violenza. I buoni, immaginando tutto “uguale” e quindi imponendo convivenze incompatibili, preparano continuamente il terreno a future violenze. La prospettiva marittima non riconosce limiti, confini e orizzonti, è invasiva per definizione. La corsa nello spazio non è una necessità reale dell’uomo, ma una conseguenza della mancanza di limite della prospettiva marittima. Chi percorre questi sentieri che vanno oltre ogni limite è un “invasore” per sua natura, sia esso un astronauta, un marinaio o un missionario. A ragione Orazio riconduceva questo andare oltre ogni limite alla tracotanza, mostrando una legittima antipatia e anche una certa soddisfazione circa il fatto che il destino di morte abbracci queste persone invadenti più facilmente: “Invano nella sua previdenza la divinità separò le terre dall’oceano inconciliabile, se gli empi navigli attraversano tutti i mari, che dovrebbero rimanere inviolati..Dedalo volle sperimentare il vuoto aere con ali non concesse agli umani..noi assaltiamo da stolti lo stesso Olimpo, e per la nostra scelleràtagine facciamo sì, che Giove non deponga le tremende sue folgori” (Quinto Orazio Flacco - “Le odi” - Lib. 1° III). Appunto: lo spirito marittimo, lo scambio, l’equivalente rappresentano la tracotanza umana che non riconosce i limiti naturali nel momento stesso in cui non riconosce l’assolutezza della diversità
L’individuo è un’entità fisica limitata, non è Dio che sta in ogni luogo, sta sempre in un luogo qui ed ora (hic et nunc). In codesto qui ed ora l’individuo si trova con la sua diversità personale. Che senso ha, allora, parlare della globalizzazione e della mondializzazione rispetto all’individuo? Certo l’individuo, con i mezzi di trasporto moderni, può anche viaggiare, ma, se non è un miliardario che ha ville e risorse in ogni paese che visita, comunque deve le sue risorse economiche a una qualche “comunità locale” che gliele garantisce. Veramente “indifferenti” alle comunità locali possono essere solo quei proprietari di mezzi economici (finanziari o industriali) che sono presenti o sono validi in tutti i paesi, cioè un’élite di sfruttatori. E’ chiaro, quindi, che per natura, sebbene cammini e possa camminare per alcuni chilometri, l’individuo è un essere “locale”. Con i mezzi di trasporto moderni si può certo spostare, ma, anche quando va a lavorare all’estero - da privilegiato emigrante o da migrante pezzente -, alla fine ha la casa e il lavoro, nonché alcune delle persone care, nel “luogo” dove è andato a vivere. Come emigrante i suoi affetti, i suoi interessi, la sua cultura si sdoppiano, perché porta con sé il segno di doppie culture e di affetti che, talvolta, non stanno nello stesso “luogo”. Ecco che allora l’individuo, magari alle feste comandate, ritorna nel “luogo” di origine e quindi vive uno sdoppiamento di affetti, interessi e cultura che fa capo a uno sdoppiamento di “luoghi”. Se non fosse una contraddizione, si potrebbe dire che, più che internazionale, un tale individuo è “doppiamente locale”. Ovviamente, con ciò, vive tutta la doppiezza della situazione e spesso incrocia i giudizi e i pregiudizi di “doppie culture” che entrano in contrasto tra di loro. Se si prescinde, però, da questi ritorni periodici nel “luogo” di nascita, in sostanza, sia pure, come si dice, all’estero, anche l’emigrante resta a vivere per tutto il resto dell’anno nel “luogo” dove si è trasferito. E’, comunque, un essere “locale”. La maggior parte della popolazione mondiale, però, per sua fortuna o sfortuna qui non interessa stabilirlo, rimane nel suo paese d’origine ed è proprio per questo che è possibile l’esistenza di comunità locali dove gli stessi emigranti si recano a vivere. L’internazionalità, fasulla, dell’emigrante presuppone, quindi, proprio l’esistenza della “comunità locale” dove recarsi a vivere. Ne consegue, perciò, che emigrante o meno che sia l’individuo vive, in maniera sdoppiata e incoerente l’emigrante, in maniera coerente il non emigrante, sempre in modo “locale”. E allora cos’è questa globalizzazione e questa mentalità distorta di tipo internazionale? E’, in realtà, l’interesse di poteri economici e religiosi forti, cioè di borghesi e preti. Si fa credere che esista per tutti una specie di area universale e umanitaria comune in cui tutti sono genericamente umani. In realtà, a seconda dei casi, nelle religioni si immagina che tutti siano, a forza o meno, convertiti al cristianesimo, all’islamismo, ecc., nel mercato globale, invece, si immagina che tutti gli individui siano genericamente solo dei venditori o dei compratori, cioè dei semplici operatori di mercato o degli affaristi. In altri termini le élite di sfruttatori, religiosi, politici ed economici sfruttano l’indifferenziato, cioè l’indifferenza rispetto a individui e popoli, secondo il principio degenerato che il cristianesimo mostrò fin dalle sue origini, come dimostra la seguente affermazione di un anonimo cristiano del II secolo dopo Cristo: “I cristiani..adempiono a tutti i loro doveri di cittadini..con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera” (Anonimo cristiano - “Lettera a Diogneto”). Questo principio di “indifferenza” tra individui e popoli è il segno distintivo dell’universalismo cristiano, ma è stato adottato anche dall’umanitarismo politico della sinistra e dall’economicismo del mercato globale borghese e si è materializzato in quello che Schmitt definisce “impero marittimo”. Quando uno si sente “internazionale”, nella realtà, si sente “indifferente”, anche se non lo ammette. Non meraviglia che nelle città moderne (i cittadini sono sempre più pervertiti rispetto alla provincia) regni l’indifferenza della “solitudine in compagnia”, è una conseguenza stessa del fatto che ognuno si sente indifferente nel momento in cui avverte come “estraneo” ogni aspetto “locale”. Il cristiano, il borghese, il comunista sono stranieri in patria. Questo non significa che la comunità locale debba prevaricare l’individuo singolo, ma quest’ultimo non può sentirsi indifferente per abito alla comunità locale. Gli individui, nella misura in cui sono diversi, non sono riducibili né alla comunità locale e nemmeno allo spirito universale delle religioni e del mercato internazionale, gli individui sono diversi e sono sempre “locali”, cioè stanno sempre in un “luogo”. Stando in un “luogo”, non possono non riferirsi alla “comunità locale” in cui vivono, comunità locale che, proprio perché si trova in “luoghi” diversi ed è composta da persone diverse, non può che essere diversa da tutte le altre comunità locali. Ma se, quindi, l’individuo è nel “luogo” dove si trova la sua persona fisica e perciò è a diretto contatto con la “comunità locale”, cos’è mai questo presunto carattere “internazionale” e “indifferenziato” di cui si farnetica? E’ una mistificazione creata da giornali e media che stanno al servizio di un èlite culturale (religiosa o politica) o economica che vive alle spalle degli schiavi, cioè delle comunità e individui “locali”. Questo significa che l’individuo deve, prima di tutto, fare gli interessi propri di sé come individuo singolo, poi deve fare gli interessi della “comunità locale” in cui vive, perché sono, almeno in parte, anche i suoi interessi. L’unico interesse che per l’individuo non esiste, a meno che non sia uno sfruttatore del prossimo in veste religiosa, politica o economica (umanitarismo, mercato globale, internazionalismo), è quello generale. Rivestirsi di un interesse globale è o ipocrisia da sfruttatore o demagogia.
Le citazioni sono entrambe pertinenti. La prima è presa da Heine, poeta tedesco di origine ebraica del tardo Romanticismo, amico di Marx, ma per disposizione politica più anarchico che socialista. Heine mostra chiaramente che il modo corretto di vivere non è quello globalizzante e internazionale, ma quello in cui si “vive onesti a casa propria”. La seconda citazione è di Leopardi, in essa si vede con chiarezza come l’amore “universale” fosse per Leopardi una “favola”.
“Campa onesto in casa tua,
è un proverbio antico e giusto”
(H. Heine - “Romanzero” - “Vitzliputzli”)
“La fola <favola> dell’amore universale
ha prodotto l’egoismo universale”
(G. Leopardi - “Zibaldone” 890)
Il vero gran segreto
della diversità
è ch’essa o ci fa amare
oppure odiar ci fa:
se amiamo, di sicuro,
si fa comunità,
ma pur “separazione”
è la diversità:
per evitare che
l’odio orgoglioso uccida,
occorre disunire
la società infida.
Ma, se chiamate “amore”
l’umana indifferenza:
quell’amore universale
ch’è falsità e apparenza,
allora è ipocrisia
la vostra fratellanza,
è un vuoto accomunare
nemici in una stanza.
Perciò, se unite a forza
là dove non c’è amore,
razzismo voi create
nel fondo d’ogni cuore.
Cerebrale indifferenza
non è di questa terra:
figlia del lazzaretto
prepara morte e guerra.
(9/11/1989)