IL TAO
(Wu-wei o non-agire)
Con la “Rivoluzione scientifica”, che portò
anche alla “Rivoluzione industriale”, cioè la volontà di dominio dell’uomo
sulla natura e quindi anche della mente sul corpo (auto-addomesticamento o
morale dello schiavo), si portò a termine una prospettiva ideologica e un
lavoro iniziati col neolitico nel 10000 a. C.. L’arroganza di questa
prospettiva scientifica è chiara da queste parole: “Questo è il mio intento..far avanzare verso i confini proposti il
dominio dell’uomo sull’universo, le cui attuali angustie non saranno mai
abbastanza deplorate” (F. Bacon (Bacone)
- “Il parto mascolino del tempo (o ‘La grande instaurazione dell’impero
dell’uomo sull’universo’)”). La scienza, come la religione e la
politica, è questa arrogante volontà di dominio sull’universo, che schiavizza
anche gli esseri umani. Il dominio dell’uomo sull’universo e sulla natura
originaria dell’uomo stesso viene chiamato “progresso” e consiste nel fatto che
l’uomo “fa” una seconda natura, tramite l’agricoltura, l’allevamento,
l’industria, vale a dire “produce”, trasforma la vita del mondo in un bene
utile nei confronti di una mente dissociata dal mondo, cioè una mente che
concepì l’oltre-mondano e che con la scienza e la tecnica lo sta “realizzando”
in terra. “Produrre” significa “dominare”, cioè “rifiutare” il mondo naturale,
la “produzione”, cioè la dimensione economica della società industriale, non è
altro che l’aspetto “pratico” di quel rifiuto del mondo che era l’ascetismo, il
quale ultimo rimane fermo all’aspetto teorico e mentale. “Produrre” significa
che il mondo deve diventare qualcosa di “fatto” dall’uomo e quindi di
conosciuto e dominato, là dove il mondo naturale, in quanto non “prodotto” e
non “fatto” dall’uomo, non è né conosciuto e né dominato. Che il conoscere
comportasse il fare, lo aveva già intuito Vico (polemizzando, a ragione, con
l’idiozia e l’egocentrismo scientifico di Cartesio), per il quale la conoscenza
della natura sarebbe possibile solo nell’ipotesi che fosse stata fatta
dall’uomo, cioè “prodotta”, per cui la “conoscenza” riporta alla “produzione” e
la “produzione” alla “conoscenza”, solo che la natura non è fatta dall’uomo, il
quale, perciò, non può conoscerla e nella “produzione” la nega: la produzione è
la versione attiva e aggressiva dell’ascetica negazione del mondo. Dice Vico
che l’uomo non conosce il mondo perché non lo fa (in tal senso l’uomo conosce
la macchina, non i corpi naturali, supporre che i corpi naturali siano
macchine, cioè dei “composti”, è l’abuso, la mistificazione che commette la
scienza, la quale trasforma così quello che non è stato fatto dall’uomo in
qualcosa che è “come se” l’avesse fatto l’uomo e quindi è conosciuto), invece
lo conosce Dio perché lo fa, l’uomo, quando fa scienza, si pone nella posizione
di Dio: “il vero si identifica col
fatto..il primo vero è in Dio..in quanto facitore di tutte le cose..invece la
mente umana..in quanto sono fuori di lei tutte le altre cose che non siano essa
stessa, può soltanto andare ad accozzare gli elementi estremi delle
cose..L’uomo pertanto, quando si accinge ad investigare la natura delle cose,
si accorge di non poterla in alcun modo raggiungere non avendo in sé gli
elementi da cui sono costituite le cose <cioè non avendola fatta>..Si crea così un mondo di forme e di
numeri, che abbraccerebbe dentro di sé l’universo <Vico non credo
all’universo scritto in lingua matematica di cui parlavano Cartesio e Galilei>..Da quanto si è finora dissertato, si può
senz’altro concludere che il criterio e la regola del vero consiste nell’averlo
fatto” (G. B. Vico - “De antiquissima
italorum sapientia” Lib. 1°, I). La scienza, non avendo fatto il mondo,
non possiede il criterio e la regola del vero. L’equiparazione di scienza e
vero è una mistificazione operata dallo scienziato. La tecnica, essendo il
rifacimento del mondo secondo la scienza, è una deterupazione del vero con il
falso, è una negazione del mondo, la dimensione operativa (homo faber)
dell’ascetismo, ascetismo che, è bene ricordarlo, è sempre una negazione del
mondo. Questo “fare”, o tecnica, è quindi una dichiarazione di guerra
continua alla natura in generale e anche a quella animale dell’uomo, una
mobilitazione che soffoca la libertà e dignità dello stesso uomo
nell’organizzazione sociale. La società moderna ha divinizzato il fare umano e
la sua produzione, là dove i cacciatori-raccoglitori primitivi, come i nobili
animali, esercitavano il “fare” solo nei casi strettamente “necessari”, come
uccidere l’animale per ottenere cibo o pelli o raccogliere cibo e materiale
dalle piante. Nel mondo produttivo non esiste rispetto né per l’ambiente e né
per l’uomo. I cacciatori-raccoglitori non producevano né piante e né animali,
fino a quando la necessità non li costringeva ad agire, il loro criterio era il
“lasciar stare”, il “non-agire”, ma godere della compagnia degli altri esseri
viventi che la natura e il destino gli offrivano come compagni di viaggio nella
vita terrena: “L’addomesticamento implicò
l’inizio della produzione <del dominio sulla natura e sullo stesso
uomo>” (J. Zerzan - “Primitivo attuale” 1). Dello stesso genere fu il
senso etico-estetico del romantici, che non a caso amavano i primitivi, perché
la natura, fin dove non minaccia, fin dove non diventa necessario “agire”, ha
il valore etico-estetico della vita e del corpo. A questo principio “antico” si
richiamava, con evidenza, la “semplicità” del “non-agire” taoista, che era,
allo stesso tempo, principio di rispetto di tutte le cose, giacché “fare” il
bene significa avvantaggiare qualcuno o qualcosa, cioè comporta ingiustizia,
“fare” il male significa danneggiare qualcuno o qualcosa, cioè comporta, ancora
una volta, ingiustizia, il “fare”, dove non è necessario, è sempre ingiusto. La
civiltà moderna non è altro che “fare”, perché “dominare” è “fare”, è
“produrre” (organizzare, sottomettere sono “azioni”), rispetto a ciò solo il
non-agire taoista è etico, il lasciar stare, il non governare: “Il mondo..non si può governare:/ chi
governa lo corrompe,/ chi dirige lo svia,/ poiché tra le creature/ taluna
precede ed altra segue,/ taluna è calda ed altra fredda,/ taluna è forte ed
altra debole,/ taluna è tranquilla ed altra pericolosa” (Lao-tzu - “Tao-te-ching” XXIX - Non agire). Chi non vuole
dominare, agisce solo per quanto è necessario e non sente il bisogno di una
conoscenza senza limiti, anzi è diffidente verso la conoscenza, perché la
Natura sfugge alle “leggi” che l’uomo pensa di imporgli, tanto è vero che la semplicità
è più ignoranza che conoscenza, l’ignoranza rinvia alla vita immediata, in cui
dominano istinti e sentimenti e tutto va come deve andare: “L’affidarsi nel modo più semplice alla natura, è affidarcisi nel modo
più saggio. Oh che dolce e molle capezzale, e anche sano, è l’ignoranza..per
una testa ben fatta” (M. De Montaigne -
“Saggi” - Lib. 3, XIII). La citazione è pertinente perché esprime
l’idea che la giustizia si trova solo al di là del “fare” (artificio, scienza,
tecnologia, cultura, ecc.).
“Il Tao in eterno non
agisce
e non v’è nulla che non
sia fatto”
(Lao-tzu - “Tao-te-ching” - XXXVII)
Dalla
panchina,
nel
mio angoletto verde,
osservo
il cielo
finché
l’occhio si perde,
non
c’è nessuno
sto
solo e son sereno:
discutere
non devo
né
del più e né del meno,
già
va tutto in natura
come
deve andare:
la
mia gioia è osservare
e
lasciare stare.
(19/6/2017)