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mercoledì 16 agosto 2017

IL TAO
(Wu-wei o non-agire)

    Con la “Rivoluzione scientifica”, che portò anche alla “Rivoluzione industriale”, cioè la volontà di dominio dell’uomo sulla natura e quindi anche della mente sul corpo (auto-addomesticamento o morale dello schiavo), si portò a termine una prospettiva ideologica e un lavoro iniziati col neolitico nel 10000 a. C.. L’arroganza di questa prospettiva scientifica è chiara da queste parole: “Questo è il mio intento..far avanzare verso i confini proposti il dominio dell’uomo sull’universo, le cui attuali angustie non saranno mai abbastanza deplorate” (F. Bacon (Bacone) - “Il parto mascolino del tempo (o ‘La grande instaurazione dell’impero dell’uomo sull’universo’)”). La scienza, come la religione e la politica, è questa arrogante volontà di dominio sull’universo, che schiavizza anche gli esseri umani. Il dominio dell’uomo sull’universo e sulla natura originaria dell’uomo stesso viene chiamato “progresso” e consiste nel fatto che l’uomo “fa” una seconda natura, tramite l’agricoltura, l’allevamento, l’industria, vale a dire “produce”, trasforma la vita del mondo in un bene utile nei confronti di una mente dissociata dal mondo, cioè una mente che concepì l’oltre-mondano e che con la scienza e la tecnica lo sta “realizzando” in terra. “Produrre” significa “dominare”, cioè “rifiutare” il mondo naturale, la “produzione”, cioè la dimensione economica della società industriale, non è altro che l’aspetto “pratico” di quel rifiuto del mondo che era l’ascetismo, il quale ultimo rimane fermo all’aspetto teorico e mentale. “Produrre” significa che il mondo deve diventare qualcosa di “fatto” dall’uomo e quindi di conosciuto e dominato, là dove il mondo naturale, in quanto non “prodotto” e non “fatto” dall’uomo, non è né conosciuto e né dominato. Che il conoscere comportasse il fare, lo aveva già intuito Vico (polemizzando, a ragione, con l’idiozia e l’egocentrismo scientifico di Cartesio), per il quale la conoscenza della natura sarebbe possibile solo nell’ipotesi che fosse stata fatta dall’uomo, cioè “prodotta”, per cui la “conoscenza” riporta alla “produzione” e la “produzione” alla “conoscenza”, solo che la natura non è fatta dall’uomo, il quale, perciò, non può conoscerla e nella “produzione” la nega: la produzione è la versione attiva e aggressiva dell’ascetica negazione del mondo. Dice Vico che l’uomo non conosce il mondo perché non lo fa (in tal senso l’uomo conosce la macchina, non i corpi naturali, supporre che i corpi naturali siano macchine, cioè dei “composti”, è l’abuso, la mistificazione che commette la scienza, la quale trasforma così quello che non è stato fatto dall’uomo in qualcosa che è “come se” l’avesse fatto l’uomo e quindi è conosciuto), invece lo conosce Dio perché lo fa, l’uomo, quando fa scienza, si pone nella posizione di Dio: “il vero si identifica col fatto..il primo vero è in Dio..in quanto facitore di tutte le cose..invece la mente umana..in quanto sono fuori di lei tutte le altre cose che non siano essa stessa, può soltanto andare ad accozzare gli elementi estremi delle cose..L’uomo pertanto, quando si accinge ad investigare la natura delle cose, si accorge di non poterla in alcun modo raggiungere non avendo in sé gli elementi da cui sono costituite le cose <cioè non avendola fatta>..Si crea così un mondo di forme e di numeri, che abbraccerebbe dentro di sé l’universo <Vico non credo all’universo scritto in lingua matematica di cui parlavano Cartesio e Galilei>..Da quanto si è finora dissertato, si può senz’altro concludere che il criterio e la regola del vero consiste nell’averlo fatto” (G. B. Vico - “De antiquissima italorum sapientia” Lib. 1°, I). La scienza, non avendo fatto il mondo, non possiede il criterio e la regola del vero. L’equiparazione di scienza e vero è una mistificazione operata dallo scienziato. La tecnica, essendo il rifacimento del mondo secondo la scienza, è una deterupazione del vero con il falso, è una negazione del mondo, la dimensione operativa (homo faber) dell’ascetismo, ascetismo che, è bene ricordarlo, è sempre una negazione del mondo. Questo “fare”, o tecnica, è quindi una dichiarazione di guerra continua alla natura in generale e anche a quella animale dell’uomo, una mobilitazione che soffoca la libertà e dignità dello stesso uomo nell’organizzazione sociale. La società moderna ha divinizzato il fare umano e la sua produzione, là dove i cacciatori-raccoglitori primitivi, come i nobili animali, esercitavano il “fare” solo nei casi strettamente “necessari”, come uccidere l’animale per ottenere cibo o pelli o raccogliere cibo e materiale dalle piante. Nel mondo produttivo non esiste rispetto né per l’ambiente e né per l’uomo. I cacciatori-raccoglitori non producevano né piante e né animali, fino a quando la necessità non li costringeva ad agire, il loro criterio era il “lasciar stare”, il “non-agire”, ma godere della compagnia degli altri esseri viventi che la natura e il destino gli offrivano come compagni di viaggio nella vita terrena: “L’addomesticamento implicò l’inizio della produzione <del dominio sulla natura e sullo stesso uomo>(J. Zerzan - “Primitivo attuale” 1). Dello stesso genere fu il senso etico-estetico del romantici, che non a caso amavano i primitivi, perché la natura, fin dove non minaccia, fin dove non diventa necessario “agire”, ha il valore etico-estetico della vita e del corpo. A questo principio “antico” si richiamava, con evidenza, la “semplicità” del “non-agire” taoista, che era, allo stesso tempo, principio di rispetto di tutte le cose, giacché “fare” il bene significa avvantaggiare qualcuno o qualcosa, cioè comporta ingiustizia, “fare” il male significa danneggiare qualcuno o qualcosa, cioè comporta, ancora una volta, ingiustizia, il “fare”, dove non è necessario, è sempre ingiusto. La civiltà moderna non è altro che “fare”, perché “dominare” è “fare”, è “produrre” (organizzare, sottomettere sono “azioni”), rispetto a ciò solo il non-agire taoista è etico, il lasciar stare, il non governare: “Il mondo..non si può governare:/ chi governa lo corrompe,/ chi dirige lo svia,/ poiché tra le creature/ taluna precede ed altra segue,/ taluna è calda ed altra fredda,/ taluna è forte ed altra debole,/ taluna è tranquilla ed altra pericolosa” (Lao-tzu - “Tao-te-ching” XXIX - Non agire). Chi non vuole dominare, agisce solo per quanto è necessario e non sente il bisogno di una conoscenza senza limiti, anzi è diffidente verso la conoscenza, perché la Natura sfugge alle “leggi” che l’uomo pensa di imporgli, tanto è vero che la semplicità è più ignoranza che conoscenza, l’ignoranza rinvia alla vita immediata, in cui dominano istinti e sentimenti e tutto va come deve andare: “L’affidarsi nel modo più semplice alla natura, è affidarcisi nel modo più saggio. Oh che dolce e molle capezzale, e anche sano, è l’ignoranza..per una testa ben fatta” (M. De Montaigne - “Saggi” - Lib. 3, XIII). La citazione è pertinente perché esprime l’idea che la giustizia si trova solo al di là del “fare” (artificio, scienza, tecnologia, cultura, ecc.).

“Il Tao in eterno non agisce
e non v’è nulla che non sia fatto”
(Lao-tzu - “Tao-te-ching” - XXXVII)


Dalla panchina,
nel mio angoletto verde,
osservo il cielo
finché l’occhio si perde,

non c’è nessuno
sto solo e son sereno:
discutere non devo
né del più e né del meno,

già va tutto in natura
come deve andare:
la mia gioia è osservare
e lasciare stare.

(19/6/2017)