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venerdì 25 marzo 2016

NATURA O SCIENZA?

    La poesia è stata ampiamente ritoccata e molti versi sono stati eliminati, ma il suo spirito è stato mantenuto. Quando sento dire che la scienza sarebbe l’interprete più autorevole della natura, il mio senso di verità e di vitalità si ribella. La scienza non è altro che la coscienza dell’uomo applicata alla natura, le leggi fondamentali della scienza rendono conto alla coscienza umana, non alla natura. La coscienza umana, quando non è coscienza corporea libera da pregiudizi, è puro e semplice egocentrismo antropologico, è unicamente antropocentrismo. Naturalmente è chiaro che l’antropocentrismo non è altro che egocentrismo comune. In quanto “egocentrismo comune”, o antropologico, la scienza non ha alcun interesse oggettivo per la natura, la bellezza e la tragedia delle cose viventi che, da tutte le parti, circondano l’uomo. La scienza è guidata solo dai pregiudizi personali, sociali e antropologici dello scienziato, ma soprattutto è guidata dagli interessi umani. In altri termini l’atteggiamento razionale e scientifico verso la natura e gli altri uomini cela sempre un intento di “dominio”, come onestamente e ingenuamente ammettevano gli scienziati dell’epoca della Rivoluzione scientifica: “conoscendo il potere e gli effetti del fuoco, dell’acqua, dell’aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano..potremmo utilizzare..quei corpi a tutti gli usi cui sono adatti e divenir così quasi padroni e possessori della Natura” (R. Descartes (Cartesio) - “Il discorso sul metodo”). Questo intento di dominio, ovviamente, non darebbe alcun risultato reale se gli individui non venissero inquadrati da un potere forte che permette loro di “organizzarsi” (l’organizzazione è l’equivalente sociale della scienza, sia l’organizzazione che la scienza hanno lo stesso intento di dominio): le società industriali sono società già ampiamente inquadrate, non da un potere personale (più o meno occasionale rispetto alla struttura, come capita nelle democrazie), ma dal potere impersonale della legge, la legge sociale non essendo altro che l’equivalente della legge scientifica applicata agli uomini. Non è certo un caso che l’affermarsi del legalismo sociale, borghese e socialista, sia andato di pari passo con l’affermarsi della Rivoluzione scientifica e della democrazia. La legge scientifica è il modello perfetto cui si ispira il legalismo borghese-socialista moderno, il quale vorrebbe che la società fosse guidata dalle leggi automaticamente (vedi il liberalismo di Kelsen), senza bisogno di un potere arbitrario umano che avviasse il motore. Schmitt (teorico dello Stato forte e del decisionismo politico), ma soprattutto la storia, hanno dimostrato che l’idea di una società che si gestisce impersonalmente attraverso un meccanismo giuridico indipendente da un potere decisionale arbitrario non si è mai realizzata, dato che l’impulso decisionale, o politico, era tutt’altro che impersonale. Il meccanismo giuridico, quindi, è tenuto in piedi da un potere personale che si nasconde dietro la facciata della democrazia e dei diritti umani. Le democrazie moderne sono degli Stati fascisti camuffati, che consentono la libertà di parlare, ma non di decidere sulla propria vita. E’ un fatto, però, che la struttura, cioè il meccanismo legale e impersonale, sia stata ampiamente “interiorizzata” dalla popolazione, per cui, almeno per un periodo di tempo limitato, si potrebbe tenere in piedi da sola. Questo vuol dire che, per la maggior parte delle cose che facciamo ogni giorno, siamo pilotati dall’impersonalità della legge, piuttosto che da un volontà politica, anche se le leggi sono a priori orientate secondo i pregiudizi di una volontà politica passata o presente. E’ ovvio che il modello da cui nasce questa impersonalità della legge sociale è, prima di tutto, il modello impersonale scientifico. Questo modello impersonale scientifico, quindi, dà ordini, sia in quanto modello impersonale scientifico in se stesso e sia in quanto si trasforma in modello impersonale sociale o legalismo. E gli ordini ricevuti in modo impersonale sono ordini allo stesso modo che se fossero ricevuti in modo personale, come ben notava l’anarchico Stirner, il quale notava, ironicamente, quanto segue: “Nello Stato borghese ci sono soltanto ‘uomini liberi’ che vengono costretti a un’infinità di cose..Ma che importa? Chi li costringe è ‘solo’ lo Stato, la legge, non un uomo” (M. Stirner - “L’Unico e la sua proprietà”). Il meccanismo impersonale legale e scientifico viene costruito dall’imposizione alle cose e agli uomini di nomi e numeri, cioè da strutture formali livellanti che vanno a sostituire la realtà e individualità delle cose e persone naturali, nomi e numeri che fanno da base alla "manipolazione tecnologica", il cui effetto reale non è mai veramente conosciuto a pieno. Si tratta di un gigantesco processo di falsificazione che lascia la natura di ogni cosa e di ogni uomo come una “x” incognita posta al di là del castello legale sia scientifico che sociale, processo che, in quanto vuota formalità, rimane sempre superficiale rispetto alla realtà della natura delle cose e degli uomini. Tutto quello che è legale, impersonale, sociale e scientifico è sempre, assolutamente, “superficiale”. Tutto questo l’aveva già denunciato Nietzsche più di un secolo fa, ma la gabbia borghese, scientifica, socialista, in cui il cervello degli esseri umani è ingabbiato, impedisce che questa riflessione critica abbia successo: “Il linguaggio è dunque l’espressione adeguata di tutte le realtà?...Cos’è mai una parola? Il riflesso in suoni di uno stimolo nervoso. Ma il concludere da uno stimolo nervoso a una causa fuori di noi è già il risultato di un’applicazione falsa e ingiustificata del principio di ragione..Noi dividiamo le cose in generi, designiamo l’albero come maschile e la pianta come femminile: quali trasposizioni arbitrarie! Che distacco dal canone della certezza! Noi parliamo di un ‘serpente’: la designazione non riguarda altro se non la tortuosità, e potrebbe quindi spettare altresì al verme. Quali delimitazioni arbitrarie, quali preferenze unilaterali, accordate ora all’una ora all’altra proprietà di una cosa! Le diverse lingue, poste l’una accanto all’altra, mostrano che nelle parole non ha mai importanza la verità..In caso contrario non esisterebbero infatti così tante lingue..Egli <colui che costruisce il linguaggio> designa soltanto le relazioni delle cose con gli uomini e ricorre all’aiuto delle più ardite metafore per esprimere tali relazioni..Ogni parola diventa senz’altro un concetto, per il fatto che essa non è destinata a servire eventualmente per ricordare l’esperienza primitiva, non ripetuta e perfettamente individualizzata, ma deve adattarsi al tempo stesso a innumerevoli casi più o meno simili, cioè - a rigore - mai uguali, e quindi a casi semplicemente disuguali. Ogni concetto sorge con l’equiparazione di ciò che non è uguale..Il trascurare ciò che vi è di individuale e di reale ci fornisce il concetto, allo stesso modo ci fornisce la forma, mentre la natura non conosce invece nessuna forma e nessun concetto, e quindi neppure alcun genere, ma soltanto una x, per noi inattingibile e indefinibile <qui Nietzsche è vicinissimo al modo romantico e mio di intendere la natura e anche all’idea dell’‘Unico’ stirneriano>..Che cos’è dunque la verità <si intende quella della scienza, quella che viene enunciata dagli uomini>? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente..Allo stesso modo in cui l’astrologo considerava le stelle al servizio degli uomini e in collegamento con la loro felicità e con i loro dolori, così un tale indagatore <uno scienziato> considera il mondo intero connesso con l’uomo..Il suo metodo considera l’uomo come misura di tutte le cose: nel far ciò tuttavia egli parte da un errore iniziale, credere cioè che egli abbia queste cose..dinanzi a sé, come oggetti puri. Egli dimentica così che le metafore..sono pur sempre metafore, e le prende per le cose stesse” (F. Nietzsche - “Verità e menzogna in senso extra-morale”). Per cui la verità della natura non si trova nella scienza o nelle opinioni religiose, sociali e politiche degli uomini, ma sempre al di là dell’antropologico, al di là della cultura. La scienza, per di più, mortifica, con i suoi schemi, i suoi meccanismi e le sue analisi, la dignità della vita e della stessa morte, distrugge la bellezza e i sentimenti che dalla natura emanano, come ben notava il romantico inglese Wordsworth: “il nostro invadente intelletto/ deforma la bellezza delle cose/ - con l’analisi noi uccidiamo./ Basta con le arti e le scienze,/ chiudi queste pagine avvizzite,/ esci fuori e porta con te un cuore/ che osserva e percepisce” (W. Wordsworth - “Ballate liriche” - “Il rovescio della medaglia”). La scienza, quindi, non solo è tutt’uno con lo sfruttamento di cose e persone e con l’annientamento della bellezza, ma è anche annientamento delle emozioni, perché essa mira a trasformare tutto l’ignoto in noto, mentre la fonte delle emozioni, come ben capivano i romantici, sta nel rendere tutto “ignoto”: “Nel momento in cui do..al noto la dignità dell’ignoto..io lo rendo romantico” (Novalis - “Frammenti” - Poeticismi 105). Per restare nelle emozioni e anche fuori dei pregiudizi (fermo restando che alcuni pregiudizi sono costitutivi della nostra stessa personalità e quindi sono nostri diritti: non si può collaborare con tutti, l’importante è che, nel tenersi alla larga da qualcuno, non gli si faccia una materiale violenza fisica), rispetto a ciò che amiamo o a ciò che oggettivamente incontriamo, occorre liberarsi del “conosciuto”, cioè della “scienza”, giacché quello che sappiamo rende abituale e noiosa anche la persona che amiamo (per questo l’amore dura solo quando resta nella meraviglia del primo giorno e il conosciuto non ce lo distrugge) oppure ci porta a giudicare situazioni naturali o persone sulla base di esperienze acquisite, per cui diciamo che pioverà se vediamo nubi o diciamo che ruberà se vediamo uno zingaro. Libertà dal conosciuto, quindi, significa anche e soprattutto liberazione dalla civiltà scientifica, la natura non è la scienza, la scienza non è mai, specie a priori (vedi previsione scientifica), la verità: “Solo quando vediamo senza preconcetti.. allora siamo in grado di entrare in contatto diretto con qualsiasi cosa nella vita..Se io mi sono creato una immagine di voi e voi una su di me, naturalmente non ci vediamo l’un l’altro come siamo nella vita. Quello che vediamo sono le immagini che ci siamo creati l’uno dell’altro che ci impediscono di entrare in contatto, e questo è il motivo per cui i nostri rapporti vanno male <ad esempio perfino tra marito e moglie quando subentra la presunzione di aver ‘conosciuto’ l’altro>. Quando dico di conoscervi, intendo che vi ho conosciuto ieri. In realtà non vi conosco ora <questo vale anche e soprattutto per la previsione scientifica che è sempre un’arbitraria trasposizione dallo ieri all’oggi>.” (J. Krishnamurti - “Libertà dal conosciuto”).



La natura,
miei cari signori,
non regna più
nei vostri cuori.

Se usi la scienza
e non usi gli occhi,
non vedrai oltre
i tuoi ginocchi.

Quel presuntuoso
dello scienziato
la natura crede
di aver calcolato,

del prete imita
una vecchia canzone:
la scienza a tribunale
d'Inquisizione,

controllar tutto,
questo gli piace,
e una società fare
così rapace,

nella scienza è noto
che san tutti quanti,
ma il conosciuto
uccide gli amanti.

No, la natura
è un’altra cosa,
non è un calcolo,
ma profumo di rosa,

la natura è sempre
una splendida orchestra,
è un raggio di Luna
dalla finestra,

è il gracchiare
di allegre ranelle,
è l’occhiolino
che fanno le stelle,

è quell’incanto
in cui batte il cuore,
entusiasmo di vita
a tutte le ore.

(8/3/1982)