NATURA O SCIENZA?
La
poesia è stata ampiamente ritoccata e molti versi sono stati eliminati, ma il
suo spirito è stato mantenuto. Quando sento dire che la scienza sarebbe
l’interprete più autorevole della natura, il mio senso di verità e di vitalità
si ribella. La scienza non è altro che la coscienza dell’uomo applicata alla
natura, le leggi fondamentali della scienza rendono conto alla coscienza umana,
non alla natura. La coscienza umana, quando non è coscienza corporea libera da
pregiudizi, è puro e semplice egocentrismo antropologico, è unicamente
antropocentrismo. Naturalmente è chiaro che l’antropocentrismo non è altro che
egocentrismo comune. In quanto “egocentrismo comune”, o antropologico, la
scienza non ha alcun interesse oggettivo per la natura, la bellezza e la
tragedia delle cose viventi che, da tutte le parti, circondano l’uomo. La
scienza è guidata solo dai pregiudizi personali, sociali e antropologici dello
scienziato, ma soprattutto è guidata dagli interessi umani. In altri termini
l’atteggiamento razionale e scientifico verso la natura e gli altri uomini cela
sempre un intento di “dominio”, come onestamente e ingenuamente ammettevano gli
scienziati dell’epoca della Rivoluzione scientifica: “conoscendo il potere e gli effetti del fuoco, dell’acqua, dell’aria,
degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano..potremmo
utilizzare..quei corpi a tutti gli usi cui sono adatti e divenir così quasi
padroni e possessori della Natura” (R.
Descartes (Cartesio) - “Il discorso sul metodo”). Questo intento di
dominio, ovviamente, non darebbe alcun risultato reale se gli individui non
venissero inquadrati da un potere forte che permette loro di “organizzarsi”
(l’organizzazione è l’equivalente sociale della scienza, sia l’organizzazione che
la scienza hanno lo stesso intento di dominio): le società industriali sono
società già ampiamente inquadrate, non da un potere personale (più o meno
occasionale rispetto alla struttura, come capita nelle democrazie), ma dal
potere impersonale della legge, la legge sociale non essendo altro che
l’equivalente della legge scientifica applicata agli uomini. Non è certo un
caso che l’affermarsi del legalismo sociale, borghese e socialista, sia andato
di pari passo con l’affermarsi della Rivoluzione scientifica e della
democrazia. La legge scientifica è il modello perfetto cui si ispira il
legalismo borghese-socialista moderno, il quale vorrebbe che la società fosse
guidata dalle leggi automaticamente (vedi il liberalismo di Kelsen), senza
bisogno di un potere arbitrario umano che avviasse il motore. Schmitt (teorico
dello Stato forte e del decisionismo politico), ma soprattutto la storia, hanno
dimostrato che l’idea di una società che si gestisce impersonalmente attraverso
un meccanismo giuridico indipendente da un potere decisionale arbitrario non si
è mai realizzata, dato che l’impulso decisionale, o politico, era tutt’altro
che impersonale. Il meccanismo giuridico, quindi, è tenuto in piedi da un
potere personale che si nasconde dietro la facciata della democrazia e dei
diritti umani. Le democrazie moderne sono degli Stati fascisti camuffati, che
consentono la libertà di parlare, ma non di decidere sulla propria vita. E’ un
fatto, però, che la struttura, cioè il meccanismo legale e impersonale, sia
stata ampiamente “interiorizzata” dalla popolazione, per cui, almeno per un
periodo di tempo limitato, si potrebbe tenere in piedi da sola. Questo vuol
dire che, per la maggior parte delle cose che facciamo ogni giorno, siamo
pilotati dall’impersonalità della legge, piuttosto che da un volontà politica,
anche se le leggi sono a priori orientate secondo i pregiudizi di una volontà
politica passata o presente. E’ ovvio che il modello da cui nasce questa
impersonalità della legge sociale è, prima di tutto, il modello impersonale
scientifico. Questo modello impersonale scientifico, quindi, dà ordini, sia in
quanto modello impersonale scientifico in se stesso e sia in quanto si
trasforma in modello impersonale sociale o legalismo. E gli ordini ricevuti in
modo impersonale sono ordini allo stesso modo che se fossero ricevuti in modo
personale, come ben notava l’anarchico Stirner, il quale notava, ironicamente,
quanto segue: “Nello Stato borghese ci
sono soltanto ‘uomini liberi’ che vengono costretti a un’infinità di cose..Ma
che importa? Chi li costringe è ‘solo’ lo Stato, la legge, non un uomo” (M. Stirner - “L’Unico e la sua proprietà”).
Il meccanismo impersonale legale e scientifico viene costruito dall’imposizione
alle cose e agli uomini di nomi e numeri, cioè da strutture formali livellanti
che vanno a sostituire la realtà e individualità delle cose e persone naturali,
nomi e numeri che fanno da base alla
"manipolazione tecnologica", il cui effetto reale non è mai veramente
conosciuto a pieno.
Si tratta di un gigantesco processo di falsificazione che lascia la natura di
ogni cosa e di ogni uomo come una “x” incognita posta al di là del castello
legale sia scientifico che sociale, processo che, in quanto vuota formalità,
rimane sempre superficiale rispetto alla realtà della natura delle cose e degli
uomini. Tutto quello che è legale, impersonale, sociale e scientifico è sempre,
assolutamente, “superficiale”. Tutto questo l’aveva già denunciato Nietzsche
più di un secolo fa, ma la gabbia borghese, scientifica, socialista, in cui il
cervello degli esseri umani è ingabbiato, impedisce che questa riflessione
critica abbia successo: “Il linguaggio è
dunque l’espressione adeguata di tutte le realtà?...Cos’è mai una parola? Il
riflesso in suoni di uno stimolo nervoso. Ma il concludere da uno stimolo
nervoso a una causa fuori di noi è già il risultato di un’applicazione falsa e
ingiustificata del principio di ragione..Noi dividiamo le cose in generi,
designiamo l’albero come maschile e la pianta come femminile: quali
trasposizioni arbitrarie! Che distacco dal canone della certezza! Noi parliamo
di un ‘serpente’: la designazione non riguarda altro se non la tortuosità, e
potrebbe quindi spettare altresì al verme. Quali delimitazioni arbitrarie,
quali preferenze unilaterali, accordate ora all’una ora all’altra proprietà di
una cosa! Le diverse lingue, poste l’una accanto all’altra, mostrano che nelle
parole non ha mai importanza la verità..In caso contrario non esisterebbero
infatti così tante lingue..Egli <colui che costruisce il linguaggio> designa soltanto le relazioni delle cose
con gli uomini e ricorre all’aiuto delle più ardite metafore per esprimere tali
relazioni..Ogni parola diventa senz’altro un concetto, per il fatto che essa
non è destinata a servire eventualmente per ricordare l’esperienza primitiva,
non ripetuta e perfettamente individualizzata, ma deve adattarsi al tempo
stesso a innumerevoli casi più o meno simili, cioè - a rigore - mai uguali, e
quindi a casi semplicemente disuguali. Ogni concetto sorge con l’equiparazione
di ciò che non è uguale..Il trascurare ciò che vi è di individuale e di reale
ci fornisce il concetto, allo stesso modo ci fornisce la forma, mentre la
natura non conosce invece nessuna forma e nessun concetto, e quindi neppure
alcun genere, ma soltanto una x, per noi inattingibile e indefinibile <qui
Nietzsche è vicinissimo al modo romantico e mio di intendere la natura e anche
all’idea dell’‘Unico’ stirneriano>..Che
cos’è dunque la verità <si intende quella della scienza, quella che
viene enunciata dagli uomini>? Un
mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di
relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente..Allo
stesso modo in cui l’astrologo considerava le stelle al servizio degli uomini e in collegamento con la loro felicità e con i
loro dolori, così un tale indagatore <uno scienziato> considera il mondo intero connesso con
l’uomo..Il suo metodo considera l’uomo come misura di tutte le cose: nel far
ciò tuttavia egli parte da un errore iniziale, credere cioè che egli abbia
queste cose..dinanzi a sé, come oggetti puri. Egli dimentica così che le
metafore..sono pur sempre metafore, e le prende per le cose stesse” (F. Nietzsche - “Verità e menzogna in senso
extra-morale”). Per cui la verità della natura non si trova nella
scienza o nelle opinioni religiose, sociali e politiche degli uomini, ma sempre
al di là dell’antropologico, al di là della cultura. La scienza, per di più,
mortifica, con i suoi schemi, i suoi meccanismi e le sue analisi, la dignità della
vita e della stessa morte, distrugge la bellezza e i sentimenti che dalla
natura emanano, come ben notava il romantico inglese Wordsworth: “il nostro invadente intelletto/ deforma la
bellezza delle cose/ - con l’analisi noi uccidiamo./ Basta con le arti e le
scienze,/ chiudi queste pagine avvizzite,/ esci fuori e porta con te un cuore/
che osserva e percepisce” (W. Wordsworth
- “Ballate liriche” - “Il rovescio della medaglia”). La scienza,
quindi, non solo è tutt’uno con lo sfruttamento di cose e persone e con
l’annientamento della bellezza, ma è anche annientamento delle emozioni, perché
essa mira a trasformare tutto l’ignoto in noto, mentre la fonte delle emozioni,
come ben capivano i romantici, sta nel rendere tutto “ignoto”: “Nel momento in cui do..al noto la dignità
dell’ignoto..io lo rendo romantico” (Novalis
- “Frammenti” - Poeticismi 105). Per restare nelle emozioni e anche
fuori dei pregiudizi (fermo restando che alcuni pregiudizi sono costitutivi
della nostra stessa personalità e quindi sono nostri diritti: non si può
collaborare con tutti, l’importante è che, nel tenersi alla larga da qualcuno,
non gli si faccia una materiale violenza fisica), rispetto a ciò che amiamo o a
ciò che oggettivamente incontriamo, occorre liberarsi del “conosciuto”, cioè
della “scienza”, giacché quello che sappiamo rende abituale e noiosa anche la
persona che amiamo (per questo l’amore dura solo quando resta nella meraviglia
del primo giorno e il conosciuto non ce lo distrugge) oppure ci porta a
giudicare situazioni naturali o persone sulla base di esperienze acquisite, per
cui diciamo che pioverà se vediamo nubi o diciamo che ruberà se vediamo uno
zingaro. Libertà dal conosciuto, quindi, significa anche e soprattutto
liberazione dalla civiltà scientifica, la natura non è la scienza, la scienza
non è mai, specie a priori (vedi previsione scientifica), la verità: “Solo quando vediamo senza preconcetti..
allora siamo in grado di entrare in contatto diretto con qualsiasi cosa nella
vita..Se io mi sono creato una immagine di voi e voi una su di me, naturalmente
non ci vediamo l’un l’altro come siamo nella vita. Quello che vediamo sono le
immagini che ci siamo creati l’uno dell’altro che ci impediscono di entrare in
contatto, e questo è il motivo per cui i nostri rapporti vanno male <ad
esempio perfino tra marito e moglie quando subentra la presunzione di aver
‘conosciuto’ l’altro>. Quando dico di
conoscervi, intendo che vi ho conosciuto ieri. In realtà non vi conosco ora <questo
vale anche e soprattutto per la previsione scientifica che è sempre
un’arbitraria trasposizione dallo ieri all’oggi>.” (J. Krishnamurti - “Libertà
dal conosciuto”).
La
natura,
miei
cari signori,
non
regna più
nei
vostri cuori.
Se
usi la scienza
e
non usi gli occhi,
non
vedrai oltre
i
tuoi ginocchi.
Quel
presuntuoso
dello
scienziato
la
natura crede
di
aver calcolato,
del
prete imita
una
vecchia canzone:
la
scienza a tribunale
d'Inquisizione,
controllar
tutto,
questo
gli piace,
e
una società fare
così
rapace,
nella
scienza è noto
che
san tutti quanti,
ma
il conosciuto
uccide
gli amanti.
No,
la natura
è
un’altra cosa,
non
è un calcolo,
ma
profumo di rosa,
la
natura è sempre
una
splendida orchestra,
è
un raggio di Luna
dalla
finestra,
è
il gracchiare
di
allegre ranelle,
è
l’occhiolino
che
fanno le stelle,
è
quell’incanto
in
cui batte il cuore,
entusiasmo
di vita
a
tutte le ore.
(8/3/1982)